C'è su Repubblica un lungo articolo di Colaprico e D'Avanzo, i quali spiegano perché l'ultima imputazione a carico di Berlusconi è assai pericolosa.
"Anche se il reato che gli viene contestato ha come pena massima tre anni. È vero, in Italia, nessuno entra davvero in una cella per una condanna così mite. C'è un ma." Infatti tra i reati che vengono contestati a Berlusconi c'è il "Favoreggiamento della prostituzione minorile, secondo comma dell'articolo 600 bis", che prevede una pena sino a tre anni. Tre anni non se li fa nessuno in Italia (infatti è il limite per l'affidamento ai servizi sociali) ma, come dicono i due giornalisti, c'è un ma.
"Qualche sciocco ironizza sull'esiguità della pena, come se la limitatezza della sanzione rendesse trascurabile il reato, e quindi imperdonabile l'iniziativa della procura di Milano. Quello sciocco ignora che, se dovesse volgere al peggio, non ci possono più essere scappatoie per il capo del governo, perché in questo caso non esiste la discrezionalità dei giudici. Anche se dovesse essere condannato (per dire) a una settimana di reclusione, a due giorni di carcere, nessun cavillo o prodigalità potrebbe impedire che quella settimana, quei due giorni, Silvio Berlusconi li sconti davvero". Questo perché (cito sempre l'articolo) " Lo dice - e la procura milanese lo sa bene - l'articolo 4 bis del nuovo ordinamento penitenziario. Leggiamolo: "Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti. 1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione (...) possono essere concessi ai detenuti e internati per i delitti commessi per finalità di terrorismo, di mafia, per i responsabili di reati di cui agli articoli 600, 600 bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602... solo nei casi in cui tali detenuti collaborino con la giustizia".
Quello sciocco che ironizza sull'esiguità della pena sarà anche sciocco, ma sa contare. E vede che Berlusconi è indagato per il 600-bis SECONDO comma, mentre i benefici sono preclusi ai condannati per il 600-bis PRIMO comma.
E si sente un po' meno sciocco.
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domenica 16 gennaio 2011
sabato 15 gennaio 2011
Pillole di scienza /reprise

Il signore qui a fianco si chiama Ipparco di Nicea. E' quello che ha scoperto questo fatto straordinario, che, come ricordavamo ieri, ha anche un nome ben preciso: si chiama precessione degli equinozi.
Ma la cosa più straordinaria non è la precessione in sé: la cosa veramente incredibile è che Ipparco visse nel secondo secolo avanti Cristo. Il Corriere della sera ha pubblicato in prima pagina (in PRIMA PAGINA) una notizia vecchia di 22 secoli e rotti.
Update: mi si fa notare che il Corsera la notizina l'aveva già pubblicata quindici anni fa
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venerdì 14 gennaio 2011
Pillole di scienza
Il Corriere della Sera, nella persona del giornalista Francesco Tortora, ha scoperto la precessione degli equinozi.
Ma non sa che si chiama così
Ma non sa che si chiama così
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giovedì 23 dicembre 2010
La gioia di pensare con la propria testa
Questo poveretto qui, Alessio Vinci, è stato perculato da mezza rete e persino da un TG nazionale per aver detto che Berlusconi è la Luce.
La cosa è stata ripresa da Repubblica, frase che ormai equivale a «Les normands buvaient du calva»
Certo, il fatto che il direttore del TG che l'ha perculato sia colui del quale ha preso il posto (peraltro senza rubarglielo) può aver influito sul giudizio. Quanto al boxino di Repubblica, ils buvaient du calva.
Chi si fosse preso il ghiribizzo di ragionare con la propria testa avrebbe potuto ascoltare l'audio, messo a disposizione dai bevitori di liquore, e constatare che Vinci ha detto un'enorme stronzata.
In effetti la notte del 21 dicembre non è stata manco per un cazzo la più buia da quattro secoli a questa parte. E' una fola, una sciocchezza, una puttanata. La fola, la sciocchezza, la puttanata, era per inciso la citazione letterale di un titolone di Repubblica, che purtroppo il Vinci deve aver letto, ahilui.
Dopodiché, Alessio Vinci ha presentato Berlusconi: e non ha detto che Berlusconi è la Luce. Non ha neppur detto che Berlusconi attira la luce.
Ha detto che Berlusconi «è una persona capace di attirare la luce dei riflettori: e non solo quelli televisivi, soprattutto quelli della politica».
C'è qualcuno che ha il coraggio di smentirlo?
La cosa è stata ripresa da Repubblica, frase che ormai equivale a «Les normands buvaient du calva»
Certo, il fatto che il direttore del TG che l'ha perculato sia colui del quale ha preso il posto (peraltro senza rubarglielo) può aver influito sul giudizio. Quanto al boxino di Repubblica, ils buvaient du calva.
Chi si fosse preso il ghiribizzo di ragionare con la propria testa avrebbe potuto ascoltare l'audio, messo a disposizione dai bevitori di liquore, e constatare che Vinci ha detto un'enorme stronzata.
In effetti la notte del 21 dicembre non è stata manco per un cazzo la più buia da quattro secoli a questa parte. E' una fola, una sciocchezza, una puttanata. La fola, la sciocchezza, la puttanata, era per inciso la citazione letterale di un titolone di Repubblica, che purtroppo il Vinci deve aver letto, ahilui.
Dopodiché, Alessio Vinci ha presentato Berlusconi: e non ha detto che Berlusconi è la Luce. Non ha neppur detto che Berlusconi attira la luce.
Ha detto che Berlusconi «è una persona capace di attirare la luce dei riflettori: e non solo quelli televisivi, soprattutto quelli della politica».
C'è qualcuno che ha il coraggio di smentirlo?
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venerdì 17 dicembre 2010
La rottura dello stock
Una persona di medio buonsenso e con una normale conoscenza della lingua italiana leggendo questo pezzo del Corriere può farsi una e una sola idea: che negli USA le scorte di veleno per le condanne a morte vengano conservate in un negozio di cristallerie, e che in quel negozio sia malauguratamente entrato un elefante infuriato.
martedì 30 novembre 2010
Cose che danno un po' da pensare


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domenica 28 novembre 2010
Happy beginning
Oggi Aldo Grasso scrive un pezzo sul Corriere dedicato al Tenente Colombo.
Prende spunto da una lettera (sarà poi vera?) di due lettori che si lamentano del fatto che Rete4 manda in onda il popolare teleflm tagliando l'inizio, talché quando loro, alle 19:30 della domenica, si sintonizzano sul canale Mediaset, ecco che l'omicidio è già avvenuto.
Grasso solidarizza, e ipotizza anche di parlare di questo dramma con Fede, concludendo tuttavia che il momento non sia il più adatto per disturbare il famoso anchorman.
Spiega ai lettori tutti la struttura del telefilm, e di ciò lo ringraziamo infinitamente, dacché noi non l'avevamo mai compresa, fino ad oggi: quello che posso fare è ricordare che la struttura del telefilm si ripete ogni volta: contravvenendo le regole del genere, ogni episodio svela subito al pubblico il colpevole, mostrando l'atto delittuoso. L'attrazione, tutta psicologica, consiste nell'osservare come il detective indovini quello che è già noto. Il già noto, non il già tagliato.
Grazie, Grasso: ci ha aperto gli occhi. Ci consenta di ricambiarle il favore.
Basta dare un guardo ai tamburini per rendersi conto che, più o meno da sempre, la replica domenicale di Colombo inizia verso le 18:30, si interrompe per il TG4 e riprende dopo, quando, è vero, l'omicidio ha già avuto luogo. Sono anni che la cosa funziona così: anni.
Stupisce che i due lettori (ma saran poi veri?) non se ne siano mai accorti, se sono ultra fan come dicono.
Stupisce meno che neppure Aldo Grasso se ne sia accorto. Probabilmente considera che Colombo sia troppo popolare: forse addirittura Aldo Grasso considera tutta la TV come troppo popolare e si rifiuta di guardarla, come del resto faceva Enzo Siciliano.
Del resto Aldo Grasso è lo stesso che aveva attribuito la scelta del nome Billy, per una rubrica di libri, al gabbiere di Melville anziché -come tutti noi comuni mortali- alla libreria dell'Ikea.
Prende spunto da una lettera (sarà poi vera?) di due lettori che si lamentano del fatto che Rete4 manda in onda il popolare teleflm tagliando l'inizio, talché quando loro, alle 19:30 della domenica, si sintonizzano sul canale Mediaset, ecco che l'omicidio è già avvenuto.
Grasso solidarizza, e ipotizza anche di parlare di questo dramma con Fede, concludendo tuttavia che il momento non sia il più adatto per disturbare il famoso anchorman.
Spiega ai lettori tutti la struttura del telefilm, e di ciò lo ringraziamo infinitamente, dacché noi non l'avevamo mai compresa, fino ad oggi: quello che posso fare è ricordare che la struttura del telefilm si ripete ogni volta: contravvenendo le regole del genere, ogni episodio svela subito al pubblico il colpevole, mostrando l'atto delittuoso. L'attrazione, tutta psicologica, consiste nell'osservare come il detective indovini quello che è già noto. Il già noto, non il già tagliato.
Grazie, Grasso: ci ha aperto gli occhi. Ci consenta di ricambiarle il favore.
Basta dare un guardo ai tamburini per rendersi conto che, più o meno da sempre, la replica domenicale di Colombo inizia verso le 18:30, si interrompe per il TG4 e riprende dopo, quando, è vero, l'omicidio ha già avuto luogo. Sono anni che la cosa funziona così: anni.
Stupisce che i due lettori (ma saran poi veri?) non se ne siano mai accorti, se sono ultra fan come dicono.
Stupisce meno che neppure Aldo Grasso se ne sia accorto. Probabilmente considera che Colombo sia troppo popolare: forse addirittura Aldo Grasso considera tutta la TV come troppo popolare e si rifiuta di guardarla, come del resto faceva Enzo Siciliano.
Del resto Aldo Grasso è lo stesso che aveva attribuito la scelta del nome Billy, per una rubrica di libri, al gabbiere di Melville anziché -come tutti noi comuni mortali- alla libreria dell'Ikea.
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giovedì 4 novembre 2010
Nevica
L'Espresso ha scoperto che Schifani, prima di fare il Presidente del Senato, faceva l'avvocato.
Cosa interessante, seppure un po' fuori tempo massimo, dato che sarebbe bastato andarsi a vedere la biografia sul sito del Senato medesimo per apprenderlo.
Stupisce però che il settimanale parli del lavoro di Schifani, che come noto frequenta un'altra parte politica, in termini assai lusinghieri. Si legge infatti:
Che succede all'Espresso? Si sono bevuti il cervello, a parlar così bene di Schifani?
Cosa interessante, seppure un po' fuori tempo massimo, dato che sarebbe bastato andarsi a vedere la biografia sul sito del Senato medesimo per apprenderlo.
Stupisce però che il settimanale parli del lavoro di Schifani, che come noto frequenta un'altra parte politica, in termini assai lusinghieri. Si legge infatti:
Per questo l'avvocato Schifani congegna una difesa molto articolata, ispirata a principi garantisti, criticando l'uso di tutte le indagini precedenti la legge ai fini dei provvedimenti di sequestro. Analizza uno per uno i beni di Giovanni Bontate - una figura di mafioso borghese, laureato in legge e attivissimo dal punto di vista imprenditoriale mentre gestiva il traffico di droga con gli States - sottolineandone la congruità con il tenore di vita, anche se in un passaggio si fa riferimento al condono fiscale che rende difficile confrontare i redditi dichiarati con quelli reali. Discute nei dettagli vita e opere della Atlantide Costruzioni, un'azienda controllata dal suo assistito che poi nel 1996 verrà indirettamente citata nelle prime indagini sui presunti rapporti tra l'entourage berlusconiano e Cosa nostra.Insomma: l'Espresso non solo ha scoperto che Schifani faceva l'avvocato, ma anche che faceva bene il suo lavoro, difendendo il proprio assistito al meglio delle proprie capacità e competenze professionali, secondo quanto disposto dall'art. 24 della Costituzione e dal Codice Deontologico Forense.
Che succede all'Espresso? Si sono bevuti il cervello, a parlar così bene di Schifani?
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lunedì 1 novembre 2010
Retroattività
Ma il direttore di quel giornale che si è scagliato per primo contro la retroattività del cosiddetto Lodo Alfano costituzionale, non si è per caso posto il dubbio che forse anche la maggiore età non sia retroattiva?
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lunedì 25 ottobre 2010
La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi.
Articolo vigesimottavo dello Statuto Albertino. Che in fondo non era poi tanto malaccio.
(La Stampa, oggi si linka La Stampa)
(La Stampa, oggi si linka La Stampa)
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giovedì 21 ottobre 2010
Invito alla lettura
Oggi vi invito alla lettura di questo splendido e originalissimo pezzo tratto dal Fatto Quotidiano.
Voi che mi leggete sovente sapete bene che Travaglio mi sta antipatico, e neppur cordialmente. E che ritengo che coloro che scrivono abitualmente su quel giornale dovrebbero andare a lavorare nelle miniere di sale per rendersi un po' utili alla società. Ma devo confessare di aver d'un tratto cambiato idea, grazie a questo articolo approfondito e documentato.
Gli autori, Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio dei quali mi pregio di copincollare la fotografia scusandomi per il non sapere chi sia l'uno e chi l'altro, ci parlano dei centri commerciali che «crescono come funghi, e sono tutti uguali», contenendo «palme di plastica, zampilli d’acqua sincronizzati, luci e clima costanti». E gli autori fanno notare (e questa non è che la prima illuminazione fornitami dall'articolo) quanto sia più bello «fare una passeggiata al mare, in montagna, al lago o semplicemente in un parco o nel centro del proprio paese o città».
Perché, badate, al centro commerciale fa caldo d'inverno e freddo d'estate, e c'è puzza di McDonalds: e non mi spiego proprio come io, al pari di tutti coloro che vi si affollano, non ce ne siamo resi conto fino ad oggi.
«Si entra per comprare una matita e si esce con cento euro in meno», ma del pari «spesso non si trova quello che si cerca» dato che tutto, dalle pubblicità alle offerte, è «studiato a tavolino».
Ci sono i commessi, ma sono incompetenti perché non producono loro la merce che comprate, si limitano a venderla, accipicchia (confesso di avere qualche dubbio sul punto: non ho ben capito se questo significhi che da oggi porterò solo scarpe fatte a mano dal calzaturificio vigevanese o se dovrò andare in indonesia per il prossimo paio di Stan Smith, ci rifletterò sopra). Certo, ammettono gli autori, che sono persone concrete, questo dà lavoro a tanta gente, ma non trasmette loro competenze sul «saper fare». «Meglio non imparare più niente, ma avere uno straccio di stipendio per qualche mese, a quanto pare…» è l'icastico commento, che se non l'aveste capito è ironico, dato che come noto arrivare alla fine del mese non dev'essere una priorità dell'Uomo Libero.
Siamo, ahimè, quasi alla fine, ma ancora possiamo raccogliere qualche piccola illuminazione, come quella che i centri commerciali «inglobano in sé sempre più cose: centri fitness, ristoranti, sale giochi, cinema multisala e chi più ne ha più ne metta».
Ora anche voi sarete persone migliori: ringraziatemi.
Voi che mi leggete sovente sapete bene che Travaglio mi sta antipatico, e neppur cordialmente. E che ritengo che coloro che scrivono abitualmente su quel giornale dovrebbero andare a lavorare nelle miniere di sale per rendersi un po' utili alla società. Ma devo confessare di aver d'un tratto cambiato idea, grazie a questo articolo approfondito e documentato.

Perché, badate, al centro commerciale fa caldo d'inverno e freddo d'estate, e c'è puzza di McDonalds: e non mi spiego proprio come io, al pari di tutti coloro che vi si affollano, non ce ne siamo resi conto fino ad oggi.
«Si entra per comprare una matita e si esce con cento euro in meno», ma del pari «spesso non si trova quello che si cerca» dato che tutto, dalle pubblicità alle offerte, è «studiato a tavolino».
Ci sono i commessi, ma sono incompetenti perché non producono loro la merce che comprate, si limitano a venderla, accipicchia (confesso di avere qualche dubbio sul punto: non ho ben capito se questo significhi che da oggi porterò solo scarpe fatte a mano dal calzaturificio vigevanese o se dovrò andare in indonesia per il prossimo paio di Stan Smith, ci rifletterò sopra). Certo, ammettono gli autori, che sono persone concrete, questo dà lavoro a tanta gente, ma non trasmette loro competenze sul «saper fare». «Meglio non imparare più niente, ma avere uno straccio di stipendio per qualche mese, a quanto pare…» è l'icastico commento, che se non l'aveste capito è ironico, dato che come noto arrivare alla fine del mese non dev'essere una priorità dell'Uomo Libero.
Siamo, ahimè, quasi alla fine, ma ancora possiamo raccogliere qualche piccola illuminazione, come quella che i centri commerciali «inglobano in sé sempre più cose: centri fitness, ristoranti, sale giochi, cinema multisala e chi più ne ha più ne metta».
Ora anche voi sarete persone migliori: ringraziatemi.
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lunedì 18 ottobre 2010
Sullo schermo!

Abbiamo riflettuto su ciò ier sera, mentre guardavamo il TG7 di Mentana, che ci mostrava, sdegnato, i turisti confluiti in massa nel ridente paesino pugliese in visita-pellegrinaggio al garage dove si sarebbe consumato l'omicidio della povera Scazzi.
Oggi a pranzo, leggendo il Corriere, abbiamo trovato un'articolessa sullo stesso argomento: il turismo macabro, la caduta dei valori e dove andremo di questo passo, signora mia. Ovviamente l'articolessa, preziosamente arricchita da interviste ai gitanti, era contenuta in una pagina corredata di ricco apparato iconografico e schemini di ricostruzione delle tempistiche del delitto.
Abbiamo il sospetto che non siano solo il TG7 e il Corrierone ad aver preso questa deriva antinazionalpopolare, e crediamo probabile che anche gli altri organi della stampa e della televisione si dolgano per il cattivo gusto del popolo italiano, incapace ormai di passare una serena domenica al mare, ai monti o all'outlet più vicino, preferendo questo ignobile genere di sciacallaggio emotivo.
Eppure il convogliatore d'onda fotonica, a quanto mi risulta, non è stato ancora inventato. Né è stata ancora scoperta la funzione di lettura del pensiero a distanza, che consentirebbe al giornalista sdegnoso, comodamente seduto in redazione, di intervistare il macabro turista di Avetrana. Siamo nel 2010, e quelle immagini e quelle interviste ci dimosrano che davanti a quel garage non ci sono solo turisti morbosi, ma anche giornalisti professionisti.
E allora cominciamo a capire perché mai esista ancora un Ordine al quale è obbligatorio iscriversi per esercitare quella nobile professione: perché solo agli iscritti deve essere consentito piazzarsi per settimane intere davanti alle autorimesse di Avetrana, agli chalet di Cogne e ai villini di Novi Ligure, con telecamere, microfini e taccuini. Gli iscritti all'Ordine esercitano il loro altomestiere d'informare l'opinione pubblica; detengono loro il monopolio morale sul particolare macabro mentre il pubblico, dal canto suo, è una mera massa di guardoni senza un residuo di dignità e di valori.
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mercoledì 13 ottobre 2010
Del senno di poi
Io personalmente non so proprio chi diavolo sia quel Massimo Mauro che scrive di cose di calcio su Repubblica: mi soccorre wikipedia, secondo la quale è un ex calciatore e financo un ex deputato.
Oggi ha scritto un articolo tutto da leggere (è anche breve) lamentando che la partita di ieri non sia stata giocata, «non per il risultato ma perchè, almeno nello sport, dobbiamo difendere il valore che le regole vanno sempre rispettate e fatte rispettare» e dacché «non giocare è stata la vittoria [dei teppisti] e la sconfitta di quei quarantamila tifosi genovesi che ho visto tristemente andare via dallo stadio».
Io non so chi sia e cosa pensi, ripeto. Ma ci scommetterei una qualche decina di euri che se la partita si fosse giocata, e ci fosse scappato il morto o il ferito grave, il Mauro avrebbe scritto un articolo pressapoco così (mi sono sforzato di mantenere le zoppìe nel lessico, nella punteggiatura e nella consecutio, ma non credo di esservi riuscito appieno):
Oggi ha scritto un articolo tutto da leggere (è anche breve) lamentando che la partita di ieri non sia stata giocata, «non per il risultato ma perchè, almeno nello sport, dobbiamo difendere il valore che le regole vanno sempre rispettate e fatte rispettare» e dacché «non giocare è stata la vittoria [dei teppisti] e la sconfitta di quei quarantamila tifosi genovesi che ho visto tristemente andare via dallo stadio».
Io non so chi sia e cosa pensi, ripeto. Ma ci scommetterei una qualche decina di euri che se la partita si fosse giocata, e ci fosse scappato il morto o il ferito grave, il Mauro avrebbe scritto un articolo pressapoco così (mi sono sforzato di mantenere le zoppìe nel lessico, nella punteggiatura e nella consecutio, ma non credo di esservi riuscito appieno):
Era necessario arrenderci, la partita non doveva essere giocata: aver fatto svolgere un evento sportivo nonostante centinaia di pazzi esaltati lo volessero impedire con la forza, mi è sembrata una scelta assurda. Abbiamo visto allo stadio scene di inaudita violenza, perfino se in Italia siamo abituati a questi spettacoli. E poi dal pomeriggio non c'erano stati già incidenti nel centro della città, tra quei teppisti e la polizia, che non era riuscita a intervenire durante quel contesto e bloccare quei folli fuori dallo stadio? Per me la partita non doveva essere giocata. Il fatto di Genova mi ha ricordato quel derby Roma-Lazio dove, malgrado il barbaro assassinio di Paparelli, l'arbitro fece svolgere una gara assurda e antisportiva.
La paura non dovrebbe prendere la mano di chi deve assumere decisioni importanti: Italia-Serbia non andava giocata, e non per il risultato ma perchè, almeno nello sport, dobbiamo difendere il valore della vita, che va sempre rispettata e fatta rispettare. Non dovevamo abbassare la guardia di fronte ai teppisti: la scelta di giocare e ciò che ne è conseguito è stata la loro vittoria e la sconfitta di quei quarantamila tifosi genovesi che ho visto impauritamente andare via dallo stadio.
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martedì 5 ottobre 2010
lunedì 20 settembre 2010
giovedì 16 settembre 2010
Vive les vacances!

Qualunque persona dotata di medio buonsenso ha ormai capito che la sua strategia di comunicazione è semplicissima: anziché telefonare alla concessionaria di pubblicità per acquistare paginoni a caro prezzo, il simpatico irlandese, quando vuole rinfrescare un po' la memoria dei potenziali passeggeri, s'inventa una sciocchezza qualsiasi e la butta lì al primo che la raccoglie, certo che l'enormità della cazzata assicurerà per sé stessa la più ampia diffusione della notizia e, con essa, del nome della compagnia.
Ben prima che O'Leary prendesse il controllo di Ryanair, e anzi ben prima che la compagnia aerea venisse fondata, altri avevano già preconizzato la direzione in cui il nostro geniaccio del marketing aveva preso.
Jean-Marc Reiser, un genio del fumetto, pubblicò nel 1979 Vive le vacances!, un libretto semplicemente delizioso.
In esso era contenuta la strip che vi propongo qui sopra, che ho trovato in rete nella traduzione inglese, dato che non tutti capiscono il francese e quello di Reiser non è esattamente scolastico.
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lunedì 6 settembre 2010
Extra! Extra!

La notizia non è nemmeno che il Corriere della Sera e La Repubblica ritengano doveroso dare ai lettori una notizia che neppure la rubrica Royals di The Sun ha ritenuto di lanciare: e ce ne stupiamo un poco, dacché The Sun, seppur molto più serio e paludato dei due maggiori giornali di casa nostra, dovrebbe, non foss'altro per ragioni geografiche, essere più attento alle scarpe della Regina d'Inghilterra e di Scozia.
No: la notizia, quella vera, è che MLR non è in grado di distinguere un buco nella scarpa da una macchia, forse dovuta a un pezzo di cingomma attaccatasi alla Reale Suola. Io di buchi sotto i piedi sono abbastanza esperto: forse potrei propormi come consulente d'immagine per i due Grandi Quotidiani.

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lunedì 30 agosto 2010
Pentesileide

Ma oramai il lettore era in attesa, e cosa non si farebbe per accontentare il cliente?
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venerdì 27 agosto 2010
TG2
Sì, Minzolini è Minzolini, ma non bisogna mai perdere di vista il senso generale delle cose e dimenticare che non c'è solo Minzolini.
Oggi ho visto il TG2 delle ore tredici. Potrei scrivere molte righe per spiegarvi come sia potuto accadere e sono certo che riuscirei a convincere la maggior parte di voi, ma la verità è in fondo una sola: non esiste una sola giustificazione valida per vedere il TG2, eccezion fatta per essere lo spettatore legato ad una sedia in una cella del Camp Delta con una televisione accesa davanti utilizzata come strumento di tortura.
Comunque, l'ho fatto, e in fondo l'esperienza ne è valsa la pena.
Perché, verso la fine, è andato in onda un servizio su un bambino nato morto che ha preso a vivere grazie alle carezze della mamma, che non si è arresa.
Avete capito bene: per il TG2 non è nato "in gravissime condizioni", in "condizioni disperate" né è nato "senza dare alcun segno di vita".
No: per il TG2 è "nato morto". E la mamma ha continuato ad accarezzarlo e lui da morto è tornato vivo.
Di fronte a queste cose, rivaluto Minzolini, e perfino Giordano, quello che faceva Lucignolo: una trasmissione che ora mi sembra un diretto concorrente dei programmi educativi della BBC.
Oggi ho visto il TG2 delle ore tredici. Potrei scrivere molte righe per spiegarvi come sia potuto accadere e sono certo che riuscirei a convincere la maggior parte di voi, ma la verità è in fondo una sola: non esiste una sola giustificazione valida per vedere il TG2, eccezion fatta per essere lo spettatore legato ad una sedia in una cella del Camp Delta con una televisione accesa davanti utilizzata come strumento di tortura.
Comunque, l'ho fatto, e in fondo l'esperienza ne è valsa la pena.
Perché, verso la fine, è andato in onda un servizio su un bambino nato morto che ha preso a vivere grazie alle carezze della mamma, che non si è arresa.
Avete capito bene: per il TG2 non è nato "in gravissime condizioni", in "condizioni disperate" né è nato "senza dare alcun segno di vita".
No: per il TG2 è "nato morto". E la mamma ha continuato ad accarezzarlo e lui da morto è tornato vivo.
Di fronte a queste cose, rivaluto Minzolini, e perfino Giordano, quello che faceva Lucignolo: una trasmissione che ora mi sembra un diretto concorrente dei programmi educativi della BBC.
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martedì 24 agosto 2010
Meglio 'nu mal'accordo ca 'na causa vinciuta
Una delle prime udienze di verifica del passivo a cui partecipai, quasi vent'anni fa, ebbe luogo a Napoli. Il Giudice Delegato era uno con la faccia da paracadutista, il pizzetto alla Italo Balbo, e gli mancava solo il calamaio ricavato da una granata inesplosa per somigliare in tutto e per tutto all'ardito di fronte al quale Sordi e Gassman, nella Grande Guerra, si contendono l'ultimo posto mancante nella squadra degli incursori.
Alle spalle aveva l'intera collezione dei calendari dei Carabinieri, e sapevo che pochi giorni prima aveva sbattuto dentro un collega di un'altra banca per concorso in bancarotta fraudolenta, in una vicenda nella quale il poveretto non aveva alcuna colpa se non quella di non essere stato oltremodo prudente.
Uno tosto, insomma. Eppure alle sue spalle non campeggiavano massime morali edificanti né era appesa una giustizia con la spada sguainata: c'era invece un cartello, forse addirittura una fotocopia, che recitava "Meglio 'nu mal'accordo ca 'na causa vinciuta".
E' questo un detto napoletano ben noto, ma potete immaginare la mia sorpresa nel trovarlo nella stanza di un giudice, e di un giudice di quella fatta, per giunta! Eppure, come ebbi a imparare negli anni successivi, tale motto in Italia risponde tragicamente al vero.
I tempi delle giustizia; l'alea delle decisioni; la contradditorietà di molte leggi, che in un punto dicono una cosa e nell'altra il suo contrario, obbligando l'interprete ad astrusi castelli logici; l'assenza di un sistema efficace per il ristoro delle spese legali sostenute dal vincitore della controversia: tutto ciò fa sì che sia di gran lunga meglio, per chi viene chiamato in giudizio ed ha la matematica certezza delle proprie ragioni, addivenire ad un accordo rimettendoci un po' del suo piuttosto che dover affrontare tutti i gradi giurisdizionali.
Tutte queste cose Repubblica le conosce benissimo; e ciononostante ha continuato a battere la grancassa della legge ad aziendam, dapprima con i giornalisti veri e propri, poi facendo intervenire gli intellettuali scandalizzati (e se voi immaginaste quanto mi fa ridere l'idea di un intellettuale che dapprima si scandalizza e poi va allo Strega, come concorrente o come giurato!), ed infine con le lettere dei lettori.
Una delle principali questioni che vengono aperte è: "perché la Mondadori, se è tanto certa di aver ragione, dopo aver vinto due volte non affronta anche il terzo grado di giudizio e preferisce pagare otto milioni?". Noterete l'aporia: dapprima si accusa Mondadori di aver truffato l'Erario grazie al suo mero proprietario, per risparmiare un mare di soldi; dopodiché la si accusa per aver pagato anziché resistere in giudizio.
Non parliamo poi della rete: Francesco Costa ha avuto la cortesia di citare in un suo post i miei pezzi, e ha dovuto sopportare con stoica pazienza un dialogo con lettori che dimostravano o di non essere riusciti a leggere il suo e i miei post, o di non essere riusciti a capire quel che avevano letto, in quanto costantemente sfuggivano dalla questione, unica, di cui stiamo parlando: vale a dire dello stato della causa pendente.
Provo allora, ancora una volta, a riassumere per punti schematici la questione, in un supremo sforzo di chiarezza.
A) la Mondadori aveva in essere con il Fisco un contenzioso da centinaia di milioni;
B) Mondadori ha vinto il contenzioso nei due gradi di giudizio finora svoltisi;
C) l'Erario è ricorso per Cassazione;
D) Mondadori ha chiuso la questione pagando il 5% del valore della causa;
E) in astratto, il 5% corrisponde alla probabilità di vittoria di una parte in Cassazione dopo aver perso nei due precedenti gradi di giudizio;
F) per tale motivo, sempre in astratto, una transazione al 5% nell'ultimo grado di giudizio fa parte della comune prassi commerciale tra imprenditori e in genere tra soggetti privati;
G) l'Erario non segue la prassi che seguono i privati, per una serie di motivi tra i quali, principalmente, a) il fatto che approvare una transazione potrebbe comportare una responsabilità amministrativa del funzionario pubblico e persino un'accusa di peculato, corruzione o concussione e b) il fatto che le spese del giudizio non sono sostenute dal soggetto che decide di ricorrere, bensì dal pubblico c) il pubblico funzionario, piuttosto che rischiare un'accusa amministrativa o penale, le cui spese pagherebbe di tasca propria anche in caso di assoluzione, preferisce di gran lunga non decidere nulla e quindi andare aventi nei giudizi, anche i più campati in aria, facendone pagare le spese allo Stato;
H) il Governo Berlusconi ha approvato una legge che in questo caso specifico elimina la discrezionalità del funzionario pubblico e quindi consente una sorta di transazione obbligatoria a richiesta di parte;
I) Berlusconi è il capo del Governo ed è il (mero) proprietario di Mondadori.
Stringi stringi, la questione è tutta in quella (I), e non negli altri punti. Se il contenzioso con il fisco fosse stato chiuso da De Benedetti, certo nessuno (salvo forse Feltri, ma lui è profumatamente pagato per farlo) si sarebbe scagliato contro di lui. Ma dato che il contenzioso è sato chiuso da un'azienda di Berlusconi, ecco che scoppia il can can: la legge è una vergogna perché ha consentito ad un'azienda di Berlusconi di cavarsela. La legge è una vergogna perché è la dimostrazione palmare del conflitto d'interessi.
E' un atteggiamento stupido.
Le leggi vanno valutate anzitutto per quel che sono, e solo dopo per gli eventuali vantaggi che qualcuno ne può trarre. La legge sulla definizione dei contenziosi fiscali è una buona legge, perché consente a tante imprese vessate dal fisco (l'essere state vessate è dimostrato dalla soccombenza del'Erario nei giudizi di merito) di chiudere la partita e sistemare i propri bilanci, affrontando la crisi con maggiore tranquillità. La legge sul processo breve è una pessima legge perché non risolve uno solo dei problemi della giustizia penale ma ha come unico effetto un'amnistia indiscriminata e di fatto per i soggetti che possono permettersi i migliori difensori.
Sia la legge sul contenzioso fiscale che quella sul processo breve convengono a Berlusconi. Ma se l'una è una buona legge, e l'altra una pessima legge, è profondamente sbagliato fare di tutt'un'erba un fascio e scagliarsi contro entrambe. In primo luogo, perché si annacqua l'opposizione a Berlusconi in una sorta di notte in cui tutti i gatti sono bigi, e in secondo luogo perché ciò è costituzionalmente sbagliato.
E' evidente che Berlusconi ha interessi ovunque. Ma la Costituzione afferma che Berlusconi ha il diritto di elettorato attivo e passivo: può votare, può fare il parlamentare, il capo del governo e persino il presidente della repubblica.
In astratto è certo possibile disciplinare con una legge le situazioni di "conflitto d'interesse", ma attualmente così non è, ed è del tutto cretino pensare che l'attività di Governo dell'Italia di oggi debba essere improntata al rispetto di una legge che non esiste e che neppure il Governo di orientamento politico opposto a Berlusconi ha messo in cantiere.
Si può versare un oceano d'inchiostro per descrivere come dovrebbe essere fatta una legge di questo genere; ma finché non sarà stata approvata dai due rami del Parlamento e firmata dal Presidente della Repubblica, Berlusconi e il suo governo devono governare producendo buone norme.
Quella sul contenzioso fiscale è una norma buona, e pertanto dovrebbe essere fatto, per una volta, un plauso al governo che l'ha proposta e fatta approvare, riservando i fischi, le paginate di intellettuali e le manifestazioni di piazza ai disegni di legge cattivi, che non mancano di certo.
Alle spalle aveva l'intera collezione dei calendari dei Carabinieri, e sapevo che pochi giorni prima aveva sbattuto dentro un collega di un'altra banca per concorso in bancarotta fraudolenta, in una vicenda nella quale il poveretto non aveva alcuna colpa se non quella di non essere stato oltremodo prudente.
Uno tosto, insomma. Eppure alle sue spalle non campeggiavano massime morali edificanti né era appesa una giustizia con la spada sguainata: c'era invece un cartello, forse addirittura una fotocopia, che recitava "Meglio 'nu mal'accordo ca 'na causa vinciuta".
E' questo un detto napoletano ben noto, ma potete immaginare la mia sorpresa nel trovarlo nella stanza di un giudice, e di un giudice di quella fatta, per giunta! Eppure, come ebbi a imparare negli anni successivi, tale motto in Italia risponde tragicamente al vero.
I tempi delle giustizia; l'alea delle decisioni; la contradditorietà di molte leggi, che in un punto dicono una cosa e nell'altra il suo contrario, obbligando l'interprete ad astrusi castelli logici; l'assenza di un sistema efficace per il ristoro delle spese legali sostenute dal vincitore della controversia: tutto ciò fa sì che sia di gran lunga meglio, per chi viene chiamato in giudizio ed ha la matematica certezza delle proprie ragioni, addivenire ad un accordo rimettendoci un po' del suo piuttosto che dover affrontare tutti i gradi giurisdizionali.
Tutte queste cose Repubblica le conosce benissimo; e ciononostante ha continuato a battere la grancassa della legge ad aziendam, dapprima con i giornalisti veri e propri, poi facendo intervenire gli intellettuali scandalizzati (e se voi immaginaste quanto mi fa ridere l'idea di un intellettuale che dapprima si scandalizza e poi va allo Strega, come concorrente o come giurato!), ed infine con le lettere dei lettori.
Una delle principali questioni che vengono aperte è: "perché la Mondadori, se è tanto certa di aver ragione, dopo aver vinto due volte non affronta anche il terzo grado di giudizio e preferisce pagare otto milioni?". Noterete l'aporia: dapprima si accusa Mondadori di aver truffato l'Erario grazie al suo mero proprietario, per risparmiare un mare di soldi; dopodiché la si accusa per aver pagato anziché resistere in giudizio.
Non parliamo poi della rete: Francesco Costa ha avuto la cortesia di citare in un suo post i miei pezzi, e ha dovuto sopportare con stoica pazienza un dialogo con lettori che dimostravano o di non essere riusciti a leggere il suo e i miei post, o di non essere riusciti a capire quel che avevano letto, in quanto costantemente sfuggivano dalla questione, unica, di cui stiamo parlando: vale a dire dello stato della causa pendente.
Provo allora, ancora una volta, a riassumere per punti schematici la questione, in un supremo sforzo di chiarezza.
A) la Mondadori aveva in essere con il Fisco un contenzioso da centinaia di milioni;
B) Mondadori ha vinto il contenzioso nei due gradi di giudizio finora svoltisi;
C) l'Erario è ricorso per Cassazione;
D) Mondadori ha chiuso la questione pagando il 5% del valore della causa;
E) in astratto, il 5% corrisponde alla probabilità di vittoria di una parte in Cassazione dopo aver perso nei due precedenti gradi di giudizio;
F) per tale motivo, sempre in astratto, una transazione al 5% nell'ultimo grado di giudizio fa parte della comune prassi commerciale tra imprenditori e in genere tra soggetti privati;
G) l'Erario non segue la prassi che seguono i privati, per una serie di motivi tra i quali, principalmente, a) il fatto che approvare una transazione potrebbe comportare una responsabilità amministrativa del funzionario pubblico e persino un'accusa di peculato, corruzione o concussione e b) il fatto che le spese del giudizio non sono sostenute dal soggetto che decide di ricorrere, bensì dal pubblico c) il pubblico funzionario, piuttosto che rischiare un'accusa amministrativa o penale, le cui spese pagherebbe di tasca propria anche in caso di assoluzione, preferisce di gran lunga non decidere nulla e quindi andare aventi nei giudizi, anche i più campati in aria, facendone pagare le spese allo Stato;
H) il Governo Berlusconi ha approvato una legge che in questo caso specifico elimina la discrezionalità del funzionario pubblico e quindi consente una sorta di transazione obbligatoria a richiesta di parte;
I) Berlusconi è il capo del Governo ed è il (mero) proprietario di Mondadori.
Stringi stringi, la questione è tutta in quella (I), e non negli altri punti. Se il contenzioso con il fisco fosse stato chiuso da De Benedetti, certo nessuno (salvo forse Feltri, ma lui è profumatamente pagato per farlo) si sarebbe scagliato contro di lui. Ma dato che il contenzioso è sato chiuso da un'azienda di Berlusconi, ecco che scoppia il can can: la legge è una vergogna perché ha consentito ad un'azienda di Berlusconi di cavarsela. La legge è una vergogna perché è la dimostrazione palmare del conflitto d'interessi.
E' un atteggiamento stupido.
Le leggi vanno valutate anzitutto per quel che sono, e solo dopo per gli eventuali vantaggi che qualcuno ne può trarre. La legge sulla definizione dei contenziosi fiscali è una buona legge, perché consente a tante imprese vessate dal fisco (l'essere state vessate è dimostrato dalla soccombenza del'Erario nei giudizi di merito) di chiudere la partita e sistemare i propri bilanci, affrontando la crisi con maggiore tranquillità. La legge sul processo breve è una pessima legge perché non risolve uno solo dei problemi della giustizia penale ma ha come unico effetto un'amnistia indiscriminata e di fatto per i soggetti che possono permettersi i migliori difensori.
Sia la legge sul contenzioso fiscale che quella sul processo breve convengono a Berlusconi. Ma se l'una è una buona legge, e l'altra una pessima legge, è profondamente sbagliato fare di tutt'un'erba un fascio e scagliarsi contro entrambe. In primo luogo, perché si annacqua l'opposizione a Berlusconi in una sorta di notte in cui tutti i gatti sono bigi, e in secondo luogo perché ciò è costituzionalmente sbagliato.
E' evidente che Berlusconi ha interessi ovunque. Ma la Costituzione afferma che Berlusconi ha il diritto di elettorato attivo e passivo: può votare, può fare il parlamentare, il capo del governo e persino il presidente della repubblica.
In astratto è certo possibile disciplinare con una legge le situazioni di "conflitto d'interesse", ma attualmente così non è, ed è del tutto cretino pensare che l'attività di Governo dell'Italia di oggi debba essere improntata al rispetto di una legge che non esiste e che neppure il Governo di orientamento politico opposto a Berlusconi ha messo in cantiere.
Si può versare un oceano d'inchiostro per descrivere come dovrebbe essere fatta una legge di questo genere; ma finché non sarà stata approvata dai due rami del Parlamento e firmata dal Presidente della Repubblica, Berlusconi e il suo governo devono governare producendo buone norme.
Quella sul contenzioso fiscale è una norma buona, e pertanto dovrebbe essere fatto, per una volta, un plauso al governo che l'ha proposta e fatta approvare, riservando i fischi, le paginate di intellettuali e le manifestazioni di piazza ai disegni di legge cattivi, che non mancano di certo.
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