mercoledì 28 aprile 2010

Una modesta proposta per risolvere il problema del deficit previdenziale

Giacomo Ramoino fu incaricato dell’Ufficio di Commissario della Legge quasi un secolo fa: il 9 marzo 1912, e mantenne l’alto incarico sino alla data della morte, avvenuta a Genova il 30 marzo 1970. Un periodo lunghissimo, intervallato soltanto dalla parentesi del primo conflitto mondiale – nel corso del quale servì in armi l’esercito italiano – che lo vide sempre riconfermato dal Consiglio Grande e Generale quasi sempre senza necessità di ricorrere a votazioni formali, ma per unanime acclamazione.

Oltre un cinquantennio di zelante servizio durante il quale il settore della Giustizia sammarinese poté giovarsi della Sua scienza, della Sua intelligenza, del Suo acume. Attraverso la Sua meritevole opera, Giacomo Ramoino seppe ridare vita al diritto comune, seppe rinnovare e valorizzare le decisioni dei Tribunali di riferimento, seppe infondere nuova linfa e moderna interpretazione ai vetusti scritti dei vari Giureconsulti.

Con Giacomo Ramoino rifiorì a nuova vita il diritto comune, quel diritto che distingue e caratterizza la Repubblica di San Marino, che ancora costituisce norma vigente di carattere generale e che si pone in sinergia con le singole discipline speciali, e con esse forma sistema. Giacomo Ramoino fu interprete unico e irripetibile di quel diritto comune che, come definì mirabilmente Francesco Viroli: “È VANTO DI QUESTA REPUBBLICA E PERLA DELLA CORONA DI SOVRANITÀ CHE NE SORMONTA LO STEMMA”.

(link)

Scrivere (un po' troppo) fiorito

Le conclusioni della presente Relazione - posta la sua ontologica finalità di affrescare esattamente i contorni ed i contenuti della proposta di Concordato, in sostanza funzionale a ragguagliare i creditori sulla "fattibilità esecutiva" dell'accordo transattivo avanzato dalle Società istanti, in guisa da fornire al plesso creditorio gli strumenti cognitivi sulla cui base poter coscientemente svolgere e manifestare le rispettive determinazioni in ordine all'approvazione o meno del Concordato di specie - hanno dunque sbocco naturale in un riepilogo di massima dei rilievi mossi e delle criticità segnalate. Ancora premettendo la sostanziale insussistenza di diverse prospettive in ordine alla cessione degli assets delle Società istanti.

no, non l'ho scritto io

E' un mondo complesso

Sempre più dura la vita dei pedofili e delle maestre d'asilo.
Da un lato, guai anche solo a sbirciare le pudenda dei bambini (e non parliamo della povera educatrice che avesse anche solo pensato di aiutare il quattrenne a pulirsi il culetto: do you remember Rignano Flaminio?)
Dall'altro, guai a lasciare i bambini soli in bagno, che se si fanno male la colpa è delle educatrici stesse.
La soluzione migliore sarebbe quella di dotare tutti gli asili di robottini giapponesi in grado di sostituire l'intervento umano, ma anche tale strada sembra difficile da percorrere perché non credo proprio che Tremonti sarebbe d'accordo.
E allora non resta che invocare l'intervento di Erode: una soluzione un po' drastica, ma che risolverebbe il problema alla radice.

Flame

Una flame war è un genere letterario che -non sempre, per carità- ha un certo suo fascino.
Su Piste ce n'è in corso una strepitosa.

lunedì 26 aprile 2010

Il compagno Fini

Già da tempo Gianfranco Fini è visto con un certo favore da gran parte dell'elettorato di centrosinistra. Tra gli elementi che hanno fatto breccia nel cuore di molti che un tempo lo consideravano semplicemente un fascista, possiamo ricordare: il suo senso dello Stato che si distingue dialetticamente dalla concezione berlusconiana dell'esercizio del potere come fonte di arricchimento o comunque di utilità personale; l'attenzione ai problemi dell'integrazione e della cittadinanza, con le proposte di consentire il voto amministrativo agli immigrati e semplificare il processo di naturalizzazione; il giusto rilievo dato al principio di laicità, ben espresso nel caso di Eluana Englaro e nella discussione delle proposte sul testamento biologico; le aperture in tema di omosessualità e riconoscimento delle coppie di fatto. E potremmo proseguire.
Dopo lo showdown di giovedì scorso alla Direzione Nazionale del PdL l'entusiasmo per questo politico, già delfino di Almirante, ha raggiunto vertici insospettabili fino a poche settimane fa: al punto che taluni, non troppo provocatoriamente, vedrebbero meglio lui al posto di Bersani quale leader del Partito Democratico o perlomeno ne preconizzano un ruolo di sponda.

In effetti non si tratta di una cosa nuova: ai tempi in cui si faceva politica nei licei, e magari ogni tanto ce le si dava di santa ragione, capitava spessissimo che su molte tematiche (chessò: il ruolo dell'Italia nella NATO, la lotta alla corruzione, la moralizzazione della vita pubblica, il supporto a movimenti autonomistici come in EIRE e in Palestina) le posizioni dei rossi e dei fasci fossero tra loro perfettamente sovrapponibili.
Tale comunanza di obiettivi tattici ingenerava una notevole confusione nel quattordicenne dell'epoca, che maturava la convinzione che quelli del Fronte della Gioventù fossero dei naturali alleati contro i ciellini e i repubblicani, e si chiedeva perché mai non ci si potesse mettere insieme per menare costoro, anziché menarsi tra uguali.
Interveniva allora la lezioncina che spiegava quali siano i valori della Destra e quali i valori della Sinistra, evidenziando che malgrado la comunanza di obiettivi tattici, le ideee stesse di società dei due fronti siano tra loro antitetiche; e come per avere una comprensione delle differenze occorra guardare ai grandi sistemi e non solo alla battaglia del giorno dopo.
Si imparava così che la dialettica tra Destra e Sinistra può declinarsi in una congerie di dicotomie: Doveri/Diritti; Egualitarismo/Liberismo; Individualismo/Collettivismo; Responsabilità individuale/Protezione sociale; Gerarchia/Libertà; Nazionalismo/Internazionalismo; Patriottismo/Multiculturalismo; Corporativismo/Conflitto tra classi (e mi scuserete se butto lì un po' di roba, troppo di fretta).
Orbene, di tutti questi valori non ve ne è uno solo che Gianfranco Fini abbia mostrato di aver abbandonato o anche solo messo in secondo piano.
Gianfranco Fini è, solidamente, un uomo di destra: uno che pensa che prima venga lo Stato e poi gli individui, che la Patria sia il primo bene; che lo Stato debba regolare ma non correggere i vizi del mercato; che la stratificazione sociale sia funzionale allo sviluppo e che i correttivi debbano intervenire solo nella misura in cui servano a limitare le tensioni sociali; che le Regole vadano seguite in quanto Regole.
Il problema sta a Sinistra: sta nel fatto che è la Sinistra italiana che in questi ultimi tre lustri ha perso la propria natura, trasformandosi in una mera associazione elettorale contro Berlusconi. Del resto il concetto stesso di Sinistra è sparito: si parla di Centrosinistra e non per caso, se pensiamo che gli unici governi riconducibili a quest'area sono stati diretti da un uomo che viene da una tradizione del tutto diversa: e difatti le istanze di sinistra, quali potrebbero essere l'appiattimento della curva di Lorenz o il rafforzamento della tutela dei lavoratori nei confronti dei datori di lavoro, non hanno avuto alcuno spazio.
Non parliamo poi di Veltroni, che per portare in Parlamento gli industriali del Nord-Est è riuscito persino a (re)inventarsi il Patto tra Produttori: vale a dire il principio fondamentale alla base della Carta del Lavoro. Carta del Lavoro che a sua volta non è del 1997 e non è figlia di Marco Biagi: è di Giuseppe Bottai, è del 1927 ed è stata uno dei documenti fondamentali dello Stato fascista.
Insomma: il problema identitario non pertiene a Gianfranco Fini, bensì alla sinistra. E finché la Sinistra si preoccuperà di Berlusconi, della metodologia terapeutica delle sue disfunzioni erettili e dello stato di purezza nel quale riceve il Corpo di Cristo; ebbene fino ad allora quella Sinistra non sarà mai in grado di capire perché Gianfranco Fini sia un avversario e non un potenziale alleato.
Fortuna che Fini lo capisce bene, almeno lui.

martedì 20 aprile 2010

Poi, lo giuro, la pianto.

Però, cazzo, non riesco a tener ferme le mani.
L'antiberlusconiano a cui siamo sempre più affezionati, il Gilioli, anche oggi ha trovato un motivo per prendersela con il Presidente del Consiglio. Anche oggi con un argomento ad hominem, che come ben sa chiunque abbia fatto i precorsi di logica è sempre un cattivo argomento.
Ieri se la prendeva perché Berlusconi ha sorriso per un paio di secondi al funerale, oggi si dichiara un po' infastidito perché il medesimo ha ricevuto l'Eucarestia pur essendo divorziato. E il bello è che il Gilioli si infastidisce pur non essendo neppure cattolico, come egli stesso tiene a precisare.

Be', io pure non sono cattolico, ma ho preso un bel voto all'esame di diritto canonico, e quindi anche questa volta tranquillizzerò il nostro arringapopoli, sperando che prima o poi si decida a indirizzare la propria ira su cose più serie dei sorrisi e delle ostie date o negate.
Il Canone 915 del Codex Juris Canonici recita: «Ad sacram communionem ne admittantur excommunicati et interdicti post irrogationem vel declarationem poenae aliique in manifesto gravi peccato obstinate perseverantes». Vale a dire: «Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l'irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto.».
Ora, come in tutti i testi giuridici ben fatti (e il codex Juris Canonici lo è) ciascuna parola ha un proprio senso ben preciso. In particolare, quel "manifesto" e quell',"obstinate perseverantes" non sono lì per dare spunti al professore di latino per il compito in classe di fine mese: esprimono concetti ben precisi.
L'ostinata perseveranza significa «l’esistenza di una situazione oggettiva di peccato che dura nel tempo e a cui la volontà del fedele non mette fine, non essendo necessari altri requisiti (atteggiamento di sfida, ammonizione previa, ecc.) perché si verifichi la situazione nella sua fondamentale gravità ecclesiale». E non sono io ad affermarlo forte del mio trenta in diritto canonico, bensì il Pontificio Consiglio per i problemi legislativi, nella dichiarazione che potete trovare qui.
Insomma, per farla breve: i divorziati possono accedere al Sacramento dell'Eucarestia. Chi non vi può accedere sono coloro che, divorziati o meno, vivono more uxorio con una persona che non è il coniuge legittimo (secondo il Diritto Canonico). e dato che, come tutti ben sanno, Silvio Berlusconi non vive più in istato di concubinaggio con la signora Miriam Raffaella Bartolini, ecco che non vi è motivo per cui egli non debba accedere al Sacramento.

lunedì 19 aprile 2010

Espunto dal contesto


L'altro giorno avevo scritto un post un po' criptico: parlava di intercettazioni ma in effetti voleva sottolineare che censurare qualcuno sulla base di una frase estratta dal contesto di una lunga conversazione è un esercizio fin troppo facile e quasi sempre scorretto.
Non fa differenza l'hype nato da questa fotografia di Berlusconi sorridente al funerale di Raimondo Vianello: chi vuol fare lo sforzo di andarsi a vedere una delle tante versioni del video che circolano su youTube (questa, ad esempio) capisce bene che il sorriso non è altro che una reazione di gioia per il fatto che Pippo Baudo con la sua orazione funebre e la chiamata del nome del defunto ha per qualche secondo fatto riscuotere la vedova dalla propria afflizione.

nota a margine
Mi accorgo che sempre più i miei post sono improntati a una difesa di Berlusconi e accoliti dalle critiche dei detrattori.
Comprendo che qualcuno potrebbe anche pensare che io mi stia avvicinando al popolo della libertà, e che presto mi si potrà vedere in giro incravattato e impomatato.
Le cose non stanno così: continuo a pensare sempre il peggio possibile di Berlusconi e del berlusconismo: ma non posso, tuttavia, evitare di rimarcare che l'opposizione a lui e alla sua ideologia è sempre più debole e scentrata: e ciò sia da parte del mondo della Rete (che per fortuna conta quanto una zanzara) sia, ahimè, da parte del mondo della politica vera.
Opporsi a Berlusconi utilizzando come arma i suoi sorrisi, le sue ville e anche le sue puttane anziché i suoi atti politici è il modo migliore per garantire un lungo perpetuarsi della sua permanenza al potere. Ed è per questo che questa, e le mille altre sciocchezze dell'antiberlusconismo militante, debbono essere segnalate e combattute.

venerdì 16 aprile 2010

La sentenza Google - le motivazioni /2

(prosegue da qui)

Questa volta ce la prendiamo (non è la prima volta) con Zambardino, il quale analizza la sentenza contro Google senza neppure averla letta.
Non ci scandalizziamo certo: in questi anni abbiamo imparato a conoscere il mondo dei commentatori in rete e sulla carta stampata, e non è certo questo il primo -né sarà l'ultimo- esempio di cattivo servizio al pubblico da parte dei professionisti dell'informazione.
Scrive, lo Zambardino che «La sentenza condanna Google solo per le infrazioni relative alla privacy, non per l’accusa di diffamazione, perché a seguito del ritiro della querela della persona offesa non si è potuto andare avanti su questo punto.» Scrive poi che «quando arriva a trattare dell’ipotesi di diffamazione, caduta per remissione di querela, che la prosa del dottor Magi è davvero allarmante.» Poi dice delle cose che non si capiscono, all'esito delle quali afferma che il giudice chiede «una legge che permetta di sanzionare non i responsabili dei reati – che è quanto di più ovvio – ma le responsabilità connesse».
tutto molto bello. Peccato che sia falso.

Come stanno in realtà le cose? Non è vero che l'ipotesi della diffamazione è caduta per remissione di querela. E' vero che il ragazzo ripreso nel video ha rimesso la querela, ma l'associazione Vivi Down, pure diffamata, non ha rimesso la propria querela, e quindi il procedimento è andato avanti anche per quanto riguarda questo capo d'accusa.
Non solo: il giudice ha anche disconosciuto le eccezioni della difesa, e statuito che la pubblicazione del video è stata diffamatoria verso l'associazione medesima.
La tesi dell'accusa basava la responsabilità di Google sull'art. 40 c.p., che dispone che «non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». In pratica si diceva: è vero che non è stata Google a pubblicare il video; ma Google aveva l'obbligo di impedirne la pubblicazione, e pertanto il non averlo fatto la mette nella stessa posizione di chi l'ha pubblicato. Sempre secondo l'accusa, l'obbligo di impedire la pubblicazione discendeva dalla normativa sulla privacy, che avrebbe imposto a Google un "controllo preventivo" su titti i contenuti pubblicati.
Cosa ha stabilito il giudice? Ha scritto che non esiste questo obbligo giuridico di controllo preventivo, ma anche che «non esiste la possibilità logica e umana di tale intervento sulla rete». Scrive inoltre:
Ed infatti, pur ammettendo per ipotesi che esista un potere giuridico derivante dalla normativa sulla privacy che costituisca l’obbligo giuridico fondante la posizione di garanzia, non vi è chi non veda che tale potere, anche se correttamente utilizzato, certamente non avrebbe potuto “ impedire l’evento” diffamatorio.
In altre parole anche se l’informativa sulla privacy fosse stata data in modo chiaro e comprensibile all’utente, non può certamente escludersi che l’utente medesimo non avrebbe caricato il file video incriminato, commettendo il reato di diffamazione. (...)
Per cui, nell’ipotesi in esame, l’obbligo del soggetto/web di impedire l’evento diffamatorio, imporrebbe allo stesso un controllo o un filtro preventivo su tutti i dati immessi ogni secondo sulla rete, causandone l'immediata impossibilità di funzionamento.
Considerata l'estrema difficoltà tecnica di tale soluzione e le conseguenze che ne potrebbero derivare , si è quindi in presenza di un comportamento “inesigibile”, e quindi non perseguibile penalmente ai sensi deIl’art. 40 cpv. CP.
Insomma: il giudice non sta dicendo che manca una buona legge che obblighi i provider a controllare preventivamente: sta dicendo che allo stato attuale della tecnologia tale controllo preventivo è impossibile, e quindi inesigible.
Ma c'è di più: dice ancora, il giudice, che esisterebbe una responsabilità penale solo qualora si potesse dimostrare la consapevolezza in capo a Google del contenuto delittuoso del video, è che tale consapevolezza è stata quasi dimostrata dall'accusa, ma a suo giudizio tale prova non è piena; e pertanto in assenza di una prova piena, gli imputati vanno assolti.
Il resto sono obiter dicta: considerazioni parallele alla sentenza, che hanno un proprio valore nell'inquadrare i motivi della decisione ma che non fanno propriamente parte della decisione. Tra questi c'è la molte volte citata frase «Perciò, in attesa di una buona legge che costruisca una ipotesi di responsabilità penale per il mondo dei siti Web (magari colposa, ed allora sì per omesso controllo), non resta che assolvere gli imputati dal reato di cui al capo A, reato che, così come formulato, non sussiste», che estrapolata dal contesto sembra avere un valore ottativo, ma che inquadrata nel resto della sentenza è una semplice constatazione.
Il medesimo giudice, peraltro, un paio di pagine dopo scrive che «In ogni caso questo giudice, come chiunque altro, rimane in attesa di una “buona legge” sull’argomento in questione: internet è stato e continuerà ad essere un formidabile strumento di comunicazione tra le persone e, dove c'è libertà di comunicazione c'è complessivamente più libertà, intesa come veicolo di conoscenza e di cultura, di consapevolezza e di scelta; ma ogni esercizio del diritto collegato alla libertà non può essere assoluto, pena il suo decadimento in arbitrio. E non c'è peggior dittatura di quella esercitata in nome della libertà assoluta : “legum servi esse debemus, ut liberi esse possumus” dicevano gli antichi e ,nonostante il tempo trascorso, non si è ancora arrivati a scoprire una definizione migliore.»

Come si faccia a scrivere che «Ma è proprio con sentenze come questa – in cui viene disatteso il rispetto dei principi più semplici di diritto e di buon senso – che si allontana internet dal resto del mondo civile, e che quindi lo si fa diventare far west» oppure che «quella di Milano era una sentenza molto Zeitgeist, molto in sintonia con certi umori repressivi. Lo confermo. Il giudice Magi fa tintinnare manette sul web. A futura, ma prossima, memoria» io proprio non riesco a comprenderlo.
L'unica spiegazione che mi viene in mente è che chi a suo tempo si è esposto propugnando una certa tesi (che la magistratura sia digiuna di tecnologia, che vi sia voglia di censura, che si voglia far uscire l'Italia dal consesso delle nazioni libere e civili) abbia dovuto fare ogni sforzo logico e argomentativo per trovare tracce di quella tesi nella motivazione della sentenza.

Poi si può sempre scavare

Io un tempo leggevo con interesse i post di Alessandro Gilioli: non che fossi sempre d'accordo con lui, ma spesso erano interessanti spunti per ragionamenti non banali.
Poi ha iniziato la deriva del fanatismo antiberlusconiano radicale: quell'antiberlusconismo che, nell'attaccare tutto e sempre, rende le azioni del suo bersaglio una sorta di notte in cui tutti i gatti sono bigi. Così facendo, Gilioli non riesce a convincere anche uno solo dei più tiepidi tra i sostenitori del Presidente del Consiglio, però ottiene il risultato non disprezzabile di far sbuffare di rabbia e di tedio coloro che, come il sottoscritto, la pensano come lui sul fatto che l'anziano cittadino di Arcore dovrebbe tornare a coltivare il proprio giardino.

E' però sulle questioni che riguardano la rete che l'intraprendente giornalista riesce a fare ancor peggio. Questo articolo apparso su Piovono rane in merito alla sentenza su Google è così pieno di strafalcioni giuridici, approssimazioni e fallacie logiche che credo basti leggerlo con un minimo di attenzione e concentrazione per accorgersene, anche da parte di chi non abbia mai aperto un libro di diritto.
Volete fare la prova, leggerlo e vedere se cogliete quello che non quadra?

(ah, a proposito: ha ragioni da vendere Francesco Costa, quando parla di antiberlusconismo scemo: a noi di Vianello piacevano le scenette)

giovedì 15 aprile 2010

Lettera di un cittadino di Adro

Io non ci sto

Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità.
Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film “L’albero degli zoccoli”.
Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato i soldi per vivere bene.
E’ per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa scolastica.

A scanso di equivoci, premetto che:
Non sono “comunista”. Alle ultime elezioni ho votato per FORMIGONI. Ciò non mi impedisce di avere amici di tutte le idee politiche. Gli chiedo sempre e solo la condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della persona.
So perfettamente che tra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni sono milionari e vogliono anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio sto con i primi. Agli extracomunitari chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, ma lo chiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell’educazione.

Ho sempre la preoccupazione di essere come quei signori che seduti in un bel ristorante se la prendono con gli extracomunitari. Peccato che la loro Mercedes sia appena stata lavata da un albanese e il cibo cucinato da un egiziano. Dimenticavo, la mamma è a casa assistita da una signora dell’Ucraina.
Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l’insana abitudine di leggere e so bene che i campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli passi verso il baratro. In fondo in fondo chiedere di mettere una stella gialla sul braccio agli ebrei non era poi una cosa che faceva male.
I miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono. Mi vergogno che proprio il mio paese sia paladino di questo spostare l’asticella dell’intolleranza di un passo all’anno, prima con la taglia, poi con il rifiuto del sostegno regionale, poi con la mensa dei bambini, ma potrei portare molti altri casi.
Quando facevo le elementari alcuni miei compagni avevano il sostegno del patronato. Noi eravamo poveri, ma non ci siamo mai indignati. Ma dove sono i miei compaesani, ma come è possibile che non capiscano quello che sta avvenendo? Che non mi vengano a portare considerazioni “miserevoli”. Anche il padrone del film di cui sopra aveva ragione. La pianta che il contadino aveva tagliato era la sua. Mica poteva metterla sempre lui la pianta per gli zoccoli. (E se non conoscono il film che se lo guardino..)

Ma dove sono i miei sacerdoti. Sono forse disponibili a barattare la difesa del crocifisso con qualche etto di razzismo. Se esponiamo un bel rosario grande nella nostra casa, poi possiamo fare quello che vogliamo? Vorrei sentire i miei preti “urlare”, scuotere l’animo della gente, dirci bene quali sono i valori, perché altrimenti penso che sono anche loro dentro il “commercio”.
Ma dov’è il segretario del partito per cui ho votato e che si vuole chiamare “partito dell’amore”. Ma dove sono i leader di quella Lega che vuole candidarsi a guidare l’Italia. So per certo che non sono tutti ottusi ma che non si nascondano dietro un dito, non facciano come coloro che negli anni 70 chiamavano i brigatisti “compagni che sbagliano”.
Ma dove sono i consiglieri e gli assessori di Adro? Se credono davvero nel federalismo, che ci diano le dichiarazioni dei redditi loro e delle loro famiglie negli ultimi 10 anni. Tanto per farci capire come pagano le loro belle cose e case. Non vorrei mai essere io a pagare anche per loro. Non vorrei che il loro reddito (o tenore di vita) venga dalle tasse del papà di uno di questi bambini che lavora in fonderia per 1200 euro mese (regolari).
Ma dove sono i miei compaesani che non si domandano dove, come e quanti soldi spende l’amministrazione per non trovare i soldi per la mensa. Ma da dove vengono tutti i soldi che si muovono, e dove vanno? Ma quanto rendono (o quanto dovrebbero o potrebbero rendere) gli oneri dei 30.000 metri cubi del laghetto Sala. E i 50.000 metri della nuova area verde sopra il Santuario chi li paga? E se poi domani ci costruissero? E se il Santuario fosse tutto circondato da edifici? Va sempre bene tutto? Ma non hanno il dubbio che qualcuno voglia distrarre la loro attenzione per fini diversi. Non hanno il dubbio di essere usati? E’ già successo nella storia e anche in quella del nostro paese.

Il sonno della ragione genera mostri.
Io sono per la legalità. Per tutti e per sempre. Per me quelli che non pagano sono tutti uguali, quando non pagano un pasto, ma anche quando chiudono le aziende senza pagare i fornitori o i dipendenti o le banche. Anche quando girano con i macchinoni e non pagano tutte le tasse, perché anche in quel caso qualcuno paga per loro. Sono come i genitori di quei bambini. Ma che almeno non pretendano di farei la morale e di insegnare la legalità perché tutti questi begli insegnamenti li stanno dando anche ai loro figli.

E chi semina vento, raccoglie tempesta!
I 40 bambini che hanno ricevuto la lettera di sospensione servizio mensa, fra 20/30 anni vivranno nel nostro paese. L’età gioca a loro favore. Saranno quelli che ci verranno a cambiare il pannolone alla casa di riposo. Ma quel giorno siamo sicuri che si saranno dimenticati di oggi? E se non ce lo volessero più cambiare? Non ditemi che verranno i nostri figli perché il senso di solidarietà glielo stiamo insegnando noi adesso.
E’ anche per questo che non ci sto.
Voglio urlare che io non ci sto. Ma per non urlare e basta ho deciso di fare un gesto che vorrà dire poco, ma vuole tentare di svegliare la coscienza dei miei compaesani.

Ho versato quanto necessario a garantire il diritto all’uso della mensa per tutti i bambini, in modo da non creare rischi di dissesto finanziario per l’amministrazione. In tal modo mi impegno a garantire tutta la copertura necessaria per l’anno scolastico 2009/2010. Quando i genitori potranno pagare, i soldi verranno versati in modo normale, se non potranno o vorranno pagare il costo della mensa residuo resterà a mio totale carico. Ogni valutazione dei vari casi che dovessero crearsi è nella piena discrezione della responsabile del servizio mensa.
Sono certo che almeno uno di quei bambini diventerà docente universitario o medico o imprenditore o infermiere e il suo solo rispetto vani la spesa. Ne sono certo perché questi studieranno mentre i nostri figli faranno le notti in discoteca o a bearsi con i valori del “grande fratello”.
Il mio gesto è simbolico perché non posso pagare per tutti o per sempre e comunque so benissimo che non risolvo certo i problemi di quelle famiglie. Mi basta sapere che per i miei amministratori, per i miei compaesani e molto di più per quei bambini sia chiaro che io non ci sto e non sono solo.
Molto più dei soldi mi costerà il lavorio di diffamazione che come per altri casi verrà attivato da chi sa di avere la coda di paglia. Mi consola il fatto che catturerà soltanto quelle persone che mi onoreranno del loro disprezzo. Posso sopportarlo. L’idea che fra 30 anni non mi cambino il pannolone invece mi atterrisce.

Ci sono cose che non si possono comprare. La famosa carta di credito c’è, ma solo per tutto il resto.
Un cittadino di Adro

mercoledì 14 aprile 2010

Pedofili precari

Stamane sono andato a una riunione convocata per dare una mazzata all'ennesima realtà industriale destinata a fallire tra pochi giorni. Come faccio sempre sono arrivato puntuale alle undici precise davanti al portone, ma per motivi tattici ho ritenuto opportuno aspettare un po' prima di entrare, per non dover chiacchierare con i convenuti e rivelare subito la mia identità.
Mi sono quindi fermato a fumare una sigaretta sul marciapiede di fronte, dove si trova il cortile di una scuola elementare. era l'ora dell'intervallo, e c'erano tutti i bambini fuori che giocavano.
Poche cose sono belle come vedere i bambini delle elementari che giocano in cortile, e quindi mi sono soffermato ad osservarli, sia per il piacere di farlo sia per perdere ancora un po' di tempo.
Dopo pochissimo ho iniziato a sentirmi inquieto, e riflettendo un po' mi sono reso conto del motivo.
Mi guardavo guardare i bambini, e mi immaginavo che da un momento all'altro avrebbe potuto passare qualcuno, che vedendo quel tipo di mezz'età con il giubbotto di pelle che sfumacchiava sbirciando i bambini avrebbe rattenuto il respiro, alzando due braccia scarne, allungando e ritirando due mani grinzose e piegate a guisa d'artigli, come se cercasse d'acchiappar qualcosa, volesse chiamar gente. Ed io girandomi, e accorgendomi di lui, avrei esclamato "Che diamine...?"; ma questi, perduta la speranza di potermi far cogliere all'improvviso, avrebbe lasciato scappare il grido che aveva rattenuto fin allora: - il pedofilo! dàgli! dàgli! dàgli al pedofilo!

E così, finita la mia sigaretta, mi sono mosso e sono entrato nel portone di fronte, portandomi dietro una domanda: che società è ormai questa, nella quale ci si deve sentire in ansia perché ci si sofferma un minuto a guardare i bambini giocare al di là di un cancello?

La sentenza Google - le motivazioni

Sono molto interessanti, le motivazioni della sentenza contro Google. La trovate qui, e vale proprio la pena di leggerla (a partire dalla pag. 87, ché prima viene la ricostruzione probatoria).
Emerge anzitutto che il giudice monocratico ha capito come funziona la Internet molto meglio di tanti altri: dei pubblici ministeri, per cominciare, che (loro sì!) avevano impostato l'accusa in termini che avrebbero ammazzato ogni possibilità di sviluppo della rete in Italia; e meglio anche di tanti improvvisati commentatori, che hanno blaterato sciocchezze dopo la pronuncia del dispositivo di condanna, e pure ora citano brani a caso estratti dalla sentenza per dare l'impressione di un abominio giuridico-tecnologico.
La sentenza invece è un piccolo capolavoro di equilibrio, e dimostra che vi sono -anche in campi che non sono proprio coerenti con la propria formazione- giudici che riescono ad approfondire e capire.

Vediamo anzitutto le motivazioni per la condanna ai sensi del capo B d'imputazione: quello per la violazione della legge sulla Privacy.
Il giudice ricostruisce inizialmente il ruolo di Google, distinguendo tra hosting provider e content provider. Lo fa perché questa è stata l'impostazione dei PM, e conclude -conformemente a quanto affermato dall'accusa- che Google agisce come content provider piuttosto che come hosting provider. Dopodiché afferma che tale distinzione non serve a niente, dato che chiunque "tratti" i dati, anche solo per la mera raccolta, è sottoposto agli obblighi della legge sulla privacy.
Ma, si chiede il giudice, si può pensare che un qualunque fornitore di servizi su Internet sia tenuto a verificare preventivamente che ciascun contenuto sia in regola dal punto di vista delle autorizzazioni in tema di privacy? La risposta è negativa, sulla base del principio ad impossibilia nemo tenetur. E non vale la sentenza di Cassazione richiamata dall'accusa, che in tema di diritto d'autore aveva affermato la responsabilità penale di un provider in una fattispecie del tutto diversa.
Il fatto, afferma il giudice, è che "non esiste, a parere di chi scrive, perlomeno fino ad oggi, un obbligo di legge codificato che imponga agli ISP un controllo preventivo della innumerevole serie di dati che passano ogni secondo nelle maglie dei gestori o proprietari dei siti web, e non appare possibile ricavarlo aliunde superando d’un balzo il divieto di analogia in malam partem, cardine interpretativo della nostra cultura procedimentale penale".
E allora perché la condanna? Semplice: perché però "è imponibile un obbligo di corretta informazione agli utenti dei conseguenti obblighi agli stessi imposti dalla legge, del necessario rispetto degli stessi, dei rischi che si corrono non ottemperandoli", e di questo obbligo Google se ne è strafregato (mi sia consentito dire che anche questo l'avevo già scritto a suo tempo).
Google infatti ha nascosto l'informativa sulla privacy e sui relativi obblighi spettanti ai contributori all’interno di "condizioni generali di servizio" il cui contenuto appare spesso incomprensibile , sia per il tenore delle stesse che per le modalità con le quali vengono sottoposte all’accettazione dell’utente. E ditemi voi se, anche in base alla vostra esperienza, ciò risponda o meno al vero. Mi piace citarvi anche il seguente passaggio, sempre in termini di chiarezza della cosiddetta "informativa": Ad assoluta riprova di quanto fin qui riferito, nel momento in cui l’utente più attento e testardo di altri avrebbe voluto compulsare "i punti salienti della normativa sulla privacy di Google" avrebbe scoperto, al punto 2 della medesima ("Quali sono i dati personali e gli altri dati che raccogliamo") che "Google raccoglie dati personali quando vi registrate per accedere ad un servizio di Google ..": non vi è chi non veda che chiunque legga questa frase non può che pensare ai "propri" dati personali e non certo a quelli delle persone incautamente citate o riprese nei "contenuti autorizzati".
In sintesi: Google non è colpevole perché non ha verificato che per il video caricato fosse stato acquisito il consenso dell'interessato: dato che tale verifica sarebbe stata un compito impossibile. E' colpevole perché ha dato un'informativa sulla privacy fatta con i piedi; ed è soprattutto colpevole perché, essendo perfettamente cosciente del fatto che il servizio offerto è particolarmente rischioso dal punto di vista della privacy altrui (come emerge dall'istruzione probatoria), ha scientemente deciso di non evidenziare adeguatamente tale tema agli utenti al fine di massimizzare il numero di contributi raccolti e attraverso essi il profitto. Secondo il giudice, insomma, Google ha scelto di non mettere in guardia i contributori perché in tal modo avrebbe potuto raccogliere meno contributi, e quindi meno soldi. Ed è per questo, e solo per questo, che i suoi dirigenti sono stati condannati.
(continua)

martedì 13 aprile 2010

Lasciatemi citare

Qualche giorno fa avevo scritto un post sulla sentenza che ha condannato alcuni dirigenti di Google. S ene era parlato in rete, e soprattutto straparlato, da parte di un gran numero di argomentatori, si di estrazione tecnica che giuridica, e si era detto un po' di tutto e un po' il contrario di tutto.
In quell'occasione avevo scritto:
La possibilità che mi sembra più concreta (e che certo sarà smentita quando leggeremo le motivazioni, ma lasciatemi fantasticare un po') è che il giudice abbia riconosciuto che anche applicando pedissequamente la normativa sulla privacy, comunque non è detto che il reato sarebbe stato impedito.
.
Le motivazioni della sentenza sono state ora pubblicate, e nel passo fondamentale per l'assoluzione degli imputati (dal reato di diffamazione) il Giudice scrive proprio:
Ed infatti, pur ammettendo per ipotesi che esista un potere giuridico derivante dalla normativa sulla privacy che costituisca l’obbligo giuridico fondante la posizione di garanzia, non vi è chi non veda che tale potere, anche se correttamente utilizzato, certamente non avrebbe potuto "impedire l’evento" diffamatorio.

La sentenza è lunga e merita d'essere approfondita con la dovuta calma (che in questo periodo purtroppo non ho: mi fanno lavorare!), ma questa notarella volevo proprio buttarla giù di getto.

giovedì 8 aprile 2010

Intercettazioni e pubblicazione della corrispondenza

Ier sera a Otto e Mezzo il neopresidente del Piemonte, Cota, richiesto di declinare la posizione della Lega sul tema delle intercettazioni, ha detto chiaramente che queste debbono rimanere uno strumento di indagine, ma dev'essere impedita la divulgazione sulla stampa di quanto intercettato.
Se la posizione di Cota corrisponde a quella della Lega intera, è questo un primo passo verso lo smantellamento di una delle riforme più pericolose dell'agenda politica del PresConsMin. Fare delle intercettazioni uno strumento di acquisizione della prova nei confronti di un colpevole già individuato avrebbe portato a una impunità di fatto per tutta quella lunga serie di reati che hanno nelle intercettazioni lo strumento principe d'indagine: in particolare reati finanziari e contro la pubblica amministrazione.
Almeno su questo punto, quindi, non possiamo che rallegrarci del successo elettorale della Lega e del conseguente accrescimento della sua sfera d'influenza sull'agenda del premier.
Quanto al fatto che debba essere contemperato il diritto di cronaca con il diritto alla riservatezza, è forse il caso di fare qualche ragionamento un po' più articolato rispetto al semplice monosillabo.
Partiamo da un dato di buon senso: ciascuno ha diritto a conversare con chi gli pare, e a riporre fiducia nel fatto che quanto egli dice rimanga privato. Rivelare il contenuto di una corrispondenza o di una conversazione di cui siano state parte altre persone è censurabile sotto il profilo penale, mentre rivelare a terzi il contenuto di una conversazione propria è semplicemente un gesto di cattiva educazione e di scarsa civiltà, non punito ma non per questo meno grave.
Ci sono però dei limiti a questo principio: è probabilmente giusto che venga pubblicata una conversazione in cui viene commesso o viene data prova di un reato, tipo la corruzione o la turbativa d'asta. E anche nell'ambito della vita di tutti i giorni, è pure giusto che chi in un determinato gruppo sociale si fa alfiere di una certa tesi, chessò la temperanza, possa essere rintuzzato con la pubblicazione, nell'ambito dello stesso gruppo sociale, di una propria comunicazione in cui mostra la propria ipocrisia: ad esempio una mail che dicesse "Che serata! Mi sono riempito come un otre... e non riuscivo neppure a reggermi in piedi".
Bisogna però stare attenti: perché se in taluni casi, come detto, può essere considerato socialmente accettabile pubblicare brani di conversazione privata, è certamente non etico pubblicare stralci di brani volutamente avulsi dal contesto. Se, ad esempio, il messaggio originale fosse stato il seguente: "Che serata! Mi sono riempito come un otre di frittelle e non riuscivo a reggermi in piedi per il mal di pancia", capite bene che il pubblicarne brani per crearsi un argomento ad hominem contro chi predicasse la temperanza sarebbe non solo maleducato, ma anche intellettualmente disonesto.
A volte poi la conoscenza del contesto cambia radicalmente il senso dello stesso identico messaggio. Un SMS tipo "ti prego! rispondi al telefono!" mette il mittente in una luce assai diversa, a seconda che questi sia un'adolescente brufolosa che importuna il più figo del liceo piuttosto che un quarantenne che due giorni prima è stato beccato in flagranza d'adulterio e scrive alla fidanzata ufficiale.
Se quindi in taluni casi può essere lecito -sia penalmente che eticamente- raccontare in pubblico i fatti e i detti degli altri, perlomeno dovrebbe sempre essere data la possibilità a chi viene messo in piazza di esplicitare il contesto e il paratesto: altrimenti si compie un atto che può essere a seconda dei casi disonesto o infantile, ma comunque pur sempre censurabile.
Poi, chi viene messo in piazza può sempre decidere di tenere per sé i motivi e i contesti, dato che in fondo non gli frega granché della considerazione di quel determinato gruppo sociale; ma questa dev'essere una sua libera scelta, e pertanto deve essere messo in condizione di esercitarla.

giovedì 1 aprile 2010

Chiosa ai risultati elettorali

Mi rendo conto adesso che è arrivato il momento di dichiarare:
«Quella volta lì ho scritto una cazzata: me ne scuso» con i miei lettori.
Sarà per un'altra volta

 

legalese
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