martedì 20 maggio 2014

La legalità e certa sinistra

E' da tempo che mi sono proibito di commentare ciò che leggo sui giornali e in rete, ma questa volta faccio un'eccezione perché un articolo del Gilioli (non che io ce l'abbia pregiudizialmente con lui, ma spesso il leggerlo mi fa saltare la mosca al naso) dà una bella dimostrazione di come l'animabellismo di certa sinistra duraepura non porti da alcuna parte.
La storia, come ce la racconta lo stesso giornalista, è questa: il Governo ha posto e ottenuto la fiducia sul "Piano Lupi" che all’articolo 5 prevede il taglio di acqua, luce e gas -e residenza- per chi occupa abusivamente un immobile. Un sistema che genera esclusione.
In Brasile invece le cose sono molto diverse: lì, per cercare di affrontare quei concentrati di miserie e di gang criminali che erano le favelas, il governo Lula ha adottato una politica molto diversa. Portando in quelle città illegali la luce elettrica, l’acqua, le fogne: gratis. E i nomi delle vie: avere una residenza ufficiale, con un indirizzo, è la precondizione per esistere, per ricevere la posta, per compilare un modulo, per iscrivere i figli a scuola, per lasciare un recapito a un colloquio di lavoro.

E' un po' come quelle storie che racconta la Gabanelli a proposito dell'Argentina, che secondo Report è rifiorita dopo il crack finanziario, e tutti sono felici, e la gente si è messa a riparare le sedie, e a fare il teatro all'aperto, e ha riscoperto la gioja di vendere torte fatte in casa. Certo, d'inverno si sta al freddo perché non c'è gas, e centinaia di migliaia di famiglie vivono dell'elemosina dei preti; ma questo la Gabanelli non lo mette in evidenza, che non si sa mai qualcuno si faccia venire in mente di destinare l'8 per mille.

Ma abbiamo divagato: torniamo alle favelas. Che sono baraccopoli costruite con diversi materiali, da semplici mattoni a scarti recuperati dall'immondizia: ricoveri provvisori -ahinoi destinati a divenir permanenti- fatti di latta da chi li andrà ad occupare. Portare le fognature, il gas e la luce in quei luoghi è un'azione caritatevole e lungimirante, che solo un malthusiano di ferro potrebbe ritenere socialmente sconveniente: si va a migliorare la qualità di vita di migliaia di persone, senza danneggiarne alcuna.

Ben diverso, caro il mio direttore, il caso delle case occupate italiane: che sono in massima parte edilizia popolare di proprietà pubblica, di guisa che chi occupa un appartamento non sta esercitando il diritto inalienabile di ogni persona di avere una casa in cui vivere, bensì usurpando il diritto inalienabile di un'altra persona di avere una casa in cui vivere.

Il che, non è difficile capirlo, è cosa ben diversa. E ben differentemente meritevoli sono le due situazioni: quella di chi usurpa il diritto altrui con la forza dello scasso e dell'intimidazione, e quella di chi -magari dopo molti penosi anni di lista d'attesa- ha ottenuto la possibilità di una vita un po' migliore, ma è troppo debole per far valere il suo diritto.
A leggere il Gilioli chi occupa una casa, in Italia, sta facendo la guerra a un ricco latifondista con centinaia di appartamenti lasciati vuoti; ma se così fosse, basterebbe pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che, per voce pubblica, son conosciuti come i più ricchi e i più cani, e impiccarli.
Purtroppo così non è: chi occupa una casa, qui da noi, è un poveraccio prepotente che sta facendo la guerra a uno un po' più povero di lui; e mi chiedo proprio per chi dovrebbe prender le parti, uno di sinistra.

 

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