venerdì 13 novembre 2009

Il giusto processo

E rubiamoli, questi due o venti minuti al lavoro, e scriviamo un po' qualcosa di più analitico, su questa farsa di disegno di legge!

La proposta, che potete leggere qui, è furbetta: di quella furbizia del bambino che crede di scampare alla punizione nascondendo i cocci del barattolo di marmellata rotto sotto il tappeto.
Essa si situa infatti nell'ambito delle norme sull'equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, al quale introduce un nuovo e pomposo richiamo all'art. 111 Cost. (rammentatelo, questo numero: ci servirà ancora!).
Dopo aver sparato questa salva di cannone, il DDL prevede che «Non sono considerati irragionevoli, nel computo di cui al comma 3, i periodi che non eccedono la durata di due anni per il primo grado, di due anni per il grado di appello e di ulteriori due anni per il giudizio di legittimità». Una doppia negativa che statuisce che sopra i due anni, la durata può essere irragionevole, mentre sotto i due anni di certo non lo è. Ma perché, direte voi, questo arzigogolo? Be', perché, se andate a rileggere bene, nella proposta non c'è mica scritto "processo penale": c'è scritto "processo". Che può essere penale, civile o amministrativo.
Infilare nella legge sull'equa riparazione una norma che statuisse che qualunque processo -anche in corso- di durata superiore a due anni farebbe sorgere il diritto a un risarcimento, sarebbe stata la bancarotta dello Stato, come ben sa chiunque abbia avuto a che fare con un tribunale per il risarcimento di un incidente automobilistico o per una lite condominiale.
Abbiamo quindi, nel DDL, una norma che limita l'applicabilità dell'equa riparazione, stabilendo un limite minimo di durata che prima non esisteva. E subito dopo, all'art. 2 del DDL, un'altra norma che stabilisce il limite massimo per la durata del processo penale, decorso il quale esso si estingue. Capite anche voi che le due cose fanno a pugni, vero? Vedendola da un punto di vista sistematico, non è difficile arguire che i due anni sarebbero destinati a diventare, anche in civile, una soglia fissa: o di qua o di là.
Il che dà luogo a questo paradosso: se tutti noi che leggiamo questo blog oggi ci facessimo causa l'un l'altro, per un milione di euri, coltivassimo tutte queste azioni e attendessimo semplicemente i tempi del Tribunale di Milano, tra un paio d'anni avremmo tutti titolo per pretendere dallo Stato il risarcimento per il tempo trascorso, a spese del contribuente. Capite bene che si tratta di un sistema destinato a non funzionare, vero?

Proseguendo nell'esame dell'art. 2, altri strafalcioni (oltre che di sintassi) balzano all'occhio. Nel 2005, come forse ricorderete, è stata introdotta nell'ordinamento una norma che differenzia i termini di prescrizione (o meglio, per essere tecnici, i termini massimi di aumento del termine a seguito di interruzione della medesima) secondo che l'imputato sia o meno recidivo ("ex Cirielli"). Ciò ben si giustifica, da un punto di vista sistematico, dato che il termine di prescrizione è basato sulla pena massima edittale, vale a dire la pena prevista per il reato senza tener conto della recidiva, la quale ha tuttavia l'effetto di aumentare la pena edittale medesima. In altre parole: se la legge prevede una pena edittale di otto anni, il temine di prescrizione viene calcolato sugli otto anni, anche se per effetto della recidiva ne prenderei, in realtà, 12. Ecco perché il legislatore ha previsto che comunque il termine massimo della prescrizione interrotta venga pure esso aumentato.
Orbene, nel nuovo DDL viene introdotta surrettiziamente una "prescrizione processuale", istituto del quale non si era mai sentito parlare e che viene giustificato dalla necessità di adeguare il nostro ordinamento al principio di giusta durata del processo. Ma come si fa a giustificare il fatto che il recidivo non abbia diritto a un processo di giusta durata? Nel nostro ordinamento chiunque, anche il criminale più incallito, ha diritto ad essere giudicato con un "giusto processo": lo dice la Costituzione, all'art. 111 (to'!): e si tratta di una norma che dovrebbe essere ben nota ai firmatari del DDL: non solo perché la richiamano all'inizio del disegno, ma anche perché fu proprio Berlusconi ad introdurla, nel 1999, per i motivi che forse rammenterete.
Dire che tutti, tranne i recidivi, hanno diritto a un "giusto processo" è, come dire, una stortura: una fesseria: e dirlo nella stessa proposta di legge che attacca alle norme sull'equa riparazione proprio (lo ricordate?) il cappello dell'art. 111 significa essere non solo fessi, ma anche in malafede.

3 commenti:

lucia ha detto...

grazie. mi si leva un velo dagli occhi e mi si accende una speranza nel cuore. forse neanche stavolta gli va bene...
P.S. ti posso citare? e condividere?

m.fisk ha detto...

la rete è uno spazio pubblico; e comunque in basso, in fondo, c'è la licenza

lo scorfano ha detto...

Quanto mi fai godere quando prendi le leggi e ce le racconti...

 

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