venerdì 29 agosto 2008

Il velo e il museo

La recente vicenda del guardiano di museo che ha impedito l'ingresso a una donna coperta dal velo islamico offre l'occasione per una riflessione sui diritti di libertà nella nostra società.
Credo sia necessario premettere che dal punto di vista intimamente personale a me infastidisce profondamente vedere per strada donne coperte da capo piedi; ma non desidero qui illustrare le mie pulsioni personali, bensì analizzare metodicamente qual è l'atteggiamento che sarebbe corretto tenere secondo ragione.
Ulteriore necessaria premessa è che nella nostra società nel valutare la liceità dei comportamenti individuali si parte dal principio per cui è consentito tutto ciò che non è proibito; e quindi non è la donna velata che deve rintracciare una norma etica o giuridica che la legittimi a velarsi, bensì il custode del museo che deve adeguatamente motivare il proprio comportamento.
Ciò posto, credo che, anche alla luce del dibattito che si è sviluppato, vi siano due sole possibili ragioni in base alle quali si potrebbe o dovrebbe vietare l'accesso al museo, vale a dire:
- l'indebita ostentazione di simboli religiosi (vieto il velo e la Kippah);
- i motivi di ordine pubblico (vieto il velo e il passamontagna).

Vediamo ora se le regole della nostra società sono coerenti rispetto all'una e/o all'altra motivazione.

Per quanto riguarda l'indebita ostentazione in luogo pubblico di simboli religiosi, si noti anzitutto che si tratta di un problema etico e non giuridico, dal momento che non esiste una norma penale o amministrativa che vieti di andare in giro con velo o Kippah. A tal proposito si è –a mio parere a sproposito- tirato in ballo il dibattito francese sul velo a scuola, che tuttavia nasce in un contesto ben diverso.
Diciamo subito che secondo me un insegnante che si presentasse in classe con il velo o la Kippah dovrebbe essere immediatamente allontanato dalle lezioni: e ciò perché l'insegnante è un pubblico ufficiale che deve porsi equanimamente nei confronti di tutti, e non dichiarare la propria vicinanza ideologica a un gruppo di studenti. Va da sé che, nella misura in cui la religione cattolica non è religione di Stato, lo stesso medesimo identico ragionamento vale per le croci; e se la croce ci dà meno fastidio non è perché sia ontologicamente meno connotata religiosamente: è solo che alla croce siamo più abituati.
Diverso è il discorso per quanto riguarda gli studenti: ciascuno di essi non rappresenta che sé stesso, e quindi dovrebbe essere libero di fare come gli pare; tuttavia credo che l'ostentazione di un'appartenenza rischi seriamente di turbare la particolare alchimia di una classe, vanificando o comunque ostacolando il progetto educativo; e quindi, nel nome dell'interesse generale, credo che per lo studente valga quanto detto per l'insegnante.
Tutte queste sono belle parole, ma si scontrano con la banale constatazione che nelle nostre classi sono appesi i crocefissi; e allora se si vuol essere coerenti secondo me i casi sono due: o riusciamo a rimuovere i crocefissi, o consentiamo agli insegnanti di presentarsi velati.
Ancora diverso, comunque, è il caso dell'utente occasionale di un servizio pubblico quale un museo, che sicuramente non rappresenta altro che sé stesso e che quindi può ostentare tutto ciò che gli pare, sempre purché il simbolo religioso non sia contrario alla decenza o costituisca apologia di un crimine, come potrebbe essere il caso di una setta pedofila o paranazista.

Veniamo ora al problema, completamente diverso, dei motivi di ordine pubblico. Esistono delle norme (emanate in tempi non proprio gloriosi del nostro lontano e recente passato) che vietano di presentarsi in pubblico a volto coperto: pertanto come non posso entrare nel museo con il passamontagna, così non posso entrarci con il velo.
E' un ragionamento che ha molto di condivisibile, ma anche qui ci scontriamo con la constatazione che il museo non è diverso dalla strada: pertanto se vieto l'accesso al museo devo anche vietare e sanzionare tutte coloro che circolano in strada così acconciate; e non de jure condendo, ma proprio in base alla normativa vigente.
Qui il problema è l'applicabilità della norma: i poteri pubblici sono in grado di assicurare questo controllo sul territorio? Perché io gente con il passamontagna in giro non ne vedo, ma donne coperta da capo a piedi sì, e tante.
E se la maggioranza di costoro viene lasciata in pace, e gli episodi sanzionati sono talmente rari da finire sul giornale, vuol dire che la norma nella nostra società è da considerare di fatto superata (un po' come quegli statute americani che in alcune città vietano di praticare vietano il sesso orale); e quindi il singolo che per avventura viene colpito ha tutto il diritto di considerarsi ingiustamente discriminato.

Ora, siamo sicuri che nella nostra società sia possibile sanzionare un comportamento che è sentito come dovuto da una parte di popolazione certo minoritaria, ma comunque numericamente non minuscola e in crescita (e non mi riferisco tanto al fatto che sia giusto, bensì praticabile)?
E' un problema che non mi devo porre tanto io o il guardiano, e che non può essere demandato alla sola legge Reale, promulgata più di trent'anni fa per rispondere a esigente totalmente diverse (il passamontagna, per l'appunto): richiede un ripensamento del nostro modo di vivere il tessuto urbano e sociale, che non può prescindere da un intervento squisitamente politico dei poteri pubblici.

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