giovedì 12 luglio 2012

#salvaiciclisti

Prima di chiudere definitivamente* questo blog ormai polveroso e ragnateloso, credo di potermi permettere di togliermi qualche sassolino.
Come qualcuno sa, io la bicicletta la uso abbastanza. Questa nuova, per esempio, da Natale a oggi ha fatto 2800 chilometri, tutti in città: per andare al lavoro, fare la spesa, passare da una delle varie case in cui dormo a un'altra, etc.
Dovrei quindi essere favorevole alle iniziative che tutelano la mia incolumità, e grato al sindaco Pisapia che nei pannelli luminosi sparsi per le vie chiosa i suoi consigli di buon senso con lo slogan salvaiciclisti. E invece no.

Uno dei motivi è che questo movimento, come tanti consimili (a partire da quelle anime belle di Critical Mass, che ogni giovedì mi fanno venir voglia di comperare un autoarticolato da sparar loro contro a 100 all'ora) ha sempre lo stesso fastidioso rumore di fondo: quello di coloro che, ritenendo di essere nel Giusto automaticamente sbattono nella Cayenna dell'Ingiusto tutti coloro che la pensano diversamente da loro.
Siam sempre lì: il Ciclista Militante crede che il suo apporto alla qualità della vita urbana gli conferisca il diritto di fregarsene delle regole; e così la sera occupa le strade in massa bloccando la circolazione, nascondendosi dietro all'anonimato del numero, mentre di giorno (quando rischierebbe la pelle, se facesse le stronzate serali) crede comunque legittimo passare col rosso, andare in velocità sui marciapiedi, girare a luci spente la sera, e via discorrendo.
In questo delirio messianico persino il buon senso va all'ammasso, e il Ciclista Militante ritiene che sia suo pieno diritto mettersi al fianco di un autotreno di 27 tonnellate, in prossimità di una curva, senza riflettere per un secondo sul fatto che dalla cabina di guida non si ha la stessa visuale che ha il ciclista, e che anche il più scrupoloso dei camionisti può avere un momento di stanchezza o di distrazione. Certo, non è che guidare un camion ti dia il permesso di ammazzare la gente, e difatti il camionista risponderà per omicidio colposo; ma se il Ciclista militante avesse il cervello nella scatola cranica anziché nel culo si renderebbe conto che aiutare il camionista a non ammazzarlo è una strategia più razionale che rischiare di crepare per l'affermazione di un principio.
Questa jattanza emerge con palmare evidenza fin dal manifesto della benemerita associazione di cicloamatori, con quel verbo "dovere" declinato all'indicativo che se possibile riesce a rendere ancor più antipatici gli estensori delle proposte.

Che poi non è che i ciclisti abbiano sempre ragione per il fatto che vanno in bici: quando io sono stato tirato sotto da una moto, e sono finito all'ospedale con un polso e una costola rotti, avevo fatto una cazzata. Certo il motociclista, se fosse stato scrupolosamente attento avrebbe potuto evitarmi, ma la cazzata l'ho fatta io, e gli ho pure pagato la riparazione della moto, come era giusto che fosse. Se -anche per un attimo- sei cretino o sbadato, rischi del tuo, e non è che il non inquinare la città ti dia l'immortalità, né la ragione. Il torto ce l'ha chi ha torto, non chi inquina di più.

Ciò detto, quella stringa #salvaiciclisti potrebbe essere semplicemente l'ennesima cialtronata nata su Twitter, e io potrei serenamente continuare a fregarmene; ma no, c'è qualcosa di più.
Il fatto è che lo slogan SALVAICICLISTI è, detto semplice semplice che lo possa capire anche un Ciclista Militante, oltre che inutile, dannoso.
Il perché è presto detto: da quando è nato questo ennesimo allarme, che forse sta per superare in popolarità il femminicidio, coloro che magari avrebbero voluto avvicinarsi all'uso della bicicletta, complice la bella stagione e il rincaro della benzina, non ci pensano neppure.
Il messaggio che veicola lo slogan SALVAICICLISTI -come tutte le campagne connesse- è che usare la bici in città è un rischio mortale. Il Ciclista Militante pensa che questo serva a salvargli la vita, ma la dura realtà è che quel 99% di popolazione che non fa parte della setta ogni volta che vede quel neologismo si convince che il ciclista, militante o generico, sia un pazzo scapestrato che si diverte a giocare con la propria pelle, alla stregua di un trapezista che si esibisce senza rete.
La conclusione è ovvia: col cazzo, che mi metto a girare in bici in città: continuo a usare la macchina, l'autobus o quel che uso di solito.
E quindi: più traffico, inquinamento e rischi. Sia per i Ciclisti Militanti sia per quelli che hanno l'unico desiderio di andare al lavoro, fare la spesa, passare da una casa all'altra, per il semplice fatto che hanno bisogno di lavorare, nutrirsi e dormire, senza che la soddisfazione di queste elementari esigenze debba diventare un fatto politico.

* da prendere in senso figurato, ché di definitivo c'è solo la Signora con la falce

1 commento:

Lele ha detto...

no, come definitivamente?

 

legalese
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