giovedì 5 settembre 2013

Non ci si può non dire Civatiani

Da vent’anni il sistema politico italiano è in attesa della “rivoluzione”. Da Mani Pulite doveva nascere la Seconda Repubblica, mondata dei vizi della Prima e più simile alle sue “colleghe” europee e occidentali, e sappiamo tutti com’è andata a finire.

Per due decenni la storia del nostro paese si è avvitata attorno alla figura di un uomo solo, ai suoi interessi e al suo destino. Con lui o contro di lui: il copione, per due decenni, non è mai cambiato. E mentre gli “altri” cambiavano leader mantenendo però gli stessi politburo, le stesse correnti, le stesse rivalità antiche, i compagni di strada di Silvio Berlusconi non si ponevano nemmeno il problema del “cambiamento”.

E adesso che la vicenda giudiziaria del Cavaliere arriva al capolinea, adesso che in un paese normale, in un partito normale, arriverebbe al capolinea anche quella politica, il Popolo della libertà (o meglio, la nuova Forza Italia) si trasforma nel fortino per l’ultima resistenza della famiglia Berlusconi.

Svaniranno forse le residue illusioni di chi pensava che fosse possibile rinnovare il centrodestra, “quel” centrodestra da dentro; di chi auspicava per tutti i riformatori e per tutti i cosiddetti moderati un approdo comune che non fosse tra le spire della Pitonessa Santanchè; di chi immaginava infine una transizione morbida post-berlusconiana, le primarie o almeno un congresso che incoronassero un erede non deciso nel salotto di Arcore. Non è accaduto finora, figurarsi se accadrà mentre nella testa di Silvio risuonano i tamburi di guerra.

Per questo, non stupisce che chi ancora serba qualche speranza nella possibilità di costruire un progetto politico innovativo e rinnovatore, un progetto che superi di conflitto ideologico (comunisti contro fascisti, antiberlusconiani contro berlusconiani) per entrare finalmente in quella dei contenuti, guardi oggi con interesse alla marcia del “filosofo” nel campo democratico.

Pippo Civati è il punto di riferimento obbligato per chi spera di archiviare al più presto una Seconda Repubblica nata male e finita ancor peggio, inaugurando una nuova stagione. Lo è a prescindere dal “dna” politico di ciascuno, proprio perché ogni “rupture” richiede l’abbandono delle vecchie appartenenze. Lo è per chi crede in una sinistra meno autoreferenziale e meno ingessata, naturalmente. Ma lo è anche per chi negli ultimi anni ha ritenuto – con alterne fortune, come è il caso di chi ha creduto nell’esperienza finiana, poi naufragata per i troppi errori oltre che per la troppa forza del Caimano – che fosse possibile costruire un nuovo progetto politico al di là dei vecchi schieramenti, declinando un’altra idea dell’Italia, alternativa alla visione padronale arcoriana, ai rigurgiti nostalgici di una destra ridotta a caricatura di se stessa, alle escandescenze xenofobe e anti-italiane della Lega, ma anche alle tendenze conservatrici della sinistra più tradizionale.

Non è stato possibile. E, tranne miracoli, purtroppo non lo sarà ancora per un po’ di tempo. Ecco perché, fino a quando Silvio Berlusconi “non mollerà” la presa dalla politica italiana, non ci si può non dire ciwatiani. Ad oggi è l’unico riformismo possibile.


























Capita spesso di leggere minchiate. Sul Fatto Quotidiano, in ossequio al nome della testata, capita quotidianamente. Su questa, non so neppur io perché, mi sono soffermato a lungo, sono andato a rileggermela cinque o dieci volte, cercando di carpirne un senso, quale che fosse.
Perché è scritta discretamente, il linguaggio è sciolto, addirittura -salvo in un caso- si chiama Berlusconi con nome e cognome, anziché con appellativi dispregiativi o con l'iniziale (tutte cose che fanno riderissimi i lettori del Fatto i quali -del resto se non fosse così non leggerebbero il Fatto- non si rendono conto che in quel modo rendono ancor più eroica la sua figura).
Il problema è un altro: il problema è che tutta quell'accozzaglia di parole non dice nulla di nulla: afferma apoditticamente senza una spiegazione, una motivazione, anche un semplice indizio.
E allora ho fatto una prova: ho sostituito al nome dell'amato un altro nome, a caso. Il discorso fila identicissimo a sé stesso: a dimostrazione che non è un discorso, bensì un jingle pubblicitario.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Per una decina di secondi mi hai ingannato: ho pensato che fosse farina del tuo sacco. Perché è sera e sono stanco ci sono cascato. Poi ho tirato un sospiro di sollievo...

Skeptic III ha detto...

Un appunto al civatiano che ha scritto l'articolo - e in ogni caso un rimprovero a Civati in persona, se mai leggesse questo commento: a Pippo Civati io rimprovero l'inerzia mentale che lo spinge a cercare di rianimare il paziente - il piddì - ormai clinicamente morto. Il defibrillatore non funziona più; è ora di staccare la spina e dare origine a un nuovo soggetto politico. Ramazzerebbe tutti i giovani, per esempio, quelli che mettono in piedi comizi tutto a spese loro e che hanno una visione più chiara del futuro. Ramazzerebbe tutti i delusi del piddì, quelli che avevano dato il loro voto per veder sparire il viscido di Arcore (spiacente: il suo nome mi scortica la lingua) e poi se lo sono visto trasformare in un appoggio incondizionato al medesimo. Ma deve raccogliere il coraggio a piene mani e prendere una decisione drastica: il piddì è irrecuperabile.

m.fisk ha detto...

@skeptic - Lei quando scopa si ferma prima di venire, vero?

Andrea Poggi ha detto...

Ciao a tutti

scusate l'intrusione. Ho letto per caso alcuni tuoi vecchi post in materia di diritto fallimentare comparato Italia-Usa.

Sono uno studente di Giurisprudenza e il prossimo anno scriverò la tesi in Fallimentare, effettuando una comparazione tra la disciplina italiana e quella statunitense riguardo al contratto di leasing...starò negli Usa circa 3 mesi.

Ho visto che a maggio 2009 sono terminati i post sull'argomento...l'ultimo post è stato il n. 11 giusto? Oppure hai ripreso l'argomento..?

Grazie e ciao!

m.fisk ha detto...

non rammento neppur io, ma direi di sì, che mi son fermato lì

 

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