giovedì 28 aprile 2011

mercoledì 27 aprile 2011

La stanza del figlio

Quando ho iniziato a lavorare, nel 1992, sono stato piazzato in una stanza con quattro scrivanie: di fronte a me c'era un'altra collega neoassunta, e al suo fianco c'era un funzionario che avrebbe dovuto impartirci i rudimenti del lavoro.
Al mio fianco c'era un altro funzionario, un siciliano (rectius palermitano) che sembrava rispondere a tutti gli stereotipi del genere: chiusissimo, taciturno, insondabile. Una sfinge.
Questo non ci ha impedito di avere un ottimo rapporto di colleganza, di andare talvolta a mangiare insieme, e di godere della stima reciproca: ma sembrava che il mondo del suo personale fosse sempre chiuso e blindato. Io sono completamente diverso, ma andava benissimo così, anzi non sarebbe potuta andare diversamente.
Solo due volte Salvatore (lo chiameremo così) lasciò trasparire qualcosa dei suoi sentimenti: la seconda fu nel corso di una due diligence, sarà stato verso il 2002, quando parlando di una delle ragazze che dovevano spulciare le nostre pratiche esclamò: «che gran pezzo di fimmina!»; e tutti lo guardarono increduli, perché un'affermazione così mai era uscita dalla sua bocca.
La prima volta fu proprio nel 1992, quando io ero ancora un apprendista in soggezione, e nacque suo figlio. Maschio. Sembrò un'altra persona per almeno una settimana: e noi ci divertivamo a pigliarlo in giro, perché lui stesso in quel periodo scherzava sullo stereotipo del siciliano a cui nasce il figlio maschio; poi, pian pianino, riprese a chiudersi, come sempre.

Tra poco andrò al funerale di quel figlio, che è morto da solo a casa, a Pasquetta, di colpo.
Il dolore che provo per Salvatore è un'infinitesima frazione di quello, inimmaginabile, che prova lui, e però è comunque intensissimo: e credo che sia impossibile da rappresentare, ma che comunque qualcuno sia riuscito ad andarci assai vicino.

lunedì 25 aprile 2011

Platrini

«la dimensione territoriale e cooperativa della produzione di energia, l'integrazione di terra, aria, fuoco e acqua nei cicli naturali»

domenica 24 aprile 2011

Me ne frego

Un sommo cretino ha lasciato un commento al mio post Habemus Papam.
Si tratta di spam, fatto per di più a mano e che quindi ha richiesto il suo tempo, sia pur minimo.
La prima reazione è stata quella di premere il giusto tastino e cancellarlo, poi ci ho ripensato, perché non c'è come leggere certi deliri per avere un'idea compiuta delle turbe che attraversano la personalità di chi li scrive, e della carenza culturale e financo ortografica della sua preparazione.
Quindi me ne frego, lascio il commento e auguro buon 25 aprile a tutti, ricordando che con i fascisti ci si combatte, non ci si dialoga.

sabato 23 aprile 2011

Habemus Papam

Habemus Papam è un film che, come tutte le opere d'arte riuscite, ha tanti livelli di lettura.
E' anzitutto un film grottesco, con quei prelati felliniani che ballano, giocano a carte e a palla e sventolano le loro tonache rosse. La chiave grottesca ha il pregio di divertire le masse, e di poter essere digerita come poesia dal pubblico dei cinepanettoni e dei film per la TV: un pubblico che, quando non trova una trama con capo e coda definiti, di regola esce dalla sala dicendo "era troppo lento" ma, in rari casi, ammette che "era proprio bello" senza sapere spiegare il perché.
Per fortuna un film di genere può sì essere "gradevole", ma non certo "proprio bello" né tantomeno un "capolavoro". Dev'esserci quindi qualcosa di più.
Qualche idiota ci ha visto una critica del potere della Chiesa: e sono quelli che, per mancanza di una vita degna di tale nome, hanno pensato bene di sporgere denuncia per vilipendio. Che potrebbe anche starci, per carità, se non fosse che la Chiesa (e in genere la fede) è del tutto estranea al tema del film. Chi ha creduto che Habemus Papam parli della Chiesa ha pure creduto che Bianca fosse sponsorizzato dalla Ferrero: e si tratta di persone con cui non vorremmmo trovarci in fila alla cassa, per tema di dover ascoltare le loro nequizie.
Altri hanno visto nel film una satira del Potere, e pure tale tesi avrebbe avuto una sua dignità se in un solo fotogramma dell'opera il tema del Potere fosse stato affrontato in qualche modo. Il fatto è che non ci sono più i cineforum con dibattito finale, e quindi molti si sono dimenticati che il cinema è un'arte, e l'arte non parla necessariamente di ciò che rappresenta, bensì rappresenta una cosa per parlare di altro.
Altri ancora hanno visto nel film un inno alla libertà, rimarcando come apparissero giocosi e fanciulleschi i cardinali dediti ad occupazioni lievi, quali il giuoco delle carte o della palla. Ed è per me fonte di grande dolore far rimarcare loro che quei cardinali, più che come spiriti liberi, fossero rappresentati come pecoroni intruppati: ospiti un po' attempati di un villaggio Valtur dal quale non possono né vogliono uscire, la cui individualità si limita al decidere se partecipare o meno al gioco-aperitivo preprandiale.
Né può certo parlarsi di libertà -o di libero arbitrio- in relazione al protagonista: io sono rimasto basito quando ho letto che il personaggio interpretato da Michel Piccoli non vuole fare il Papa, manco di trattasse della Monaca di Monza, alla quale il Manzoni, che difatti era un artista, non ha fatto dire un sì buttato lì, ma l'ha fatto anzi precedere da anni e anni di durissima preparazione. No, il punto è che il Papa vorrebbe fare il Papa, ma non ci riesce. Non è un problema di fede: ciò viene detto esplicitamente; e non è neppure un problema di trovarsi una dimensione. Il problema vero del nuovo Papa verte sulla responsabilità, o meglio sull'incapacità di assumersene.
Ecco che con questa parola le cose cominciano a chiarirsi. In tutto il film, non c'è una sola persona che si assuma come un adulto le responsabilità del proprio ruolo. Non lo fa il Papa, che fugge. Non lo fa Moretti, che pur avendo in cura il Papa si mette a fare il medico della mutua, a giocar a scopone, ad organizzare gironi all'italiana fregandosene bellamente del paziente, che se ne sta nei suoi appartamenti senza che lui se lo caghi di striscio.
Non si assumono le proprie responsabilità i cardinali, che nel corso del conclave scaricano il gravosissimo compito di succedere al papa polacco sull'anello più debole della loro catena, strafregandosene del futuro della Chiesa. Non si assume le proprie responsabilità la Buy, che a distanza di un paio d'anni mente spudoratamente ai figli sulla propria relazione sentimantale, cosa tanto più grave nella teorica del Deficit d'Accudimento.
Non si assume le proprie responsabilità neppure il portavoce vaticano, che sembra la persona più matura di tutte e che, tuttavia, accetta di incontrare segretamente il Papa che egli stesso ha contribuito a far fuggire. L'unica persona veramente matura di tutto il film sapete qual è? E' la ragazza che presta il telefonino al Papa: venti secondi giusti giusti a metà della pellicola per darci un anelito di speranza.
Da dove sorge questa cronica mancanza di responsabilità? Il fatto è che la nostra società ci abitua, spesso ci costringe a rifuggire dalle nostre responsabilità. La gioia dei cardinali che giocano a palla non è la gioia della ritrovata fanciullezza, bensì il conforto di non dover prendere atto dell'errore commesso e della necessità di risolvere una situazione incresciosa. I cardinali sono lieti perché altri (lo psicanalista, il portavoce, il loro decano) hanno in mano il boccino.
Ma Nanni Moretti e Renato Scarpa, che arbitrano spalla a spalla le due partite sui due campi adiacenti e in quel momento esercitano un ruolo di guida, sono sì responsabili, ma limitatamente al torneo e alla ricreazione dei prelati, senza preoccuparsi del problema vero: tanto che quando la Guardia Svizzera agita le tende degli appartamenti papali sono i primi a provarne conforto.
Quando infine interviene il portavoce, che estromette Moretti per prendersi lui la responsabilità di risolvere la questione, tutto ciò di cui è capace si limita alla richiesta di perdono e al rimettere l'onere del fare qualcosa in mano a quegli stessi soggetti che non sapevano, da soli, neppure organizzarsi il torneo.

C'è poi un altro tema forte, ed è quello del contrasto tra l'essere uomo e l'essere attore. Il teatro è una sovrastruttura, che consente di esprimersi, ma solo nell'ambito del copione che si è chiamati a recitare. L'attore è un burattino, al pari degli altri, ma rispetto agli altri ha il vantaggio di rendersi conto di esserlo, e di trovare nel suo dovere un modo per declinare le proprie responsabilità rimettendole all'autore. Don Chisciotte si nascondeva dietro il paravento dei propri romanzi di cavalleria, e il Papa si nasconde dietro la propria aspirazione a recitare Il Gabbiano.
Moretti non è certo tipo da firmare cambiali ai propri colleghi, ma sarà proprio un caso se l'autore del pezzo teatrale da lui scelto è lo stesso dell'altro grande film italiano sul mestiere dell'attore (e sulla fuga), vale a dire Turné?
Il Papa che anela a diventare attore non è un Papa che fugge, bensì un attore, sia pur mancato, che per la prima volta nella sua vita si trova senza un copione già scritto, e cerca rifugio in altri copioni conosciuti a memoria. E, guarda caso, il suo doppio è proprio un uomo (la Guardia Svizzera) che già di per sé fa un mestiere quasi teatrale, e che viene chiamato a recitare, a sua volta, un ruolo: quello del Papa stesso. E con che gusto vi si abbandona, dopo le prime esitazioni!

Chiudiamo con due provocazioni buttate lì: vale la pena di fare una riflessione sul ruolo della Stampa, dato che di giornalisti così ridicoli come quelli rappresentati da Moretti io non ne ricordo proprio.
Poi c'è il fatto che quel Vaticano a me ha ricordato molto il PD, ma questo credo sia già chiaro a tutti.

venerdì 22 aprile 2011

Barney cagnetto puccioso

I gelati io li mangio solo in cono


Le gioje della vita agreste /2


Ci faranno pagare l'aria che respiriamo

I paladini dell'acqua "bene comune" hanno due frecce retoriche al loro arco. La prima è la citazione del Vangelo, quel «dar da bere agli assetati» che già abbiamo smontato in precedenza.
La seconda, pur essa assai efficace, la seguente:

«Di questo passo ci faranno pagare l'aria che respiriamo»

Anche stavolta ho una brutta notizia per loro: la paghiamo già. E ne siamo contenti.


Quello che se lo taglia per far dispetto alla moglie

Ora che il Governo sta pensando di far saltare anche il referendum sull'acqua, ecco che i comitati promotori, anziché fare salti di gioia e stappare bottiglie, s'indignano.
«No allo scippo del referendum!» «Giù le mani dal referendum!!» «Il governo sta rubando agli italiani il diritto di esprimersi!!!»
Vi do alcune notizie.
Primo: la Costituzione non prevede un diritto all'espressione tramite referendum. La Costituzione prevede che i cittadini possano votare per abrogare o meno una norma, non che si possano esprimere sui grandi temi generali. Per esprimersi sui grandi temi generali ci sono le elezioni, politiche e amministrative: il referendum serve solo a cancellare un pezzo isolato di normativa. Si potrebbe pensare che in realtà lo spirito della Costituzione sia nei fatti quello di raccogliere l'opinione popolare attraverso il pronunciamento sull'abrogazione di una legge, ma non è così: istituti di democrazia diretta di natura consultiva e propositiva erano stati previsti nel progetto di Costituzione, e sono stati cassati nel corso del dibattito in commissione e in aula.
Secondo: Esiste una norma (l'art. 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, come integrato a seguito della sentenza C.Cost 68/1978) che dice: «se l'abrogazione [da parte del legislatore] degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum viene accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettua sulle nuove disposizioni legislative». Significa che il legislatore non può fare il gioco gattopardesco delle tre carte: cambiare qualcosa perché nulla cambi. Se il legislatore introduce una nuova norma che in sostanza mantiene tutto uguale, il referendum si fa lo stesso, sulla nuova normativa. A tutela di tale disposizione non c'è il Parlamento o il Ministro dell'Interno, bensì la Corte di Cassazione, della quale ci fidiamo, non foss'altro perché Berlusconi la odia.
E' quindi inutile gridare allo scippo del referendum: perché per evitare il referendum il legislatore deve rimodulare l'ordinamento proprio nel senso voluto da chi ha proposto il referendum, che altrimenti si terrebbe comunque.
Terzo: La normativa in tema di rimborsi elettorali prevede che, qualora il referendum raggiunga il quorum, ai comitati promotori vengano erogati un euro per ciascuna firma raccolta. I due referendum sull'acqua hanno raccolto circa un milione e mezzo di firme ciascuno, il che fa tre milioni di euri. Dato che quando si parla delle iniziative del Governo sembra valere il principio per cui a pensar male si fa bene, credo che il medesimo principio possa essere pure applicato ai comitati promotori di referendum, e che quindi possa ritenersi che forse a questo strepitìo non sia del tutto estraneo un calcolo di convenienza.
Quarto: SVEGLIA! E' dal 1995 che un referendum abrogativo non raggiunge il quorum, e non si vede perché mai questa volta dovrebbe andare diversamente. Se uno crede davvero nel principio per cui la gestione dell'acqua debba rimanere in mano pubblica, che cosa dovrebbe preferire? La certezza di una nuova norma sostanzialmente abrogativa di quelle che sono state sottoposte al vaglio degli elettori, o l'incertezza di andare a una conta che, sulla base delle serie storiche, rischia di risolversi in un nulla di fatto come avviene costantemente da sedici anni a questa parte?

giovedì 21 aprile 2011

Ma oggi ho trovato il giusto tono

Su una pagina del Corriere oggi si poteva leggere:
«neo-anoressiche sessuali, in cerca di uno spazio vitale che sia meno intossicato da un sesso performato come dato acquisito più che liberamente coltivato»


Non ce la faccio più


Ci sono molti, di sinistra ma non solo, che si chiedono come diavolo sia possibile che l'elettore berlusconiano riesca ancora a sopportare il suo referente politico.
Anni di malgoverno seguiti da nessun governo, nessuna attenzione ai problemi dell'economia, delle famiglie e del lavoro, e di contro massima attenzione ai propri problemi privati e giudiziari; gaffes a ripetizione in politica interna ed internazionale; comportamenti privati che sorpassano i limiti della decenza e, secondo molti, anche del penalmente lecito; incapacità di mantenere la parola data e le promesse fatte; e non c'è bisogno di proseguire in un elenco che tutti conoscono.
L'altro giorno, a pranzo con il mio amico Italo, si rifletteva sul fatto che Berlusconi è un po' come il Gorgonzola: chi lo adora non riuscirà mai a convincere dialetticamente chi lo disdegna che si tratta di un prodotto sopraffino e non di un percolato di piedi d'alpino; e viceversa chi lo ritiene percolato di piede d'alpino non farà mai cambiare idea al buongustaio.
«Come puoi sopportare quella fetida puzza?», dice l'uno. «Come puoi schifare questa delizia?!?», risponde l'altro. E così via, in sæcula sæculorum.

Fino ad oggi mi sembrava che la similitudine del gorgonzola fosse la più calzante che si potesse immaginare. Oggi, invece, ne ho trovata un'altra.
Come forse saprete, qualcuno ha scoperto che i telefonini di Steve Jobs, non paghi di di essere tuoi quando si tratta di pagarne il prezzo, ma altrui quando si tratta di decidere cosa ne puoi fare,  tengono pure nota di qualunque posto nel quale tu abbia a recarti. E, per sovrappiù, lo fanno senza dirtelo e senza che tu possa impedirglielo.
Per chi si occupa da qualche tempo della rete e di tutte quelle problematiche connesse alla riservatezza dei nostri dati e al controllo _non autorizzato_ delle nostre vite, una scoperta del genere dovrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso, esattamente come per un elettore di Forza Italia avrebbe dovuto esserlo il giro di mignotte (minorenni e non) e l'adorazione della statuetta con il cazzone in tiro.
L'utente di Apple si è scandalizzato e ha deciso di buttare nel cesso il suo iPhone? No, anzi: la prima reazione è:
«le cartine dei movimenti mi piacciono molto»

E allora, davvero vogliamo sperare che i comportamenti privati di Berlusconi allontanino da lui i suoi elettori?

mercoledì 20 aprile 2011

Avevo sete e mi avete dissetato

Premessa: non sono razzista sono contrario alla cosiddetta "privatizzazione dell'acqua".
La premessa è necessaria per interpretare il resto del post, che potrebbe dar l'impressione che io la pensi in modo del tutto diverso.

I "referendum sull'acqua" sono due: uno mira all'abrogazione dell'art. 23-bis del DL. 25 giugno 2008, n. 112, e si tratta di una norma che impone l'affidamento della gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica a soggetti privati o a capitale misto, tranne nel caso in cui per particolari circostanze il ricorso al mercato appaia impraticabile.
Il secondo quesito, ancora più tecnico, chiede l'abrogazione del comma 1, dell’art. 154 del DL. n. 152/2006 limitatamente alla frase: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.
Cerchiamo di capire cosa vuol dire tutto ciò.

Diciamo, anzitutto, che non stiamo parlando di "privatizzare l'acqua", bensì di privatizzare "il servizio di gestione dell'acqua". L'acqua, o meglio le sue sorgenti, sono e resteranno demaniali e pertanto patrimonio pubblico. Ma l'acqua che sgorga dalla sorgente non arriva al nostro rubinetto o allo sciaquone del nostro water per volontà divina: deve essere raccolta, filtrata, purificata, controllata, distribuita. In una parola: gestita.
Il servizio di gestione delle risorse pubbliche può essere svolto sia da aziende municipalizzate che da privati: la proprietà dell'azienda che gestisce non incide in linea di principio sulla qualità del servizio di gestione, bensì sulla titolarità degli utili e delle perdite che derivano dalla gestione medesima.
Io, che sono veterocomunista, sarei del parere che anche i panettoni debbano essere prodotti dallo Stato, come ai vecchi tempi; ma è una posizione fuori moda. Nel momento in cui si è deciso che lo Stato non deve occuparsi di panettoni, si è pure detto che non necessariamente deve occuparsi anche di altre risorse: e così si è privatizzata la rete telefonica, la rete autostradale, il servizio postale. Tutte cose che mi vedono ideologicamente contrario, ma che ciononostante sono pacificamente accettate.

Fare la medesima cosa con l'acqua ha scatenato gli spiriti belli, a partire dai missionari che ricordano il precetto cristiano di "dar da bere agli assetati" fino agli ecologisti che dicono che l'acqua deve essere pubblica perché sì.
Il punto però, mi ripeto, è che qui non c'è nessuna "privatizzazione" della risorsa idrica: non è che stiamo prendendo le sorgenti italiane e le stiamo svendendo ai francesi, i quali un giorno potranno decidere di portare il prezioso liquido in Francia per dissetare gli immigrati che vanno laggiù.
Quello che effettivamente si sta svendendo ai privati è il profitto economico derivante dalla gestione delle risorsa idrica, effettuata secondo criteri di economicità e di profitto.
Il secondo dei referendum, con l'abrogazione di quelle paroline “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito” mira proprio a far sì che la tariffa dell'acqua sia stabilita in modo da coprire i soli costi di gestione, senza far fruttare interessi all'imprenditore che mette soldi nella rete distributiva. Ed è evidente che nessun imprenditore metterebbe soldi in una impresa che è in grado di coprire solo i costi senza fornire alcun profitto, quando avrebbe una convenienza assai maggiore, e meno rogne, investendo i propri soldi in Bund tedeschi: qualora passasse il secondo referendum, quindi, la gestione resterebbe in mano pubblica per assenza di imprenditori interessati a concorrere con gli enti territoriali.

Nel momento stesso in cui si decide di remunerare il capitale investito (che in italiano vuol dire distribuire utili a chi ci mette i soldi) si sta trasferendo della ricchezza dalle famiglie consumatrici all'imprenditore, magari straniero. E questo per un veterocomunista è male.
Per un ecologista, invece, questo è un bene: e lo è per due motivi.
Anzitutto, perché l'imprenditore ha i capitali da mettere per la manutenzione e l'efficientamento della rete idrica. Certo, sarebbe bello che i soldi li mettessero gli enti pubblici, in modo che anche i profitti siano pubblici: ma sappiamo bene che gli enti pubblici non hanno soldi neppure per gli asili, e quindi preferiscono avere reti distributive che perdono il 50% dell'acqua, piuttosto che ammodernare la rete e non mandare i bimbi a scuola: dato che se i bimbi non vanno a scuola scoppia la rivolta elettorale, mentre se l'acqua si disperde non se ne accorge nessuno.
Il secondo motivo è che con il rincaro delle tariffe si stimolano comportamenti virtuosi: hai voglia di dire sul tuo blog vegano che devi cuocere le fave con la pentola a pressione spegnendo il fuoco quando inizia a fischiare, e che devi chiudere l'acqua quando ti lavi i denti: sono stronzate buone per mettersi a posto la coscienza. Ma quando l'acqua ti costa un euro al litro, allora, cazzo, voglio vedere se fai scorrere lo sciaquone, e se ti lavi i capelli più di una volta alla settimana.
Ecco quindi che un ecologista dotato di un minimo di coerenza e di senno (vale a dire un personaggio per definizione inesistente) dovrebbe fare da mattina a sera campagna a favore del NO ai referendum. E pure il padre missionario dovrebbe farlo: perché salvare quel 50% di liquido che va perso nella rete consentirebbe, per l'appunto, di dare da bere a molti più assetati di quanti ne si possa immaginare.

A me, invece, non me ne frega assolutamente nulla del fatto che l'acqua si disperda nel terreno, dato che vivo in un luogo dove di acqua ce n'è a strafottere. E so bene che per il peso specifico dell'acqua nessuno mai immaginerà di dissetare i bambini africani con quello che emerge dalle risorgive lombarde: costerebbe meno costruire alberghi nel parco del Ticino dove ospitare detti bambini piuttosto che portare a loro le autobotti piene d'acqua.
A me, dicevo, quello che sta sui coglioni è che le multinazionali straniere facciano profitti: non sull'acqua che vendono (che è pubblica) bensì sulle spese di gestione e sugli investimenti necessari a condurla a me. Sono ben consapevole del fatto che lo starmi sui coglioni è direttamente legato al fatto che mai una volta nella vita a me l'acqua è mancata: se abitassi, chessò, ad Agrigento, dove l'acqua è razionata a ore, sono altrettanto certo che pretenderei corposi investimenti per l'ammodernamento degli impianti: e qualora il mio comune non fosse in grado di sostenerli, sarei ben lieto di pagare qualcosa anche a un fondo di speculatori caymanesi, pur di avere i rubinetti funzionanti a tutte le ore.

Chi trova scandaloso che l'acqua venga considerato un "bene di rilevanza economica" evidentemente pensa che esistano ancora i viandanti che vengono alla tua porta a chiedere una ciotola per dissetarsi, e che tu li accompagni al pozzo, getti il secchio e lo ritiri su, onusto di fresco liquido che scende a garganella nelle arse fauci del pellegrino.
Questi figli dell'Arcadia non hanno capito che i pozzi delle nostre città sono delle macchine mangiasoldi: vanno giù profondissimi, per superare le prime falde avvelenate, vanno accuditi come bimbi nell'incubatrice, coltivati, controllati molte volte al giorno per assicurarne il funzionamento. Tutto ciò costa lavoro, energia elettrica, capitali da investire. E tutto ciò, forse sarebbe il caso che qualcuno glielo dicesse, ha una qual certa "rilevanza economica", guarda un po'.

martedì 19 aprile 2011

Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant

Forse un giorno, prima di morire, riusciremo a vedere introdotto in Italia il reato di stiracchiamento abusivo dell'ordinamento costituzionale. E, seguendo l'insegnamento del nostro amato Maximilien, ferocemente contrario alla pena di morte, per esso faremmo eccezione ai nostri principi, invocando per il reo lo squartamento preceduto dall'amende honorable.
Questi pensieri vengono alla mente vedendo sedicenti politici, ai quali in televisione viene dato spazio che potrebbe essere assai meglio sfruttato trasmettendo immagini di pecorelle ferme e in movimento, i quali piangono alti lai per il fatto che il Governo abbia finalmente deciso di rinunciare al mai nato programma nucleare, per l'abolizione del quale era stato a suo tempo indetto un referendum.
Come tutti voi ben sapete, in Italia non esistono referendum propositivi, consultivi e via discorrendo: esistono solo referendum abrogativi, con i quali possono essere cancellate norme decise dal Parlamento e divenute legge.
Il Parlamento tempo addietro aveva introdotto norme per il riavvio di un programma nucleare; coloro che erano contrari a tale progetto avevano avviato il complesso iter per abrogare tali norme e ci si apprestava alla consultazione in tal senso.
Il Governo, ben conscio di quanto l'opinione pubblica sia divenuta contraria al nucleare, ha deciso di abrogare lui stesso queste norme, con il risultato che il referendum abrogativo non si terrà, essendo già abrogate le norme che si intendevano abrogare: il che è logico, se solo pensiamo che non si può sgonfiare una gomma già sgonfia.

Il noto tribuno molisano si è scagliato in tutti i modi contro tale decisione: non perché sia favorevole al nucleare, bensì perché la mancata celebrazione del referendum antinucleare rischia di far venir meno il quorum per la farsa da lui ideata e propugnata, quale il referendum sul legittimo inpedimento che mira ad abrogare una norma che in ogni caso decadrà un paio di mesi dopo la celebrazione del referendum abrogativo.
Nessuna persona dotata di un minimo di senno e di onestà intellettuale potrebbe pensare che lo scopo del referendum sul legittimo impedimento sia veramente quello di abrogare, a metà giugno, una norma che perderà effetto a metà ottobre, considerato poi che in mezzo ci sono 45 giorni di ferie giudiziarie.
Lo scopo di Di Pietro è stato quello di trasformare il referendum abrogativo di una norma transitoria in un referendum sulla figura e l'opera di Berlusconi.
Lo scopo di Berlusconi, nel rinunciare a un nucleare già morto, è evidentemente quello di smontare le (probabilmente scarse) possibilità che il referendum sul legittimo impedimento raggiunga il quorum.
Si potrebbe dire che entrambi i due attori abbiano fatto strame degli istituti costituzionali, l'uno per guadagnare quella visibilità che non riesce a ottenere con le sue -inesistenti- idee politiche, l'altro per continuare a garantirsi un'impunità che dimostra come in Italia l'uguaglianza di fronte alla legge non valga per chiunque. Ma stanno veramente così le cose?
No, perché è legittimo che chi propone un referendum inutile speri di raggiungere un quorum attraverso l'effetto di attrazione di un altro referendum che incontra il favore popolare, ed è altrettanto legittimo che il Governo prenda atto del fatto che nell'opinione pubblica si sia creata una maggioranza probabilmente favorevole all'abrogazione di una norma sbagliata, e quindi la faccia abrogare direttamente dal Parlamento.
Non è legittimo che chi ha mosso mari e monti per una consultazione smaccatamente populista ed oggettivamente priva di alcuna utilità si lamenti e gridi allo scandalo. Se davvero alla maggioranza più uno degli italiani interessa abrogare con due mesi di anticipo una norma transitoria, allora quegli italiani andranno alle urne a votare su quella norma.
La Costituzione non prevede il raggiungimento del quorum per attrazione d'interessi, e soprattutto non prevede che un referendum indetto debba tenersi per forza, quand'anche il Parlamento disponga l'abrogazione della norma sottoposta alla volontà popolare, al solo fine di salvare il culo a un tribuno invasato.
Passo passo abbiamo visto stravolgere gli istituti e le regole che governano la nostra democrazia: andando avanti di questo passo si arriverà all'anarchia, e senza rendercene neppure conto.

Le gioje della vita agreste


Pina Pallina


Briciolino


Una bella foto di Briciolino, trovato abbandonato a poche settimane per le strade di Addis Abeba.

Un naso lungo come una salita

Da un bel po' di tempo ogni volta che mi accingo a scrivere qualcosa mi accorgo che si tratta di cose negative.
Qui su questo blog non ci siamo mai fatti mancare critiche al governo, all'opposizione, alla stampa, alla Caruso e persino a Giove Pluvio: ma eravamo riusciti a infilare, tra l'uno e l'altro borbottìo, anche qualche proposta e qualche informazione che forse sarà stata utile a qualcuno.
Una recente conversazione privata su di uno scambio di gentilezze tra un esponente di un grande partito e il direttore di un grande giornale mi ha fatto render conto del fatto che in questo periodo della mia vita elaboro solo critiche.
Non che nella pars destruens ci sia qualcosa di male, anzi; ma poi bisogna anche edificare.
Sappiamo pure che demolire è infinitamente più facile che costruire, e quindi è accettabile, forse pure inevitabile, che le critiche siano numericamente maggiori rispetto alle proposte, ma il troppo è troppo, e se sai elaborare solo critiche e nessuna proposta, allora hai passato il limite della dignità e forse anche della decenza.
Dato che, pur avendo raggiunto una certa età, non riesco ancora a vedermi sulla panchina, con il sacchetto delle briciole in mano e i piccioni attorno (senza contare il fatto che i miei istinti animalisti mi porterebbero a sparpagliare, più che briciole, piombini dotati di sufficiente energia cinetica), mi prendo una pausa di riflessione.
Non nel senso del fidanzato che ha già la testa e il pisello da un'altra parte, e non vuole confessarlo, bensì nel senso che aspetterò a scrivere cose "serie" finché non avrò qualcosa di non negativo.
Qui sotto, un assaggio di quel che vi potete aspettare nell'immediato futuro.


Sofrismi senili

Raptor è una figata.

martedì 12 aprile 2011

Attualità politica

Il nuovo sindaco di Milano ha incontrato in un cordiale colloquio la signora Letizia Moratti, al fine di meglio comprendere i temi salienti riguardanti la città e le priorità d'intervento, tra cui il dilagare della criminalità.

Il summit ha avuto luogo nell'abitazione del signor Gabriele Moratti, figlio del sindaco uscente.



(nella foto, il nuovo sindaco mentre lascia Casa Moratti al termine dell'incontro)

lunedì 11 aprile 2011

Report

Come tutti sapete, ieri c'è stata una puntata di Report che ha parlato di web 2.0, social network e compagnia cantante.
In rete ci sono state varie reazioni: all'inizio in molti si sono seduti davanti alla TV ad aspettare le cazzate da impallinare, poi in molti si sono resi conto che di cazzate in fondo ce n'erano pochette, anche se sul finale la trasmissione è andata un po' in confusione, come fanno certe squadre di calcio dopo il terzo goal subito in casa.
Il giorno dopo, sarà che la notte ha portato consiglio, in molti hanno scritto sdegnati dal livello di minchiate emerso, preoccupati che l'aver rilevato così tante cazzate in una trasmissione che affrontava un tema per una volta ben conosciuto allo spettatore getti una luce sinistra su quel che viene detto quando la trasmissione verte su temi poco conosciuti allo spettatore medesimo.
Stringi stringi, a forza di chiedere quali fossero le sciocchezze, è venuto fuori che Report:
- ha affermato che le password dovrebbero contenere quattro di caratteri diversi anziché contenere quattro tipi di caratteri diversi;
- ha confuso il phishing con il keylogging;
- ha usato un tono troppo prevenuto e semplicistico;
- ecceduto in piagnucolismo su coloro a cui FB ha segato l'account, come se aver l'account su FB fosse un diritto universale.

Sarebbe forse il caso che coloro che campano con la rete e sulla rete si rendessero un po' conto che il mondo è assai diverso da quello che si sono costruiti attorno. Per quanto mi riguarda, ad esempio, pur essendo ben in grado di comprendere la differenza tra phishing e keylogging non avrei citato né l'uno né l'altro, dato che la trasmissione è rivolta non agli utenti professionali della rete, bensì al grande pubblico a cui l'unico messaggio che deve essere trasferito è quello di cercare di stare un po' più attenti a ciò che fanno.
Insomma: la trasmissione di ieri faceva egregiamente il paio con quella di qualche tempo fa, dedicata al magico mondo dei derivati. Una trasmissione piena di approssimazioni e imprecisioni, dato che non era stato affrontato il tema della distinzione tra opzioni di tipo europeo e americano, e si è messo nello stesso calderone FRA e IRS.
Ma, seriamente: qualcuno dotato di una testa anche solo lievemente pensante, può davvero pensare che in una trasmissione di un paio d'ore si possa fare un corso di livello universitario sui derivati? No, vero?
Ecco, appunto. E allora perché cazzo avere la presunzione di criticare la trasmissione di ieri, se sono state semplificate alcune delle questioni che molti dei professionisti della rete hanno imparato nel corso di anni, e che si fanno pagare profumatamente per spiegare a loro volta ai clienti?

venerdì 8 aprile 2011

Spoon (river)


(hat tip .mau.)

mercoledì 6 aprile 2011

La Città che sale

Come moltissimi già sanno, a Palazzo Reale, a Milano, si apre una mostra dedicata a Mimmo Paladino. In realtà, trattandosi di arte comntemporanea, la notizia avrebbe potuto rimanere confinata a una ristretta cerchia di appassionati, ma il grande pubblico ne ha avuto conoscenza soprattutto perché, proprio davanti all'ingresso del Palazzo, è stata allestita l'opera La città che sale, detta anche "La montagna di sale" in quanto si tratta di una montagnola, fatta proprio di sale*.
Come pure moltissimi sanno, nei trenta giorni che vanno dal 15 aprile al 15 maggio a Milano ci sono almeno due settimane piene ndurante le quali viene giù una pioggia torrenziale che non sarà proprio come il monsone di Mumbai, ma non ci va poi tanto lontano.
Così, dato che ogni giorno passo davanti alla Montagna, mi chiedo:
a) le piogge del mese saranno sufficienti a sciogliere tutto il sale?
b) se così avvenisse, si tratterebbe di un effetto voluto dall'artista, simbolo della caducità dell'arte e delle umane cose in generale?
c) o, al contrario, ci saranno delle scorte di sale per sostituire quello che via via si scioglierà?


* in effetti il sale è solo uno strato, che ricopre la struttura legno e tubi Innocenti a forma di cono.

La somma gioja d'esperimentare un lavoro fatto proprio ammodino


lunedì 4 aprile 2011

Del perché ci dispiace che Gianni Riotta abbia lasciato la direzione del Sole 24 Ore

Sembra proprio che la Caruso non allieti più le nostre giornate.

 

legalese
Il contenuto di questo sito è rilasciato con la seguente licenza:
- ognuno può farne quel che gli pare
- l'eventuale citazione del nome dell'autore e/o del blog è lasciata alla buona educazione di ciascuno