mercoledì 28 luglio 2010

Dio stramaledica la Serbia

Dunque in Serbia cominciano a fare sul serio: oltre alle autovetture Fiat cominceranno a produrre anche calze e collant. E già qualcuno parla di boicottaggio delle aziende che delocalizzano, lasciando intendere tra le righe che in fondo i cattivi soggetti sono due.
Sono infatti certo da annoverare tra i cattivi quegli imprenditori che, dopo essersi ingrassati di contributi pubblici (non crediate che li abbia presi solo la Fiat: anche a Gissi e nel mantovano nel ne sono arrivati a fiumi), chiudono baracca e burattini e se ne vanno via. Ma, sotto sotto, si lascia intendere che sia cattivo anche il governo serbo, che fa dumping sociale e fiscale, detassando gran parte degli utili e proponendo un quadro giuslavoristico che al confronto l'accordo di Pomigliano sembra una suite al Negresco.

Il fatto è che quegli imprenditori i soldi li hanno presi, sì, per fare gli investimenti che hanno fatto in Italia. Ma se siamo in uno stato di diritto, e nelle convenzioni agevolative non c'era alcuna clausola che li costringesse a restare lì per un tempo indefinito, oramai quei medesimi imprenditori possono fare quel che gli pare. Il problema non è loro, ma del quadro normativo che in varie forme perdura dai tempi del boom economico, che per concedere i contributi, belli grassi, costringeva l'imprenditore a creare posti di lavoro, ma non a mantenerli. E' immorale, certo, andarsene all'estero ora che le cose vanno male. Ma allora è altrettanto immorale decidere di comperare una Twingo al posto di una Panda, che costa un paio di mille euri in più. O la scarpa made in taiwan al posto di quella del calzaturificio vigevanese, che costa uno zero in più. O l'iPhone di ultimissima generazione al posto di un più sobrio Telit, che magari ha campo anche senza cerottini.

Quanto al lato serbo della faccenda, certo il governo di Belgrado ci è andato giù pesante, ci sta rubando posti di lavoro e ricchezza. Del resto non è la prima volta che succede: rammenterete forse che già nel 1999 abbiamo buttato un fracco di soldi per Belgrado o, per essere più precisi, su Belgrado. Certo, in quall'occasione i serbi non ci hanno rubato posti di lavoro, anzi ne abbiamo tolti un bel po' noi a loro.
Rammenterete anche che mentre il governo del mite D'Alema buttava su Belgrado soldi pubblici (seppur in forma non spendibile), contemporaneamente lo stesso governo organizzava la raccolta di soldi privati da mandare in forma spendibile, o perlomano mangiabile, alle stesse popolazioni che venivano gratificate delle nostre munizioni e del nostro prezioso (seppur impoverito) uranio. E molti di noi hanno pagato con le proprie tasse le bombe che hanno distrutto le case serbe, e con i bigliettini venduti al supermercato le tende per sostituire le case distrutte da quelle stesse bombe.
Comunque fin d'allora ci siamo portati avanti, previdenti: gran parte dei soldi della Missione Arcobaleno infatti restarono in Italia senza arrivare mai a destinazione: forse potremmo riutilizzarli ora per finanziare la cassa integrazione dei lavoratori dei calzifici; o perlomeno mandar loro le tende avanzate, per affrontare il prossimo inverno.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Anche NfA ne parla ( http://www.noisefromamerika.org/index.php/articles/Fiat_Voluntas_Dei#body ). E' una triste storia di povertà culturale: dei politici, dei sindacati e degli imprenditori.

Anche i consumatori non sono da meno, visto che si abbindolano facilmente con la prima scosciata di turno.

ci sono dei giorni che sono pessimista.

nicola.

Anonimo ha detto...

Dio stramaledica questi dirigenti senza un minimo di etica, non la Serbia, che si e' dovuta sorbire le nostre bombe e un certo numero di vittime civili. Scegli un titolo piu' adatto, per cortesia.

Siniša

m.fisk ha detto...

Cara Siniša, immagino dalla grafia del tuo nome che tu non sia di madrelingua italiana; e pertanto posso comprendere che avrai avuto qualche difficoltà nel riconoscere il senso ironico del titolo del post, che a sua volta richiama un noto motto che Mario Appelius (c'è lì Wikipedia, nel caso non sapessi chi è) pronunciava all'indirizzo degli inglesi.

 

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