mercoledì 27 aprile 2011

La stanza del figlio

Quando ho iniziato a lavorare, nel 1992, sono stato piazzato in una stanza con quattro scrivanie: di fronte a me c'era un'altra collega neoassunta, e al suo fianco c'era un funzionario che avrebbe dovuto impartirci i rudimenti del lavoro.
Al mio fianco c'era un altro funzionario, un siciliano (rectius palermitano) che sembrava rispondere a tutti gli stereotipi del genere: chiusissimo, taciturno, insondabile. Una sfinge.
Questo non ci ha impedito di avere un ottimo rapporto di colleganza, di andare talvolta a mangiare insieme, e di godere della stima reciproca: ma sembrava che il mondo del suo personale fosse sempre chiuso e blindato. Io sono completamente diverso, ma andava benissimo così, anzi non sarebbe potuta andare diversamente.
Solo due volte Salvatore (lo chiameremo così) lasciò trasparire qualcosa dei suoi sentimenti: la seconda fu nel corso di una due diligence, sarà stato verso il 2002, quando parlando di una delle ragazze che dovevano spulciare le nostre pratiche esclamò: «che gran pezzo di fimmina!»; e tutti lo guardarono increduli, perché un'affermazione così mai era uscita dalla sua bocca.
La prima volta fu proprio nel 1992, quando io ero ancora un apprendista in soggezione, e nacque suo figlio. Maschio. Sembrò un'altra persona per almeno una settimana: e noi ci divertivamo a pigliarlo in giro, perché lui stesso in quel periodo scherzava sullo stereotipo del siciliano a cui nasce il figlio maschio; poi, pian pianino, riprese a chiudersi, come sempre.

Tra poco andrò al funerale di quel figlio, che è morto da solo a casa, a Pasquetta, di colpo.
Il dolore che provo per Salvatore è un'infinitesima frazione di quello, inimmaginabile, che prova lui, e però è comunque intensissimo: e credo che sia impossibile da rappresentare, ma che comunque qualcuno sia riuscito ad andarci assai vicino.

1 commento:

lo scorfano ha detto...

Ho vissuto la tua situazione (non quella di Salvatore) pochi giorni fa, subito prima di Pasqua. Un ragazzo di 20 anni morto improvvisamente su un campo di pallone, sua madre mia amica e collega. Poche sere dopo ho visto quel film, che già conoscevo bene, alla tv e non riuscivo quasi a respirare. Poche cose possono essere più terribili di questa, io non ne conosco nessuna.

 

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