Ieri ho scritto qualche riga per commentare la panzana di Scajola, quella secondo la quale egli, una volta accertato che la casa fronte Colosseo non è stata pagata interamente da lui, darebbe mandato ai propri avvocati per annullare il contratto di compravendita.
Non ho insistito granché dato che la notizia era riportata dalla stampa, e poteva essere anche una boutade del momento. Ieri sera, però, ho avuto il coraggio di vedere la lunga intervista concessa a Bruno Vespa, assai più pretesco e zerbinato del solito. La questione dell'annullamento è tornata fuori, più volte e con chiarezza: e i due consumati attori hanno anche recitato un siparietto nel corso del quale Vespa ha chiesto all'ex ministro a chi sarebbero ritornati i soldi; e l'altro, compunto, ha dichiarato che lui avrebbe ripreso solo il proprio, mentre per il resto sarebbe stato un problema di qualcun altro.
La cosa si fa spessa, e quandi vale la pena di approfondire.
Una cosa è evidente a tutti: vale a dire che se fosse possibile sciogliere (uso volutamente un termine colloquiale) il contratto, chi ci rimetterebbe sarebbero anzitutto le venditrici, che dovrebbero trovare un milione e mezzo di euri per restituire il prezzo: cosa non certo alla portata di chiunque. Non nascondiamoci dietro il paravento del concorso delle sorelle venditrici nella sporca: è pur vero che le sorelle hanno dichiarato un prezzo minore di quanto ricevuto, e per questo sono responsabili a titolo di falso ideologico (art. 483 c.p.): ma si tratta di un reato minore e già prescritto, che prevede la pena della reclusione fino a due anni (il che in giuridichese significa: da quindici giorni a due anni). E, soprattutto, se si dovessero mandare in galera tutti coloro che hanno dichiarato un prezzo falso quando hanno compravenduto casa, si dovrebbe costruire un'intera metropoli di carceri.
No, le sorelle hanno fatto (anzi: subìto, in quanto venditrici) ciò che hanno sempre fatto tutti sino al 2006: hanno dichiarato o lasciato dichiarare il minimo catastale. E non sarà certo per questo fatto che potranno subire lo scioglimento del contratto con il conseguente onere di trovare i soldi da restituire.
Veniamo ora nuovamente allo Scajola: abbiamo già visto che parlare di annullamento non ha senso: ma dato che il nostro campione di purezza insiste, immaginiamo pure che abbia usato un'espressione atecnica e che quindi volesse parlare di un altro istituto.
Parliamo quindi ora della nullità del contratto. A differenza dell'annullamento, l'azione di nullità può essere esercitata da chiunque (mentre l'annullamento, come forse ricorderete, solo dalla parte danneggiata): questo perché qui si tratta non di rompere un contratto, ma di accertare che un contratto non è mai esistito.
E però i casi di nullità sono pochissimi: è nullo un contratto che manchi di un elemento essenziale (come il nome delle parti o l'oggetto del contratto). E' poi nullo un contratto per illiceità della causa o per illiceità del motivo, e qui devo chiedervi un minimo d'attenzione.
Causa e motivo sembrano la stessa cosa, ma in giuridichese non lo sono. Il motivo è la ragione che ha spinto una parte a contrattare, mentre la causa è un concetto molto tecnico che si può sintetizzare come "lo schema economico-giuridico dell'operazione posta in essere".
Poniamo che io sia un bancario che vuole strozzare un povero imprenditore, ma consapevole dell'esistenza di una normativa antiusura non me la senta di fare un finanziamento all'agile tasso del 40% annuo: potrei fare un mutuo al 5% e costruirci attorno un derivato strutturato, talché il poveretto pagherebbe sempre il 40% ma non a titolo di interessi. Ecco: questo è un esempio di causa illecita, in quanto ho strutturato un complesso di atti per ottenere lo stesso effetto di un negozio illecito; con la conseguenza che il contratto sottostante il derivato è nullo.
Vi è poi il motivo illecito. Anemone potrebbe aver messo a disposizione i 900.000 euri per corrompere Scajola, il che è sicuramente un motivo illecito. E le due venditrici potrebbero essere state complici di Anemone in questa operazione, benché non se ne veda il motivo e credo proprio che nessuno potrà mai provarlo.
Quindi il contratto è nullo? Ma nemmeno per sogno! Perché in caso di illiceità del motivo, la nullità si ha solo se il motivo illecito è comune a entrambe le parti. Capito? L'unico modo in cui Scajola potrebbe far dichiarare la nullità del contratto di compravendita, è quello di provare che sia le sorelle sia lo stesso Scajola hanno stipulato quella compravendita allo scopo di consentire la corruzione da parte di Anemone. E non credo proprio che sia ciò che Scajola intende, quando parla di "conferire mandato ai propri legali".
No, l'affermazione di Scajola è solo una roba buttata lì per gettare fumo negli occhi e far vedere quanto è onesto il ministrone, quello così attaccato al lavoro e al territorio da aver sponsorizzato il famoso volo Albenga-Roma e ritorno.
mercoledì 5 maggio 2010
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