domenica 31 gennaio 2010

Salvare la pelle

L'articolessa odierna di Eugenio Scalfari è più brillante del solito, e dice cose interessanti sulle strategie del principale partito d'opposizione alla luce delle sciagurate primarie pugliesi. C'è anche un post scriptum, nel quale il Grande Vecchio critica Adriano Celentano per aver espresso l'opinione che sarebbe meglio concedere una volta per tutte l'immunità a Berlusconi e lasciarlo lavorare in pace.
In effetti il noto strimpellatore aveva detto qualche cosa di un po' diverso: ma forse, per averlo scritto su un giornale concorrente, Scalfari l'ha letto frettolosamente. Prova ne sia che Scalfari accusa Celentano di non essersi accorto che il governo sta rilanciando il nucleare in Italia, laddove questo punto nell'articolo del molleggiato è stato evidenziato in maiuscolo. Ma non è sulla bega tra giornalista e cantautore che voglio soffermarmi, quanto sulla questione dell'immunità.

Il concetto di Stato di Diritto implica la soggezione di tutti i cittadini alla legge. Non è incompatibile con l'assolutismo sovrano, come ben evidenziato nella famosa frase "Ci sarà un giudice a Berlino" di cui avevamo parlato qui, dato che nessuno potrebbe negare che Federico il Grande fosse un bell'esempio di sovrano assoluto, ma certo è il fondamento stesso della democrazia rappresentativa. La democrazia si basa infatti sulle regole del gioco, e le regole debbono valere per tutti, altrimenti il gioco è sleale (e quindi si torna all'assolutismo o alla dittatura).
Ciò non toglie che vi siano ordinamenti in cui le regole, pur restando valide, vengano sospese nella propria applicazione in presenza di particolari status. E' il caso del Presidente della Repubblica francese, ad esempio, che non può essere sottoposto a processo per la durata del suo mandato. Analogo tentativo, come ricorderete, fu fatto in Italia con il cosiddetto Lodo Schifani prima, e Lodo Alfano poi: ma per il fatto di essere state promulgate come leggi ordinarie entrambe queste normative furono censurate dalla Corte costituzionale.
Dal punto di vista dei princìpi, tutto ciò è molto bello. Il problema è che il nostro Presidente del Consiglio ha una quantità di processi pendenti, e non per bagattelle, ed essendo anzitutto un uomo, prima che un'istituzione, ha la legittima pulsione di salvare la pellaccia.
Da qui la paralisi dell'attività legislativa e di governo, tesa ad inventare sempre nuovi modi per portare a casa una simil-immunità. E via via che il gioco si fa duro, il tiro viene alzato, come dimostra l'ultimo disegno di legge sul processo breve, con il quale per salvare uno solo si fa strame di centinaia di migliaia di posizioni processuali.
Credo che nessuno dei miei lettori voglia salvare Berlusconi dalla giusta punizione per i propri reati, ma forse è venuta ora di chiedersi se il gioco valga la candela. Certo, sono consapevole del fatto che il "processo breve" è stato inventato proprio per alzare il tiro e quindi arrivare a un accordo condiviso sull'immunità; e che quindi accettare l'immunità sarebbe cascare nel trappolone di Berlusconi. Consentire l'immunità a Berlusconi sarebbe, insomma, un bel passare per bischeri. Ma talvolta anche passare per bischeri non è forse necessario?
Il punto fondamentale è che Berlusconi ha il potere. Ha in mano il governo, ed ha in mano il Parlamento grazie a una maggioranza schiacciante e fedelissima, per il fatto di essere costituita di cooptati e non di eletti.
Non solo: ha anche il consenso popolare, dato che solo un idealista potrebbe pensare che, se si andasse oggi al voto, l'esito delle elezioni sarebbe diverso da quello di due anni fa.
Berlusconi, insomma, grazie al proprio impero mediatico, alla legge elettorale e a un sistema di alleanze politiche sapientemente costruito è, di fatto, quanto di più simile ad un monarca abbiamo avuto nella storia repubblicana.
Concedergli un'immunità per la durata della sua permanenza al potere lo rafforzerebbe? Forse. E dico "forse" perché è già talmente forte da potersi salvare comunque, sia pur a prezzo della monopolizzazione della funzione legislativa e della distruzione del sistema giuridico, come abbiamo detto, talché egli comunque è in grado di ottenere il risultato sperato (la salvezza): ma a che prezzo!
La concessione di un'immunità gli consentirebbe di ottenere il medesimo risultato, ma il prezzo per la società e per l'integrità del nostro ordinamento sarebbe infinitamente inferiore. Certo, dal punto di vista dei princìpi è cosa da far accaponare la pelle, ma forse forse è l'ora di ritenere che un po' di sano pragmatismo non guasti.
E comunque, il problema imprescindibile è sempre quello: che egli ha il consenso popolare dalla sua parte: e finché l'avrà, penserà comunque prima a salvare la pelle e poi a curare gli interessi dello Stato. Se vi fosse una possibilità, nel breve, di infliggergli una quantità di batoste elettorali, lo stesso senso di pragmatismo indurrebbe a concentrarsi sulla lotta politica per conseguire tale scopo: ma allo stato dei fatti quella è una strada senza speranza, e allora, mi dico, tanto vale andare a vedere il suo gioco e comunciare una nuova stagione.

venerdì 29 gennaio 2010

C'è crisi, c'è grande crisi /7

Con il mestiere che faccio, non è che possa essere sempre ottimista. Tutti i fascicoli che arrivano sulla mia scrivania sono altrettanti attestati di imprese che non ce l'hanno fatta: riusciranno a salvarsi sull'orlo del precipizio, anche grazie a me, o non riusciranno a frenare in tempo e allora sarò io a dare loro l'ultima spintarella per mandarli giù nel burrone.
Capite bene quindi che la mia visione del mondo, con riferimento alla salute del sistema economico, è un po' distorta: come può esserlo per un regista di porno con cani e cavalli l'idea del sesso, o per un naufrago quella di "isola tropicale".
In questi giorni tuttavia ho colto qualche segnale di scricchiolamento che mi ha lasciato abbastanza perplesso.
Ieri e ieri l'altro ero al bar con un po' di amici per il solito aperitivo. In due sere sono entrate ben tre persone a chiedere se c'era bisogno di personale e a proporsi come camerieri, più un altro che proponeva la propria ditta per le pulizie del locale. Può essere stata solo una coincidenza, ma mi ha colpito: sembrava quasi una processione.
Del pari, ieri ho appreso che due amici (o, più correttamente, amici di amici) hanno perso il lavoro. Ambedue facevano i pubblicitari, guadagnavano rispettivamente bene e molto bene e lavoravano per un'agenzia di primaria importanza, che ha ritenuto di fare a meno di loro.
Non credo che andranno a dormire sotto i ponti, ma certo rimettersi a guardarsi in giro a cionquant'anni non è una cosa facile: anche se ci sono mestieri dove cambiare è parte della normale vita lavorativa, è pur vero che altro è farlo essendo comunque coperti, altro è farlo sotto la scure del bisogno. Un po' come con le donne, che quando non ce l'hai non ne trovi, mentre quando ne hai una se fanno subito sotto altre cinque, e tu ti chiedi dove diavolo queste fossero prima.
Insomma: l'impressione è che tiri una brutta aria, anche se mi rendo conto che dal punto di vista statistico queste osservazioni valgono ben poco.

martedì 26 gennaio 2010

Testimoni di Geova

Anche se certe letture tentano di dissuadermi, credo proprio che tra oggi e domani chiederò a qualche pioniere dei Testimoni di Geova di venire a casa mia per fare qualche ora di studio biblico.
Potendo scegliere a quale religione pervasiva, integralista e totalizzante debba votarmi, ne preferisco una che promette di farmi vivere in un regno millenario, piuttosto che una che promette di farmi scrivere gli appunti e vedere filmini in tram.

lunedì 25 gennaio 2010

Tempo di votare

Come tutti si aspettavano, Nichi Vendola ha vinto le primarie contro lo stesso avversario di quattro anni fa. Con la differenza che questa volta l'ha proprio sbaragliato.
Ho già detto in passato che io non ho alcuna simpatia per le primarie, pur essendo contento del risultato che le medesime hanno dato in Puglia. Mi stupisce però che ora da parte di coloro che ne erano seguaci venga fuori la fola per cui Vendola sarebbe stato eletto con i voti dei fedelissimi del PdL che con tale mossa avrebbero voluto selezionare il candidato con meno probabilità di vincere.
Il meccanismo delle primarie infatti consta di una consultazione aperta a cani e porci: e se si accetta che la regola sia che possono votare cani e porci, non si può a posteriori dire che avrebbero dovuto votare solo i cani di una certa taglia e i porci di una certa età. Se possono votare tutti che votino tutti, e se ciò non sta bene, che si ammetta che far votare tutti è una sciocchezza a prescindere dal risultato finale.
Ma la cosa che proprio non si può credere, almeno scrutando la Puglia da quassù, è che Boccia avesse maggiori probabilità di conquistare la Regione rispetto a Vendola. Non è che voglia stare a fare chissà quale sofisticata analisi politica: mi limito a dire che nella mia opinione i voti che boccia avrebbe preso dall'UDC sarebbero stati compensati da altri voti persi sul fronte della sinistra. Poi uno può dire che della sinistra dura, pura e massimalista se ne frega, e che anzi sarebbe meglio perderli, quei voti, che trovarli: sta di fatto che qui siamo di sinistra e i voti di sinistra ci piacciono più dei voti di Casini.
Vendola perderà? Forse, anzi è probabile. Ma Boccia non avrebbe vinto, e se l'avesse fatto l'avrebbe fatto in nome di un progetto astratto e lunare.
Guardate: lo dico dovunque e lo posso dire anche qui: a me sentire D'Alema piace: la lucidità del pensiero, i grandi scenari, l'ironia e il sarcasmo, la capacità analitica. Tutte caratteristiche di un grande politologo in grado di vedere le cose in profondità e al di là di quanto riescano a fare tutti gli altri.
Peccato che lo stesso D'Alema politologo sia poi un ben misero politico: perché il politico -per come intende la politica D'Alema: in senso squisitamente pragmatico- dev'essere anzitutto uno che vince le proprie battaglie. Il che, nello specifico, è avvenuto ben di rado.
Certo, la posizione del PD era molto difficile: da una parte un candidato popolare che avrebbe reso impossibile l'alleanza al centro; dall'altra uno pieno di titoli ma impopolare che l'avrebbe favorita, a scapito dell'identità del partito o perlomeno della visione dei propri elettori.
Un dilemma dal quale sarebbe stato molto difficile uscire per chiunque, e qualunque soluzione avrebbe provocato maluimori e delusioni: ciononostante mi sembra che la gestione del problema da parte del vertice del PD sia riuscita nel non troppo difficile intento di massimizzare la figuraccia.
Poi, voi lo sapete, io sono per il ritorno al proporzionale, dove ciascuno vota chi preferisce e i conti si fanno alla fine.
Sarà un'idea antiquata, ma guardando il meccanismo di selezione delle candidature a presidente di regione, mi convinco sempre più della sua bontà.

venerdì 22 gennaio 2010

Mail aperta a M.S. Gelmini

Gentile Ministro,
mio figlio frequenta la quinta elementare in una scuola milanese. E' una scuola di antica storia, situata in un quartiere di un certo prestigio nel quale ho la fortuna di abitare: ragion per la quale la gran parte delle famiglie degli alunni condividono una condizione economica e sociale privilegiata, se non addirittura agiata.
Stamane, aprendo la posta, ho trovato un messaggio del presidente dell'assemblea dei genitori, diretto ai rappresentanti di classe, che qui in parte Le ritrascrivo:
ciao M.,intanto buon anno,purtroppo abbiamo la televisione dell'aula video che ha dei problemi, ho parlato con il tecnico il quale vuole dalla scuola 100 euro per l'uscita.
Ho riferito del problema a R. la nostra dirigente amministratrice, lei mi ha risposto che la scuola non ha soldi, cosi' abbiamo convenuto di appellarci a te come presidente dei genitori affinchè ci possiate aiutare se non economicamente, trovare qualcuno esperto che possa controllare la televisione.
Veda, gentile Ministro: a me non interessa polemizzare; non mi interessa disquisire sui buoni scuola per gli alunni delle scuole private, sugli insegnanti di religione, sulla qualità dell'offerta didattica né sui salti mortali che la direttrice ha dovuto compiere per mettere insieme un orario scolastico dopo il taglio di un certo numero di insegnanti a seguito delle recenti Sue riforme.
Non mi interessa neppure sollecitarLa affinché invii 100 euri alla scuola di mio figlio per consentire la riparazione della televisione, dato che, come poc'anzi Le illustravo, siamo genitori benestanti e quindi faremo tra noi la solita colletta o vendita di torte benefiche, raccoglieremo i soldi e faremo sì che i nostri bambini abbiano, nell'aula video, un apparecchio videoriproduttore: ché rimirare uno schermo nero può essere un'esperienza d'interesse per il filosofo, ma forse un po' straniante per fanciulli di dieci anni.
Non mi interessa tutto ciò, Le dicevo.
Le ho scritto solo per dirle che stamane mi sento triste, ecco. E mi piacerebbe che si sentisse un pochino triste anche Lei.

Le mando un saluto, assicurandoLe che la mia stima nei Suoi confronti resta immutata.
Mr. Fisk

mercoledì 20 gennaio 2010

La multa sul marciapiede

L'altro giorno ho parcheggiato sul marciapiede. Anzi, più precisamente, su una piazzola adiacente ad un marciapiede, fatta apposta per parcheggiare anche se non segnalata allo scopo.
Un vigile è passato di lì e mi ha messo una multa; ma non è una multa qualsiasi.
E' fin troppo evidente che la mia attività su questo blog, che finora ero riuscito a svolgere in forma del tutto anonima, dà fastidio a qualcuno nei piani alti, in ispecie del Comune di Milano al quale non ho risparmiato, in passato, severe critiche.
Pian pianino ho iniziato a lasciar trasparire qualche cosa di me: si è compreso il mio nome di battesimo, la zona in cui abito, il lavoro che faccio. ho lasciato percolare la mia età e il nome di mio figlio, che perdipiù è talmente particolare che credo basti, da solo, ad identificarmi in maniera precisa.
Ed ecco che l'altra mattina mi ritrovo quella multa: un segnale preciso, che si agginge a tanti altri segnali che fino a poco fa non ero riuscito a comprendere appieno.
Un paio di settimane fa, per dire, sono uscito dal lavoro e ho trovato la bici in terra. Due mesi fa ho perso il portafoglio: o meglio credevo di aver perso il portafoglio, ma ora capisco che me l'avevano sottratto. Mi hanno pure clonato il bancomat. E poi c'è gente che mi telefona da numeri sconosciuti e mette giù.
Io comunque sono coraggioso: non demordo. Continuerò a scrivere quello che penso e a battermi per l'affermazione delle mie idee, pur mettendo a repentaglio la vita mia e quella dei miei cari.
Abbiate fiducia! Sostenetemi!!!

lunedì 18 gennaio 2010

Spigolature

La lettura della Repubblica di domenica mattina, che ho avuto modo di fare in particolare agio, mi ha stimolato due riflessioni che vi riporto.

La prima riguarda i milioni sprecati per l'acquisto dei famosi vaccini contro l'influenza. Secondo Repubblica* il Governo avrebbe buttato via 180 e passa milioni di euri acquistando con contratti-capestro una o due decine di milioni di dosi di vaccino, mai utilizzate e che tra un po' scadranno.
Cosa scandalosa, dato che si tratta di soldi nostri. Ma siamo certi che Repubblica sia in grado di scagliare la prima pietra? Questa Elena Dusi che scrive un articolo titolato "Ecco quanto ci è costato il flop del vaccino", è solo omonima di quella che il 26 luglio 2009 scriveva «Le autorità del comune di Exeter sono arrivate al punto di individuare il sito per la sepoltura delle eventuali vittime: le catacombe del diciannovesimo secolo che rappresentano una delle mete turistiche della città»?
E il quotidiano stesso, che oggi si scaglia, è o non è lo stesso quotidiano che ha inanellato questi titoli: "Febbre suina, l' America ha paura"; "Febbre suina decine di morti in Messico allarme Oms"; "Febbre suina, l' allarme sale: rischio pandemia"; "Paura in America, il virus a New York: 8 contagiati Città del Messico, vietati i baci e le strette di mano"; "L' Oms alza l' allarme: Sei mesi per il vaccino Ora il virus si trasmette da uomo a uomo"; "Nella valle del contagio: Il virus è partito da qui"; "Negli Usa emergenza nazionale Temiamo vittime anche da noi"?
E, lasciando per un attimo da parte la stampa, e concentrandoci sull'operato del Governo, con che faccia l'opposizione può alzare il ditino, dato che (qui si ha memoria d'elefante) il 28 aprile 2009, a Otto e Mezzo, Ignazio Marino fece passare un pessimo quarto d'ora alla sottosegretaria alla Sanità, accusando il Governo medesimo di aver incapsulato antivirali solo per un milione di persone, quando le dosi necessarie sarebbero state per dieci milioni di persone?
Insomma: quella dell'influenza è stata una campagna sciagurata, nella quale forse le grandi case farmaceutiche hanno avuto il ruolo di registi segreti, forse non ce l'hanno avuto; ma sicuramente il ruolo principale l'hanno giocato la stampa e i mezzi di comunicazione in genere. E che adesso la stampa si scandalizzi mi fa un po' schifo.

La seconda riflessione riguarda l'articolessa del Grande Vecchio del giornalismo, Eugenio Scalfari. Il quale, essendo un Grande Vecchio, ha il diritto di prendersi qualche svarione, ogni tanto: ma quello di ieri è un po' esagerato.
Scrive Scalfari, a proposito della Bonino e delle battaglie civili dei radicali d'antan: «Ricordo bene quegli anni, le battaglie per il divorzio e la legalizzazione dell' aborto, le diffidenze a sinistra e l' opposizione durissima della destra clericale... Ricordo il numero de L'Espresso... che uscì con in copertina una donna incinta inchiodata ad una croce. Ricordo tanti giovani lettori che si erano offerti come volontari per raccogliere le firme per i referendum
Ricorda male, Scalfari: dato che a quei referendum, quelli sul divorzio e sull'aborto, furono i NO a vincere: dato che i referendum erano per abrogare le norme su aborto e divorzio.
E' un errore comune, ed un errore pericoloso. Perché quando si parla di battaglie referendarie, nell'uomo di sinistra viene sempre il riflesso pavloviano delle vittorie del 1974 e del 1981: ma si tende a dimenticare che furono vittorie della società laica che si battè, e vinse, contro le forze più retrive e oscurantiste, le quali avevano proposto i referendum abrogativi e raccolto le relative firme.
Il divorzio, e l'aborto, non furono introdotti nel nostro ordinamento dai referendum: furono votati dal Parlamento, e tramite lo strumento del referendum furono messi a rischio. Del resto, come rammentavo qui, lo strumento referendario fu attuato solo nel 1970, grazie all'idea di Fanfani di barattare l'introduzione del divorzio con la istituzione della consultazione popolare, in modo da sottoporre immediatamente al voto popolare il divorzio medesimo.



* cito Repubblica perché è il giornale che ho letto, ma il discorso vale un po' per tutta la stampa

sabato 16 gennaio 2010

Igiene orale

Se voi aveste un account su facebook, e soprattutto se io avessi un account su facebook, potrei darvi qualche aggiornamento cambiando il mio status.
Dato che la maggior parte di voi credo non ce l'abbia, e comunque non ce l'ho io, mi limito a dirvi che da ieri c'è un mio spazzolino da denti dentro un bicchiere appoggiato su un lavandino in un bagno che non è il mio.

giovedì 14 gennaio 2010

L'appartenenza al sindacato

Una delle gioie dell'appartenere a un sindacato forte e potente come la FISAC/CGIL è che all'inizio dell'anno il tuo delegato ti consegna la tessera e un simpatico gadget.
Quest'anno il gadget consiste in un elegantissimo portacellulare da collo con tanto di pallino a molla di stringimento e moschettone d'ancoraggio.
Il portacellulare vero e proprio è di tessuto sintetico ed elasticizzato, ad imitazione della calza della befana. Io, che notoriamente sono comunista, l'ho scelto rosso, ma era disponibile anche in altri colori visibili a centinaia di metri di distanza.
Un oggetto di finissima fattura, che non mancherà di accompagnare, d'or innanzi, tutte le mie uscite in pubblico.

martedì 12 gennaio 2010

La fée carabine

Chi ha letto La fée carabine rammenterà forse che Julie in uno dei suoi viaggi avventurosi si era operata da sola di appendicite, in uno dei suoi viaggi in Africa o forse in Sud America.
Roba letteraria, con la quale Pennac ci dimostrava l'incredibile tempra della ragazza.
Be', sembra che ci sia chi l'ha fatto, per davvero.

Le mie notti con Maud


Avevo vent'anni, più o meno, e nella mia cameretta postadolescenziale, un venerdì sera, facevo zapping tra canali seri e televisioni private, aspettando che venisse la mezzanotte e mezza per girare su Telereporter*: il triste episodio del Tri Basei* non si era infatti ancora verificato.
Nel girovagare, incappai nella sigla di Fuori Orario, che ancor oggi non riesco a far a meno di ascoltare tutta per intero. Ascoltai fors'anche due minuti di Ghezzi fuori sync, per dire come stavo in pace con il mondo intero, e poi continuai a girovagare per l'etere.
Non rammento bene come andò: può essere che il film su Telereporter l'avessi già visto, può essere che fosse molto noioso o può essere che fosse un piccolo capolavoro, che dopo una ventina di minuti già avesse raggiunto il suo scopo. Sta di fatto che a un tratto rigirai sul terzo canale, proprio mentre Jean-Louis, Maud e François si stavano sedendo a tavola.
Fu l'illuminazione: fu lì che decisi, con un atto di volontà che ancora adesso mi resta inspiegabile, conoscendomi come mi conosco, che avrei dovuto imparare il cinema. E il francese, per di più.
Da allora ho visto migliaia di film: brutti, belli e bellissimi. Mi sono impaurito, ho riso, mi sono commosso e forse in un paio di casi mi è perfino scesa la lacrimuccia.
L'emozione provata con i film di Rohmer (quelli del secolo scorso!), però, è rimasta unica: e se anche uno solo dei miei lettori occasionali si innamorerà del cinema per aver visto La Femme de l'aviateur, Conte d'hiver o lo stesso Ma nuit chez Maud dopo esser passato di qui, allora questo blog avrà avuto un senso.



* roba che capiamo solo noi milanesi sui 45

venerdì 8 gennaio 2010

Pagatevelo

Un annetto fa avevo scritto due cose con il tag "daccordo", il cui titolo era "Essere d'accordo con Gasparri".
Riprendo oggi il tag per dichiarare la mia stima per di essere d'accordo con un'affermazione di Roberto Castelli. Proprio lui: quello con gli occhiali alla Harry Potter, il pessimo ex ministro della giustizia.

Per mia fortuna di regola il Giovedì son fuor di casa, e non ho occasione di aumentare l'audience di Annozero né di vedere la faccia fintamente compunta del suo editorialista, quello il cui nome evoca i dolori imposti all'umanità dal Creatore quale punizione per l'aver colto il frutto proibito.
Ieri sera invece ero a casa e, senza pensarci troppo su, ho acceso il televisore giusto in tempo per godermi (si fa per dire) la rappresentazione del nostro wannabe Saint-Just.
Non perdo tempo a commentare il suo detto; ma interessante è stata la discussione che ne è subito seguita, nella quale Roberto Castelli (quello con gli occhiali alla Harry Potter, il pessimo ex ministro della giustizia) ha provato a spiegare, con rara pacatezza e come si farebbe con un bimbo di sei anni, che quando i politici non erano pagati la politica la potevano fare solo i ricchi, mentre da quando Giolitti nel 1912 ha introdotto l'emolumento per i parlamentari, la politica la possono fare anche coloro che ricchi non sono.
Vale la pena di rivederlo, quello spezzone di trasmissione: lo trovate qui, e precisamente al minuto 1:11:10.
Castelli, che volutamente usava il linguaggio che si addice a un cretino (e noi siamo certi che il cosiddetto giornalista non ci sia, ma ci faccia, al riguardo), ha parlato di "ricchi" e "poveri": concetti che si ritrovano persino nelle fiabe per l'infanzia. La verità è che prima dell'introduzione dell'emolumento per i parlamentari, a far politica attiva potevano andarci solo i latifondisti, i rentiers o coloro che, non essendolo, avessero uno sponsor abbastanza ricco e potente da pagar loro una rendita per vivere. Credo che chiunque si possa rendere conto del fatto che, in quest'ultimo caso, la libertà d'opinione e di voto dello stipendiato, in un eventuale conflitto tra gli interessi del Paese e quelli dello sponsor, fosse messa a dura prova.
Non a caso in tutte le democrazie moderne il lavoro di parlamentare è pagato, e anche abbastanza bene: a dimostrazione che non si tratta certo di un'anomalia italiana dovuta alla corruttela della nostra classe politica. E val forse la pena di rammentare che la riforma di Giolitti è coeva all'analoga iniziativa assunta dal Parlamento inglese (mica cazzi!). Perfino nella voce su Wikipedia, che certo non può essere considerata una fonte elitaria, si legge:
Bisogna ricordare, infatti, che all'epoca i parlamentari non avevano alcun tipo di stipendio e/o indennità: ricevere denaro come retribuzione per l'attività politica svolta era considerato degradante in quanto irrispettoso dei cittadini e della cosa pubblica. L'unico "privilegio" concesso ai deputati era la tessera gratuita per le ferrovie.
In questa situazione era evidente la difficoltà degli elettori di scegliere i propri rappresentanti fra le classi meno abbienti. Giolitti stesso amava ricordare che, se non fosse stato nominato dal re membro del Consiglio di Stato (con relativo stipendio), ben difficilmente avrebbe potuto permettersi di intraprendere la carriera politica con le spese che questa comportava. Tale problema divenne più acuto sul finire dell'ottocento in seguito alla comparsa del partito socialista sulla scena politica italiana: era arduo per alcuni esponenti di tale partito, specie i sindacalisti e coloro che non svolgevano una libera professione, accettare una candidatura.
Ebbene, ciò che mi ha veramente disgustato lo trovate al minuto 1:11:52 della trasmissione: quando il mio omonimo, sfoderando il suo odioso e indisponente sorrisetto sardonico, di fronte all'affermazione di Castelli: "la politica ha un costo, la politica è democrazia", risponde: "pagatevelo".
C'è, in quella seconda persona plurale, tutta una visione del mondo. Che mi schifa.
C'è anzitutto il rifiuto dell'art.1 della Costituzione: quello che dice che "La sovranità appartiene al popolo". Vogliamo parlar male di Brunetta, che vorrebbe cambiare il primo comma, e accettiamo che quel bel tomo, con quella seconda persona, faccia strame del secondo comma? Il politico è lì per rendere un servizio al popolo, ed è giusto che venga retribuito per tale servizio: mettiamocelo in mente una volta per tutte.
Poi, certo, è difficile prescindere dal luogo comune secondo il quale i politici sono tutti ladri e dovrebbero andare tutti in galera: la nostra storia recente non ci aiuta a ragionare con lucidità dato che di politici ladri, ahinoi, ce ne sono stati tanti.
Ma rendiamoci conto che se mandiamo in galera tutti i due rami del Parlamento, poi vi sono solo due possibilità: l'anarchia o la dittatura. L'anarchia non la mettiamo neppure in conto; quanto alla dittatura, sarebbe certo un'ipotesi gradita a qualche capopopolo carismatico, e non è difficile comprendere come certi uomini di spettacolo possano, nel loro inconscio o anche razionalmente, accarezzarne l'idea: in fondo il dittatore è anzitutto un grande attore e manipolatore di folle: e quindi gli attor comici che sanno bucare il video partirebbero avvantaggiati.
Noi, però, preferiamo il sistema democratico; e all'interno di un sistema democratico, preferiamo pensare che i nostri rappresentanti siano pagati da noi anziché da sé medesimi o da ricchi e oscuri signori delle ferriere.
Siamo all'antica, e fra l'altro abbiamo sempre nutrito una certa simpatia per Giovanni Giolitti, tanto che non ci dispiacerebbe se qualche nostro lettore digiuno di storia patria cogliesse l'occasione di questo post per apprenderne un po' di più.

giovedì 7 gennaio 2010

Coerenza

Scrivevo, l'altro giorno, di quanto lo scrivere qui serva a chiarirmi le idee e a pensare meglio.
Posso pure portare due esempi, al riguardo, freschi freschi.

Uno, venutomi in mente ieri leggendo i post arretrati di Gilioli, riguarda la polemica che un po' è montata in rete sul fatto che, se ho ben compreso, gli iPhone che Apple vende in Cina non possono rivevere una serie di applicazioni dall'AppleStore, e in particolare quelle riguardanti il Dalai Lama, il Tibet e compagnia cantante.
Io non ho alcuna stima per il Dalai Lama, come non ne ho per i capi di altre religioni, tipo il Vescovo di Roma (il quale, perlomeno, viene scelto in un modo un pelo più trasparente, che dovrebbe dare garanzia di una preparazione un pelino maggiore): ma ho molta, moltissima minore stima per le religioni new-age quali il CultoDiSteveJobs e gli IdolatriDellaMelaMorsicata, e quindi mi era ghiotta l'occasione di sparlare di questo culto facendo emergere le contraddizioni di chi con una parte del cervello accetta di vincolarsi alla Volontà Assoluta e Inappellabile del Sommo Profeta, mentre con l'altra non perde occasione di irridere agli utenti di Microsoft perché quest'ultima è l'incarnazione del Male.

L'altro, sorto all'attenzione cosciente dopo aver passato una serata per altri versi piacevole a discutere delle elezioni in Puglia, riguarda la contraddizione del PD: il quale pur avendo fatto delle Primarie la propria bandiera, non le vuole in Puglia perché le Primarie rischierebbero di dare il risultato contrario a quello voluto dalla Direzione, vale a dire la conferma della candidatura di Vendola rispetto all'insignificante Boccia.

Ho quindi iniziato a buttar giù qualche riga su queste cose quando mi sono accorto che, una volta messe nero su bianco, le idee venute d'istinto si dimostravano diametralmente opposte a quelle che sono le mie idee ragionate e ripetutamente espresse, anche su questo schermo.
Razionalmente, il fatto che io prediliga Vendola rispetto a Boccia non può spingermi a dire che ci vorrebbero le primarie in Puglia: perché io ho sempre sostenuto che le primarie siano una cagata, e il fatto che oggi tale cagata potrebbe essere utile non toglie che sempre di cagata si tratti; e se oggi sostenessi le primarie per Vendola smentirei il mio passato e ipotecherei le critiche future. Pertanto, per coerenza, mi dico: ben venga la scelta del PD di far correre un candidato che avrà l'appoggio di Casini: perderà comunque (del resto probabilmente avrebbe perso anche Vendola, qualora fosse passato alle primarie), ma perlomeno il metodo (quello che IO credo sia il metodo) di scelta del candidato sarà stato giusto.
Quanto ad Apple, la cosa è ancora più semplice. Ci sono delle leggi, in Cina: giuste o sbagliate, ci sono delle leggi, e le leggi in linea di principio vanno rispettate. Poi c'è tutto il discorso delle dittature, delle opposizioni, delle rivoluzioni, del diritto naturale e delle genti, della necessità di ribellarsi alle leggi ingiuste e delle condanne di Norimberga.
Ma, con tutto ciò, sostenere che Apple (che non è l'incarnazione del Sommo Bene in Terra, bensì un'impresa commerciale incorporated secondo le leggi della California) debba fare l'avanguardia movimentista giocandosi il mercato cinese vendendo prodotti in aperta violazione delle leggi colà vigenti anziché adattare i medesimi in modo che rispettino le medesime, ecco: tutto ciò significa o non aver capito nulla dell'economia, del diritto e della società, o un'inguaribile voglia di alzare sempre il ditino, e una perversa tendenza a scrivere prima di pensare.
Dire che la Cina dovrebbe accettare gli iPhone con su il Dalai Lama sarebbe come dire che l'Italia dovrebbe accettare che RyanAir scelga a capocchia i documenti d'identità validi per l'imbarco. E dato che nei giorni scorsi ho spiegato perché RyanAir è nel torto, sono ora costretto ad ammettere che Apple ha ragione.

Sherlock Holmes

Dunque, alla fine sono andato a vedere Sherlock Holmes: non per decidere chi fosse più sdraiabile tra i due protagonisti uomini, che non è questo il mio genere; e nemmeno per decidere chi avrei sdraiato tra le due donne, ché sono cose, queste del fantasticare sulle dive o i divi del cinema, che a una certa età tutti dovrebbero smettere di fare, al pari del vantarsi delle puzzette con gli amici o tirare le trecce alle compagne di classe.

Sono andato a vedere Sherlock Holmes perché immaginavo che Nichita si sarebbe divertito: lui in effetti si è divertito, ed io pure; ma adesso mi toccherà spiegargli che quello che abbiamo visto ha pochissimo a che fare con Sherlock Holmes e moltissimo, invece, con John McClane.

mercoledì 6 gennaio 2010

Via Benedetto Craxi detto Bettino

Con il distacco di chi, tornato dalle vacanze, può legittimamente parlare di argomenti su cui tutti hanno già detto tutto e il contrario di tutto, voglio spendere anch'io i miei due soldini su Bettino Craxi.

Egli è stato una figura fondamentale per me, dal momento che ha dettato la linea, e poi governato il Paese in prima persona, proprio negli anni in cui sono cresciuto e mi sono formato una coscienza politica; e da questa osservazione, del tutto personale e soggettiva, è difficile prescindere. Lo storico deve oggettivizzare, ma oggi è la Befana e io sono ancora a letto, ove sono entrato assai tardi, assai stanco e assai felice: e quindi me ne frego dell'oggettivizzazione.
Quando penso a Craxi, mi vengono in mente due cose: la Crisi di Sigonella e il taglio della Scala Mobile. Per molti, sono entrambe due due cose ottime, da grande statista; per qualcuno, sono l'una ottima e l'una pessima: e io sono di quelli.
Poi, sì, c'è la corruzione, il tangentismo, il Matarèl e l'inaugurazione della Linea 3 a binario unico. Ma quello, secondo il mio infimo parere, era sistema: del quale egli era protagonista ma non attor unico, e di cui è divenuto, poi, unico capro espiatorio, sorta di Agnus populi qui tollit peccata Italiae.

P.S.: quello lì, come pure quella lì, insomma voi sapete di essere voi, hanno il mandato permanente a correggermi gli strafalcioni nelle lingue morte

 

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