Questo è un post mica tanto facile, perché tratta di una materia complessa e perché io stesso non ho le idee ben chiare: perciò butto giù un po' di argomenti senza la velleità di dar loro una forma organica.
Parliamo di fischi e di democrazia. Come tutti sapete, negli scorsi giorni vi sono state svariate apparizioni pubbliche di personaggi (Dell'Utri, Schifani, Bonanni) che, invitati a intervenire a iniziative di vario genere, sono stati interrotti e hanno dovuto rinunciare a terminare i loro discorsi. In tutti i casi tali contestazioni sono venute da gruppi numericamente poco numerosi, ma determinati nel loro agire, talché la rimanente parte del pubblico, largamente maggioritaria, non ha potuto assistere alle iniziative a cui intendeva partecipare.
Il primo pensiero che mi è venuto in mente, subito dopo il primo episodio, è stato che la libertà di parola ha come contraltare la libertà di critica, e pertanto chi accetta o pretende di parlare in una manifestazione pubblica deve anche accettare il fatto che il suo intervento non nnecessariamente sarà applaudito: può anche essere fischiato. Il fischiare è una delle tante forme con le quali si può esprimere il proprio disaccordo, e non riesco a trovare nulla di antidemocratico nella circostanza che di fronte a una mia affermazione qualcuno mi possa dare del cretino, indipendentemente dal fatto che egli abbia o meno ragione (anche perché, quando si tratta di punti di vista, e in ispecie di politica, la ragione e il torto non sono accertabili scientificamente, come si farebbe con la dimostrazione di un teorema matematico).
Già al secondo episodio mi sono però accorto che questa impostazione ha un grave limite: se bastano dieci o venti persone per rovinare la festa a mille persone impedendo loro di fruire di un'iniziativa, ben presto potrebbe divenire impossibile organizzare qualunque cosa un po' più importante di una cena tra amici in pizzeria: perché per qualunque argomento che possa richiamare una partecipazione minimamente numerosa, dalla cura delle malattie autoimmuni alla cucina cinese, ci sarà qualche cretino che vorrà contestare l'oratore di turno in nome del proprio ideale antivivisezionista o pro-tibetano. Notate, per inciso, che la cretineria del prevaricatore non è minimamente collegata alla validità della causa che egli intende supportare: l'essere antifascisti, per dire, non è un motivo valido per interrompere un conveglio di studi su De Felice, né l'essere pacifisti giustifica il boicottare un convegno sull'evoluzione storica della dottrina MAD.
Quindi si può affermare che l'esercizio del diritto di critica sia sì legittimo, ma non quando tale esercizio impedisce la manifestazione del pensiero: come giustamente ha fatto notare un commentatore, i loggionisti talora fischiamo il direttore d'orchestra, ma lo fanno dopo, e non prima, l'esecuzione dell'opera.
Ha poi avuto luogo la contestazione a Bonanni, che a differenza delle precedenti ha segnato un'ulteriore evoluzione: qui i contestatori non si sono limitati a interrompere con il loro vocìo, ma sono passati alle vie di fatto: e siamo pertanto trascesi dal campo della violenza verbale a quella fisica, il che è per definizione inaccettabile, trattandosi di comportamenti violenti e prevaricatori che costituiscono reato.
Potremmo finire qui ma la questione dicendo che quelli dei centro sociali dovrebbero passare qualche giorno in guardina, ma non è così semplice: e l'ho compreso leggendo il lancio della notizia sul Post. L'articolo infatti conclude così: Alle 17,22, quando pubblichiamo questa notizia, il dibattito è annullato e gli ospiti sembrano essersi allontanati. I contestatori stanno ancora urlando slogan e fronteggiando la polizia in un’immagine da anni Settanta nel centro di Torino. L'immagine degli anni Settanta nel centro di Torino mi ha fatto venire in mente che quelli sono stati sì anni in cui quotidianamente si è sperimentata violenza e prevaricazione; ma sono anche gli anni in cui i diritti civili e dei lavoratori in questo Paese si sono affermati.
Lo Statuto dei Lavoratori, che data proprio dal 1970, è il frutto di lotte operaie che non si sono svolte mediante la contrapposizione dialettica di operai e imprenditori su un palco, davanti a un tavolino con l'acqua minerale: si sono svolte invece con modalità squisitamente violente e prevaricatrici.
Non sto parlando degli anni di piombo e del terrorismo rosso o nero, fenomeni pur coevi: mi basta pensare ad un picchetto fuori da una fabbrica. I giovani lettori forse non hanno idea di cosa fosse un picchetto, ma chi ha qualche anno sul groppone sa bene che non era un esercizio di democrazia: c'erano i bastoni, c'erano le catene e quando mancavano c'erano -e bastavano- le mani nude di un gruppo di fresatori. Chi si fosse provato ad entrare oltre i cancelli si sarebbe guadagnato non un commento di riprovazione né un sonoro coro di fischi, bensì una corsa in ambulanza al traumatologico. Quello era il clima, ma quel clima ci ha dato dei diritti che a distanza di quarant'anni sono ancora attuali.
Il fatto è che ci sono momenti storici nei quali certuni devono lottare per conquistare nuovi diritti, fino ad allora negati. Non ci tengo a far la figura del pedante, ma mi prendo qualche altra riga per rammentarvi che la notte del 4 agosto 1789 (l'abolizione del feudalesimo) è stata preceduta, e non per caso, dal 14 luglio con la Presa della Bastiglia. E' pur vero che questo evento ha avuto un significato poco più che simbolico, dato che i prigionieri erano una mezza dozzina in tutto, e certo non si può paragonare quell'azione con i massacri della Vandea e le decine di migliaia di giustiziati del Terrore; ma non credo che ciò possa essere una gran soddisfazione per il sorvegliante della prigione, portato in trionfo per le vie di Parigi dalla folla, però solo dal collo in su e infilzato in cima a una picca. E vi risparmio le rivoluzioni inglese, americana e sovietica.
Insomma, ci sono momenti, che coincidono sempre con periodi di crisi, in cui il confronto delle idee si fa non solo con le parole ma anche con le mani: perché quando le cose vanno bene tutti sono soddisfatti, anche gli ultimi; ma quando vanno male gli ultimi cominciano a non farcela più, e le belle parole non bastano dato che non possono essere servite in tavola. Ammettiamo che sia vero, come ho letto, che Marchionne guadagni 400 volte un suo operaio. Ebbene tale moltiplicatore costituisce un problema tutto sommato astratto filosofico finché tutti possono fare la propria vita più o meno soddisfacente; ma diviene però serio e impellente nel momento in cui l'operaio per mettere in tavola la zuppa deve passare dal banco dei pegni.
Ora, noi oggi ci troviamo esattamente in tale condizione. Le disparità sociali sono incredibilmente aumentate, il Paese è diviso tra gente che spende, spande e ostenta e gente che ogni giorno si sforza di nascondere la propria miseria che si accresce. Il lavoro si precarizza, i salari reali diminuiscono, chi ha dei figli immagina per loro un futuro ancora più nero e ci si guarda indietro, agli anni Settanta e Ottanta, con lo stesso spirito di Francesca nel quinto canto. La debolezza dei sindacati, oltretutto divisi tra loro, evidenzia ancor più la protervia dei padroni, che non perdono l'occasione per attentare a diritti un tempo dati per scontati. Quando io ho studiato il diritto del lavoro, ed erano passati quasi vent'anni dallo Statuto, l'idea stessa che un imprenditore potesse immaginare di non far entrare in fabbrica un lavoratore reintegrato era semplicemente assurda, così come il baratto degli investimenti contro i diritti; mentre oggi Marchionne si permette di spedire telegrammi dicendo ai lavoratori di restare a casa, ché tanto li pagherà comunque, e ci sono sindacati che firmano accordi cedendo diritti acquisiti in cambio di macchinari produttivi.
Badate, questi che ho descritto sono dati di fatto, indiscutibili. Potremmo perdere giorni a spiegarci i motivi di queste tendenze, primo fra tutti il fatto che la globalizzazione comporta il livellamento dei diritti, dei salari e di tutto il resto, talché l'operaio italiano ci perde e quello cinese ci guadagna, esattamente come un corpo caldo si raffredda riscaldando un corpo freddo, ma qui non andiamo a cercare le ragioni, bensì misuriamo gli effetti. E gli effetti sono quelli che ho descritto.
Non credo sia troppo azzardato profetizzare che quelle che abbiamo visto in questi giorni siano solo le prime avvisaglie di una stagione in cui torneranno in auge le lotte vere, quelle toste. E non sarà certo Enrico Letta, del quale mi è rimasta impressa l'immagine, il golfino sulle spalle e la ripetizione ossessiva della medesima frase: "siete antidemocratici", a fermarle: perché qui il problema non è più la democrazia, che è un valore che si può permettere chi ha la pancia piena, bensì la sopravvivenza quotidiana.
E' una tendenza che si può invertire? Non lo so: molto dipenderà dalla capacità della classe dirigente di cogliere il cambio di passo e rispondere con azioni concrete in difesa delle classi (sì, classi) che scontano il maggior disagio sociale. Se questo avverrà, bene; se non avverrà, e alla richiesta di maggior giustizia sociale si continuerà a rispondere con dibattiti sterili, sorrisi da imbonitore e false promesse di futuri Bengodi, be' allora credo proprio che dovremo prepararci rivedere scene delle quali avevamo perso l'abitudine.
venerdì 10 settembre 2010
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15 commenti:
curiosamente concordo sulle conclusioni e dissento dalle premesse:
- che lo statuto dei lavoratori sia il prodotto di lotte violente da parte della classe operaia e' vero solo in parte
- che i contestatori di torino avessero come obiettivo la difesa degli strati sociali piu' deboli e' tutto da dimostrare
- che la contestazione di bonanni andasse nella direzione di una difesa delle classi sociali piu' deboli e' falso: su pomigliano bonanni ha ragione, epifani e cremaschi hanno torto (basta vedere come problemi analoghi vengono affrontati ad esempio in germania o in svezia)
- che il divario crescente tra le fasce piu' ricche e quelle meno ricche della popolazione derivi dalla globalizzazione e' falso, o almeno molto parziale
- che il divario di cui sopra sia un problema prioritario (non solo in italia) da affrontare con urgenza pena disordini sociali estremamente gravi, e' invece assolutamente vero. in america se ne stanno accorgendo e ne dibattono da mesi, anche se per la verita' non hanno ancora fatto molto
esimio mfisk, il suo mi sembra un ragionamento molto pericoloso.
(no, non ho mai fatto un picchetto, ho solo fatto dei presidii, che sono una cosa ben diversa)
Nel tuo ragionamento manca qualcosa. Devo pensarci.
La premessa era che io stesso non ho le idee ben chiare. Quanto all'osservazione di .mau., sottolineo che non sto giustificando ma osservando, per cui il ragionamento non può essere pericoloso o meno, ma al più sbagliato o meno.
Quanto a Enrico, osservo, punto per punto, che:
- lo SdL è anche frutto di lotte violente, e quindi siamo d'accordo;
- sono pure d'accordo sul fatto che coloro che contestavano Bonanni non avessero in testa in via immediata la difesa delle classi più deboli: il mio discorso s'incentra sul clima generale, non tanto sulle singole azioni poste in essere;
- sul chi abbia ragione e chi abbia torto non entro, dato che questo è entrare nel merito della questione che non ci riguarda ai fini del post;
- sono pure d'accordo che il divario tra classi derivi solo in parte dalla globalizzazione, anche se questa ha un effetto che reputo significativo sul lato della diminuzione di diritti; comunque è certo che si tratta di una delle cause.
Quanto a Enrico, osservo, punto per punto, che:
- lo SdL è anche frutto di lotte violente, e quindi siamo d'accordo;
- sono pure d'accordo sul fatto che coloro che contestavano Bonanni non avessero in testa in via immediata la difesa delle classi più deboli: il mio discorso s'incentra sul clima generale, non tanto sulle singole azioni poste in essere;
- sul chi abbia ragione e chi abbia torto non entro, dato che questo è entrare nel merito della questione che non ci riguarda ai fini del post;
- sono pure d'accordo che il divario tra classi derivi solo in parte dalla globalizzazione, anche se questa ha un effetto che reputo significativo sul lato della diminuzione di diritti; comunque è certo che si tratta di una delle cause.
Sono, anagraficamente, un poco più giovane di te, quindi dei picchetti e delle rivendicazioni operaie ne ho una visione filmica e libresca (lo so, non basta). Però un poco ho frequentato i centri sociali e conosco bene alcuni che continuano a frequentarli e ho paura. Ho paura di non aver capito perchè fischiano. Ho paura di non aver compreso quello che chiedono. Anzi, facciamo che ho paura di aver capito che questi che fischiano non sono migliori di chi viene fischiato. Perche? Perchè rivendicano un diritto al consumo. Chiedono, questo un poco ho capito frequentandoli, di poter stare comodi comodi a tavola. A differenza di te, penso che non accadrà un bel nulla per il semplice fatto che chi fischia non è più proletario pur essendolo. Perchè? Perchè gode di un benessere intellettuale e per questo chiede un benessere economico (dovrebbero vivere la loro vita al contrario). I miei conoscenti che di sabato sera vanno al centro sociale o alla Festa di Radio Onda d'Urto sono arrabbiati con Berlusconi perchè lui è ricco e scopa tanto (motivo valido, se si vuole) e non per questioni di mercato, di diritti profondi o globalizzazione. Non sopravvalutiamoli. C'è un altro mio amico che sabato sera è rimasto a casa a studiare e prima di andare a dormire mi ha scritto che era stanco. Non sottovalutiamolo.
Due osservazioni:
La prima è che una stagione di tensione ha più probabilità di aiutare le forze reazionarie che quelle progressiste (Berlusconi è ben contento di queste contestazioni).
La seconda è che non è vero che terrorismo e tensione sociale degli anni settanta siano scindibili.
ad ogni buon conto, a me rimane sempre la sensazione che i grillini (o centrosocialisti che siano) che sbagliano, così come i compagni che sbagliavano a fine anni '70, siano guidati da qualcuno che ha tutto da guadagnarci ad innalzare il livello di tensione. (Sì, c'è sempre l'ipotesi "mai sottovalutare la stupidità della gente, soprattutto quando si riunisce", ma stamattina sono insolitamente ottimista)
Qualche giorno fa scrivevo dei miei timori di una nuova strategia della tensione.
"i loggionisti talora fischiamo il direttore d'orchestra, ma lo fanno dopo, e non prima, l'esecuzione dell'opera."
Qui si contestava il direttore d'orchestra,anche se avesse diretto come Toscanini.
Le idee si contestano dopo averle scoltate,i mafiosi prima che parlino
Ho cambiato la regola della casa in tema di censura dei commenti. Ora non si parla più di "insulti e sciocchezze" bensì di "insulti e le cose scritte per pura provocazione gratuita".
Per quanto mi riguarda, invece, hai scritto perfettamente quello che da giorni cercavo di pensare senza riuscirci. Sono anch'io un po' confuso, infatti.
E tempo che anche sempreunpoadisagio abbia le sue buone ragioni a non sopravvalutare i contestatori.
Ma se le fabbriche non ci sono più, se le lotte sindacali hanno come l'obbiettivo il prepensionamento, se per far fare lo scalino a pochi si è dimenticato di tutti quelli che che se lo sognano uno scalone. Di che diritti parliamo?
"le idee si contestano dopo averle ascoltate, i mafiosi prima che parlino". e chi stabilisce a priori chi e' mafioso e chi no?
una frase del genere e' da fascisti o da sciocchi.
o tutt'e due
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