Ho visto per qualche momento una trasmissione su La 7, dedicata alla crisi dei mutui.
C'è Bersani, c'è Gasparri, c'è anche il pessimo Lanutti, quello a cui mi riferivo in primis quando parlavo male delle associazioni dei consumatori.
Riesco, per la seconda volta, ad apprezzare Gasparri, che difende l'accordo ABI-Tremonti mentre Bersani ripete come un disco rotto "surroga" e "portabilità". Dicevo non più tardi di ieri che queste parole sembrano diventate la panacea per tutti i mali, ed eccone la riprova.
Avrete ormai capito che io alla portabilità ci credo poco, mentre la tremontata mi piace. E non perché mi piaccia Tremonti o il Cavaliere, anzi! E non perché sia dalla parte delle banche. Dato che, come spiegherò, la tremontata alle banche non piace per niente. Ma questo è un interludio: non voglio inserirmi nella serie sui mutui ma fare solo due osservazioni laterali.
La prima: nessuno in televisione ha ancora capito che il problema non sono i mutui ma i prezzi delle case? O semplicemente non lo si vuole spiegare?
Nessun giornalista ha capito che se un appartemento di 60 metri viene venduto a 250.000 euro, e uno stipendio medio è di 1.500 euro, una volta tolti 500 euro per mangiare pane e mortadella, ci vorrebbero 21 anni solo per pagare il capitale senza interessi?
E la colpa di ciò di chi è: delle banche o delle politiche abitative degli ultimi 30 anni? Mi ricordo che quando ero piccolo c'erano le case popolari: mia nonna ci abitava, mio padre ci era vissuto: e non erano dei disgraziati, bensì gente normalissima che lavorava e studiava.
Perché oggi la casa popolare è un privilegio di chi è talmente in disgrazia da potersi conquistare il diritto di abitarci? Perché edilizia pubblica sembra ormai un sinonimo di kolchoz?
Non è forse che si punta l'attenzione sui mutui per distoglierla dal mercato abitativo e dai guasti della speculazione edilizia? Speculazione edilizia: locuzione che odora di anni '60. Ma se abitate a Milano e riflettete un attimo su parcheggi interrati, quartiere Isola, Expo, riqualificazione delle aree dismesse e via discorrendo, vi accorgete che oggi la speculazione c'è davvero, e quella di 30 anni fa era un gioco da bambini dell'oratorio. E nelle altre città, è forse diverso?
La seconda osservazione è metodologica: riguarda il fatto che la realtà è complessa. Mi sembra di aver già detto la medesima cosa riguardo ad alitalia, forse mi ripeto ma ne sento il bisogno.
Io sto consumando svariate serate a scrivere migliaia di parole per cercare di spiegare un problema e dare una chiave interpretativa utile a chi mi legge. Capisco di essere noioso e talvolta pedante, ma vi assicuro che sto semplificando moltissimo, al limite del travisamento: più corto o più semplice non potrei perché non ne sarei capace e non sarei obiettivo.
Mi rendo conto benissimo che talvolta sono troppo involuto, uso termini complessi, salto passaggi logici che dò per scontati: perché non ho tempo a sufficienza, ma anche perché non posso trattare i miei pochi lettori come dei cretini. Poi vedo i dibattiti in televisione e vedo che il pubblico è trattato peggio che all'asilo infantile.
Questo da un lato mi disgusta, ma allo stesso tempo mi rendo conto che non si può chiedere a una persona normale di interessarsi di tutto e di approfondire tutto: io per esempio non mi interesso minimamente al delitto di Perugia, che probabilmente è fondamentale per altri; e quindi mi chiedo se abbia senso il mio lavoro.
Comunque ormai siamo alla fine: tra poco avrò raccontato tutto quello che so sulle rinegoziazioni, e ognuno sarà libero di scegliere il da farsi con la propria testa.
mercoledì 1 ottobre 2008
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