lunedì 27 ottobre 2008

Referenda

Alessandro Gilioli, qui, esprime le sue considerazioni sulla necessità di firmare il referendum sul lodo Alfano.

Egli dà conto, fra l'altro, della principale critica mossa all'iniziativa: vale a dire che anche qualora si raccogliessero le firme, la (probabile) mancanza del quorum renderebbe l'iniziativa non solo vana, ma altresì controproducente in quanto legittimerebbe il lodo stesso.
E', per intenderci, quello che è successo con la famigerata legge 40, quella sulla fecondazione assistita, che (almeno nella mia testa) va sicuramente contro il comun sentire degli italiani, ma la cui abrogazione, sottoposta a referendum, ha preso una sonora batosta.

Io ho una posizione personale ben definita: non firmerò mai e poi mai per alcun referendum; una volta poi che questo fosse approvato, mi reco a votare se sono d'accordo con la proposta referendaria e sto a casa in caso contrario; ma comunque non firmo.
Vi è anzitutto un motivo pratico, lo stesso evidenziato da Gilioli: vale a dire che in Italia, oggi come oggi, una proposta referendaria parte già con uno svantaggio del 25% (dato riferito all'astensione fisiologica): deve quindi raccogliere l'adesione del 67% dei cittadini, non del 50%. (mi spiego con i numeri: ci sono 100 elettori, ma solo 75 vanno normalmente a votare; se al referendum chi vuole "sì" vota, e chi vuole "no" sta a casa, ecco che devono essere per il "sì" 51 elettori. Ma i 51 vanno calcolati su 75, non su 100: e fa il 67%).
Ecco dimostrato che una proposta referendaria, per passare, ha bisogno del consenso dei due terzi dei cittadini. Ma in un mondo ormai così polarizzato, una proposta che raccoglie il consenso di due cittadini su tre viene fatta propria anzitutto dal Parlamento, perché i parlamentari sono i primi a fiutare l'aria che tira.

Questo motivo pratico ha peraltro delle basi strutturali ben precise, che dobbiamo cercare di comprendere.
Due sono i problemi dell'istituto referendario, anzi due e mezzo.
Il primo è il doppio quorum calcolato sia sugli elettori che sui votanti: è il meccanismo che fa sì che si arrivi al famoso 66%. Se non ci fosse il quorum sugli elettori, il risultato referendario rispecchierebbe la volontà dei votanti, e l'istituto tornerebbe ad avere un significato.
Ma, e questo è il mezzo problema, il rischio sarebbe di portare a casa risultati che, pur rispecchiando la volontà dei votanti, non rispecchierebbero per niente la volontà popolare. E qui ci sono solo due soluzioni possibili: o si costringe la gente ad andare a votare (il che non ha senso, finché se il non andare a votare può anche essere espressione di una volontà precisa) oppure si alza significativamente il numero di firme, per essere certi che le proposte referendarie abbiano ad oggetto temi sentiti dall'elettorato e non minchiate: andatevi a vedere l'elenco delle passate consultazioni, se avete dei dubbi.

Il secondo problema è che, per come è organizzato il farraginoso sistema di convocazione, tra la raccolta di firme e lo svolgimento della consultazione passa, se va bene, almeno un anno. E se quattro mesi per indire una manifestazione sono troppi, un anno per una consultazione su un argomento "di pancia" come il lodo Alfano sono un'infinità di tempo.

Vedete bene come si tratti di problemi strutturali, non legati alla bontà dell'iniziativa, ma all'istituto in sé.
Quindi, in sintesi: o si riforma sostanzialmente l'istituto referendario, a) eliminando il quorum degli elettori e alzando il numero di firme necessarie (facendone quindi un evento raro ed eccezionale); b) rendendo immediata la proposizione del quesito e l'espressione del corpo elettorale (facendone uno strumento comunissimo e quasi apolitico, come in Isvizzera, per esempio); oppure il referendum resterà necessariamente limitato nell'applicazione a grandi questioni di coscienza, quali divorzio e aborto, come peraltro era nella volontà dei costituenti; e anche qui ormai si dimostra inattuale, come ha ben dimostrato la consultazione sulla legge 40.

5 commenti:

.mau. ha detto...

La mia idea al riguardo è che occorrerebbe contemporaneamente
- alzare il numero di firme al 2% degli aventi diritto al voto alla Camera nelle ultime elezioni politiche (in questo momento, circa 946.000)
- abbassare il quorum alla metà dei votanti alla Camera alle ultime elezioni politiche (in questa legislatura, il 40,2% del corpo elettorale)
In questo modo, si riduce il numero di referendum che raccolgono il numero di firme sufficiente, ma d'altra parte si rende più semplice raggiungere il quorum, facendo diventare rischioso l'astensionismo.
Per quanto riguarda il referendum sulla legge 40, mi sa che hai calcolato il "sentire comune" di una parte numericamente molto ridotta dell'elettorato :-)

m.fisk ha detto...

Sì, mi sembra che queste percentuali abbiano un loro perché.

Per quanto riguarda la legge 40, quello è il "comune sentire" delle persone che frequento: in effetti non è un campione rappresentativo ;-)

Ipazia Sognatrice ha detto...

Personalmente non condivido quella che, se ho letto bene, mi sembra una poszione aprioristica: quella di non firmare per nessun referendum. La mia incomprensione sarà certamente dovuta ad un mio limite, ma tuttavia non capisco perché, se sei d'accordo con quanto il referendum si propone, tu non voglia firmare prima e votare poi.
Non sono nemmeno d'accordo sul fatto che il governo vada automaticamente verso quanto vogliono 2/3 degli italiani: il Lodo Alfano è uno dei tanti provvedimenti che interessano, nella pratica, solo a Berlusconi e a qualcun altro di simile. Se questo dovesse entrare in vigore nonostante il referendum, ciò sarà dovuto ad un'oculata capacità di intortare l'elettorato con questa o quella balla, in modo che voti dove il governo vuole che voti.
E' un fatto che l'elettorato non sia un'entità che più delle altre brilli per acume. Mi chiedo quanti in Italia si rendano esattamente conto del fatto che un referendum possa essere solo abrogativo. Una prova di questa ignoranza si è avuta proprio con il referendum sulla legge 40. Molti hanno votato sì, approvando di fatto la legge, credendo di votare sì alla fecondazione assistita ed alla sperimentazione sulle cellule staminali, come la legge 40 le impediva, complici gli slogan pre-referendari (questo, lasciando da parte qualsiasi considerazione circa l'opportunità di affidare al giudizio del popolo una decisione così delicata che dovrebbe essere invece affidata ad una commissione di bioetica).

Anonimo ha detto...

Non sono d'accordo col tuo calcolo. Se su 100 aventi diritto al voto vanno a votare in 75, per far passare il "si", quelli che votano "si" devono superare il 50%, quindi, se ne so abbastanza di aritmetica, 38 ( 75:2 = 37,5 ); che non sono certo il 66% degli aventi diritto.

Ipazia Sognatrice ha detto...

Infatti, Bertoldo. Il punto è che il 50+1 si applica alla totalità dell'elettorato che può votare, cioè i 100 cittadini. Ma poi solo 75 vanno davvero a votare. Per avere il 50+ 1 del totale 100 da questi effettivi 75, devono votare sì il 67% di questi 75. Il 67% dei 75 corrisponde il 50%+1 dei 100. Il minimo legale.

 

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