Non so, a me pare che aiutare un malato di depressione a suicidarsi sia un po' come curare un anemico con un salasso.
Io non sono certo contrario al suicidio assistito, ma credo che un medico dovrebbe prestarvisi solo quando ha di fronte un malato terminale, o comunque un malato che non è in grado di disporre da solo di sé.
E non conta che chi chiede assistenza sia convinto di quello che vuol fare, né che ci abbia meditato per mesi o per anni: la depressione è una malattia spesso inguaribile, però controllabile con le cure adeguate. E dato che la volontà di suicidio è un sintomo delal depressione, assecondare tale volontà significa aiutare la malattia nel suo decorso anziché combatterla.
Daresti una purga a chi sta morendo di dissenteria?
martedì 29 novembre 2011
lunedì 28 novembre 2011
Il mucchio selvaggio
L'altra sera sono andato a vedere il concerto dei Fuck Yous, la band capitanata da Livefast che, se vogliamo dirla tutta, non ha un nome tra i più fini della piazza. Ma se credete che una rock band debba avere un nome fino, allora probabilmente nella diatriba tra Robert Palmer e Bruce Springsteen parteggiavate per il primo, oppure siete troppo piccini per rammentare di cosa stia parlando.
Comunque, sta di fatto che nell'avanspettacolo c'era occasione di incontrare un bel po' di gente che non conoscevo di persona, ma essendo io legato al ragazzino -il quale, giustamente, se ne stava un po' in imbarazzo, unico minorenne maschio (poi c'era Jules, ma lei in quanto ottenne era troppo piccina per lui [e spero che apprezziate la mia capacità di annidare incisi {peraltro inutili}])- mi sono saltato un bel po' di facce: e forse anche la grappa della signora Livefast ha avuto il suo ruolo.
Insomma, alle 23 il concerto è iniziato. Il cantante era completamente ubriaco, il che dimostra che egli è uomo d'onore dato che aveva promesso che non sarebbe salito sul palco se non in condizioni tali da non stare in piedi: e difatti un paio di volte è rovinato sulle pedaliere, il che non ha peggiorato il sound (anche questo è un complimento, salvo per le groupie di Robert Palmer).
Qui dovrei fare una recensione del concerto, ma dato che io non distinguo un rullante da un fretless bass la cosa è tutt'altro che facile. Posso però dire che verso la metà del concerto ho avuto un'illuminazione e mi sono reso conto di vedere redivivi i grandi The Who (i giovini all'ascolto possono guardare qui per farsi un'idea).
Certo, Livefast non ha i riccioli boccolosi di Roger Daltrey, Skate (il batterista) ha sì rotto un pezzo del suo strumento, ma senza quella malagrazia che Keith Moon aveva acquisito in tanti anni di onorato casino, e Zukko (il chitarrista) non ci ha deliziato con il windmill. Ma in tutto quel puttanaio che succedeva sul palco spiccava la deliziosa -non solo come performer- bassista Molecole, che in perfetta sintonia con il gran vecchio John Entwistle se ne stava calma e placida a pizzicare le corde con precisione, guardando perplessa gli altri compagni d'avventura.
Alcune introduzioni di Livefast hanno spinto Nichita a chiedermi di cosa parlassero le canzoni: ho avuto agio a trincerarmi dietro al fatto che il cantante fosse un po' alticcio e pertanto non riuscissi a decifrarne l'accento oxoniano, così ho potuto evitare di tradurre "Swastika shaved pussy" o di spiegare il segreto di Alide (che poi se qualcuno me lo spiegasse anche a me gli sarei grato).
Alla fine i più tosti della serata si sono esibiti in caròle irlandesi: la presenza di una gentile signora tra i pogatori ha evitato che ci si facesse troppo male, in ispecie da parte di chi non ci ha più l'età ma si sente giovYne dentro.
Una grande serata: chi non è venuto fa bene a mangiarsi le mani e il cappello in attesa della prossima occasione.
lunedì 21 novembre 2011
Monoculi
Lo Stefano di questa mostra è uno dei più cari amichetti miei, ci ha le manine (vabbe', il diminutivo è una licenza poetica) d'oro e fa delle cose belle e inquietanti.
Espone all'Acquario Civico insieme a un'altra svitata quanto lui, e la mostra sta lì fino all'Epifania, per cui tempo per andarci ce n'è a strafottere.
L'ingresso è anche libero, per cui se avete un attimo di tempo perché non farci un salto?
Se poi ci andate alla vernice, il 2 dicembre, ci vediamo pure e ci beviamo a scrocco un bicchiere.
Espone all'Acquario Civico insieme a un'altra svitata quanto lui, e la mostra sta lì fino all'Epifania, per cui tempo per andarci ce n'è a strafottere.
L'ingresso è anche libero, per cui se avete un attimo di tempo perché non farci un salto?
Se poi ci andate alla vernice, il 2 dicembre, ci vediamo pure e ci beviamo a scrocco un bicchiere.
domenica 20 novembre 2011
Quelli della decrescita
Di deficienti che pensano alla decrescita felice ce n'è una vagonata. La differenza rispetto agli indignados sta nel fatto che questi ultimi sono ragazzini viziati che manifestano contro le multinazionali filmando con l'iPhone le proprie maschere prodotte da Warner e comperate su Amazon, per poi caricare il video su Youtube; quelli della decrescita hanno invece un'allure ben più seria, e fanno finta di sapere cosa stanno banfando.
Uno di questi decrescenti figuri è Paolo Cacciari, noto (noto?) in quanto fratello di quell'altro a sua volta noto più per ciò che ha fatto in Brianza che per quel che ha combinato nella città di cui era sindaco; ma rischieremmo di divagare e quindi concentriamoci sul decrescente e sull'intervista recentemente rilasciata la quale, essendo ricchissima di corbellerie, è stata subito ripresa su un blog dell'unico foglio italiano il cui direttore riesce a dare dignità a Zio Tibia Sallusti: e non mi riferisco solo al fatto che Zio Tibia paga i propri collaboratori.
Il cerchio si chiude, dato che il tenutario del blog, tale (di nuovo!) Stefano Corradino, altri non è se non colui che ha intervistato il Cacciari: e lo ringraziamo dell'uno e dell'altro pezzo, che ci hanno regalato qualche quarto d'ora di divertita letizia.
Il problema, ora che ci siamo ripresi dalle convulsioni, è da che parte iniziare a dipanare l'aggrovigliata matassa di stronzate che ci hanno così allietato.
Forse potremmo cominciare dal Corradino e dalla sua affermazione Il baratto è la forma primordiale di economia. Solo al 620 a.C. (la data divide gli storici) sarebbe attribuita l’invenzione della moneta. Complimenti, Corradino! Lei ha letto Wikipedia ma, come cerco di insegnare a mio figlio, non basta copincollare, bisogna anche capire quello che si legge.
Vero è infatti che probabilmente verso il VII secolo a.c. nacque la moneta, ma intesa come coin, non come money. Non è che prima dell'invenzione della moneta metallica si usasse il baratto: si usavano i metalli preziosi, solo che li si pesava. E, guardi, per cose piccole si usava addirittura scambiarsi le conchiglie, il sale e mille altre cose; ma non si barattava quasi nulla, per l'enorme scomodità insita nel baratto.
Veda, Corradino: Lei sarà anche un giornalista pubblicista, e ci ha un blog sul sito di un quotidiano che certo non è tenero con la Chiesa, ma se avesse mai pensato di compulsare la Bibbia, o anche solo il sussidiario delle elementari, alle pagine sull'antico Egitto, si sarebbe reso conto che porre la fine del baratto nel VII secolo è una sciocchezza, e che nessuno storico si è mai diviso su tale opinione, e che è molto molto furbo mettere le mani avanti dicendo che la data divide gli storici al fine di mascherare in forma di contrasto storiografico la propria mancanza d'approfondimento. Metodo, quel di inventarsi di sana pianta le cose, peraltro dimolto utilizzato dal direttore della testata che ospita il blog.
Passiamo ora al Cacciari, che al lettore disattento (o fideisticamente prono a bersi tutto ciò che gli ammannisce la testata quotidiana, immerso in una permanente sospensione del senso critico) sembra ragionare con tanto di testa sule spalle. Ma proviamo a destrutturare il discorso: a sfrondare parentesi e incisi: a togliere un po' di pizzi e merletti per guardare la ciccia, insomma.
Abbiamo così agio di leggere stille di pensiero quali:
"Quando i manager dell’industria vengono pagati con le azioni e non con i fatturati industriali, allora si capisce bene che il sistema economico è semplicemente impazzito" (petizione di principio, caro il mio Cacciari: perché mi afferma ciò? A parte il fatto che quando mai i manager vengono pagati con i fatturati? al limite con gli utili; ma resta il fatto che ciascuno ha diritto di farsi pagare come meglio crede: magari anche in greggi di pecore. Lo sostiene Lei stesso, più sotto)
"Ogni debito ha il difetto di portarsi dietro un creditore che chiederà per se sempre qualche denaro in più del rendimento dei profitti industriali. E’ la crescita che produce il debito!" (confondere il saggio d'interesse con il tasso di crescita del PIL è cosa talmente idiota che può essere solo una vigliaccata retorica. Tana!)
"si possono creare e produrre dei beni, delle cose utili senza che assumano per forza la forma di merci" (complimenti: Lei mi ha scoperto che siamo parte di un'economia basata sui servizi. Mi compiaccio vivissimamente)
"Serge Latouche dice che dobbiamo “decolonizzare l’immaginario” e Gregory Bateson scriveva di “ecologia della mente”" (Estiquatsi!)
"il nuovo potente paradigma che ci indica come sia possibile transitare dalla società del possesso a quella dell’essere, dalla competizione alla cooperazione, dal saccheggio alla preservazione, alla sufficienza, all’abbastanza, alla frugalità." (Si risparmi di considerarmi cretino; e si rammenti che ci si dovrebbe sciacquare sempre la bocca quando si esce la carta "paradigma" per indicare una propria fantasia)
"noi siamo sicuramente scemi" (come dargli torto?)
"Il guaio è quando natura e lavoro diventano meri strumenti (coseificazione e alienazione) per l’accrescimento del capitale impiegato nei cicli produttivi. La famosa “distruzione creativa” schumpeteriana distrugge più di quanto non riesca a creare." ("paradigma" era più concreto: qui siamo alle parole in libertà senza controllo, ma sempre vestite di un qualche broccato che dovrebbe ingenerare nel lettore ammirazione e rispetto per il profondo intellettuale che le maneggia)
"Swadeshi, diceva Gandhi, per indicare l’autodeterminazione dei villaggi. Comunanze, si potrebbero chiamare, ma non chiuse, in reciproco, paritario rapporto tra loro. Bioregioni. Per un’idea di bioumanesimo planetario." (probabilmente beve: sarà contento Petrini).
Congediamo Cacciari, e torniamo al Corradino e al suo dotto articolo, ché non sarà certo uno strafalcione storico a sminuirne la profondità.
Il Corradino quindi ci propugna il ritorno al baratto, pubblicizzando anche una Settimana del Baratto che dovrebbe essere una gran figata, non foss'altro perché ci ha anche una pagina su Facebook.
Come scrive il Corradino, "In cambio di un soggiorno di uno o due notti gli ospiti canteranno, daranno qualche lezione di pianoforte, doneranno il loro olio e vino o un vecchio computer impolverato ma ancora funzionante. Nessun pagamento, nessun prelievo al bancomat nè anticipo contanti. Lo scambio è in natura" (e il grassetto è suo).
Bene, la volete sapere una cosa? Tutto ciò è vietato. Non si può fare, è illegale.
Si chiama evasione fiscale, e più precisamente evasione dell'Imposta sul Valore Aggiunto: perché l'IVA va pagata comunque, cari i miei bucolici nostalgici dei bei tempi che furono, quando si andava a far la spesa con qualche pecora nel borsellino. E francamente mi piacerebbe molto che, in quel B&B dove il gitante fa lezione di aramaico alla figlia dell'oste, a un certo punto entrasse un finanziere e pretendesse di vedere la fattura; e mi piacerebbe che i barattanti si guardassero nelle palle degli occhi esclamando: "ma come... non sapevamo... ma l'abbiamo letto sul giornale... ma perché non ce l'hanno detto..."; e mi piacerebbe, soprattutto, sapere come farà Saint-Just Travaglio a giustificare che sul proprio foglio sia stato pubblicato un invito ad evadere le tasse.
Uno di questi decrescenti figuri è Paolo Cacciari, noto (noto?) in quanto fratello di quell'altro a sua volta noto più per ciò che ha fatto in Brianza che per quel che ha combinato nella città di cui era sindaco; ma rischieremmo di divagare e quindi concentriamoci sul decrescente e sull'intervista recentemente rilasciata la quale, essendo ricchissima di corbellerie, è stata subito ripresa su un blog dell'unico foglio italiano il cui direttore riesce a dare dignità a Zio Tibia Sallusti: e non mi riferisco solo al fatto che Zio Tibia paga i propri collaboratori.
Il cerchio si chiude, dato che il tenutario del blog, tale (di nuovo!) Stefano Corradino, altri non è se non colui che ha intervistato il Cacciari: e lo ringraziamo dell'uno e dell'altro pezzo, che ci hanno regalato qualche quarto d'ora di divertita letizia.
Il problema, ora che ci siamo ripresi dalle convulsioni, è da che parte iniziare a dipanare l'aggrovigliata matassa di stronzate che ci hanno così allietato.
Forse potremmo cominciare dal Corradino e dalla sua affermazione Il baratto è la forma primordiale di economia. Solo al 620 a.C. (la data divide gli storici) sarebbe attribuita l’invenzione della moneta. Complimenti, Corradino! Lei ha letto Wikipedia ma, come cerco di insegnare a mio figlio, non basta copincollare, bisogna anche capire quello che si legge.
Vero è infatti che probabilmente verso il VII secolo a.c. nacque la moneta, ma intesa come coin, non come money. Non è che prima dell'invenzione della moneta metallica si usasse il baratto: si usavano i metalli preziosi, solo che li si pesava. E, guardi, per cose piccole si usava addirittura scambiarsi le conchiglie, il sale e mille altre cose; ma non si barattava quasi nulla, per l'enorme scomodità insita nel baratto.
Veda, Corradino: Lei sarà anche un giornalista pubblicista, e ci ha un blog sul sito di un quotidiano che certo non è tenero con la Chiesa, ma se avesse mai pensato di compulsare la Bibbia, o anche solo il sussidiario delle elementari, alle pagine sull'antico Egitto, si sarebbe reso conto che porre la fine del baratto nel VII secolo è una sciocchezza, e che nessuno storico si è mai diviso su tale opinione, e che è molto molto furbo mettere le mani avanti dicendo che la data divide gli storici al fine di mascherare in forma di contrasto storiografico la propria mancanza d'approfondimento. Metodo, quel di inventarsi di sana pianta le cose, peraltro dimolto utilizzato dal direttore della testata che ospita il blog.
Passiamo ora al Cacciari, che al lettore disattento (o fideisticamente prono a bersi tutto ciò che gli ammannisce la testata quotidiana, immerso in una permanente sospensione del senso critico) sembra ragionare con tanto di testa sule spalle. Ma proviamo a destrutturare il discorso: a sfrondare parentesi e incisi: a togliere un po' di pizzi e merletti per guardare la ciccia, insomma.
Abbiamo così agio di leggere stille di pensiero quali:
"Quando i manager dell’industria vengono pagati con le azioni e non con i fatturati industriali, allora si capisce bene che il sistema economico è semplicemente impazzito" (petizione di principio, caro il mio Cacciari: perché mi afferma ciò? A parte il fatto che quando mai i manager vengono pagati con i fatturati? al limite con gli utili; ma resta il fatto che ciascuno ha diritto di farsi pagare come meglio crede: magari anche in greggi di pecore. Lo sostiene Lei stesso, più sotto)
"Ogni debito ha il difetto di portarsi dietro un creditore che chiederà per se sempre qualche denaro in più del rendimento dei profitti industriali. E’ la crescita che produce il debito!" (confondere il saggio d'interesse con il tasso di crescita del PIL è cosa talmente idiota che può essere solo una vigliaccata retorica. Tana!)
"si possono creare e produrre dei beni, delle cose utili senza che assumano per forza la forma di merci" (complimenti: Lei mi ha scoperto che siamo parte di un'economia basata sui servizi. Mi compiaccio vivissimamente)
"Serge Latouche dice che dobbiamo “decolonizzare l’immaginario” e Gregory Bateson scriveva di “ecologia della mente”" (Estiquatsi!)
"il nuovo potente paradigma che ci indica come sia possibile transitare dalla società del possesso a quella dell’essere, dalla competizione alla cooperazione, dal saccheggio alla preservazione, alla sufficienza, all’abbastanza, alla frugalità." (Si risparmi di considerarmi cretino; e si rammenti che ci si dovrebbe sciacquare sempre la bocca quando si esce la carta "paradigma" per indicare una propria fantasia)
"noi siamo sicuramente scemi" (come dargli torto?)
"Il guaio è quando natura e lavoro diventano meri strumenti (coseificazione e alienazione) per l’accrescimento del capitale impiegato nei cicli produttivi. La famosa “distruzione creativa” schumpeteriana distrugge più di quanto non riesca a creare." ("paradigma" era più concreto: qui siamo alle parole in libertà senza controllo, ma sempre vestite di un qualche broccato che dovrebbe ingenerare nel lettore ammirazione e rispetto per il profondo intellettuale che le maneggia)
"Swadeshi, diceva Gandhi, per indicare l’autodeterminazione dei villaggi. Comunanze, si potrebbero chiamare, ma non chiuse, in reciproco, paritario rapporto tra loro. Bioregioni. Per un’idea di bioumanesimo planetario." (probabilmente beve: sarà contento Petrini).
Congediamo Cacciari, e torniamo al Corradino e al suo dotto articolo, ché non sarà certo uno strafalcione storico a sminuirne la profondità.
Il Corradino quindi ci propugna il ritorno al baratto, pubblicizzando anche una Settimana del Baratto che dovrebbe essere una gran figata, non foss'altro perché ci ha anche una pagina su Facebook.
Come scrive il Corradino, "In cambio di un soggiorno di uno o due notti gli ospiti canteranno, daranno qualche lezione di pianoforte, doneranno il loro olio e vino o un vecchio computer impolverato ma ancora funzionante. Nessun pagamento, nessun prelievo al bancomat nè anticipo contanti. Lo scambio è in natura" (e il grassetto è suo).
Bene, la volete sapere una cosa? Tutto ciò è vietato. Non si può fare, è illegale.
Si chiama evasione fiscale, e più precisamente evasione dell'Imposta sul Valore Aggiunto: perché l'IVA va pagata comunque, cari i miei bucolici nostalgici dei bei tempi che furono, quando si andava a far la spesa con qualche pecora nel borsellino. E francamente mi piacerebbe molto che, in quel B&B dove il gitante fa lezione di aramaico alla figlia dell'oste, a un certo punto entrasse un finanziere e pretendesse di vedere la fattura; e mi piacerebbe che i barattanti si guardassero nelle palle degli occhi esclamando: "ma come... non sapevamo... ma l'abbiamo letto sul giornale... ma perché non ce l'hanno detto..."; e mi piacerebbe, soprattutto, sapere come farà Saint-Just Travaglio a giustificare che sul proprio foglio sia stato pubblicato un invito ad evadere le tasse.
venerdì 18 novembre 2011
Il poeta e il contadino
Molti di voi rammenteranno che all'inizio dell'estate la Camera bocciò un disegno di legge costituzionale presentato dall'Italia dei Valori (lo trovate trascritto in questo mio vecchio post), con il quale si cancellava la parola "Province" dalla Costituzione, fregandosene altamente di come si sarebbe poi disciplinato il passaggio delle competenze (e dei bilanci, dei dipendenti, dei beni e via discorrendo) di questi enti apparentemente inutili ad altri enti presumibilmente più utili.
La proposta del partito di Di Pietro, infatti, si limitava a dire che a ciò ci si sarebbe pensato entro un anno con legge ordinaria. In parole povere, Di Pietro aveva presentato una proposta di legge per dare una mano di bianco su un muro che avrebbe dovuto essere costruito da altri, dopo l'imbiancatura.
Si trattava di un provvedimento demenziale, populista e demagogico, buono solo per fare quell'ammuina che permette di dire «Noi abbiamo fatto!!!» anche a chi non ha fatto un beato cazzo. Certo alcuni noti commentatori si sono indignati per l'astensione allora espressa dal PD: ma il loro sdegno non fa che rafforzare la convinzione che quella proposta fosse una sesquipedale cazzata.
Io questa cosa me la ricordo molto bene, perché mi ci ero dimolto indignato pur io, anche se nel senso opposto a quello dei commentatori sopra richiamati. E pertanto doppiamente gradita mi è risultata questa frase contenuta nelle dichiarazione programmatiche del Governo Monti:
La proposta del partito di Di Pietro, infatti, si limitava a dire che a ciò ci si sarebbe pensato entro un anno con legge ordinaria. In parole povere, Di Pietro aveva presentato una proposta di legge per dare una mano di bianco su un muro che avrebbe dovuto essere costruito da altri, dopo l'imbiancatura.
Si trattava di un provvedimento demenziale, populista e demagogico, buono solo per fare quell'ammuina che permette di dire «Noi abbiamo fatto!!!» anche a chi non ha fatto un beato cazzo. Certo alcuni noti commentatori si sono indignati per l'astensione allora espressa dal PD: ma il loro sdegno non fa che rafforzare la convinzione che quella proposta fosse una sesquipedale cazzata.
Io questa cosa me la ricordo molto bene, perché mi ci ero dimolto indignato pur io, anche se nel senso opposto a quello dei commentatori sopra richiamati. E pertanto doppiamente gradita mi è risultata questa frase contenuta nelle dichiarazione programmatiche del Governo Monti:
Il riordino delle competenze delle Province può essere disposto con legge ordinaria; la prevista specifica modifica della Costituzione potrà completare il processo, consentendone la completa eliminazione, così come prevedono gli impegni presi con l’Europa.Prima si costruisce il muro, poi lo si imbianca.
mercoledì 16 novembre 2011
Il medioevo prossimo venturo
In questi giorni (e da ultimo in particolare in molti commenti al mio post precedente apparsi sul socialcoso fighetto) si risente parlare di speculazione finanziaria e di ricchezza finanziaria, come se tutto ciò che esce dalla "finanza" sia un qualcosa di diverso e contrapposto a tutto ciò che esce dall'"economia reale".
Mi rendo conto che ciò che all'inizio appariva come una mera semplificazione giornalistica è divenuta, nelle menti del grande pubblico, una realtà oggettiva e indiscutibile: da una parte l'operaio (che essendo operaio è per definizione operoso) e il contadino (operoso in quanto diretto discendente del bove); dall'altra il finanziere in ghette e cilindro uscito paro paro dalle pagine di Brecht, il cui unico scopo nella vita è di impoverire i ceti produttivi per arricchirsi smodatamente.
Il buffo di tutto ciò è che spesso coloro che si convincono di questa banalità del male sono gli stessi che non si fanno scrupoli di depositare i propri sudati risparmi sul conto arancio offerto da una multinazionale olandese, al solo fine di spuntare qualche decimo di punto in più sul saggio degli interessi attivi, contravvenendo così ai precetti che dal Deuteronomio, su su fino a San Tommaso, vietano qualunque forma di interesse in quanto usurario.
Bisogna quindi decidersi: o si accetta il concetto che il denaro non può produrre denaro (e quindi si chiudono i conti correnti, si nazionalizzano gli appartamenti messi a reddito, si cancellano con un tratto di penna le polizze vita e i fondi pensione), o si ammette che rispetto alle tesi del Doctor Angelicus è passata un po' d'acqua sotto i ponti.
Non c'è nulla di male nel voler vivere in un mondo più semplice, nel quale non esistono le assicurazioni e se la casa brucia si chiede aiuto ai vicini per ricostruirla. Va benissimo desiderare una vita nella quale si vive del proprio, e quando arriva un momento di difficoltà (o magari si vuol comperare casa) i parenti fino al sesto grado si fanno in quattro per darti i soldi necessari, che poi verranno restituiti pian piano con il ricavato del proprio lavoro di lanaiuolo. Beninteso, va benissimo se hai parenti fino al sesto grado, e se costoro ti aiutano; altrimenti sei un po' nella merda, e campi di patate. Anzi no: le patate qui non sono ancora arrivate.
Mi rendo conto che ciò che all'inizio appariva come una mera semplificazione giornalistica è divenuta, nelle menti del grande pubblico, una realtà oggettiva e indiscutibile: da una parte l'operaio (che essendo operaio è per definizione operoso) e il contadino (operoso in quanto diretto discendente del bove); dall'altra il finanziere in ghette e cilindro uscito paro paro dalle pagine di Brecht, il cui unico scopo nella vita è di impoverire i ceti produttivi per arricchirsi smodatamente.
Il buffo di tutto ciò è che spesso coloro che si convincono di questa banalità del male sono gli stessi che non si fanno scrupoli di depositare i propri sudati risparmi sul conto arancio offerto da una multinazionale olandese, al solo fine di spuntare qualche decimo di punto in più sul saggio degli interessi attivi, contravvenendo così ai precetti che dal Deuteronomio, su su fino a San Tommaso, vietano qualunque forma di interesse in quanto usurario.
Bisogna quindi decidersi: o si accetta il concetto che il denaro non può produrre denaro (e quindi si chiudono i conti correnti, si nazionalizzano gli appartamenti messi a reddito, si cancellano con un tratto di penna le polizze vita e i fondi pensione), o si ammette che rispetto alle tesi del Doctor Angelicus è passata un po' d'acqua sotto i ponti.
Non c'è nulla di male nel voler vivere in un mondo più semplice, nel quale non esistono le assicurazioni e se la casa brucia si chiede aiuto ai vicini per ricostruirla. Va benissimo desiderare una vita nella quale si vive del proprio, e quando arriva un momento di difficoltà (o magari si vuol comperare casa) i parenti fino al sesto grado si fanno in quattro per darti i soldi necessari, che poi verranno restituiti pian piano con il ricavato del proprio lavoro di lanaiuolo. Beninteso, va benissimo se hai parenti fino al sesto grado, e se costoro ti aiutano; altrimenti sei un po' nella merda, e campi di patate. Anzi no: le patate qui non sono ancora arrivate.
lunedì 14 novembre 2011
Sovranità popolare e mercati finanziari
Si è molto discusso in questi giorni sull'antinomia tra politica e finanza e sul vulnus che la caduta del governo Berlusconi, e ancor più l'incarico a Mario Monti, avrebbero inferto alla democrazia parlamentare e persino alla stessa sovranità dell'Italia.
Il concetto, espresso con varie sfumature sia da destra che da sinistra, è questo: dal momento che il cambio di governo non è stato deciso da un voto del Parlamento sovrano, bensì eterodiretto dalle istituzioni europee, a loro volta costrette dalla speculazione finanziaria, ecco che in Italia avremmo un'abdicazione della sovranità del popolo in favore della sovranità dei mercati. In altre parole: accettando (e anzi propugnando) la nomina di Monti a capo del Governo, Napolitano avrebbe sancito la rinuncia al principio «una testa (di un cittadino italiano) un voto» in favore del principio assai meno democratico «un milione di dollari (di uno speculatore dovunque egli sia) un voto».
È questa, invero, una ricostruzione suggestiva: è indubbio infatti che la crisi del governo sia nata per l'impossibilità di affrontare le tempeste ribassiste sui titoli di Stato, ed è parimenti indubbio che il Parlamento, con le notevoli eccezioni di Lega e IDV, sia pur diversamente sfumate, si stia apprestando a concedere a Monti una sorta di mandato in bianco. È pure vero che l'impressione tratta dalla lettura dei giornali, nella scorsa settimana, è che venti bps di oscillazione sullo spread dei titoli di Stato sembrano oramai contare sulle scelte del Paese molto di più che un milione di voti. E questo non è punto bello.
Diametralmente opposta la posizione bersanian-casiniana secondo la quale quando la casa brucia si chiamano i pompieri senza preoccuparsi troppo dei dettagli, e poi, una volta che l'incendio si è spento, si cerca di salvare il salvabile e di ricostruire quanto è bruciato. Sono queste considerazioni di buon senso che però non risolvono, né tantomeno affrontano, il problema di fondo: è giusto, è accettabile che un oscuro trader di una banca d'affari caymanese abbia più potere di mille cittadini italiani nella scelta dei Governi della Repubblica?
Molti commentatori oggi sui giornali si muovono tra i due poli di questo dilemma, e anche i più fervidi difensori della scelta Monti puntano sull'emergenzialità della situazione finanziaria internazionale disegnando uno scenario di necessità, nel quale le regole possono essere legittimamente stiracchiate pur di salvare la barca che affonda; in tal senso, fra l'altro, va letta l'esigenza di non procedere allo scioglimento delle Camere e alle conseguenti elezioni anticipate in quanto, si afferma, durante la campagna elettorale il Paese rischierebbe seriamente di portare i libri in Tribunale.
In realtà le cose non stanno proprio così: l'analisi sopra riportata pencola vistosamente fin dalle fondamenta, e questo fa sì che tutte le successive conclusioni siano da riverificare.
Affermare che il Governo Berlusconi sia caduto per effetto della speculazione finanziaria è, semplicemente, falso. Il Governo Berlusconi è caduto per ben altri motivi: è caduto perché in buona sostanza non è esistito e non ha governato. Occupandosi unicamente di togliere le castagne dal fuoco al proprio leader, il Governo in questi tre anni e passa si è occupato principalmente di questioni del tutto estranee agli interessi del Paese: processi brevi, processi lunghi, intercettazioni, via via fino all'allentamento di vincoli in materia di riciglaggio (nei primi giorni) e alla modifica delle norme sulle quote di successione dei legittimari (negli ultimi giorni). Il tutto avrebbe anche potuto avere un senso, purché l'attenzione sui provvedimenti ad personam non facesse perdere la concentrazione sulla crescita economica, la lotta alle evasioni e la messa in sicurezza dei conti pubblici. Di questo però a Palazzo Chigi se ne sono strafregati, come icasticamente dimostrato dallo squallido balletto agostano in cui, di fronte a una situazione oramai avvitata, Tremonti *ha uscito* dal cappello, tra mille cazzate, un provvedimento tanto finanziariamente inutile quanto squallidamente ideologico quale l'abolizione delle festività civili.
Questa dimostrata insipienza è quella che ha dato la stura ai mercati, i quali di fronte al fallimento della politica di un'intera Nazione non fanno altro che prendere atto della situazione e traggono le proprie conclusioni.
L'uomo della strada pensa che i mercati finanziari siano una moderna versione dei Savi di Sion: una specie di cupola ultramafiosa in cui i capi delle grandi Banche mondiali si riuniscono, magari in qualche località sperduta del Colorado o della Svizzera, e decidono tutti insieme quale Stato rovesciare nel corso della settimana successiva. Dopodiché i trader vengono informati delle decisioni dall'alto e cominciano a vendere BTP con la velocità di criceti nella ruota, sperando che il banco salti (probabilmente questo mito ha presa in rete anche perché richiama un po' la struttura di un DDoS, che fa molto fico).
In effetti le cose non stanno così, e non stanno così per un motivo molto semplice: in ogni transazione finanziaria c'è chi compra e chi vende, e pure chi ci perde e chi ci guadagna: se compro e poi il titolo sale ho vinto, se compro e poi il titolo scende ho perso. La fortuna della singola banca, e giù giù fino al singolo trader, è quella di prevedere le mosse dei mercati meglio e prima degli altri, ed per questo che è inconcepibile un cartello finanziario di dimensioni tali da affossare uno Stato che bene o male è ancora membro del G8.
Niente cupola, quindi: semplicemente la constatazione, prima da parte di pochi e poi via via da parte di tutti, che il Governo italiano stava andando definitivamente in vacca, con conseguente corsa a liberarsi delle esposizioni verso quel Paese.
I Ferrara e le Santanché lamentano che la speculazione finanziaria abbia di fatto rovesciato il voto popolare; ma questa posizione è identica a quella di chi abbia costruito una casa abusiva sul greto di un torrente e se la veda trascinare via dalle acque alle prime piogge: l'errore l'ha fatto lui, non il fiume.
Così nel caso che ci interessa l'errore l'hanno fatto gli italiani: da quelli che hanno creduto a Mariotto Segni, quando prometteva loro che il bipolarismo li avrebbe fatti padroni del loro destino, giù giù fino a quelli che ancora ieri scendevano in piazza per riaffermare la favola della figlia di Mubarak o che nei bar ti spiegano che Berlusconi è stato vittima del signoraggio bancario.
E' la seconda volta in meno di un secolo che la totale incapacità degli italiani a distinguere uno statista da un cialtrone porta il Belpaese a mettere a rischio la stabilità dell'Europa intera: ed è solo perché in fondo vale sempre lo stereotipo dell'italiano pizza-spaghetti-mandolino -e quindi simpatico mattacchione- che ancora gli altri popoli europei non cominciano a chiedere ai loro governanti di trattare noi allo stesso modo in cui Churchill voleva trattare la Germania uscita sconfitta dal II conflitto mondiale (suddividerla in decine di piccoli staterelli dediti al pascolo delle vacche).
Insomma: nessuno ci ha imposto di rinunciare a una fetta della nostra sovranità, e quindi Mario Monti non è il leader di un colpo di Stato ordito dalle plutodemocrazie giudaiche internazionali: questo è un mito che lasciamo che Ferrara (troppo intelligente per crederci) ammannisca ai suoi lettori. Le cose stanno assai diversamente: il resto del mondo ci ha detto: «fate come cazzo credete, ma noi vi molliamo». E noi, che oltre ai 28 Ottobre abbiamo avuto anche dei 25 Luglio, abbiamo aperto gli occhi all'ultimo momento utile e ci siamo rassegnati ad ammettere che per tanti anni siamo stati un ammasso di deficienti invasati, poveri sciocchi inseguitori un'insegna i cui colori non comprendevamo. E così noi, non i trader caymanesi, abbiamo cambiato: meglio tardi che mai.
Il concetto, espresso con varie sfumature sia da destra che da sinistra, è questo: dal momento che il cambio di governo non è stato deciso da un voto del Parlamento sovrano, bensì eterodiretto dalle istituzioni europee, a loro volta costrette dalla speculazione finanziaria, ecco che in Italia avremmo un'abdicazione della sovranità del popolo in favore della sovranità dei mercati. In altre parole: accettando (e anzi propugnando) la nomina di Monti a capo del Governo, Napolitano avrebbe sancito la rinuncia al principio «una testa (di un cittadino italiano) un voto» in favore del principio assai meno democratico «un milione di dollari (di uno speculatore dovunque egli sia) un voto».
È questa, invero, una ricostruzione suggestiva: è indubbio infatti che la crisi del governo sia nata per l'impossibilità di affrontare le tempeste ribassiste sui titoli di Stato, ed è parimenti indubbio che il Parlamento, con le notevoli eccezioni di Lega e IDV, sia pur diversamente sfumate, si stia apprestando a concedere a Monti una sorta di mandato in bianco. È pure vero che l'impressione tratta dalla lettura dei giornali, nella scorsa settimana, è che venti bps di oscillazione sullo spread dei titoli di Stato sembrano oramai contare sulle scelte del Paese molto di più che un milione di voti. E questo non è punto bello.
Diametralmente opposta la posizione bersanian-casiniana secondo la quale quando la casa brucia si chiamano i pompieri senza preoccuparsi troppo dei dettagli, e poi, una volta che l'incendio si è spento, si cerca di salvare il salvabile e di ricostruire quanto è bruciato. Sono queste considerazioni di buon senso che però non risolvono, né tantomeno affrontano, il problema di fondo: è giusto, è accettabile che un oscuro trader di una banca d'affari caymanese abbia più potere di mille cittadini italiani nella scelta dei Governi della Repubblica?
Molti commentatori oggi sui giornali si muovono tra i due poli di questo dilemma, e anche i più fervidi difensori della scelta Monti puntano sull'emergenzialità della situazione finanziaria internazionale disegnando uno scenario di necessità, nel quale le regole possono essere legittimamente stiracchiate pur di salvare la barca che affonda; in tal senso, fra l'altro, va letta l'esigenza di non procedere allo scioglimento delle Camere e alle conseguenti elezioni anticipate in quanto, si afferma, durante la campagna elettorale il Paese rischierebbe seriamente di portare i libri in Tribunale.
In realtà le cose non stanno proprio così: l'analisi sopra riportata pencola vistosamente fin dalle fondamenta, e questo fa sì che tutte le successive conclusioni siano da riverificare.
Affermare che il Governo Berlusconi sia caduto per effetto della speculazione finanziaria è, semplicemente, falso. Il Governo Berlusconi è caduto per ben altri motivi: è caduto perché in buona sostanza non è esistito e non ha governato. Occupandosi unicamente di togliere le castagne dal fuoco al proprio leader, il Governo in questi tre anni e passa si è occupato principalmente di questioni del tutto estranee agli interessi del Paese: processi brevi, processi lunghi, intercettazioni, via via fino all'allentamento di vincoli in materia di riciglaggio (nei primi giorni) e alla modifica delle norme sulle quote di successione dei legittimari (negli ultimi giorni). Il tutto avrebbe anche potuto avere un senso, purché l'attenzione sui provvedimenti ad personam non facesse perdere la concentrazione sulla crescita economica, la lotta alle evasioni e la messa in sicurezza dei conti pubblici. Di questo però a Palazzo Chigi se ne sono strafregati, come icasticamente dimostrato dallo squallido balletto agostano in cui, di fronte a una situazione oramai avvitata, Tremonti *ha uscito* dal cappello, tra mille cazzate, un provvedimento tanto finanziariamente inutile quanto squallidamente ideologico quale l'abolizione delle festività civili.
Questa dimostrata insipienza è quella che ha dato la stura ai mercati, i quali di fronte al fallimento della politica di un'intera Nazione non fanno altro che prendere atto della situazione e traggono le proprie conclusioni.
L'uomo della strada pensa che i mercati finanziari siano una moderna versione dei Savi di Sion: una specie di cupola ultramafiosa in cui i capi delle grandi Banche mondiali si riuniscono, magari in qualche località sperduta del Colorado o della Svizzera, e decidono tutti insieme quale Stato rovesciare nel corso della settimana successiva. Dopodiché i trader vengono informati delle decisioni dall'alto e cominciano a vendere BTP con la velocità di criceti nella ruota, sperando che il banco salti (probabilmente questo mito ha presa in rete anche perché richiama un po' la struttura di un DDoS, che fa molto fico).
In effetti le cose non stanno così, e non stanno così per un motivo molto semplice: in ogni transazione finanziaria c'è chi compra e chi vende, e pure chi ci perde e chi ci guadagna: se compro e poi il titolo sale ho vinto, se compro e poi il titolo scende ho perso. La fortuna della singola banca, e giù giù fino al singolo trader, è quella di prevedere le mosse dei mercati meglio e prima degli altri, ed per questo che è inconcepibile un cartello finanziario di dimensioni tali da affossare uno Stato che bene o male è ancora membro del G8.
Niente cupola, quindi: semplicemente la constatazione, prima da parte di pochi e poi via via da parte di tutti, che il Governo italiano stava andando definitivamente in vacca, con conseguente corsa a liberarsi delle esposizioni verso quel Paese.
I Ferrara e le Santanché lamentano che la speculazione finanziaria abbia di fatto rovesciato il voto popolare; ma questa posizione è identica a quella di chi abbia costruito una casa abusiva sul greto di un torrente e se la veda trascinare via dalle acque alle prime piogge: l'errore l'ha fatto lui, non il fiume.
Così nel caso che ci interessa l'errore l'hanno fatto gli italiani: da quelli che hanno creduto a Mariotto Segni, quando prometteva loro che il bipolarismo li avrebbe fatti padroni del loro destino, giù giù fino a quelli che ancora ieri scendevano in piazza per riaffermare la favola della figlia di Mubarak o che nei bar ti spiegano che Berlusconi è stato vittima del signoraggio bancario.
E' la seconda volta in meno di un secolo che la totale incapacità degli italiani a distinguere uno statista da un cialtrone porta il Belpaese a mettere a rischio la stabilità dell'Europa intera: ed è solo perché in fondo vale sempre lo stereotipo dell'italiano pizza-spaghetti-mandolino -e quindi simpatico mattacchione- che ancora gli altri popoli europei non cominciano a chiedere ai loro governanti di trattare noi allo stesso modo in cui Churchill voleva trattare la Germania uscita sconfitta dal II conflitto mondiale (suddividerla in decine di piccoli staterelli dediti al pascolo delle vacche).
Insomma: nessuno ci ha imposto di rinunciare a una fetta della nostra sovranità, e quindi Mario Monti non è il leader di un colpo di Stato ordito dalle plutodemocrazie giudaiche internazionali: questo è un mito che lasciamo che Ferrara (troppo intelligente per crederci) ammannisca ai suoi lettori. Le cose stanno assai diversamente: il resto del mondo ci ha detto: «fate come cazzo credete, ma noi vi molliamo». E noi, che oltre ai 28 Ottobre abbiamo avuto anche dei 25 Luglio, abbiamo aperto gli occhi all'ultimo momento utile e ci siamo rassegnati ad ammettere che per tanti anni siamo stati un ammasso di deficienti invasati, poveri sciocchi inseguitori un'insegna i cui colori non comprendevamo. E così noi, non i trader caymanesi, abbiamo cambiato: meglio tardi che mai.
mercoledì 9 novembre 2011
Elogio della modernità
Siamo nel 2011 (quasi 2012) e l'edizione online del principale quotidiano nazionale riesce a mettere impunemente sulla sua home page la notizia che alla figlia di un noto cantante piacciono le femmine.
E: no, l'aver messo la parola proibiti tra caporali non giustifica comunque l'uso della medesima.
E: no, l'aver messo la parola proibiti tra caporali non giustifica comunque l'uso della medesima.
martedì 8 novembre 2011
Buone notizie?
Per l'Inps era totalmente cieco e da oltre quindici anni percepiva una pensione d'invalidità totale, compresa un'indennità di accompagnamento. I carabinieri di Bergamo lo hanno arrestato mentre faceva giardinaggio nella sua abitazione, dopo averlo pedinato per sei mesi mentre passeggiava con la moglie, aiutava un amico a parcheggiare l'auto e montava l'ombrellone sulla spiaggia per ripararsi dal sole. In manette è finito un uomo di 68 anni, originario della Bassa Bergamasca, con l'accusa di truffa aggravata e continuata. I militari lo controllavano da aprile, dopo una segnalazione arrivata in caserma. L'uomo era stato dichiarato cieco totale nel 1995 e da allora, secondo le indagini, aveva percepito indebitamente dall'Inps una somma pari ad oltre 150 mila euro. L'uomo si trova ora agli arresti domiciliari.Il candidato, dopo aver letto questa notizia, indichi verso quali soggetti debba indirizzarsi la propria indignazione e i relativi motivi.
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