lunedì 10 novembre 2008

Segni dei tempi

Domenica volevo andare alla Triennale a vedere la mostra di Valentina. Prendo la bici, vado al Parco, mi metto in fila per il biglietto... e scopro che la mostra sta alla Bovisa.
A quel punto avrei potuto anche andare alla Bovisa, ma temevo di essere un po' stretto coi tempi in quanto poi sarei dovuto andare a prendere Nichita che era a casa di un amichetto.
Mi addentro quindi nel Parco, nel quale comunque vado abbastanza sovente: ma questa volta senza bambini da far divertire, bensì solo per gironzolare senza meta.
Sarà stata questa diversa disposizione d'animo, sarà stato che è un fenomeno scoppiato solo adesso, sarà stato che già c'era ma finché non è divenuto eclatante non me ne sono accorto (io ho uno spirito di osservazione veramente poco sviluppato): sta di fatto che ad un certo punto mi sono reso conto di come fossero formati i gruppetti sui prati, e di quanti ce ne fossero.

Era già da qualche tempo che alla domenica il Parco è preso d'assalto da torme di signore di mezza età (e talora anche di tre quarti) dall'inconfondibile accento, e sppesso anche fisionomia, russa o limitrofa. Sono evidentemente le badanti delle quali la città si sta pian pianino riempiendo e di cui non ci rendiamo conto gli altri giorni perché fanno una vita segregata, quasi prigioniere della casa e del vecchietto che accudiscono.
La domenica evidentemente è il giorno libero e si ritrovano in uno dei pochi posti tutto sommato accogliente della città (per chi non fosse di Milano: quel "tutto sommato" vuol dire che il posto non è accogliente, a ben vedere, ma è il meglio che Milano sa offrire), facendo gruppo e portandosi dietro il pic-nic.
Sono scene che si vedono ormai un po' dappertutto nella nostre città: è un fatto che mi aveva colpito più a Bergamo, nel piazzale antistante la stazione, anche per il tragico squallore del posto.

Quello che mi ha colpito ieri è stato invece il notare che questi gruppi non sono più composti solo da signore, ma sono diventati misti, composti in parti non molto dissimili di signore slave e ragazzotti di origine evidentemente maghrebina o giù di lì, e di qualche lustro in meno, in media.
Lì per lì la cosa mi ha fatto una gran tristezza: la prima impressione è che infatti un maghrebino e una russa c'entrino tra loro come il gelato e il sugo d'arrosto; e quindi osservare questa comunità eterogenea mi aveva dato l'impressione di essere in una specie di laboratorio sociale nel quale un ricercatore sadico avesse deciso di forzare l'acqua e l'olio ad emulsionarsi spontaneamente (e tale impressione era rafforzata dalla disparità di età, che rendeva questi gruppi a prima vista veramente artificiosi).
Mi dava, insomma, la sensazione di sbirciare da un buco della serratura, e di vedere non esseri umani che disponessero liberamente del loro arbitrio bensì anime costrette forzatamente a convivere per combattere la solitudine di una metropoli a loro straniera ed ostile; e che proprio nel combatterla evidenziavano ancor di più la propria infelicità.

Poi ci ho ripensato, e mi sono detto che in realtà io stavo vedendo la soluzione, del problema, mentre quando il problema c'era non me ne ero neanche accorto: certo avevo letto e sentito parlare della penosa condizione del migrante; ma sempre in astratto, come oggetto di studio privo della concretezza dell'essere umano in carne ed ossa. E quegli esseri umani adesso erano lì, davanti a me, in allegra compagnia e senza minimamente preoccuparsi di apparire o non apparire tali, presi semplicemente a divertirsi insieme.

Ci dev'essere una morale, dietro a tutto ciò: io comunque alla fine mi sono rallegrato anche se un fondo di malinconia mi è rimasto: e si vede anche da questo post che è molto più confuso e inconcludente del solito.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sara' "confuso e inconcludente"
(ma non mi pare)
pero' molto bello.

Sara' anche che mi sento tanto migrante anche io :(

 

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