lunedì 13 luglio 2009

Tutti i nodi vengono al pettine

La boutade di Beppe Grillo, che pretenderebbe di concorrere alla carica di segretario del PD, sembra già morta prima ancora di nascere, grazie al fatto che il noto comico avrebbe dovuto essere iscritto al partito già da qualche tempo, ai sensi dell'art. 9 c.3 dello Statuto.
Ma ammettiamo per un attimo che tale norma non vi fosse, e che quindi Grillo potesse chiedere l'iscrizione e partecipare alla corsa.
Secondo lo Statuto (art. 2 c.2),
Per «iscritti/iscritte» si intendono le persone che, cittadine e cittadini italiani nonché cittadine e cittadini dell’Unione europea residenti ovvero cittadine e cittadini di altri Paesi in possesso di permesso di soggiorno, si iscrivono al partito sottoscrivendo il Manifesto dei valori, il presente Statuto, il Codice etico, e accettando di essere registrate nell’Anagrafe degli iscritti e delle iscritte oltre che nell’Albo pubblico delle elettrici e degli elettori.

Per quanto riguarda lo Statuto, è un documento assolutamente neutrale, in quanto disciplina le forme di organizzazione e i meccanismi di funzionamento del PD: sottoscrivibile tanto da Veltroni che Gianfranco Fini che da Pino Rauti.

Riguardo al Codice Etico, si tratta di uno di quei bei documenti molto americani, che dicono che gli iscritti devono essere onesti, pluralisti, responsabili, onesti, sobri; rispettare la partecipazione delle donne e la laicità dello Stato, e lavorare un po' per il partito.
Anche qui, si tratta di cose che possono sottoscrivere Veltroni e Fini; magari Rauti e Bossi meno, dato che si parla di rispetto delle minoranze; ma in fondo sono parole nelle quali può star dentro tutto. Del resto c'è anche il richiamo alla laicità dello Stato, e salvo errori al PD sono iscritti Dorina Bianchi e la Binetti, no?

Veniamo al Manifesto dei Valori. Io vi ho messo il link: ma se putacaso siete sul posto di lavoro, e non siete soli nella vostra stanza, state attenti, prima di aprirlo. Perché se doveste cominciare a leggerlo, in ben poco tempo il vostro vicino di scrivania comincerebbe a sentire un sordo rumore proveniente dall'impianto di condizionamento; e dopo aver provato più volte a spegnerlo e riaccenderlo, si volterebbe verso di voi e capirebbe che il disturbo altro non era che il profondo ron ron del vostro sonno.
Insomma: questo manifesto dei valori, che dovrebbe dare la linea politica è per metà un'accozzaglia di frasi inutili e roboanti dichiarazioni di principi talmente universali da apparirne inutile la declamazione ("Ridare voce ai giovani"; "le energie del  Paese  sono grandi"; "riduzione dei privilegi"; "libertà delle donne"; "sviluppo sostenibile"; "diritti umani"; "etica pubblica condivisa"; "laicità dello Stato"), e per un'altra metà talmente generali da non costituire in alcun modo un discrimine politico verso alcuno ("sviluppo del Mezzogiorno"; "far ripartire lo sviluppo"; "offrire uguali opportunità"; "equità sociale"). Restano giusto un paio di cose "di sinistra", come direbbe Moretti, a proposito di dignità del lavoro, di integrazione degli immigrati e di "sistema scolastico pubblico integrato".

Insomma: in questi tre documenti vi si può riconoscere chiunque, con l'eccezione forse di Ratzinger e Kamenei; ma anche Mussolini, se solo espungessimo il riferimento al sistema bipolare, ci avrebbe potuto apporre la firma sopra; e così pure il padrone delle ferriere, che magari lascia morire di asbestosi il propri operai, ma nella propria carta dei valori aziendali state pur certi che avrà infilato dentro la tutela della dignità dei lavoratori.
E allora? Allora, al PD ci si può iscrivere chi vuole: questo è il punto.
C'era un tempo in cui i partiti erano partiti: organizzazioni dichiaratamente di parte, portatori di ideologie ben precise e connotate, a cui aderiva chi si riconosceva in quella ideologia. Tutti insieme gli iscritti, attraverso i vari meccanismi interni che culminavano dei congressi, dettavano la linea politica, sempre però nel rispetto, sostanziale e non meramente formale, dell'ideologia.
Ora i partiti, quelli che sono rimasti, sono associazioni di persone che si connotano solo per essersi associate insieme, senza il collante di un'ideologia (o anche solamente di qualche idea) che indirizzi e in una certa misura giustifichi il loro stare insieme.
E così nascono iniziative, quali quella di Luca Sofri, che si propone come punto di aggregazione dei desiderata di chi si riconosce nel PD, e che sarebbe meritoria, come iniziativa "dal basso", se non fosse che proprio il suo venire dal basso, e l'invilupparsi del dibattito in polemiche e polemicucce, evidenziano in pieno quanto l'unica cosa che accumuni tra loro gli iscritti e i simpatizzanti del PD sia, per l'appunto, l'essere iscritti o l'essere simpatizzanti del PD.
Cosa questa, mi sia concesso di dirlo a posteriori, anche se sembra un facile e sterile esercizio, era evidente a chiunque al tempo del sorgere di tale soggetto politico si chiedeva cosa ci potessero azzeccare tra loro gli ex democristiani e gli ex comunisti.

Il fatto, lettori miei, è che questo Partito Democratico tutto è tranne che un partito: perché un'organizzazione non può porsi come "di parte" e poi aprire le porte a tutti: è una banale questione di logica socratica. Tra le due istanze, l'essere di parte e l'essere aperto, il PD ha scelto l'essere aperto: ma così aperto che lo si potrebbe definire spalancato, nel puerile tentativo di attrarre i più possibili al fine di alimentare il proprio SuperIo maggioritario.
Tentativo miserrimo e destinato a fallire: perché, Giovanna correggimi se sbaglio, nella zuppa di pesce ci vanno tanti pesci diversi, e più sono tanti e diversi più e buona; ma se cominci a metterci dentro un petto di pollo, una coscia di gallina, una costina di maiale e una lombatina di agnello, la zuppa di pesce comincia a venir rifiutata dagli avventori; e se poi ci aggiungi melanzane, carote, latte, limone e scamorza a cubetti (per quanto di eccellente qualità), hai fatto solo una zozzeria buona per il pastone dei maiali.

Questo PD sconta questo peccato originale: di essere un pastone nel quale chiunque può entrare e pretendere di avere il proprio spazio di parola. Riflettiamoci sopra per un secondo, e rendiamoci conto di quanto sia assurda la situazione: un partito che per statuto accetta chiunque, e in compenso propugna l'esclusione dalle istituzioni dei portatori degli interessi di minoranza, tramite leggi elettorali, sbarramenti e quant'altro.
La logica, l'essenza stessa della democrazia, vorrebbe che nei partiti (che sono soggetti privati e di parte) vi fossero solo coloro che la pensano in maniera simile, mentre nelle istituzioni (che sono pubbliche e di tutti) vi fosse possibilità per tutti di partecipare, in proprio o tramite i propri rappresentanti.
Il PD, fin dalla nascita, ha confuso sé stesso con un'istituzione (del resto è un po' il modello del Democratic Party americano): ed è forse per questo che lo statuto ha la stessa adamantina semplicità di un regolamento di sottocommissione ministeriale.

Certo, adesso i nodi vengono al pettine: e se uno come Grillo si presenta alla porta della sezione, e si dichiara pronto a sottoscrivere quei tre documenti, come si fa a negargli la tessera? Secondo lo Statuto non si può: e non si potrebbe neppure se alla porta si presentasse Gasparri.
Fortuna che c'è la scappatoia, e Grillo quand'anche si iscrivesse non potrà concorrere alla segreteria: perché sarebbe stato l'ultimo atto di una farsa durata fin troppo a lungo.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Se fosse come tu dici, bisognerebbe insistere affinché Grillo si iscrivesse al Pd e partecipasse davvero a tutte le discussioni interne del Pd. Se non altro per rendere evidenti queste contraddizioni. Le quali, peraltro, nascono tutte dall'antiberlusconismo: che è, nonostante le dichiarazioni contrarie e di facciata, l'unico collante che riesce a tenere insieme le posizioni all'interno del Pd.

m.fisk ha detto...

eh, ma l'antiberlusconismo non fa parte del manifesto dei valori...

Giacomo Cariello ha detto...

L'idea di fondo di un partito democratico (uno qualsiasi) è che la linea politica non è definita a priori nello statuto, ma è definita di volta in volta attraverso un metodo democratico. Di conseguenza ciò che dovrebbe rimanere immutabile è il mezzo e non il fine. Ciò ovviamente all'interno di un recinto di valori costituzionali. La parte comica è che oggi nel PD nostrano ci sono perfino persone che non si riconoscono completamente nei valori costituzionali (o che li "piegano" alle proprie necessità).
Detto questo, la cosa che mi rende perplesso sull'affaire Grillo non è tanto il fatto che Grillo possa avere una linea politica molto distante da quella di Fassino, ma il fatto che Grillo non accetta il metodo democratico: se la sua linea non passerà, lui non accetterà di aver perso il confronto e manderà affanculo i vincitori...il che non ha nulla a che vedere con la democrazia.

m.fisk ha detto...

Capisco, Giacomo: ma non credi che in questo modo si privilegi l'aggettivo sul sostantivo, in ispregio alle regole della nostra bella lingua?
Perché il sostantivo è "Partito", non "Parlamento"; e se si tratta di decidere democraticamente all'interno di un recinto di valori costituzionali, non stiamo facendo altro che parlare dell'"arco costituzionale" della prima repubblica.
Un partito democratico che imbarchi tutti coloro che si rispecchino nelel regole costituzionali non è altro che un vettore verso Montecitorio.
Su Grillo, si sa già come la pensi, quindi non c'è bisogno di aggiunger nulla.

Fabio Pari ha detto...

GRILLO - "E' una cosa serissima. Mi iscrivo al partito e raccoglierò le 2.000 firme, la decisione di candidarsi alle primarie del Partito democratico non è affatto una provocazione, ma una scelta politica ben precisa. Dopo Berlinguer il vuoto, un vuoto di idee, di proposte, di coraggio, di uomini. Una sinistra senza programmi, inciucista, radicata solo nello sfruttamento delle amministrazioni locali. Muta di fronte alla militarizzazione di Vicenza e all'introduzione delle centrali nucleari. Alfiere di inceneritori e della privatizzazione dell'acqua. Un mostro politico, nato dalla sinistra e finito in Vaticano".

Sono sempre stato avverso all'integralismo proposto da Grillo e non credo che la sua candidatura alla segreteria del PD sia una cosa positiva per il futuro del partito.
In primis perché il PD non è un contenitore dove chiunque possa confluire in qualsiasi momento, pretendendo di parlare a nome proprio a discapito dell'identità d'insieme (seppur minima) che i militanti (non i vertici, sia chiaro) del partito sono riusciti a costruire dal basso in questi anni.

Condivido molte delle sue iniziative che hanno il loro fulcro nei temi del rispetto della legalità e della salvaguardia dell'ambiente (che oltretutto combaciano con quanto sostenuto da Italia Dei Valori e Verdi, quindi perché non andare da loro?), ma non condivido la sua politica spesso sfociante nell'antipolitica e nel populismo qualunquista (attaccando volentieri il PD , più volte assimilato addirittura al PDL)

Un personaggio che, fino a qualche mese fa , pregava i cittadini di astenersi dal voto, inducendoli a rinunciare ad un diritto/dovere sancito dalla Costituzione, ora dichiara di voler prendere parte a quel sistema da lui stesso criticato. Sembra quasi la "Fattoria degli animali" di Orwell, non trovate?
Inoltre pretendere d'ottenere la segreteria del secondo partito più grande del Paese così, di punto in bianco, mi sembra un comportamento arrivista e del tutto scorretto, a maggior ragione se si considera che la linea politica (politica poi...) di Grillo è lontanissima da quella del Partito Democratico.

Penso che Grillo stia solamente tentando di spaccare il partito e di gettarlo nella confusione, approfittando di un momento difficile della vita di questo progetto.
Io, personalmente, la tessera non gliela darei.

Bon, dovevo dire qualcosa sulla questione perché mi sembrava sbagliato non farlo.

http://fabiopari.blogspot.com/

Giacomo Cariello ha detto...

Le tue perplessità sono ragionevoli, anche se ti invito a considerare che ad esempio nel partito per eccellenza della prima repubblica, la Democrazia Cristiana, coesistevano posizioni talmente distanti da coprire praticamente tutto l'arco costituzionale.
La differenza tra Montecitorio e il PD dovrebbe essere che gli eletti a Montecitorio non hanno vincolo di mandato, mentre l'elezione della segreteria PD è vincolata ad una mozione congressuale che si costruisce attraverso un sistema democratico.
Come scrissi precedentemente, ci sono vari modelli di democrazia e alcuni sono peggiori di altri, ma quel che è certo è che i nostri (sia quello attuale, sia i precedenti) sono mooolto distanti da ciò che si potrebbe fare per renderli quanomeno sufficienti (posto che la perfezione non esiste).
Se avessi lo scettro del potere, comincerei col definire un modello politico che non obblighi l'elettore a dover votare un partito che esprime una posizione politica su qualsiasi argomento, dall'aborto alle miniere di zolfo.

m.fisk ha detto...

Peraltro la Democrazia Cristiana era proprio uno dei due partiti a non avere il termine "partito" nel nome ;-)
E l'altro era ancor peggio!

 

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