mercoledì 3 marzo 2010

Termini e decadenze

«La sostanza prevalga sulla forma»

Così si esprime il Presidente del Senato (la seconda carica dello Stato!) sul pasticcio delle liste elettorali in Lazio e in Lombardia.
Adesso facciamo un po' di diritto civile.
Secondo l'art. 2043 c.c. chi causa un danno ingiusto ad altri ha l'obbligo di risarcirlo. L'art. 2947 c.c. tuttavia stabilisce che il diritto a questo risarcimento si prescrive in cinque anni.
Pertanto, se io subisco un danno, tipo una macchia d'umidità per una perdita d'acqua condominiale, o la distruzione della mia casa per lo scoppio della raffineria limitrofa, ho tempo cinque anni per chiedere i danni. Se lil chiedo dopo 4 anni e 364 giorni sono ancora in tempo; se aspetto un giorno in più, invece, ho perso il mio diritto.
Ora, la prescrizione è un istituto giusto e fondamentale: se non esistesse la prescrizione, io potrei essere chiamato un giorno a rispondere del fatto che il mio bisnonno ha fatto morire un cavallo che gli era stato affidato, per incuria; o che il mio quadrisavolo (ammesso che fosse muratore) aveva costruito male un edificio, poi crollato uccidendo una famiglia. E' evidente che tale prospettiva è inaccettabile: non si può vivere nel dubbio di dover rispondere per sempre delle azioni proprie e di coloro di cui siamo eredi: e pertanto esiste la prescrizione (nota: stiamo parlando di prescrizione civile, beninteso).
Se quindi la prescrizione è un istituto naturale, il termine di cinque anni, quello è puramente arbitrario. Non esiste una ragione ontologicamente determinata per stabilire il termine in cinque anni piuttosto che in sette. E del resto lo stesso termine di cinque anni non è costante, in quanto a seconda dei casi può decorrere in 1826 o in 1827 giorni. Una cosa certa è che a cavallo della mezzanotte del trecentosessantaquattresimo giorno del quinto anno non accade nulla di nulla, nel mondo fisico e reale, ma dal punto di vista giuridico accade qualcosa di molto importante.
Perché il diritto, vedete, non è una rappresentazione fedele del mondo reale: è una costruzione astratta di regole, in parte logiche e naturali e in parte del tutto artificiali; che però sono necessarie al pari delle prime. Se io chiedessi il danno alle otto del mattino del primo giorno del sesto anno, potrei ben dire che dal punto di vista sostanziale il mio buon diritto sussiste: in fondo rispetto al giorno prima non è cambiato nulla. Ma allora cosa cambierebbe se lo chiedessi una settimana dopo? E se lo chiedessi dopo dieci anni? o dopo cent'anni?
Certo, tra cent'anni e otto ore c'è una bella differenza: ma dov'è il limite dell'elasticità? Potrebbe deciderlo il giudice, ma questo da un lato gli conferirebbe un potere arbitrario, e dall'altro non farebbe che moltiplicare i motivi di contenzioso, che già sono tanti.
No: il termine di cinque anni è di cinque anni, e se uno sfora anche solo di un minuto sono solo problemi suoi; se così non fosse, non avrebbe neppur senso porre un termine.

Immaginiamo adesso che io, scioccamente, abbia chiesto il danno alla famosa raffineria, dopo sei anni dall'accadimento. Faccio notificare una bella citazione con la quale chiedo che la raffineria sia condannata a pagarmi il valore della casa distrutta. La raffineria, dal canto suo, deve scrivere in un atto chiamato comparsa di risposta tutte le sue difese. Secondo l'art. 167 c.p.c. infatti "Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio". Quell'a pena di decadenza vuol dire che se la raffineria non scrive nella comparsa di risposta che il mio diritto si è prescritto, non lo può fare mai più: si è bevuta la prescrizione, e mi dovrà pagare il danno.
L'art. 166 c.p.c. poi stabilisce che la comparsa di risposta deve essere depositata in cancelleria almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione: il che significa che se all'avvocato della raffineria gli si buca la ruota della macchina, e non fa in tempo a depositare la comparsa se non il diciannovesimo giorno prima, anche in questo caso la prescrizione ormai non vale più nulla.
Anche qui si può obiettare che tra il ventesimo e il diciannovesimo giorno non ci sia questa gran differenza; che il foramento della ruota non è colpa dell'avvocato; che magari l'avvocato era un'avvocata ed è andata a partorire prematuramente, e questo certo è un fatto grave e meritevole di tutela. Ma comunque quel termine del ventesimo giorno è stabilito, e se viene sforato il diritto (o in questo caso l'eccezione) è persa; ed è giusto così: perché se ammettessimo la validità di un deposito al diciannovesimo giorno prima perché l'avvocatessa è andata a partorire, via via per approssimazioni e flessibilizzazioni dovremmo pure ammettere un deposito il giorno prima dell'udienza perché la figlia della cugina aveva il saggio di danza.

Nelle cose di diritto, insomma, la forma è sostanza, perché se così non fosse si sconfinerebbe nell'arbitrio. Ed è per questo che non importa se un deposito di firme sia avvenuto solo mezz'ora dopo il termine stabilito, né se il depositante avesse fame, sete o gli scappasse improvvisamente la cacca. Se il termine è decorso è decorso, non ci sono tante storie da fare.

19 commenti:

.mau. ha detto...

del primo giorno del sesto anno :-) (è un po' come il compleanno: quando compi ( = "completi") trent'anni il giorno dopo entri nel trentunesimo anno)

m.fisk ha detto...

Ci hai ragione, come sempre, e difatti ho anche corretto il "trecentosessantaquattresimo giorno del quinto anno".

Tooby ha detto...

Senza contare il nostro, oltre che presidente del Senato, è pure avvocato, quindi almeno una lauretta in giurisprudenza dovrebbe avercela. :-)

.mau. ha detto...

ubi Silvius, minor cessat.

dago ha detto...

Stamattina sentivo Onida che parlava di un principio generale che riguarda una cosa tipo la priorità all'efficacia, intendendo che se un atto serve a fare X, nei casi in cui la forma non infici X, la forma può essere accettata meno che perfetta o perfezionata successivamente.
In questo modo si potevano sanare alcuni naturali (o in Italia, madornali) problemi di ingarbuglimento della forma rispetto alla sostanza degli atti.
Hai lumi in merito?

Anonimo ha detto...

Quanto mi fai godere quando mi parli così...

Maurizio ha detto...

masticando poco diritto (sicuramente meno persino di Schifani) non ho nulla da eccepire. Il ragionamento è adamantino. Però ho qualche trascorso da presidente di seggio e mi ricordo ancora che, nonostante le istruzioni di voto fossero ampiamente circostanziate e si fosse tenuti a ricordarle agli elettori, in presenza di irregolarità sulla scheda valesse il principio del rispetto assoluto della volontà dell'elettore per cui ci si ordinava di passare allegramente sopra a violazioni di norme che regolano, se ben ricordo, la scheda e il modo di votare. Mi domando quindi se non ci si possa appellare a qualche criterio di questo tipo, è vero che il dispregio delle regole porta ad imboccare strade pericolose (si può discutere se ormai non siamo arrivati quasi a fondo) ma l'espressione del voto credo goda di una dignità particolare. Personalmente ammetto di essere piuttosto confuso su ciò che deve essere privilegiato.

.mau. ha detto...

credo che per il listino Polverini le cose si rimetteranno in sesto senza problemi, e sono sicuro che questa volta se ne sono accorti semplicemente perché i radicali hanno piantato casino, ma nelle altre elezioni non è che la cosa fosse così diversa.

Per il listino Formigoni la situazione è abbastanza simile, se è davvero almeno in parte solo una questione di timbri; se ci fosse davvero falsificazione delle firme la cosa cambierebbe completamente aspetto.

Per la lista romana PdL, non credo ci si possa appellare alla sostanza; altrimenti io potrei portare una nuova lista adesso, tanto sostanzialmente ho tutto i tempo prima delle elezioni...

m.fisk ha detto...

Qui il discorso è un pelo più complesso. Nota bene che nel post ho parlato di termini, che sono assoluti proprio in quanto artificiali. Stessa cosa varrebbe per il numero di firme: se ce ne vogliono 3.500, vuol dire che 3.499 non bastano; e non è un problema di efficacia, bensì di mera aritmetica.
C'è poi il principio di conservazione degli atti, vale a dire: se un timbro non è tondo bensì quadrato, può essere corretto valutare perché sia richiesto quel tipo di timbro e se la differenza di forma sia sanabile, secondo il principio che ricorda Onida: ma bisogna fare una valutazione di merito.
Se putacaso in un'urna elettorale troviamo una scheda votata senza il timbro della sezione, quella scheda va invalidata: perché il timbro è messo non come semplice orpello, bensì per assicurare che non vi siano brogli (potrebbe infatti accadere che un elettore venda il proprio voto, imbucando nell'urna una scheda abusiva precompilata da altri e portando al committente, quale prova del proprio voto espresso, proprio la scheda consegnatagli in bianco al seggio, con il suo bravo timbro). Ecco che quel timbro non è un semplice orpello, bensì vera sostanza.
Io non so bene come funzioni la cosa, ma se il timbro mancante sulle schede di Formigoni fosse lì ad assicurare, ad esempio, che la raccolta delle firme ha avuto luogo nel periodo previsto (in quanto prima di tale periodo l'ufficio non timbra alcunché), ecco che l'assenza del timbro sarebbe una mancanza non sanabile. Se invece il timbro fosse un semplice orpello, in quanto dall'insieme del modulo è possibile ottenere tutte le informazioni, ecco che tale assenza o non conformità del timbro potrebbe essere sanata.

dago ha detto...

Capito, grazie a tutti.

m.fisk ha detto...

Poi, come diceva Maurizio, vale il principio di conservazione della volontà dell'elettore. L'errore ortografico, ad esempio, non è causa di annullamento del voto purché la volontà sia chiaramente ricostruibile. Ma bisogna sempre distinguere i casi in cui l'atto formale è l'estrinsecazione di una volontà (come nello scrivere il nome del proprio candidato preferito) da quelli in cui l'atto è parte di un procedimento (come nel caso di un processo civile): in tal caso infatti il rispetto delle regole è fondamentale, dato che le regole sono a garanzia di tutte le parti e a favore di nessuna.
Nell'esempio che ho fatto parlavo della necessità di eccepire la prescrizione con la comparsa di risposta entro il ventesimo giorno antecedente l'udienza. Questa regola vale a partire dal 1° gennaio 2006, mentre prima non valeva. Non è che ora sia più o meno giusto rispetto a prima: è che la regola ora è questa, e a questa tutti si debbono attenere: perché queste in queste regole la forma e la sostanza sono intimamente fuse tra loro, indistinguibili.

.mau. ha detto...

@mfisk: infatti se le firme presentate fossero state 3499 il problema non si sarebbe posto. Se però effettivamente è stato apposto un timbro diverso da quello ufficiale ma che comunque permette di risalire con certezza alla volontà - e questo significa che ad esempio un semplice datario non basta, chiunque può averne uno - la situazione mi pare diversa.

m.fisk ha detto...

Certo. Infatti la situazione della lista PdL in Lazio mi sembra ben più seria di quella di Formigoni in Lombardia, ma solo per i timbri. Data, luogo e qualifica dell'ufficiale autenticante sono infatti requisiti sostanziali dell'autenticazione, e non credo proprio che la Corte d'Appello potrebbe passarci sopra a cuor leggero
(che poi, magari mentre stiamo qui a chiacchierare, loro han già deciso)

Giacomo Cariello ha detto...

@mfisk: lo sappiamo tutti che in Italia fa fede il timbro postale, che come tale in quanto prerogativa di Poste Italiane, può risalire tranquillamente a 10 giorni fa, 10 anni fa o 100 anni fa :D

Rouge ha detto...

Anche a me è parsa una sciocchezza quella dichiarazione di Schifani, tu lo hai detto decisamente meglio.
Personalmente ritengo che nella maggioranza delle situazione umane valga di più la sostanza delle cose che non la loro forma, ma per la conduzione di uno Stato la forma è necessaria, così come le regole, che devono essere rispettate.
Poi, chi è causa del suo mal....

Aurelio ha detto...

Bah, non è che il ragionamento spicchi per assenza di faziosità.

Non che sia falso quanto detto sulla sostanza della forma. Semplicemente, è incompleto. E si sa, la faziosità può essere espressa semplicemente non dicendola tutta...

Il fatto è che, nelle giurisprudenza, il cosiddetto "intento del legislatore" è parte integrante della riflessione sulla norma. E mi sembra abbastanza chiaro che in tale intento fosse particolarmente la necessità di garantire che dietro l'accettazione di una lista ci fosse una reale volontà popolare.

Da questo principio, quindi, la necessità di firme, timbri, ecc.

Che poi una parte possa trovare il leguleio che basandosi su un cavillo le fa vincere la causa a dispetto della volontà del legislatore... Beh, questo accade tutti i giorni.

Ma, per favore, chiamiamo le cose col loro nome.

m.fisk ha detto...

Osservazione suggestiva, ma errata. Secondo l'art. 12 preleggi, "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore."

L'intenzione del legislatore è un elemento ermeneutico sussidiario, come chiarisce bene, fra le altre, Cass. Civ. Sez. I, sent. n. 5128 del 06-04-2001: "Nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una norma di legge o (come nella specie) regolamentare sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l'esame complessivo del testo, della "mens legis", specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l'elemento letterale e l'intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sì che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all'equivocità del testo da interpretare, potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all'interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell'ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa. "

Aurelio ha detto...

Eheheh :-)

Capisco perchè l'etichetta che hai messo sia "maestrino". E apprezzo (molto) chi sa essere pignolo senza essere polemico!

Non posso ribatterti con altrettanta precisione.

Ma mantengo una forma di riserbo (personale e... "immotivato" - se non da una forma di raziocinio che a questo punto non mi resta che definire "olistico", per contrappunto) sulla sostanza di questi accadimenti.

Ripeto: che la norma possa essere impugnata e decretare la vittoria del fronte "leguleistico" (lo dico senza particolare offesa morale, ma riservandomi di distinguere tra chi mette avanti la difesa della "norma" - etimologicamente parlando - e chi mette avanti un porpio senso critico)... Tale vittoria, dicevo, è perfettamente "lecita" e "normale" e accade quotidianamente in innumerevoli istanze.

Ritengo però elemento imprescindibile, in una compiuta analisi della situazione, la valutazione del vulnus che si verrebbe a creare nei confronti di quanti (che tra l'altro risultano essere nel numero di qualche milione di cittadini) si troverebbero impossibilitati a confermare (e questo è il concetto chiave: confermare, non esprimere la prima volta) il proprio voto per la forza politica del cui operato, magari, sono pure contenti...

Il tutto, ovviamente, lo dico senza avere una soluzione... Ma d'altronde, tra legulei e azzeccagarbugli... ;oppp

Aurelio ha detto...

Dimenticavo, sul tema della difesa delle norma piuttosto che del senso critico: il tema è lo stesso della differenza tra Costituzione Materiale e Costituzione Formale.

 

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