venerdì 19 settembre 2008

Alitalia sorge ancora /3

Nelle scorse puntate abbiamo visto il quadro normativo di riferimento e la situazione all'apertura del tavolo delle trattative.

Chiariamo subito una cosa: il sindacato deve fare sindacato, ovverossia tutelare gli interessi dei lavoratori: non del Paese o dei creditori.  E' chiaro che gli interessi dei lavoratori non devono andare contro quelli del Paese, ma il ruolo del sindacato è ben preciso, e non si può chiedergli di essere lui il baluardo dell'interesse pubblico.

Ora, io personalmente ne ho visti tanti di fallimenti, e mai -ma proprio mai- ho visto i lavoratori applaudire alla notizia dell'intervenuto fallimento.  Immagino che qualcuno si sia chiesto come mai: molti saranno rimasti basiti e non saranno riusciti a comprendere.  In questa puntata cercheremo di scoprire il perché di quegli applausi; ma per ora tenete ben presente che gli applausi ci sono stati, e questo dovrebbe significare che i lavoratori l'accordo non lo volevano.

E' doveroso un ulteriore inciso, per quanto ciò possa affaticare il lettore.  Su molta stampa si legge, oggi, che la CGIL non ha fatto altro che difendere gli interessi corporativi dei lavoratori: aggettivo che dovrebbe significare qui spregevoli, almeno credo.  Orbene, a parte il fatto che -lo ribadisco- quelli sono proprio gli interessi che devono essere difesi dal sindacato, vediamo un po' questa millantata corporatività.

Con la lettera di ieri le sigle non firmatarie dichiaravano la loro disponibilità a:

"sottoscrivere i tre contratti collettivi di lavoro applicati agli addetti di una delle Compagnie europee di riferimento (come ad esempio Lufthansa , AirFrance o Iberia) opportunamente decurtati nella parte economica"
Ora, sarà anche corporativismo, ma quando dei sindacati dicono di essere pronti ad accettare i contratti della concorrenza meno qualcosa, mi pare che senso di responsabilità ne stiano dimostrando eccome.

Torniamo a bomba, ora, e parliamo di questo famoso fallimento.  Il 29 agosto il Presidente del Consiglio con proprio decreto mette Alitalia in Amministrazione straordinaria.  Subito dopo, come per legge, il Tribunale di Roma dichiara lo stato di insolvenza.  Lo stato di insolvenza per un'impresa normale corrisponde al fallimento, mentre per le grandi imprese le leggi Prodi-Marzano prevedono una sorta di salvagente che consente loro di galleggiare sul pelo dell'acqua sulla base di un piano di risanamento.

In pratica, con il fallimento arriva un curatore che ha l'unico scopo di vendere tutto e pagare i creditori; mentre con l'amministrazione straordinaria il commissario redige un piano di ristrutturazione per tentare di far uscire l'impresa dal guano: ci sono vari mezzi con cui può far ciò, ma qui entreremmo in dettagli troppo tecnici.  Grazie al decreto del 28/8, invece, il commissario può anche vendere pezzi.

Ora, se la differenza tra fallimento e amministrazione straordinaria è che in un caso si vende e nell'altro si risana, una volta che si cambia la normativa per consentire la vendita di pezzi delle società in amministrazione straordinaria, siamo in un campo assai contiguo al fallimento.

Con una differenza: che nel fallimento la vendita è fatta sotto il controllo di un giudice e mediante una gara.  Mentre nell'amministrazione straordinaria così modificata, la vendita viene fatta sotto il controllo del ministro dello sviluppo economico (Scajola, per chi non lo sapesse) a trattativa privata.

Capito il giochino?  Alitalia è già fallita: è in stato di insolvenza, e il piano di risanamento non c'è.  I lavoratori, che lo sanno, a questo punto preferiscono che vengano posti in vendita i pezzi a gara, nella certezza che il boccone sia ancora appetibile e chi entrerà formulerà proposte contrattuali assai migliori di quelle di Colaninno e soci.

Già, ma -dice la stampa- Fantozzi ha sentito air France, Lufthansa e British Airways, che si sono tirate indietro.  Quando le ha sentite? Il 16 settembre.  Cioé dopo tutto il puttanaio messo in piedi da CAI, governo e sindacati.

Ora: ammettiamo che voi foste interessati a comperare una casa di vacanza al mare, tipo in Sardegna.  A un certo punto scoprite che in Sardegna è scoppiata la guerra civile, non si capisce più chi comanda, non ci sono i servizi essenziali e via discorrendo; che fate, vi fate avanti?  Io me ne starei a casa mia, aspetterei che la situazione si fosse chiarita e che torni la pace.  Non è che la casa non sia più interessante: è che è troppo rischioso comperarla.

La situazione di Alitalia al momento è così: le compagnie straniere, quelle che potevano essere interessate, sono state tenute lontano, e chiamate all'ultimo momento quando nessuno, obiettivamente, riesce a dipanare il casino montato.  Hanno fatto due conti, e deciso che piuttosto che mettere le mani nel verminaio è meglio aspettare che gli italiani si sbranino tra loro e poi comprarsi il cadavere, magari a pezzi.

Ma allora i lavoratori ce l'avranno nel fracco! E invece no: perché quello che rimane sarà pure un cadavere dal punto di vista del valore economico: ma è pur sempre un cadavere con aerei funzionanti, slot di volo e personale preparato.  Cioè una compagnia aerea alla quale basta cambiare nome e coordinate bancarie per essere messa in condizione di funzionare.  Una compagnia aerea senza debiti, perché chi compra compra i beni, non i debiti.

Chi ce l'ha nel fracco, quindi? Presto detto: i creditori.  Nella prossima puntata (tra un po', però) vedremo chi sono, i creditori.

(continua)


2 commenti:

Ipazia Sognatrice ha detto...

Premetto, io di queste cose ci capisco poco. Ma almeno ci provo, a capirci qualcosa. E proprio stamattina mi chiedevo quale fosse il tornaconto di un fallimento che mi sembrava una tragedia. Ora ci ho capito un po' di più. E le cose mi sembrano un po' più chiare. Grazie.

m.fisk ha detto...

Grazie a te della fiducia. Visto che ci ho preso passione, mi sto leggendo il bilancio di Alitalia, scoprendo cose abbastanza interessanti. Ci vorrà un po' per tirare le fila.

 

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