Ieri sono comparse su Repubblica (e credo anche su molti altri giornali) due notizie che danno la sensazione di come il nostro giornalismo stia perdendo del tutto il lume della ragione e del buonsenso.
Una, un'articolessa di Miriam Mafai che denunciava sacadalizzata il fatto che uno dei politici coinvolti nello scandalo della Protezione civile sia stato tradotto dal carcere in tribunale in manette; l'altro sul fatto che al processo contro Ottaviano del Turco siano stati letti brani delle telefonate che egli avrebbe fatto a talune linee erotiche.
In entrambi i casi il disdoro per il mancato rispetto della dignità dei due soggetti coinvolti andava non già verso i giornalisti medesimi, che si sono pasciuti delle immagini delle manette e dei particolari delle telefonate bensì, incredibilmente, verso coloro che avevano messo i giornalisti in condizione di farlo vale a dire, rispettivamente, gli agenti di polizia penitenziaria e il pubblico ministero.
Ora, immaginate per un attimo di essere un agente di polizia penitenziaria che deve portare in tribunale due soggetti in custodia cautelare. I regolamenti dicono che se il traducendo è da solo potete decidere se ammanettarlo o meno a seconda della sua pericolosità e della possibilità di fuga, mentre se i detenuti sono più d'uno debbono essere ammanettati insieme. C'è una logica adamantina in ciò: se per un qualunque incidente il furgone si fermasse, e i detenuti dovessero riuscire a scappare, perlomeno non potrebbero dividersi nell'immediatezza della fuga, e quindi anche gli agenti di scorta non dovrebbero dividersi a loro volta.
Ma immaginiamo pure che il traducendo fosse solo, e che pure egli sia una persona pacificissima che non ha mai mostrato la pur minima intenzione di sottrarsi alle proprie responsabilità. L'art. 387 del codice penale dice che "Chiunque, preposto per ragione del suo ufficio alla custodia, anche temporanea, di una persona arrestata o detenuta per un reato, ne cagiona, per colpa, l'evasione" rischia fino a tre anni di galera. E voi siete nella scomoda situazione in cui potete decidere se quella particolare persona sia o meno propensa alla fuga e quindi necessiti d'essere ammanettata; ma se vi sbagliate siete stati perlomeno imprudenti, dato che a posteriori è chiaro che il fuggito era propenso a fuggire: e quindi rispondete a titolo colposo della sua fuga.
Ora, in una situazione simile, chi mai rischierebbe? Se non mettete le manette non ve ne viene in tasca niente e rischiate di finire in galera. In un caso su mille, magari: ma se c'è gente che vince al superenalotto vuol dire che ogni tanto anche i casi improbabili si avverano. Se lo ammanettate e quello fugge lo stesso, perlomeno potrete tentare di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per assicurare la custodia del detenuto.
Di chi è quindi il problema? Di chi le manette le ha messe, o di chi lavora in un giornale che in una pagina mostra la fotografia di un detenuto in catene e nella pagina successiva si scaglia contro l'uso delle catene?
La stessa cosa vale per la questione delle telefonate erotiche. Il PM ha tutto il diritto di impostare come meglio crede la propria accusa nel processo. L'imputato può chiedere che in particolari circostanze l'udienza si svolga a porte chiuse, e comunque per quanto il processo sia di regola pubblico, ciononostante quanto vi succede viene conosciuto solo da quelle poche decine di persone presenti. E' la stampa che fa sì che quanto accade sia reso noto al Paese intero.
Ora, se è successo qualcosa ha leso la dignità dell'imputato, bisogna anzitutto chiedersi se quest "qualcosa" era legittimo (e la risposta è semplice, in quanto la lettura di atti processuali non può che essere lecita nel processo). Solo a questo punto possiamo chiederci se ne era opportuna la diffusione all'esterno del processo: ma questo è un tema che non riguarda certo il PM, bensì i cronisti di giudiziaria presenti in aula e che hanno pensato di insistere sul particolare pecoreccio: tanto che di tutto il processo abbiamo appreso solo delle telefonate con le troie.
mercoledì 16 giugno 2010
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1 commento:
Di più: sulle telefonate di Del Turco, c'è da dire che si trattava di un'udienza preliminare, quindi una camera di consiglio, a porte chiuse, con la presenza delle sole parti (che già conoscevano tutti gli atti) e senza pubblico!
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