martedì 24 agosto 2010

Meglio 'nu mal'accordo ca 'na causa vinciuta

Una delle prime udienze di verifica del passivo a cui partecipai, quasi vent'anni fa, ebbe luogo a Napoli. Il Giudice Delegato era uno con la faccia da paracadutista, il pizzetto alla Italo Balbo, e gli mancava solo il calamaio ricavato da una granata inesplosa per somigliare in tutto e per tutto all'ardito di fronte al quale Sordi e Gassman, nella Grande Guerra, si contendono l'ultimo posto mancante nella squadra degli incursori.
Alle spalle aveva l'intera collezione dei calendari dei Carabinieri, e sapevo che pochi giorni prima aveva sbattuto dentro un collega di un'altra banca per concorso in bancarotta fraudolenta, in una vicenda nella quale il poveretto non aveva alcuna colpa se non quella di non essere stato oltremodo prudente.
Uno tosto, insomma. Eppure alle sue spalle non campeggiavano massime morali edificanti né era appesa una giustizia con la spada sguainata: c'era invece un cartello, forse addirittura una fotocopia, che recitava "Meglio 'nu mal'accordo ca 'na causa vinciuta".
E' questo un detto napoletano ben noto, ma potete immaginare la mia sorpresa nel trovarlo nella stanza di un giudice, e di un giudice di quella fatta, per giunta! Eppure, come ebbi a imparare negli anni successivi, tale motto in Italia risponde tragicamente al vero.
I tempi delle giustizia; l'alea delle decisioni; la contradditorietà di molte leggi, che in un punto dicono una cosa e nell'altra il suo contrario, obbligando l'interprete ad astrusi castelli logici; l'assenza di un sistema efficace per il ristoro delle spese legali sostenute dal vincitore della controversia: tutto ciò fa sì che sia di gran lunga meglio, per chi viene chiamato in giudizio ed ha la matematica certezza delle proprie ragioni, addivenire ad un accordo rimettendoci un po' del suo piuttosto che dover affrontare tutti i gradi giurisdizionali.

Tutte queste cose Repubblica le conosce benissimo; e ciononostante ha continuato a battere la grancassa della legge ad aziendam, dapprima con i giornalisti veri e propri, poi facendo intervenire gli intellettuali scandalizzati (e se voi immaginaste quanto mi fa ridere l'idea di un intellettuale che dapprima si scandalizza e poi va allo Strega, come concorrente o come giurato!), ed infine con le lettere dei lettori.
Una delle principali questioni che vengono aperte è: "perché la Mondadori, se è tanto certa di aver ragione, dopo aver vinto due volte non affronta anche il terzo grado di giudizio e preferisce pagare otto milioni?". Noterete l'aporia: dapprima si accusa Mondadori di aver truffato l'Erario grazie al suo mero proprietario, per risparmiare un mare di soldi; dopodiché la si accusa per aver pagato anziché resistere in giudizio.
Non parliamo poi della rete: Francesco Costa ha avuto la cortesia di citare in un suo post i miei pezzi, e ha dovuto sopportare con stoica pazienza un dialogo con lettori che dimostravano o di non essere riusciti a leggere il suo e i miei post, o di non essere riusciti a capire quel che avevano letto, in quanto costantemente sfuggivano dalla questione, unica, di cui stiamo parlando: vale a dire dello stato della causa pendente.
Provo allora, ancora una volta, a riassumere per punti schematici la questione, in un supremo sforzo di chiarezza.
A) la Mondadori aveva in essere con il Fisco un contenzioso da centinaia di milioni;
B) Mondadori ha vinto il contenzioso nei due gradi di giudizio finora svoltisi;
C) l'Erario è ricorso per Cassazione;
D) Mondadori ha chiuso la questione pagando il 5% del valore della causa;
E) in astratto, il 5% corrisponde alla probabilità di vittoria di una parte in Cassazione dopo aver perso nei due precedenti gradi di giudizio;
F) per tale motivo, sempre in astratto, una transazione al 5% nell'ultimo grado di giudizio fa parte della comune prassi commerciale tra imprenditori e in genere tra soggetti privati;
G) l'Erario non segue la prassi che seguono i privati, per una serie di motivi tra i quali, principalmente, a) il fatto che approvare una transazione potrebbe comportare una responsabilità amministrativa del funzionario pubblico e persino un'accusa di peculato, corruzione o concussione e b) il fatto che le spese del giudizio non sono sostenute dal soggetto che decide di ricorrere, bensì dal pubblico c) il pubblico funzionario, piuttosto che rischiare un'accusa amministrativa o penale, le cui spese pagherebbe di tasca propria anche in caso di assoluzione, preferisce di gran lunga non decidere nulla e quindi andare aventi nei giudizi, anche i più campati in aria, facendone pagare le spese allo Stato;
H) il Governo Berlusconi ha approvato una legge che in questo caso specifico elimina la discrezionalità del funzionario pubblico e quindi consente una sorta di transazione obbligatoria a richiesta di parte;
I) Berlusconi è il capo del Governo ed è il (mero) proprietario di Mondadori.

Stringi stringi, la questione è tutta in quella (I), e non negli altri punti. Se il contenzioso con il fisco fosse stato chiuso da De Benedetti, certo nessuno (salvo forse Feltri, ma lui è profumatamente pagato per farlo) si sarebbe scagliato contro di lui. Ma dato che il contenzioso è sato chiuso da un'azienda di Berlusconi, ecco che scoppia il can can: la legge è una vergogna perché ha consentito ad un'azienda di Berlusconi di cavarsela. La legge è una vergogna perché è la dimostrazione palmare del conflitto d'interessi.
E' un atteggiamento stupido.
Le leggi vanno valutate anzitutto per quel che sono, e solo dopo per gli eventuali vantaggi che qualcuno ne può trarre. La legge sulla definizione dei contenziosi fiscali è una buona legge, perché consente a tante imprese vessate dal fisco (l'essere state vessate è dimostrato dalla soccombenza del'Erario nei giudizi di merito) di chiudere la partita e sistemare i propri bilanci, affrontando la crisi con maggiore tranquillità. La legge sul processo breve è una pessima legge perché non risolve uno solo dei problemi della giustizia penale ma ha come unico effetto un'amnistia indiscriminata e di fatto per i soggetti che possono permettersi i migliori difensori.
Sia la legge sul contenzioso fiscale che quella sul processo breve convengono a Berlusconi. Ma se l'una è una buona legge, e l'altra una pessima legge, è profondamente sbagliato fare di tutt'un'erba un fascio e scagliarsi contro entrambe. In primo luogo, perché si annacqua l'opposizione a Berlusconi in una sorta di notte in cui tutti i gatti sono bigi, e in secondo luogo perché ciò è costituzionalmente sbagliato.
E' evidente che Berlusconi ha interessi ovunque. Ma la Costituzione afferma che Berlusconi ha il diritto di elettorato attivo e passivo: può votare, può fare il parlamentare, il capo del governo e persino il presidente della repubblica.
In astratto è certo possibile disciplinare con una legge le situazioni di "conflitto d'interesse", ma attualmente così non è, ed è del tutto cretino pensare che l'attività di Governo dell'Italia di oggi debba essere improntata al rispetto di una legge che non esiste e che neppure il Governo di orientamento politico opposto a Berlusconi ha messo in cantiere.
Si può versare un oceano d'inchiostro per descrivere come dovrebbe essere fatta una legge di questo genere; ma finché non sarà stata approvata dai due rami del Parlamento e firmata dal Presidente della Repubblica, Berlusconi e il suo governo devono governare producendo buone norme.
Quella sul contenzioso fiscale è una norma buona, e pertanto dovrebbe essere fatto, per una volta, un plauso al governo che l'ha proposta e fatta approvare, riservando i fischi, le paginate di intellettuali e le manifestazioni di piazza ai disegni di legge cattivi, che non mancano di certo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

piu' passa il tempo e piu' Repubblica assomiglia al duale del Giornale.

Tooby ha detto...

Giusto per essere cacaspilli, la legge sul conflitto d'interesse già c'è, dagli anni Cinquanta. Solo che nel 1994, quando si pose la questione presso la Giunta delle Elezioni, gli uomini di D'Alema decisero di votare per Berlusconi o di non presentarsi affatto. Mi pare che pure Violante, nella celebre seduta della Camera in cui ammise tutti i favori che il centrosinistra aveva fatto a Berlusconi, inserì nell'elenco pure questa scemenza. Mi sono appuntato un paio di cose a riguardo, se ti possono interessare. http://blog.tooby.name/2009/03/22/massimo-dalema-e-un-farabutto-bugiardo-sappiatelo/

 

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