Nel lungo elenco di aporie e contraddizioni che il cosiddetto caso Battisti ha portato alla luce in queste setimane emerge, per la rilevanza istituzionale del dichiarante e per la lucidità dell'analisi, quanto affermato ieri dal Presidente della Repubblica il quale, secondo quanto concordemente riportato dalla stampa, ha affermato che "non siamo riusciti a far comprendere anche a Paesi amici vicini e lontani cosa abbia significato per noi quella vicenda del terrorismo e quale forza straordinaria sia servita per batterlo. Forse è mancato qualcosa nella nostra cultura e nella politica, qualcosa in grado di trasmettere alle nuove generazioni cosa accadde davvero in quegli anni tormentosi".
E' un'affermazione vera solo in parte. Vero è che sia occorsa una straordinaria forza per battere il terrorismo, e probabilmente vero pure è che le nuove generazioni non sappiano, oggi, cosa effettivamente allora sia successo. Meno vero, a mio parere, che paesi amici vicini e lontani non abbiano compreso: nel caso del Brasile invece sembra che la comprensione sia stata piena.
La chiave di tutto è in quell'aggettivo, "straordinaria". Personalmente, una volta raggiunta l'età della ragione e superata la fascinazione adolescenziale per il mito della rivoluzione, non ho mai pensato per un solo momento che lo Stato non dovessere combattare il terrorismo, di qualunque colore esso fosse. C'era una guerra, sia pur di bassa intensità, e in guerra non si va tanto per il sottile.
Di qui, con la maturità d'oggi, posso avallare la legislazione emergenziale, le storture della legge sui pentiti (quella che consentiva a chiunque avesse ammazzato anche un mezzo plotone di uscir presto di galera, a patto di mandarvi dentro qualcun altro al posto suo) e perfino lo stiracchiamento giurisprudenziale del vecchio codice fascista, con particolare riferimento all'art. 110 del medesimo, quello sul concorso di persone nel reato.
In quegli anni era possibile essere condannati all'ergastolo non già per aver partecipato a un commando omicida; non già per averne fatto il palo o aver procurato le armi o anche solo la Giulietta per la fuga; non già per aver promosso l'azione o averla caldeggiata, ma perfino per aver partecipato a una riunione in cui se ne discuteva e non aver espresso chiaramente il proprio dissenso.
Tempi duri, leggi dure. E funzionarono. Ma l'idea stessa di giustizia impone che, una volta finita l'emergenza, si rivedano anche le condanne che in forza della necessità di combatterla sono state comminate.
Fu così, del resto, all'uscita del dopoguerra, quando, instaurata e resa solida la legalità repubblicana, fu consentito anche a coloro che facevano parte del regime caduto di tornare a partecipare alla vita pubblica.
Il caso Battisti si inquadra (almeno a quanto ne ho capito) esattamente in quella logica emergenziale: condanne comminate a titolo di concorso morale o, nel caso in cui l'accusa sia quella di aver avuto un ruolo attivo nell'azione, esclusivamente sulla base della parola di un pentito che in altre occasioni aveva dimostrato di cadere d'abitudine in profonde contraddizioni.
Quelle condanne, come moltissime altre, sono riuscite a farci uscire da anni buissimi: ma erano giustificate in quel contesto, non più nel contesto attuale nel quale l'emergenza non esiste più né è neppure ipotizzabile possa tornare.
Questo, ritengo, sia stato perfettamente compreso da Lula. Quei tribunali che hanno condannato Battisti lo hanno fatto esercitando una forza "straordinaria": e quelle condanne sono pertanto condanne "straordinarie": che non perciò solo possono essere definite ingiuste, ma che meriterebbero, per essere accettate oggi, di essere perlomeno riconsiderate al fine di accertare se Battisti sia chiamato a pagare per azioni che ha commesso o per essersi invece trovato a vivere in tempi particolarmente duri e spietati, dall'una e dall'altra parte della barricata.
Si tratta del banale principio per cui ciascuno è tenuto a pagare i propri sbagli: principio che è vero non solo quando il vero colpevole è un'altra persona, ma anche quando è un intero periodo storico.
domenica 9 gennaio 2011
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4 commenti:
Bel post, sul serio. Facevo fatica a pensare, in questi giorni, ai termini in cui si poteva intepretare tutta questa storia. Ora ne faccio un po' meno.
Mi spiace dirtelo, ma uno dei principi basi del garantismo, è quello di non cambiare le leggi in base all'aria che tira.
In uno stato di diritto, la legge è uguale per tutti in ogni momento, altrimenti si arriva molto facilmente a Robespierre.
Vabbè, non mi sono firmato, perchè non ho un account google, comunque piacere, me essere Francesco
@Francesco (piacere reciproco) - Difatti Maximilien era ferocemente contrario alla pena di morte (ma ciò necessiterebbe un altro post per essere adeguatamente approfondito).
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