Negli scorsi giorni il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, ha scritto una delle peggiori pagine del giornalismo italiano.
Certo, ci sono i Sallusti e i Belpietro, lo so: ma non sarà con il benaltrismo che si può riscattare il fondo morale toccato dal giornale che si candidava a rappresentare le forze oneste e democratiche del paese.
Quando Marina Berlusconi ha accusato il gruppo De Benedetti di aver utilizzato la medesima legge per la definizione del contenzioso tributario che, nello scorso agosto, era stata sfruttata da Mondadori, ho sperato che il giorno successivo comparisse sulle pagine del foglio di centro-sinistra un articolo di scandalizzata smentita. Non solo ciò non è avvenuto, ma anzi il direttore ha rivendicato il diritto del Gruppo De Benedetti di avvalersi di una legge dello Stato, sottolinenando il fatto che l'editore si era limitato a usufruire della normativa vigente, senza contribuire a scriversela.
Rammento bene i fatti dello scorso agosto: ero in montagna, senza connessioni disponibili (proprio come oggi, tanto che questo post sarà pubblicato in serata, quando tornerò a disporre della tecnologia moderna), e mi ero appassionato alla vicenda proprio perché, per la prima volta in modo così evidente, mi ero reso conto di quanto corrivo e gesuitico potesse essere il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, e con esso il direttore, il fondatore e il collaboratore-scrittore già stipendiato da Mondadori.
Rammento in modo cristallino che la domanda delle cento pistole, nell'articolessa del Grande Vecchio e negli sproloqui del teologo di sinistra, non era: "Perché il Governo ha fatto quella legge ad personam, bensì: "Perché, se Mondadori è tanto sicura delle sue buone ragioni, non affronta con fiducia il giudizio della Cassazione?"
Bene; la non risposta di Ezio Mauro alle accuse di Marina Berlusconi conferma che il Gruppo De Benedetti era nella medesima situazione del Gruppo Mondadori, e che pertanto si trovava ad aver subito un accertamento fiscale opposto, e ad aver avuto il riconoscimento delle proprie ragioni sia in primo che in secondo grado (altrimenti la normativa in discorso non sarebbe applicabile), e che oggi -o ieri- pende(va) il ricorso per Cassazione da parte dell'Agenzia delle Entrate.
Perché De Benedetti, se era tanto sicuro delle sue buone ragioni, non ha affrontato con fiducia il giudizio della Cassazione? La risposta io la conosco bene, avendola già data ai miei lettori il 24 agosto dello scorso anno. I lettori di Repubblica, invece, non la conoscono e non la conosceranno mai: perché spiegare le ragioni di De Benedetti sarebbe anche spiegare le ragioni di Marina Berlusconi:, il che non è possibile per quel giornale che contende al Fatto Quotidiano ciascun lettore a colpi di grida e scandalismi (c'è da riconoscere che Repubblica ha anche il vantaggio competitivo delle minchiate paperinissime e/o semipornografiche pubblicate sul proprio sito internet, e dei video rubati da YouTube e rimarchiati con il proprio logo e la dicitura riproduzione riservata).
Proprio pochi giorni fa abbiamo parlato del nuovo film di Moretti, che tratta del tema della responsabilità e, come scrivevamo in chiosa, del PD. Io non sono tra quelli che vede una sostanziale identità tra Repubblica e il PD attuale, ma certo nessuno di coloro che la mattina riescono a guardarsi allo specchio serenamente potrebbe negare una qual certa contiguità tra il giornale e il partito: e pertanto abbiamo già una prima conferma del non essere andati tanto lontano dal centro del bersaglio.
La responsabilità, vedete, è una cosa quasi sempre molto complessa da trattare. Certo, ci sono casi semplici, come nel caso del rapporto tra un padre e un figlio piccolo, o un carabiniere e un fermato. In quel caso non ci sono spazi di discussione: la responsabilità dell'uno e dell'altro è piena, totale e incondizionata, dato che l'uno e l'altro esercitano un potere pieno, totale e incondizionato sui propri soggetti.
Già se andiamo ad esaminare un rapporto di lavoro le cose cambiano: nel caso della sicurezza, è di scuola il caso del lavoratore che rimuove le protezioni della macchina per poter produrre di più e meglio; o del muratore che per passare da un ponteggio all'altro stacca la corda di ritenzione per evitare di dover fare un giro lungo. E' difficilissimo stabilire quando il datore di lavoro sia connivente e quando sia vittima di tali comportamenti, dato che la verità sta, come spesso accade, un po' da ambo le parti: è ben difficile pensare che Armani, con i margini che riesce ad imporre al mercato, abbia bisogno di stressare i tempi di produzione della linea che produce le scarpe indossate da Lady Gaga o da Madonna, e quindi possiamo credere che la proprietà abbia ben poca responsabilità nella perdita del dito della lavorante; ma di contro il calzaturificio che lavora per i mercati rionali ha margini così risibili che anche un mezzo secondo di risparmio nel gesto di un cucitore può fare la differenza tra l'utile e la perdita.
Che dire poi quando parliamo del contenuto di un giornale? La responsabilità della presa in giro, consumatasi sulla vicenda Mondadori prima e De Benedetti poi, è del direttore che ha ingannato scientemente i propri lettori, o dei lettori che desiderano e anzi pretendono certi contenuti, non trovando i quali vanno a spendere diversamenrte il proprio euro in edicola?
Noi, che in gioventù abbiamo letto Lenin, pensiamo che la responsabilità sia del direttore, per un duplice ordine di motivi. Anzitutto, il giornale, specie un giornale come Repubblica, non sarà proprio un'avanguardia ma certo si è dato un ruolo di guida di una popolazione e di un elettorato. E' un ruolo pubblico e fondamentale in una democrazia, e chi decide di assumerselo dovrebbe avere la forza e la coerenza per rispettare l'etica del mestiere che si è scelto: un'etica che al primo punto, come tutte le etiche, ha il comandamento del non mentire.
In secondo luogo, perché il lettore paga il giornale per fornirgli un servizio, e questo servizio consiste proprio nell'aiutarlo a comprendere la realtà della società: una realtà troppo complessa perché una persona sola, anche di enorme cultura, possa possedere adeguati strumenti cognitivi. Ingannare il lettore vuol dire rubargli i denari spesi per l'acquisto della copia quotidiana: e al secondo punto tutte le etiche hanno proprio il non rubare.
Repubblica ha artefatto la verità: lo ha fatto l'anno scorso e lo fa oggi. Repubblica non è un imputato, che può mentire quanto vuole, bensì un quotidiano, il cui primo anche se non esclusivo dovere è quello di dire la verità.
Preferisco di gran lunga un Belpietro (o Sallusti? non ricordo) che per un mese intero apre la prima pagina con la minchiata della casa di Montecarlo, al Mauro di oggi. Perché Belpietro (o era Sallusti?) è semplicemente servo del suo padrone, mentre Mauro, oltre che servo, è stato anche bugiardo.
sabato 7 maggio 2011
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Grande pezzo, davvero molto bello.
L'unica cosa che ti contesto è la chiusura: io "preferisco" il dinamico duo Sallusti/Belpietro non perché non mentano (mentono, altroché, bugie grosse come autotreni), ma semmai perché loro non mi hanno mai tradito, né hanno mai tradito il loro ruolo, mentre Ezio Mauro e Repubblica sì, altroché.
Posta un commento