martedì 30 settembre 2008

Bretton Woods

A Ballarò, Alemanno ha appena detto che per fronteggiare la crisi finanziaria i paesi del G8 dovrebbero rivedere gli accordi di Bretton Woods.
Wikipedia dice che gli accordi di Bretton Woods sono morti e sepolti dal 1971.
Ma si sa che wikipedia è inaffidabile.
O lo è Alemanno?

Mutui e rinegoziazioni /4

(vedi le puntate precedenti)
Ci manca quindi da esaminare la terza norma contenuta nel pacchetto Bersani-bis: quella sulla portabilità dei mutui.
La prima cosa che si può dire è che Bersani ha avuto un'idea geniale: infatti la portabilità dei mutui è basata sull'art. 1202 del codice civile, che è lì bel bello dal 1942, solo che nessuno lo utilizzava, dato che per raggiungere i fini per cui era stato pensato ci sono strumenti più snelli.
Ovviamente non sarebbe stato un gran successo fare una dichiarazione pubblica ricordando alle banche che esisteva quell'articolo: e così nel decreto Bersani-bis esiste una norma (l'art. 8 ) che in buona sostanza dice, infiorettata, la medesima cosa; così sembra che l'inventore della portabilità sia Bersani, mentre così non è. Ma questa è politica.
Vediamo un po' più approfonditamente il concetto che è alla base della portabilità: abbiamo visto qui che l'art. 3 del decreto dice che se un debitore ha fatto un mutuo con una banca e le condizioni non sono più convenienti, può prendere e andarsene anticipatamente senza penali.
Già, ma se uno i soldi non li ha? Deve farseli dare da un'altra banca! Eh, ma le spese, tra notaio, tasse, istruttoria, frizzi e lazzi sono tali da rendere antieconomico questo trasferimento. In particolare l'iscrizione della nuova ipoteca paga una bella tassa, e poi è sempre una cosa un po' complicata.
Che facciamo allora? facciamo un nuovo mutuo, garantito dalla vecchia ipoteca.
L'idea in sé funzionerebbe anche, se non fosse per quanto ci hanno ricamato sopra. Anzitutto c'è il problema delle spese: se ne pagano di meno, ma il nuovo atto comunque costa, visto che c'è sempre il notaio di mezzo: e chi lo paga? Poi c'è da periziare l'immobile: e chi la paga la perizia? Poi ci vuole un minimo di collaborazione da parte della vecchia banca, la quale -per quanto ciò possa essere eticamente scorretto- non ha mica tanta voglia di collaborare.
Insomma: un discreto casino. Le banche ci hanno messo molto del loro per non applicare la norma; le associazioni dei consumatori altrettanto per pretendere anche l'impretendibile. Con l'ultima finanziaria poi il governo ci ha messo un ulteriore carico, stabilendo che anche quelle verifiche di comune buon senso (accertamenti catastali, istruttoria del mutuo) devono essere fatte senza spese perché devono svolgersi secondo procedure di collaborazione interbancaria improntate a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi.
Il concetto è un po' come dire che stai comperando una macchina usata e la legge ti dice che non la puoi vedere, ma devi fidarti della parola del concessionario.
Ciò detto, comunque, la portabilità ha dato un bell'aiuto a moltissime famiglie che si trovavano sulle spalle un mutuo stipulato a tassi divenuti ormai sensibilmente più alti rispetto al mercato.
La portabilità non può servire a tutti: serve in particolare a chi ha sulle spalle mutui abbastanza vecchi, a tassi elevati e in grado di trovare un'altra banca che gli faccia condizioni migliori.
Devono essere mutui vecchi, perché se sono abbastanza recenti è poco probabile che siano stati fatti a condizioni molto diverse da quelle di mercato; e bisogna che ci sia un'altra banca che offre condizioni migliori: altrimenti che portabilità è, se non posso portare nulla da nessuna parte?
Facciamo un esempio pratico: una famiglia di due impiegati quarantenni che ha un mutuo di 150.000 euro con uno spread del 2%, sicuramente troverà un'altra banca che offrirà condizioni molto migliori; mentre una pensionata settantenne con un mutuo di 35.000 euro e uno spread del 1,25% non ha alcun senso che si metta neppure a cercarla, un'altra banca: è anziana e quindi a rischio; ha un tasso di mercato e quindi, ammesso che trovi un'altra banca, ben difficilmente questa le farà condizioni migliori; e poi quand'anche la trovasse, alla fine il risparmio sarebbe minimo e quindi non ne varrebbe la pena, di tutto lo sbattimento.
Il problema è che nell'immaginario dei consumatori è entrata l'idea che sia un diritto quello di ottenere condizioni migliori, indipendentemente dalla propria condizione di partenza. Mentre il diritto è di cambiare banca, non di trovare chi ti fa lo sconto.
E per questo leggiamo sulla stampa comunicati che invitano a non usufruire della rinegoziazione prevista dalla convenzione ABI-Tremonti (quella di cui parleremo nella prossima puntata), senza che nessuno si periti di spiegare ai debitori che chi ha un mutuo a tasso variabile a condizioni oggi di mercato, per quanto strangolato possa essere oggi, non può sperare di avere alcun vantaggio dalla portabilità, perché nessuno gli farà condizioni migliori di quelle che ha.
Nella prossima puntata vedremo il contenuto della convenzione ABI-Tremonti e vedremo che risponde a esigenze del tutto differenti rispetto a quelle cui risponde la portabilità. Potremo così cercare di capire a chi conviene una cosa e a chi un'altra, e perché.

(continua)

lunedì 29 settembre 2008

Compleanni

Oggi è il 29 settembre: è il compleanno di Silvio Berlusconi.
Lo sanno un po' tutti, oggi, dato che se ne parla sulla stampa, (quella seria, mica i blog). Io lo sapevo bene: me ne ricordo con precisione perché oggi si festeggiava anche il compleanno di mio padre.

Il 9 agosto è il compleanno di Romano Prodi. Lo so bene perché è anche il mio, di compleanno.

Orbene, noi nati attorno a ferragosto -almeno noi di città- abbiamo un rapporto particolare con questa festa: da bambini l'abbiamo festeggiata da soli o con amici occasionali, ché gli amichetti, quelli veri di scuola o i vicini di casa, erano al mare o ai monti, ma da un'altra parte: per cui non è che ci teniamo più di tanto.

Ma, in fede mia, non ho mai visto servizi del telegiornale e addirittura numeri speciali di rubriche di approfondimento, il 9 di agosto. Mentre oggi, invece, ne fanno.

Mutui e rinegoziazioni /3

In questa puntata della serie sui mutui cominceremo a vedere quali interventi sono stati approntati dalle autorità (uso di proposito un termine generico) per alleviare la situazione delle famiglie in difficoltà con il pagamento delle rate dei mutui.
Una nota metodologica: le banche sono soggetti tutt'altro che deboli e stanno antipatiche a tutti. Ma per comprendere i meccanismi che vado a descrivere, è indispensabile spogliarsi per un attimo dal pregiudizio: ci sarà tempo per valutare chi siano i soggetti forti e quelli deboli; per ora immaginiamo che siano tutti sullo stesso piano.

Facciamo solo un cenno ad alcune novità che sono state introdotte nell'ordinamento nei tardi anni '90 (anche perché si tratta di rimedi attuati quando i tassi stavano scendendo), vale a dire:
  • il divieto di anatocismo,
  • la riformulazione del reato di usura;
  • l'imposizione forzosa di un tetto ai tassi di interesse per determinate categorie di mutui in essere a tutto il 2000.

  • Si tratta di regole criticabili per più di un aspetto giuridico e finanziario (critiche che vi risparmio), ma non si può negare che abbiano dato respiro a molti soggetti deboli. Forse il problema più grave è stato che nessuno -in primis le sedicenti associazioni di consumatori- si è peritato di spiegare che cosa esattamente dicessero, quelle norme: e pertanto una caterva di debitori, mal consigliati, si è imbarcata in reclami e cause perse in partenza, credendo che una certa norma, solo perché aveva un nome più o meno esotico, si adattasse anche alla situazione nella quale si loro trovavano.
    Del tutto convinti di poter chiedere indietro dei soldi alla loro banca, o di poterne pagare di meno, si sono ritrovati non solo a doverne di più, ma anche a dover sobbarcarsi il costo delle spese legali di avvocatucoli incompetenti o peggio senza scrupoli e in malafede.

    Ma torniamo ad oggi.
    Quando la stuazione ha iniziato a farsi spessa, un primo intervento è stato posto in essere ad opera del ministro Bersani, con il pacchetto di liberalizzazioni cosiddetto Bersani-bis, lo stesso che ha tagliato i costi di ricarica dei cellulari.
    Per quanto riguarda i mutui, il pacchetto prevedeva tre norme, anzi due norme e qualcosina, come vedremo.

    La prima norma (art. 7) è quella che impedisce alle banche di chiedere una commissione qualora il mutuatario intenda estinguere anticipatamente il mutuo. Anche qui si tratta di una norma controversa: da un lato la penale per estinzione anticipata aveva perso molto del suo senso dopo la riforma della legge bancaria del 1993, e certo era ingiustificabile ormai per i mutui a tasso variabile. Diverso è il discorso dei mutui a tasso fisso: se io stipulo un tasso fisso sto in una certa misura scommettendo contro la banca che i tassi non scenderanno; ma se io posso tirarmene fuori, allora è una scommessa da una parte sola.
    Ammettiamo che io stipuli un mutuo al 5%; dopodiché i tassi salgono, diciamo al 7%. Io guadagno e la banca perde (se non ha un derivato -un IRS- che la copre); ammettiamo ora che successivamente i tassi tornino giù, fino al 3%: a quel punto dovrei essere io a perderci: invece posso chiamarmi fuori! Vedete che c'è una asimmetria: quando guadagno resto, quando perdo esco. Dal punto di vista della banca, la situazione è svantaggiosa: se non si era coperta con un IRS, ora avrebbe la possibilità di recuperare la perdita, e non può farlo; se invece si era coperta, ora deve chiudere l'IRS, e il suo valore è negativo, quindi deva pagare la sua controparte.
    Si tratta quindi di un rischio inaccettabile per la banca, la quale odia il rischio. Che fa allora? Semplice: alza un pochettino tutti i tassi per recuperare la perdita prevedibile (tecnicamente si dice che incorpora il rischio nel tasso). E così pagano tutti un pochino di più.

    La seconda norma è quella che dà la possibilità -e fa obbligo- alle banche di cancellare automaticamente l'ipoteca una volta che il mutuo è stato rimborsato. E' una cosa in fondo buona per tutti, tranne che per i Notai, che facevano un bel fatturato con le cancellazioni d'ipoteca. Oltretutto non costa nulla alle banche, che quindi non devono riversare costi sui clienti. Certo non va a toccare il problema delle rate elevate, dal momento che avvantaggia solo chi il mutuo ha già finito di pagarlo!

    La terza norma, che tanto norma non è, è quella sulla portabilità dei mutui: la vediamo in dettaglio nella prossima puntata, dato che tutti ne parlano come la panacea per tutti i mali.

    (continua)

    domenica 28 settembre 2008

    Il navigatore che vorrei

    Finalmente ho visto un navigatore che mi piacerebbe veramente avere. Questo.

    venerdì 26 settembre 2008

    Mutui e rinegoziazioni /2

    Nella prima puntata abbiamo visto come sia avvenuto che un grandissimo numero di italiani si è indebitato per acquistare la casa.
    Abbiamo anche visto che la maggior parte di questi nuovi proprietari si è trovata indebitata a condizioni di tasso variabile per il semplice motivo che non avrebbero potuto sostenere il costo di un mutuo a tasso fisso -che allora prospettava rate notevolmente superiori- e non già per un complotto delle banche ai loro danni.
    Anche perché, come illustrato nella digressione sui derivati, per la banca alla fine basta stipulare un IRS per trasformare un mutuo da tasso fisso a variabile e viceversa. Non è che le banche siano istituti di beneficienza, e certo non sempre si comportano in modo eticamente corretto; ma il mito che abbiano fatto indebitare tutti a tassi bassi per poi strangolarli è proprio da sfatare!
    Ora per capire cosa è successo quando i tassi hanno iniziato a salire, e quindi perché tante famiglie si trovino in grosse difficoltà, è necessario capire come funziona il rimborso di un mutuo.

    La forma classica di rimborso è il cosiddetto ammortamento alla francese, dove la rata rimane fissa per tutta la durata del rimborso. Ma attenzione: la rata è fissa ma le sue componenti non lo sono mica! Vediamo di capirci qualcosa.
    Ammettiamo di aver fatto un mutuo di € 150.000, da pagare in rate mensili, in 20 anni, al 4% annuo. abbiamo quindi 240 rate mensili, ciascuna all'interesse dello 0,333% (cioè 4% annuo/12 mesi). Esiste una complicata formula per calcolare l'ammontare della rata; vi dico io che sono € 909 al mese.
    Il calcolo della prima rata è semplicissimo: parto da € 150.000, calcolo lo 0,333% e viene € 500, che sono gli interessi. La differenza di € 409 è il capitale che andrò a rimborsare.
    Per la seconda rata gli interessi li devo calcolare solo su € 149.591, e quindi pagherò (solo) 498virgolaqualcosa euro di interesse, e rimborserò 410virgolaqualcosa euro di capitale.
    Una volta pagata la penultima rata, mi rimarranno da pagare esattamente 906 euro di capitale, che in un mese maturano 3 euro di interessi: pago 909 euro, ho rimborsato tutto il mutuo e vivo da allora in poi felice e contento.

    Se il tasso è fisso, il calcolo degli interessi viene effettuato solo una volta, e morta lì. Se invece è variabile, ad ogni rata (oppure ogni volta che il contratto prevede la variazione) si ricalcolano gli interessi, mentre il capitale di ciascuna rata resta sempre quello determinato all'inizio.
    Ora, poniamo che il tasso schizzi al 6%. Se mi rimane da pagare l'ultima rata, gli interessi passeranno da 3 euro a 4,5 euro: quindi la rata da 909 passa a 910,50 euro: sopportabile se rinuncio a un cappuccino al bar.
    Ma se sto ancora pagando le prime rate, quando la quota di interessi è ancora elevata, l'effetto è ben diverso. Sulla prima rata infatti passo a pagare, da 500, 750 euro; e quindi la rata mi passa da 909 (500+409) a 1159 (750+409) euro: e possono essere dolori.

    Chiaro fin qui? bene (anzi, male): perché il punto è che moltissime famiglie si sono indebitate di recente, dal 2000 in poi (prima non se lo sarebbero potuto permettere) e quindi sono ancora all'inizio del loro ammortamento: stanno pagando proprio le prime rate. E quindi il rialzo dei tassi ha giorno per giorno, sulla loro economia familiare, un effetto devastante.

    Prima in sordina, poi sempre più frequentemente, le famiglie si sono trovate strangolate dal peso del mutuo che avevano stipulato per trovare un'abitazione. Alcuni che avevano fatto il passo più lungo della gamba, comprando magari un immobile più grande del necessario, sono riusciti a tirarsene fuori vendendolo, quando ancora il mercato tirava, e passando in una casa più piccina; ma chi già ha acquistato una casa piccina, o chi ha perso il treno, in questo momento non riuscirebbe neppure a venderla, la casa; e per andare dove, poi?

    Di fronte a questa difficoltà, gli italiani non hanno preso la cosa con la filosofia che avrebbe avuto una famiglia americana: pur di non vedersi pignorare la casa dalla banca hanno ristretto i consumi all'osso e ancor più che all'osso, rinunciando a tutto per pagare il mutuo: con il risultato di contribuire significativamente al crollo dei consumi e alla stagnazione dell'economia.

    Vedremo più avanti cosa hanno fatto i governi che si sono succeduti per risolvere o mitigare la situazione di crisi.

    (continua)

    giovedì 25 settembre 2008

    Mutui e rinegoziazioni - i derivati

    Nella scorsa puntata abbiamo affrontato di sfuggita il tema della convenienza per le banche di prestare denaro a tasso fisso o variabile. Questo ci porta a parlare dei derivati: usciamo un po' dal seminato, ma si tratta di un argomento che sia pur marginalmente ci servirà anche per capire a fondo cosa comporta la rinegoziazione dei mutui attuata da Tremonti; e comunque non ci corre dietro nessuno, dato che per decidere se aderire o meno c'è tempo fino a fine novembre!

    Avevamo detto, semplificando grossolanamente, che le banche prendono il denaro a tasso variabile e quindi prestarlo a tasso fisso è rischioso. In effetti andando a guardare più a fondo si vede che una banca ha tante fonti di raccolta, a condizioni e con durate diverse.
    Possiamo immaginare che ciascun euro in cassa abbia un suo cartellino, che dice "io sono stato preso a tasso variabile" oppure "io sono stato preso a tasso fisso per tre anni".
    Il banchiere (il responsabile della finanza) deve assicurare che ci sia una corrispondenza il più stretta possibile tra le forme di raccolta e quelle di impiego, per minimizzare il rischio di tasso e di durata.
    Un allibratore di cavalli non ci pensa nemmeno a far le quote in base a chi crede che vincerà: le modifica tempo per tempo, in modo che se ha ricevuto troppe puntate su un solo cavallo i successivi scommettitori puntino su altri cavalli, minimizzando così il suo rischio. L'obiettivo è di guadagnare sempre, indipendentemente da quale sarà il cavallo vincente.
    Il banchiere, allo stesso modo, non ha alcuna intenzione di speculare sul tasso. Magari ha un bel mucchietto di euri acquistati a tasso variabile, ad esempio il 4,00%, e si aspetta che i tassi scendano. Potrebbe impiegarli al tasso fisso del 4,50%, lucrando uno 0,50% di spread, che si raddoppierebbe o quadruplicherebbe con la discesa dei tassi. Ma se invece i tassi salissero? Lo spread scenderebbe a zero, o andrebbe in negativo: e ciò non sarebbe punto bello.
    I banchieri sanno benissimo che la sfera di cristallo non esiste, e che la loro aspettativa per il domani è del tutto aleatoria. Io stesso, quando si è trattato di dare un consiglio sui tassi ai miei genitori, sono andato dal guru della mia banca chiedendogli come sarebbero andate le cose: naturalmente la risposta era sbagliata.
    Quindi se in cassa c'è denaro acquistato a tasso fisso, lo si impiega a tasso fisso (e per la stessa durata), mentre quello acquistato a tasso variabile lo si impiega a tasso variabile.
    Già, ma se i clienti vogliono il tasso fisso e in cassa di tasso fisso non ce n'è, come si fa? Presto detto.
    Immaginate di aver in tasca un bel biglietto Alitalia per Londra: ora che sapete che il volo partirà preparate la valigia e ci mettete dentro magliette, mutande, rasoio, caricatore per il cell... azz! ma a Londra hanno quelle ridicole prese a tre poli... Trovato! ci vuole un adattatore. Comprato l'adattatore, la spina del vostro caricatore vede una presa italiana, mentre la presa del muro dell'albergo vede una spina inglese, e tutti sono soddisfatti.
    L'adattatore per il banchiere si chiama derivato: il cliente vede il tasso fisso, mentre il bilancio della banca vede il tasso variabile, e tutti sono contenti.
    La stessa cosa si può fare, anziché con i tassi, con i cambi; ed è anche più facile da spiegare e da capire. Immaginate di essere un pastificio italiano, che compra il grano in Italia, e che vende una parte del prodotto in America: il prezzo di quella fornitura sarà regolato in dollari; e se il dollaro sale, champagne!; ma se scende son dolori, perché il grano lo pagate in euri, e la pasta finite per venderla a meno del valore del grano con cui è fatta... Che si fa? si mette in mezzo l'adattatore: uno strumento che annulla le differenze facendovi vedere euri anziché dollari.
    In pratica, si fa un contratto che prevede che se il dollaro scende, vi pagano dei soldi, mentre se sale, sarete voi a pagare.
    Immaginate che il vostro contratto con l'America sia per una fornitura di 10 milioni, quando il cambio euro/dollaro era a 1,250 (vale a dire 8 milioni di euri): voi dovrete stipulare un derivato su un valore di 10 milioni di dollari (il cosiddetto sottostante) strutturato in modo che se il cambio euro/dollaro andasse a 1,111 (il vostro contratto ora varrebbe 9 milioni di euri) voi dovrete pagare 1 milioni di euri; se invece il cambio andasse 1,400 (il vostro contratto ora varrebbe 7,14 milioni di euri), voi ricevereste 0,86 milioni.


    Come si vede, il derivato è uno strumento utilissimo: vi può salvare l'economia di un'azienda e vi fa dormire sonni tranquilli: Bush può dire e fare qual che vuole: qualunque cosa succeda, io guadagnerò sempre la stessa cifra.
    Ma allora perché se ne parla tanto male, dei derivati? Il problema è che se voi la fornitura da 10 milioni di dollari (il famoso sottostante) non ce l'avete, il vostro derivato diventa una mera scommessa sui cavalli. Potete vincere o potete perdere; meglio se vincete, ma in ogni caso non avete più una fonte di serenità, bensì di ansia.

    Tornando al nostro derivato sul tasso (che tecnicamente si chiama IRS: ricordatevelo!), il meccanismo è sempre quello: vi consente di trasformare un tasso fisso in un tasso variabile, e viceversa. anche in questo caso, se avete il sottostante (cioè il mutuo da trasformare), il derivato è una cosa seria e utile; ma se stipulate il derivato senza sotto il mutuo, state semplicemente scommettendo d'azzardo sulla direzione che prenderanno i tassi; e avete il 50% di probabilità di perdere (tanto) denaro.
    Finché i derivati erano trattati solo tra professionisti della finanza, la loro utilità era evidente e innegabile; il problema è stato quando hanno cominciato a uscire dai santuari ed essere proposti anche a piccolissime aziende o addirittura a privati. L'esempio del pastificio mi semba faccia vedere la faccia buona del derivato; ma se vendiamo un derivato in yen al meccanico sotto casa, sicuramente c'è qualcosa che non funziona.
    Evito di proposito di affermare che è la banca, che ha sbagliato a venderlo: perché molto spesso, è proprio il piccolo imprenditore che viene a chiederlo, il derivato, credendo di diventare Paperone in poco tempo. Sbaglia chi glielo vende, ma prima di tutto sbaglia lui a chiederlo. Intendiamoci: tanti onesti risparmiatori sono stati volgarmente truffati da venditori senza scrupoli; ma tanti altri hanno provato, è andata loro male, e poi cercano di rimettere insieme i cocci.

    Fine della digressione: la prossima volta riprendiamo il tema della rinegoziazione per capire se accettare o meno la proposta giunta a casa.

    Alitalia - l'epilogo

    E così l'accordo è stato firmato. In questi giorni ci siamo appassionati un po' tutti alla vicenda della compagnia aerea, e ora possiamo pensare finalmente anche ad altro. Vorrei fare qualche considerazione conclusiva a caldo, quindi senza conoscere il contenuto dell'accordo e senza sapere se questo sia in effetti migliorativo o meno del precedente per quanto riguarda il personale.

    Non credo di andare tanto lontano dal vero se affermo che quanto sottoscritto oggi non è altro che una vendita mascherata ad Air France, a condizioni peggiori rispetto a quelle di sei mesi fa. Certo, oggi Air France entra nell'affare con un misero 15% circa, ma nulla mi impedisce di credere che tempo due-tre anni (più tre che due) CAI si sfilerà e Air France prenderà il controllo.

    La soluzione di oggi ha una quantità di vantaggi per tutti. Per il Cavaliere anzitutto, che avrebbe irrimediabilmente perso la faccia se la vendita avesse avuto luogo alla compagnia che lui stesso aveva allontanato.
    Per quanto riguarda i soci di CAI, è stato evidente a tutti che non vedevano l'ora di tirarsi fuori dall'affare, una volta capito che gestire una compagnia aerea è qualcosa da farsi con una logica temporale del tutto diversa rispetto a quelle mordi e fuggi cui sono abituati. Di contro, sfilandosi avrebbero perso i vantaggi che certo sottobanco sono stati loro promessi (e questo è ormai un segreto di pulcinella, tanto che negli scorsi giorni lo affermava la stampa di tutti i colori politici).
    Questa soluzione invece consente loro di star dentro per un po', e poi pian pianino cedere ad Air France. Se tanto mi dà tanto, usando il buonsenso posso affermare che ci sono già dei pezzi di carta firmati in tal senso: non verranno mai tirati fuori, ma sarebbe assurdo se così non fosse.
    Per quanto riguarda piloti, assistenti e personale vario, si trovano, in prospettiva, dentro una delle maggiori compagnie mondiali (forse la maggiore), e se andiamo a rileggerci questo post vediamo anche che è la meno sparagnina di tutte dal punto di vista salariale.
    Rimane il carico per i contribuenti, e questo prima o poi qualcuno lo quantificherà.

    Intendiamoci: di tutto ciò che scrivo non ho una sola prova. L'unica cosa da fare è rivederci qui tra un po', diciamo il 1° luglio 2011, e stare a vedere come staranno messe le cose allora.

    Mutui e rinegoziazioni

    Ho pensato che se proprio voglio rendermi utile, tanto vale scrivere qualcosa su un argomento che ne valga la pena, rivolto a una generalità di persone.
    Oggi quindi vi racconto come funziona la rinegoziazione dei mutui: non quella di Bersani, bensì quella più recente di Tremonti.

    Naturalmente prima di tutto vi annoio con un pippone di inquadramento storico e di richiami normativi.

    Partiamo dall'inizio: con l'ingresso dell'Italia nell'area Euro i tassi di interesse hanno preso a scendere vertiginosamente, e hanno raggiunto livelli minimi tra la fine del 2003 e l'inizio del 2005 (se proprio volete verificare, qui trovate i dettagli). Questo mutamento del mercato ha avuto in Italia un effetto sconvolgente.

    In effetti gli italiani hanno storicamente avuto una fortissima propensione all'acquisto della casa di abitazione, in percentuale molto maggiore che nel resto d'Europa. Il problema era che con i tassi di interesse in vigore negli anni '80 il mutuo poteva supplire a una piccola parte delle necessità finanziarie connesse all'acquisto di una casa: in pratica serviva per comperare la cucina e la cameretta, il resto bisognava mettercelo di tasca propria. In tale quadro esisteva un fiorente mercato degli affitti, cui accedevano tutte le classi sociali.
    Con la diminuzione dei tassi il mutuo è diventato sempre più abbordabile, fino al punto in cui è diventato di fatto più conveniente dell'affitto stesso. Vi risparmio i motivi per cui ad un certo punto l'affitto è diventato più costoso: roba di matematica finanziaria. Sta di fatto che a un certo punto, in Italia, chi aveva pochi soldi ha iniziato a dover comprare casa: tanto che il mercato degli affitti si è concentrato su immobili del tutto marginali -le cosiddette case popolari e simili- o su abitazioni di pregio destinate a locatari di classe sociale assai elevata, che avevano interesse a far transitare l'operazione da società costituite allo scopo per sfruttare i vantaggi fiscali o che semplicemente non volevano impegnarsi in un investimento di breve durata.
    Quindi una marea di italiani dal 1997 in poi ha comprato casa, prendendo a prestito i fondi necessari dalle banche tramite un mutuo. I mutui potevano essere contratti a tasso fisso oppure a tasso variabile; quest'ultimo è di regola più conveniente, e lo era sicuramente in quegli anni: scopriamo perché e vedremo che questo ci consentirà subito di sfatare un mito.
    La banca prende i soldi in varie maniere, ma il maggior volume di denaro viene movimentato su base giornaliera o comunque di brevissimo termine (in verità questa è una semplificazione: ci torneremo sopra, ma per ora pigliatela così). La banca, quindi, il denaro lo paga a tasso variabile (perché anche la banca paga il denaro, mica lo trova sugli alberi). Dato che il tasso variabile può variare, come dice il nome stesso, anticiparne la misura nel tempo è rischioso, e il rischio va remunerato.
    Detto in altre parole: oggi pago il denaro al 4%, domani potrei pagarlo al 4%, al 3% o al 5%, ma non so quale sarà la misura futura. Se sono un banchiere ho due scelte: o dico al cliente di starmi dietro, e quindi di pagare il denaro quanto lo pago io, più un pezzettino (lo spread); oppure accetto di rischiare e gli vendo il denaro a un tasso che rimarrà sempre fisso.
    Se il cliente mi paga a tasso variabile, il rischio che corro è solo il rischio di credito, vale a dire il rischio che il cliente non mi paghi. Se mi paga a tasso fisso, corro il rischio di credito ma anche il rischio di tasso, vale a dire che a un certo punto io, banchiere, stia pagando il denaro più di quanto me lo sta pagando il cliente.
    Un rischio contro due rischi: è per questo che il tasso variabie costa di meno del tasso fisso. Vedete che l'ottica del banchiere è molto diversa da quella del mutuatario: per il banchiere il tasso fisso è rischioso, dato che per lui conta quanto giorno per giorno paga il denaro; mentre per il mutuatario la logica è opposta.
    Il mutuatario ha di regola una o più entrate fisse, con cui deve pagare l'abitazione, le spese condominiali, il cibo e quant'altro. Per lui il rischio vero è quello di non farcela a fine mese: gli importa abbastanza poco se il banchiere ci guadagna più o meno abbondantemente: l'importante è arrivare al 27!
    Come che sia, negli anni che ci interessano i tassi variabili sono diventati ridicolmente bassi. Orbene, i tassi non possono scendere sotto lo zero, ma possono ben salire molto sopra: quindi più la misura del tasso corrente (variabile) scende, più si allarga la forbice rispetto al tasso fisso che un banchiere è disposto a fare. Quando il tasso è al 2%, può scendere al massimo all'1%, ma può anche salire al 3%, al 5%, o addirittura al 9%! Perciò le possibilità di salita sono molto superiori rispetto alle possibilità di discesa.
    Le banche proponevano due tipologie di mutuo: a tasso fisso e a tasso variabile; ma il tasso variabile era molto meno costoso del tasso fisso, dato che quest'ultimo era più rischioso.
    Ne consegue che quasi tutti coloro che si sono indebitati in quegli anni lo hanno fatto a tasso variabile: la differenza era tale che ben pochi hanno preferito scommettere che la pacchia non sarebbe durata: quasi tutti hanno scelto di pagare subito quanto meno possibile. In effetti non era proprio una scelta: il fatto era che se si fossero indebitati a tasso fisso non sarebbero riusciti a pagare la rata; l'affitto non riuscivano a pagarlo... che rimaneva?
    Attenzione, però: la banca non aveva alcun interesse a preferire una forma di mutuo rispetto all'altra: poniamo ad esempio che la banca avesse stabilito che sul variabile voleva far pagare il tasso base più uno spread dell'1,5%, mentre sul fisso voleva il 7%. Bene: le due soluzioni sono per la banca perfettamente equivalenti: la banca non ha alcun interesse a spingere l'una o l'altra: e questo perché è la banca stessa che, con strumenti complicati (i derivati) trasforma internamente i tassi fissi in variabili e viceversa.
    In sintesi, per chiudere il capitolo:
    - la discesa dei tassi ha reso conveniente e necessario indebitarsi con le banche, in quanto ha distrutto il mercato degli affitti;
    - indebitarsi a tasso variabile era molto meno costoso per l'utente finale, anche se più rischioso i termini di flussi ("arrivare a fine mese");
    - le banche non avevano particolare interesse a spingere ad indebitarsi nell'una o nell'altra forma.

    Nella prossima puntata approfondiremo l'ultimo punto e vedremo poi cos'è successo quando i tassi hanno cominciato a risalire.

    (continua)

    mercoledì 24 settembre 2008

    La crisi dei subprime

    La storia di Alitalia rischia di diventare troppo spessa, e francamente non vorrei essere identificato solo con questa vicenda, per quanto comunque i messaggi di stima che ho ricevuto mi abbiano fatto un grande piacere.
    Mi sono accorto in questi giorni che ci sono delle persone -sia pur solo qualche decina, non ceto le masse di Vespa- che hanno ritenuto utile spendere una parte non trascurabile del proprio tempo per leggersi una serie di articoli su un tema di cui tutti parlano, spesso a sproposito; si tratta di articoli che ho cercato di mantenere brevi e semplici, ma per il profano probabilmente saranno risultati in qualche passaggio comunque ostici.
    Credo quindi che sia utile -perfino doveroso, per certi versi- andare avanti a parlare dei temi di attualità che a mio parere sono affrontati in maniera insufficiente o addirittura francamente distorta dagli organi di informazione mainstream: sempre mantenendomi beninteso nell'ambito delle mie conoscenze tecniche, fedele al motto che ho scelto per il blog (naturalmente non mi impedirò di divagare ogni tanto con cazzeggio privato).

    Una delle cose di cui si parla molto in questi giorni è tutto il bailamme che sta succedendo nei mercati: banche che falliscono, borse che tracollano, iperliberisti che divendano socialisti e socialisti che recuperano il mito del mercato...
    Tutto sembra aver origine dai mitici mutui subprime: manca solo che si associ a subprime anche la piaga dell'AIDS e il riscaldamento globale del pianeta per chiudere il cerchio.

    Ovviamente non è che il mancato pagamento di una rata da parte di un'infermiera nera della periferia di Dallas (o di un agricoltore bianco della midlands) possa di per sé far fallire una banca con un secolo e mezzo di storia: è anche la banca in questione, che ci ha messo del suo.

    Prossimamente vorrei quindi spendere due parole per spiegare come funziona questo dorato mondo delle cartolarizzazioni. Per intanto, per preparare la bocca, comincio a linkare questo splendido fumetto -in inglese, ahimé- che avevo trovato da qualche parte tanto tempo fa. Purtroppo non posso riconoscere la paternità all'autore perché non ho proprio la più pallida idea di chi sia.


    Strange Maps

    Dopo un preoccupante periodo di pausa, ha ripreso le pubblicazioni Strange Maps, a mio avviso uno degli oggetti della rete più affascinanti e sconcertanti, in senso etimologico.

    Formalmente sarà anche un blog, ma di fatto ciascun post è un'occasione per riflettere sul mondo, ogni volta da un punto di vista diverso, e mettere in discussione le proprie certezze e le proprie idées reçues.  E anche un po' sé stessi.


    martedì 23 settembre 2008

    Sparare sull'ambulanza

    Non conosco personalmente Alessandro Gilioli, ma non me la dà a bere, con quel suo faccino perbene e i bambinetti intorno.  Lui è più cattivo di Don Zauker, al quale fra l'altro un po' somiglia.

    Solo una persona del tutto priva del senso di pietà avrebbe potuto scrivere questo pezzo (leggetelo: merita proprio)


    lunedì 22 settembre 2008

    Alitalia sorge ancora /5

    Ed eccoci arrivati al capolinea, con questa che doveva essere l'ultima puntata della serie e con Alitalia avviata verso un disonorevole fallimento, salvo sorprese dell'ultim'ora che non si possono mai escludere.

    Avevo promesso di analizzare in questo post i motivi della crisi della compagnia dopo aver riscontrato, con mio stupore, che la società non è indebitata fino al collo come ci avevano (o perlomeno mi avevano) fatto credere.

    Per chi proprio fosse curioso, ecco la posizione finanziaria netta al 31/12/2007:

    A. Cassa                                            -9
    B. Altre disponibilità liquide                    -319
    C. Titoli detenuti per la negoziazione               0
    D. Liquidità (A+B)                                -327
    E. Crediti finanziari correnti                     -32
    F. Strumenti finanziari derivati                    -8
    G. Debiti bancari correnti                         144
    H. Altri debiti finanziari correnti                  6
    I. Indebitamento finanziario corrente (F+G+H)      141
    J. Indebitamento finan. corrente netto (I-E-D)    -218
    K. Debiti bancari non correnti                     596
    L. Obbligazioni emesse                             723
    M. Altri debiti non correnti                        66
    N. Indebitamento finanziario(K+L+M)              1.385
    O. Indebitamento finanziario netto (J+N)         1.167

    Dove i numeri negativi sono soldi  e i numeri positivi sono debiti.  Certo adesso le cose saranno peggiorate, ma come si vede la situazione non era certo catastrofica, dal punto di vista finanziario, dato che i debiti di tale natura erano pari a un quarto circa del fatturato.

    Ciò posto, rilevato che Alitalia perde già sulla gestione operativa (vale a dire che spende già solo per volare più di quanto incassa), allora -come giustamente si domandava .mau.- cos'è che non ha funzionato?

    Bene, io a questa storia mi ci sono appassionato, senza secondi fini: mi sono letto un tot di bilanci per capire come funziona il trasporto aereo, ho scoperto un mondo interessantissimo e imparato anche una serie di sigle astruse come ASK, CASK, RASK, CPK, L/F e via discorrendo.

    In particolare leggendo il bilancio di easyJet (in fondo al quale trovate la decodifica della maggior parte delle sigle) ho capito come funziona una compagnia aerea e come fa a guadagnare.  Vi assicuro che mettere a confronto il bilancio di Alitalia con quello di easyJet è un'esperienza illuminante.  Il primo consuma pagine e pagine a spiegare come e qualmente gli amministratori siano bravi e i sindacati cattivi; e quando proprio non si riesce a dare la colpa ai sindacati, è il mondo che rema contro.  EasyJet in poche paginette ti spiega tutto con una chiarezza adamantina, tanto che alla fine ti sembra di sentirti pronto per prenderla tu, la poltrona di AD di Alitalia.

    Le cose ovviamente sono un po' più complesse, per cui mi limito a raccontare che idea mi sono fatto, senza supportarla con numeri e richiami, perchè verrebbe fuori un trattato.  E' un'idea, nulla più: prendetela così come viene.

    A mio avviso i fattori critici che rendono profittevole una compagnia sono essenzialmente due: un elevato coefficiente di riempimento dell'aereo e una maniacale attenzione ai costi.

    Il coefficiente di riempimento è semplice da capire: far volare un aereo costa un tanto fisso a poltrona, e il costo delle poltrone vuote viene pagato con l'utile delle poltrone occupate.  Tutte le compagnie aeree "di bandiera" mostrano un coefficiente di riempimento crescente in funzione della distanza: vale a dire che i voli domestici sono più vuoti degli europei che sono più vuoti degli intercontinentali.  Alitalia non solo ha coefficienti di riempimento mediamente più bassi per ciascun segmento, ma ha anche un'offerta sbilanciata sui voli di corto e medio raggio: vale a dire che offre i voli che tendono a viaggiare meno pieni (Alitalia sul domestico presentava un coefficiente del 65% e sull'intercontinentale dell'81%).

    Oltretutto su tali rotte la concorrenza della compagnie low-cost è molto più forte, e quindi la politica dei prezzi deve rimanere livellata verso il basso (perfino le aziende floride ormai stanno attente ai costi e fanno volare i propri dipendenti a tariffe scontate!), pena la perdita di ulteriori posti e una diminuzione del coefficiente di riempimento.  Insomma: ridurre i voli intercontinentali è stata la più colossale sciocchezza che si potesse compiere.

    Il secondo fattore è l'attenzione ai costi.  Non crediate che si tratti di non darvi la merendina: c'è anche quello, ma è parte di un tutto.  Pensate che easyJet ha guadagnato, nel 2007, £ 4,54 per posto a sedere e ha avuto un coefficiente di riempimento dell'83,7%:  darvi una merendina da 1 sterlina avrebbe ridotto di un quinto l'utile, mentre vendervi le merendine le ha fatto guadagnare qualche diecina di milioni.

    Ma attenzione maniacale ai costi vuol dire ben altro.  Gli aerei di easyJet non sono nuovi perché la compagnia è nuova (anche perché ha ben tredici anni), bensì perché costa meno tenerli in esercizio: consumano meno (Alitalia spende uno sproposito in cherosene), hanno contratti di manutenzione più favorevoli, costano meno in assicurazioni.  Attenzione maniacale vuol dire spiegare dettagliatamente in bilancio che i costi di manutenzione sono diminuiti di 61 pence per sedile nel 2007 grazie alla sottoscrizione di un accordo decennale con GE che ridurrà drasticamente i costi di engineering fino al 2016.   Vuol dire coprirsi dai rischi di cambio e di prezzo sul petrolio grazie a strumenti derivati efficienti (che servono proprio a quello, mica a speculare!)

    Tutto questo forse lo fa(ceva) anche Alitalia, ma a leggere il bilancio non sembrerebbe proprio.

    Per concludere: scelte sciagurate e scarsa attenzione ai costi.  Ma se gli aerei volano vuoti, di chi è la colpa? Non pensiamo solo al cosiddetto aereoporto di Albenga, che ha il suo volo quotidiano solo quando Scaloja è ministro e lo perde quando Scajola è all'opposizione (sì, Scaloja, quello che sovrintende alla procedura di amministrazione straordinaria al posto del giudice fallimentare).  Ma quanti sono i voli operati solo per motivi elettorali o di mero prestigio di un circondario?  E chi li ha decisi, quei voli?

    Si torna sempre alla (mala) politica. Ma la mala politica è (rectius: era, fino alla vigente legge elettorale) soprattutto responsabilità dei cittadini, che esprimendo il loro voto scelgono (sceglievano) i propri rappresentanti.

    E parlando di politica: sarebbe interessante spendere una parola su Vito Riggio, il fulgido presidente dell'ENAC, democristiano di lungo corso che, nel momento in cui Fantozzi decide di aprire un'invito a proporre, dichiara che tra tre giorni ritirerà la licenza di volo.  Io avevo già detto che in questa situazione solo un pazzo si sarebbe fatto avanti a formulare offerte; ma qui l'arbitro ha strappato la palla a una squadra e l'ha messa in mano a CAI, fischiando un rigore ed espellendo il portiere.  E tutto perché il Cavaliere non può permettersi che Alitalia vada in mano ad altri. Che schifo.


    Sicurezza

    - Sistema supersicuro... come mai mi viene i brividi ogni volta che lo sento dire?
    - forse perche', come me, ti viene in mente "inaffondabile" che era la stessa cosa che dissero del Titanic
    ***
    io seguo sempre il vecchio principio: non addurre a malintenzione ciò che è facilmente attribuibile a cretineria (che poi questa sarebbe la versione da informatico del Rasoio di Occam)

    (grazie a Davide Bianchi)

    domenica 21 settembre 2008

    Un febbrone

    È accaduto più d'una volta a personaggi di ben più alto affare che W.V., di trovarsi in frangenti così fastidiosi, in tanta incertezza di partiti, che parve loro un ottimo ripiego mettersi a letto con la febbre o fare una gita all'estero. Questo ripiego, egli non lo dovette andare a cercare, perché gli si offerse da sé.

    No, non mi stavo riferendo all'autore di Times New Roman 18 interlinea 2,5 (grazie a Cabaret Bisanzio). Questa è roba classica


    Alitalia sorge ancora /4

    Come avevo già in precedenza detto, la lettura del bilancio Alitalia mi ha offerto una ricca serie di spunti interessanti.
    Ripeto le doverose premesse, vale a dire che io non sono un analista di bilancio, che non sono un tecnico del settore e che il documento in questione è di enorme lunghezza e complicazione. Sono anche di parte, per quanto mi sforzi di essere obiettivo, e mi muovo in un campo dove potrei facilmente prendere cantonate, a differenza dei precedenti post che sono il mio pane quotidiano.
    L'analisi -se di analisi si può parlare- viene fatta sul bilancio di chiusura al 31 dicembre 2007, e non comprende quindi i successivi eventi; si riferisce all'intero Gruppo Alitalia (bilancio consolidato)
    Ciò detto, vediamo il documento, di cui è anche disponibile una versione di sintesi per gli analisti (con numeri peraltro marginalmente differenti).
    Nel 2007 Alitalia ha ricavato 4.847 milioni, di cui 4.354 mil. da traffico e 492 mil. da altri ricavi operativi (la somma non quadra per effetto degli arrotondamenti: io per semplicità tronco tutto). Nello stesso periodo ha speso 5.157 milioni, e quindi ha perso 310 milioni.
    Gli oneri finanziari (il peso dell'enorme debito) non sono compresi nei costi operativi: si calcolano dopo ed ammontano a 154 milioni. Con qualche altra minima spesuccia questo fa sì che la perdita complessiva, prima delle imposte, sia pari a 469 milioni.
    La prima cosa che emerge è che gli oneri finanziari (gli interessi, insomma) non sono poi 'sto granché. Ed in effetti il debito è tutt'altro che enorme, come poi vedremo. Di solito le difficoltà per un'azienda iniziano quando si sono fatti tanti debiti, le cose non sono andate come ci si aspettava, e ci si trova a dover pagare gli interessi che si mangiano tutto l'utile: ma qui gli interessi sono ben poca cosa: il problema è a monte, dato che il bilancio è in perdita prima ancora di sottrarre gli interessi.
    "Bella forza: con quella massa di fannulloni strapagati!", sento già dire. Bé, verifichiamolo.
    I 5.157 milioni di spese correnti sono così composti:
    - 1.090 milioni di spese per materie prime e di consumo;
    - 2.695 milioni per servizi;
    - 0.852 milioni per il personale;
    - 0.387 milioni per ammortamenti;
    - 0.132 milioni per altre spese operative.
    Ohibò! 852 milioni per il personale non sembrano poi tantissimi. Considerato che la perdita (senza gli interessi) ammonta a 310 milioni, se si volesse tornare in pareggio solo tagliando i salari, bisognerebbe limarne un bel 40%.
    Venendo a leggere più in dettaglio, emerge che:
    - i 1.090 mil. di materie prime sono quasi totalmente spese per il carburante;
    - i 2.695 mil. per servizi comprendono:
    --- Spese di vendita 577;
    --- Spese di traffico e scalo 969;
    --- Manutenzione e revisione flotta 416;
    --- Altre prestazioni 422;
    --- Noleggi, leasing, locazioni e fitti 309.
    E' chiaro che, per volare, ci vogliono la benzina, gli aeroporti e compagnia cantante. Ci vogliono anche piloti e assistenti di volo, del resto! E magari già qui qualcosa si potrebbe risicare senza tagliare sempre e solo posti e salari.
    Anche perché gli 852 milioni per il personale, depurati del curtailment (voi non volete veramente sapere cos'è) e degli incentivi all'esodo (buonuscite per licenziarsi) si riducono a 811 milioni. Che sono il 15,7% delle spese complessive, mica il 40%.
    A proposito di forza lavoro: sapete quanti sono i dipendenti? 11.172 al 31/12/2007, non 20.000 come dicono quasi tutti. Facendo loro un po' di conti in tasca, e tenendo presente che il 33% del costo va in previdenza, sembrerebbe rimanere una retribuzione media lorda di 48.000 euri a testa, ma in effetti è assai meno perché bisogna togliere tutte le spese per rimborsi, diarie etc.: purtroppo il bilancio non dettaglia meglio, ma alla fine si spiega bene come una hostess con 15 anni di anzianità possa prendere un 1.700 euri netti.
    Vogliamo fare un giochino? Andiamo a vedere il bilancio di Lufthansa: 5.428 mil. di spese per personale su 22.420 mil. di fatturato: il 24,5%. Air France: 7.018/24.114: il 29,1%; British Airways: 2.166/8.753 (GBP): il 24,7%.
    Alitalia: 811/4.847, pari al 16,7%!
    EasyJet: 204/1.797, pari all'11,3%; Ryanair: 285/2713, pari al 10,5%.
    Se tanto mi dà tanto, Colannino e Co. puntano a fare di Alitalia una compagnia low-cost!
    Il bello è che questi dati sono anche falsati. Io infatti, per pigrizia e anche perché le spese generali sono meno confrontabili da compagnia a compagnia in quanto diversamente rappresentate in bilancio, ho usato come denominatore il fatturato. Ma sappiamo bene che tutte le compagnie che abbiamo citato, tranne una, sono in utile. Se prendiamo il fatturato di Alitalia e lo aumentiamo di 600 milioni, per arrivare a chiudere con un risicato utile, il rapporto costo del lavoro/fatturato si riduce a 14,8%.
    Intendiamoci: non c'è nulla di male in una compagnia low-cost, ma non possiamo pensare che alitalia possa diventarlo. E questo per il semplice fatto che il guadagno del low-cost viene fatto non tagliando le spese del personale (invero anche su quello), bensì stressando il più possibile il fatturato.
    Vedremo come.

    (continua)

    sabato 20 settembre 2008

    Interludio

    Io non sono pregiudizialmente contrario al giornalismo. O non lo ero.

    Per quanto riguarda Alitalia, né io né alcun altro mio parente fino al sesto grado vi lavora o ha rapporti di alcun tipo con essa.  Il mio datore di lavoro non avanza soldi da Alitalia. Non ho nemmeno la tessera millemiglia.

    Ieri sera, scorso il bilancio, mi sono detto che scrivere un articoletto sui numeri della compagnia era una fatica di cui non valeva la pena; e pensavo di piantarla lì.

    Poi stamane sono uscito a comprare le briosce (detto alla Ranzani), ho acquistato la Repubblica (che compro solo durante i week-end, per indignarmi) e ho visto le due pagine su Alitalia.

    Informazioni e numeri in piena libertà. Una colonna di cifre presentate senza una chiave di lettura, e soprattutto di cifre sbagliate. Non perché i numeri siano stati trascritti errati , ma proprio perché quei numeri non servono a nulla, se non a riempire una colonna e giustificare la cattiva coscienza del redattore.

    E' come pubblicare la fotografia di una camera a bolle: ci sarà anche il bosone di Higgs, lì dentro: ma se non sei un fisico nucleare è solo una serie di curve più o meno gradevoli da vedere.

    Già, ma il bosone è una cosa sulla quale non siamo chiamati ad assumere un'opinione: non sposta voti, non ci costa in tasse.  Mentre su Alitalia ci si è giocata una campagna elettorale e si è, almeno in parte, decisa la sorte di cinque anni della nostra vita.

    E' per questo che sento il dovere, un dovere civico, di surrogarmi al cattivo giornalismo e dare un'interpretazione di quei numeri che ho letto, anche se ci vorrà un po' di tempo, perché, a differenza del giornalista che è pagato per farlo, io devo utilizzare il mio tempo libero, e ho anche una spesa da fare, una gita in bici con mio figlio e un aperitivo da bere.


    Alitalia divaga ancora

    Considerate le espressioni di stima ricevute, di cui ringrazio, oggi avevo pensato la quarta puntata della serie Alitalia: quella sui creditori.  Me la sono costruita mentalmente, poi mi sono andato a prendere il bilancio per verificare quanto avevo intenzione di scrivere.

    Ho visto che le cose non stanno come pensavo: quindi prima di dare interpretazioni erronee ci devo pensare bene sopra; e non è neppur detto nemmeno che abbia le capacità e la determinazione per affrontare il compito.  Del resto il bilancio di Alitalia è, come potete immaginare, un documento estremamente complesso, data anche la particolare operatività internazionale: senza una conoscenza approfondita dei principi IAS non ci capireste niente, come forse non ci capirò molto io, che non sono un analista bensì un legale.

    Intendiamoci. Non sto dicendo che ci siano sotto chissà quali misteri: semplicemente i numeri non sono come pensavo.  E tale notizia non inficia quanto detto nelle puntate precedenti, dato che lì si facevano considerazioni strutturali di natura legale, mentre qui ragioniamo di parametri patrimoniali, economici e finanziari.

    Però un ragionamento, o meglio una divagazione, si impone.

    Ieri sera, vedendo al Tg le scene di esultanza dei dipendenti all'annuncio della trattativa con CAI e della prospettiva del fallimento, mi sono reso conto che solo io e pochi altri che fanno il mio mestiere potevano capire cosa stava succedendo: il grande pubblico non poteva averne idea, e stampa e televisioni non offrivano il minimo strumento interpretativo.

    Ho sentito il bisogno di perdere qualche ora e ho buttato giù queste noterelle, che credo abbiano due qualità: sono abbastanza chiare (per quanto lo consente la materia) e sono abbastanza obiettive (per quanto vengano da uno di parte).  La chiarezza mi è stata riconosciuta anche da altri, dell'obiettività sono io l'unico giudice, ma me la auto-riconosco a cuor leggero: basti pensare che se avessi scritto quanto avevo in mente oggi, senza verificare i dati di bilancio, molto probabilmente nessuno se ne sarebbe accorto. E a riprova di ciò ho i miei log, dai quali risulta che solo un utente, da un'azienda meccanotessile sul Lago Maggiore, è andato a leggere il testo del famigerato decreto, mentre tutti gli altri si sono semplicemente fidati.

    Io ci credo, che grazie al mio piccolo lavoro di una serata qualcuno dei miei lettori abbia capito meglio, e mi indigno perché non posso ammettere che una classe di professionisti dell'informazione, pagati per spiegare la realtà, non siano stati in grado di mettere insieme pochi concetti in un articoletto tecnico-divulgativo.  E' una materia complicata, certo, ma si può semplificarla senza banalizzare.  Considerato che non ho trovato -sui giornali normali, lasciamo perdere il Sole 24 Ore- un solo articolo che spiegasse il contenuto del decreto e tutto il seguito, mi domando se il motivo sia:

  • che nessun giornalista ci ha capito qualcosa (ma non ci sono dei consulenti per queste cose, nelle redazioni?)
  • che hanno capito ma hanno preferito non scendere in particolari (per non disturbare il manovratore? lo capirei dal Giornale; ma l'Unità o Liberazione?);
  • che hanno capito ma hanno ritenuto troppo tecnica la questione, e quindi di scarso interesse (o forse troppo difficile da spiegare).
  • Personalmente credo che la risposta giusta sia l'ultima: credo che la stampa italiana sia ormai talmente scaduta che non solo non si preoccupa del più banale degli adempimenti, vale a dire verificare quanto si scrive, ma addirittura non si curi più neppure del prodotto stesso, Non è più un problema di qualità scadente, insomma, ma proprio di offerta: si scrive per riempire le pagine (e per inserire tanti paginoni pubblicitari tra una notizia e l'altra).

    E' molto più facile descrivere le divise, i cori, persino le ansie dell'hostess con i figli a casa e 1.500 euro di paga base, piuttosto che spiegare perché diavolo quell'hostess sta lì, cosa la spinge ad applaudire la prospettiva del fallimento che per qualunque dipendente è il peggiore degli spettri.

    Qualcuno ci marcia anche: sono sicuro che Feltri vorrà far credere che i dipendenti vogliano trovarsi per strada al solo fine di prendere la cassa integrazione e fare il lavoro nero; ma per la maggior parte delle testate credo si tratti solo di pigrizia e sciatteria.


    venerdì 19 settembre 2008

    Alitalia sorge ancora /3

    Nelle scorse puntate abbiamo visto il quadro normativo di riferimento e la situazione all'apertura del tavolo delle trattative.

    Chiariamo subito una cosa: il sindacato deve fare sindacato, ovverossia tutelare gli interessi dei lavoratori: non del Paese o dei creditori.  E' chiaro che gli interessi dei lavoratori non devono andare contro quelli del Paese, ma il ruolo del sindacato è ben preciso, e non si può chiedergli di essere lui il baluardo dell'interesse pubblico.

    Ora, io personalmente ne ho visti tanti di fallimenti, e mai -ma proprio mai- ho visto i lavoratori applaudire alla notizia dell'intervenuto fallimento.  Immagino che qualcuno si sia chiesto come mai: molti saranno rimasti basiti e non saranno riusciti a comprendere.  In questa puntata cercheremo di scoprire il perché di quegli applausi; ma per ora tenete ben presente che gli applausi ci sono stati, e questo dovrebbe significare che i lavoratori l'accordo non lo volevano.

    E' doveroso un ulteriore inciso, per quanto ciò possa affaticare il lettore.  Su molta stampa si legge, oggi, che la CGIL non ha fatto altro che difendere gli interessi corporativi dei lavoratori: aggettivo che dovrebbe significare qui spregevoli, almeno credo.  Orbene, a parte il fatto che -lo ribadisco- quelli sono proprio gli interessi che devono essere difesi dal sindacato, vediamo un po' questa millantata corporatività.

    Con la lettera di ieri le sigle non firmatarie dichiaravano la loro disponibilità a:

    "sottoscrivere i tre contratti collettivi di lavoro applicati agli addetti di una delle Compagnie europee di riferimento (come ad esempio Lufthansa , AirFrance o Iberia) opportunamente decurtati nella parte economica"
    Ora, sarà anche corporativismo, ma quando dei sindacati dicono di essere pronti ad accettare i contratti della concorrenza meno qualcosa, mi pare che senso di responsabilità ne stiano dimostrando eccome.

    Torniamo a bomba, ora, e parliamo di questo famoso fallimento.  Il 29 agosto il Presidente del Consiglio con proprio decreto mette Alitalia in Amministrazione straordinaria.  Subito dopo, come per legge, il Tribunale di Roma dichiara lo stato di insolvenza.  Lo stato di insolvenza per un'impresa normale corrisponde al fallimento, mentre per le grandi imprese le leggi Prodi-Marzano prevedono una sorta di salvagente che consente loro di galleggiare sul pelo dell'acqua sulla base di un piano di risanamento.

    In pratica, con il fallimento arriva un curatore che ha l'unico scopo di vendere tutto e pagare i creditori; mentre con l'amministrazione straordinaria il commissario redige un piano di ristrutturazione per tentare di far uscire l'impresa dal guano: ci sono vari mezzi con cui può far ciò, ma qui entreremmo in dettagli troppo tecnici.  Grazie al decreto del 28/8, invece, il commissario può anche vendere pezzi.

    Ora, se la differenza tra fallimento e amministrazione straordinaria è che in un caso si vende e nell'altro si risana, una volta che si cambia la normativa per consentire la vendita di pezzi delle società in amministrazione straordinaria, siamo in un campo assai contiguo al fallimento.

    Con una differenza: che nel fallimento la vendita è fatta sotto il controllo di un giudice e mediante una gara.  Mentre nell'amministrazione straordinaria così modificata, la vendita viene fatta sotto il controllo del ministro dello sviluppo economico (Scajola, per chi non lo sapesse) a trattativa privata.

    Capito il giochino?  Alitalia è già fallita: è in stato di insolvenza, e il piano di risanamento non c'è.  I lavoratori, che lo sanno, a questo punto preferiscono che vengano posti in vendita i pezzi a gara, nella certezza che il boccone sia ancora appetibile e chi entrerà formulerà proposte contrattuali assai migliori di quelle di Colaninno e soci.

    Già, ma -dice la stampa- Fantozzi ha sentito air France, Lufthansa e British Airways, che si sono tirate indietro.  Quando le ha sentite? Il 16 settembre.  Cioé dopo tutto il puttanaio messo in piedi da CAI, governo e sindacati.

    Ora: ammettiamo che voi foste interessati a comperare una casa di vacanza al mare, tipo in Sardegna.  A un certo punto scoprite che in Sardegna è scoppiata la guerra civile, non si capisce più chi comanda, non ci sono i servizi essenziali e via discorrendo; che fate, vi fate avanti?  Io me ne starei a casa mia, aspetterei che la situazione si fosse chiarita e che torni la pace.  Non è che la casa non sia più interessante: è che è troppo rischioso comperarla.

    La situazione di Alitalia al momento è così: le compagnie straniere, quelle che potevano essere interessate, sono state tenute lontano, e chiamate all'ultimo momento quando nessuno, obiettivamente, riesce a dipanare il casino montato.  Hanno fatto due conti, e deciso che piuttosto che mettere le mani nel verminaio è meglio aspettare che gli italiani si sbranino tra loro e poi comprarsi il cadavere, magari a pezzi.

    Ma allora i lavoratori ce l'avranno nel fracco! E invece no: perché quello che rimane sarà pure un cadavere dal punto di vista del valore economico: ma è pur sempre un cadavere con aerei funzionanti, slot di volo e personale preparato.  Cioè una compagnia aerea alla quale basta cambiare nome e coordinate bancarie per essere messa in condizione di funzionare.  Una compagnia aerea senza debiti, perché chi compra compra i beni, non i debiti.

    Chi ce l'ha nel fracco, quindi? Presto detto: i creditori.  Nella prossima puntata (tra un po', però) vedremo chi sono, i creditori.

    (continua)


    Alitalia sorge ancora /2

    Nella precedente puntata abbiamo visto come e qualmente grazie all'azione del Governo il quadro di riferimento sia radicalmente mutato rispetto alla proposta che TPS aveva fatto a suo tempo. Rammentiamo che TPS aveva indetto una gara per vendere tutta Alitalia, mentre grazie al decreto del 28/8 ora si può vendere privatamente un pezzo scelto, al prezzo deciso da una Banca (d'intesa con il Governo, dico io maliziosamente).

    Si noti che vendere i pezzi migliori in sé non è il male assoluto: anzi, dal punto di vista dei lavoratori è la cosa migliore, tanto che è né più ne meno ciò che ha fatto il prof. Bondi con Parmalat. La differenza è che lui l'ha fatto stiracchiando le norme delle leggi Prodi - Marzano; ora Fantozzi lo può fare in un quadro normativo più chiaro e agevole. Certo, le leggi non possono creare ricchezza dal nulla, e difatti qualcuno ci deve perdere: nella vendita a pezzi chi ci perde sono i creditori, dato che una volta tirato fuori dagli attivi il pezzo buono a prezzo scontato, con quel che resta non ci si paga nulla. Ma ci torneremo.

    A questo punto la porcata non è ancora fatta, o perlomeno è fatta solo nei confronti dei creditori: ma ora viene il bello. Anche secondo il nuovo quadro normativo, la procedura dovrebbe prevedere la nomina di un advisor che individua un ramo d'azienda sano, ne stabilisce il prezzo giusto e trova un acquirente sul mercato per quel prezzo: sono cose che si possono far meglio, a trattativa privata, ma si tratta di una procedura tutt'altro che trasparente: quindi il prezzo e il contesto contrattuale deve essere rigidissimo.

    Se io vendo una macchina usata, ho tutto il diritto di definire il prezzo, trovare un compratore a quel prezzo e poi, prima di aver sottoscritto il contratto, trattare con lui se devo o meno lasciargli i tappetini e lo stereo. Ma se sono il concessionario, e ho concordato il prezzo con chi mi ha affidato la macchina da vendere, devo rimanere nei paletti che mi sono stati dati. Perché non sto vendendo una cosa mia, bensì una cosa di altri. Se il proprietario mi ha detto di smontare lo stereo e vendere la macchina a 1.000 euri, io posso trovare il primo tizio che passa e vendergliela a 1.000 euri. Ma se lascio dentro lo stereo, devo perlomeno sentire il proprietario, e comunque sbattermi per vedere se magari Caio, con lo stereo, sarebbe disposto a pagare 1.050 euri.

    Cosa fa invece il governo? Una volta fatto lo spezzatino, decide di vendere a chi vuole lui senza aver definito l'intero set di accessori. accessori che in questo caso si chiamano esuberi e condizioni contrattuali. Mette quindi in vendita il pacchetto offrendoo a un solo compratore e lasciandogli mano libera per trattare un margine ulteriore da portarsi a casa. Sarebbe ancora ancora stato ammissibile se il margine fosse consistito, chessò, in qualche impianto originariamente non previsto nel perimetro del ramo buono; ma qui invece il margine sono i lavoratori nei cui confronti l'unico compratore può dettare le condizioni contrattuali.

    E' in tale clima che i sindacati si siedono al tavolo. Ora facciamo un po' di istituzioni di diritto civile. Il contratto è l'incontro tra la volontà di due o più parti. La volontà, per essere tale, deve essere libera, altrimenti non è -per definizione- volontà. Esistono casi in cui un soggetto è obbligato a concludere il contratto (ad esempio, Trenitalia è obbligata a venderti il biglietto, anche se stai sulle palle al bigliettaio), ma in tali casi il contratto viene concluso nell'ambito di paletti ben definiti a priori: non è che io vado dal bigliettaio e tratto sul prezzo o chiedo di andare in prima al prezzo della seconda.

    Qui invece si prendono i sindacati e si dice loro: guardate, questo è l'unico compratore, vedetevela con lui ma dovete comunque firmare. E sti cazzi, dico io. L'unico compratore perché? Prima mi dimostri, che è l'unico compratore, poi posso anche cedere; ma se chi ho di fronte è l'unico compratore per scelta del governo che non ha cercato nessun altro compratore, be' la cosa è un tantino diversa.

    E questo perché potrebbe essere che un altro compratore, magari, offra ai lavoratori condizioni economiche migliori. Ma questo non lo si può sapere, se un altro compratore non lo si cerca nemmeno (scusate il tono didattico da prima elementare).

    I sindacati si siedono quindi al tavolo, si sentono fare delle proposte dure, e decidono. Chi decide di starci, chi di non starci. Francamente con tutto il bailamme che era sorto la volta precedente, ero abbastanza certo che nessuna sigla avrebbe potuto permettersi di dire di no: perché era chiaro che nell'opinione pubblica e nella stampa si sarebbe presa la responsabilità del fallimento di Alitalia: siamo un un mondo in cui l'informazione deve essere condensata in due righe, e io ci sto mettendo ore per buttare giù queste note documentandomi un minimo.

    In due righe non puoi far altro che dire "ALITALIA: BA, LUFTHANSA E AF DISPONIBILI MA SOLO CON CAI": che poi non è nemmen vero, se leggi tutta la dichiarazione.

    (continua)


    giovedì 18 settembre 2008

    Alitalia sorge ancora

    Vogliamo cercare di capire perché quanto accaduto oggi (il ritiro dell'offerta da parte di CAI) è una buona cosa per i dipendenti e per i contribuenti?  Bene, ma occhio che sarà una cosa lunga.

    Qualche mese fa c'era un'azienda (Alitalia) che aveva tanti debiti e tanti beni preziosi. Tutto sommato la parte buona valeva un po' più di quella cattiva.  Il Governo, padrone di Alitalia (o meglio, della sua maggior parte) decise di metterla in vendita, e organizzò una gara.  Molti parteciparono, ma Alitalia non stava messa benissimo, e così alla fine si ritirarono tutti tranne uno: un'azienda straniera (Air France).

    Air France guardò un po' i conti e offrì un bel po' di soldini, circa 800 milioni: però voleva licenziare un po' di persone e fare quel che voleva dei voli, chiudendo anche, in pratica, un importante aereoporto.

    Successero tre cose, insieme:

    1. i sindacati non furono contenti dei licenziamenti;
    2. il principale esponente del partito avverso a quello del designato successore del presidente del consiglio in carica (Berlusconi, insomma: forse a chiamare cose e persone con il loro nome siamo tutti più contenti, o almeno più chiari) disse che se avesse vinto le elezioni (cosa più che certa, allora) avrebbe mandato a rane Air France;
    3. il sindaco del paese natale del signore di cui al punto precedente, una signora del suo stesso medesimo partito, avviò tramite la SEA (di proprietà del suo comune) una causa contro Alitalia per 1 miliardo e briscola (1.250 milioni).

    A questo punto Air France si ritirò, e chi potrebbe darle torto? Voglio dire: stai comprando un'automobile usata, sei disposto a pagare 800 euri; dopodiché scopri che c'è il cambio che non funziona tanto bene e rischi di doverci mettere altri 1.250 euri di meccanico; quello del bar dell'angolo, che ha le chiavi, ti ha detto di non farti nemmeno vedere che ti mena, e i pistoni stessi non ti hanno in simpatia.  Che fai, compri? Ma sei proprio un coglione!

    Notate che di questa alata metafora, tutto quel che è rimasto sulla stampa è: "i pistoni non ti hanno in simpatia"; fuor di metafora, la colpa è sempre dei sindacati.

    A questo punto, che accade? Accade che Il Principale Esponente (Berlusconi) diventa presidente del consiglio, e ti fa due bei decreti.

    Il primo decreto è complicatissimo: stabilisce un quadro d'insieme, necessario per fare le porcate che poi andremo a spiegare; cerco di riassumere i punti principali.

    1. quando una grande società si trova in stato di crisi, può essere venduta a pezzettini (art.1 c.2);
    2. se la società eroga servizi pubblici essenziali, cosa vendere lo decide il governo (art.1 c.3);
    3. la vendita dei pezzi d'azienda si fa a trattativa privata, al prezzo deciso da una banca e senza applicare le normativa antitrust (art.1 c.10);
    4. queste vendite le autorizza il Ministro (Scajola!), non il giudice (art.1 c. 11)
    5. gli amministratori di Alitalia che hanno fatto azioni per le qualo potrebbero essere chiamati a pagare danni, sono salvi e non pagheranno nula (art. 3).

    Il successivo decreto è quello che il giorno dopo mette Alitalia in Amministrazione straordinaria.

    E' chiaro (no, non è chiaro per niente: se non masticate di queste cose dovete fidarvi di me, che ahimé ne mastico eccome) che la situazione è ora ben diversa.  Il commissario può vendere dei pezzettini, al prezzo che vuole il governo  la banca consulente e a chi vuole il governo lui; e quel che non si riesce a vendere, ciccia:rimane invenduto.  Air France, e tutti gli altri che avevano partecipato alla gara, dovevano comperarsi tutta Alitalia: i nuovi arrivati, senza gara, possono comprarsi il fior da fiore e lasciare sul banco la parte che puzza di morto.

    (continua)


    La mia tessera della CGIL

    Ero proprio convinto che stavolta sarebbe finita in brandelli, invece la tengo!

    Ne sapevo abbastanza

    Quando non tenevo questo blog e facevo il sindacalista, mi sono assai battuto -e ho vinto- perché i soldi del fondo pensione integrativo non potessero essere investiti nelle borse se non in minima parte (il 10%); e taluni colleghi al tavolo volevano arrivare oltre il 50%.

    Molto più di recente, ho suggerito a tutti coloro a cui potevo suggerirlo di non farsi fottere dalla riforma Maroni e di tenere i soldi della liquidazione presso l'INPS, perché avrebbe reso di più e anche perché in mancanza di scelta non si sarebbe potuti tornare indietro.

    Tutta la stampa (tranne il Manifesto e Liberazione) diceva che ero un deficiente. Ora il sito del Corrierone ha un lancio così:

    Tenete i soldi sotto il materasso. Colpa delle banche centrali. E non si vergognano di scriverlo, dopo aver preso per il culo milioni di poveretti che di mercati hanno diritto di non sapere nulla e si fidavano del proprio giornale e della televisione.

    E' anche per questo che ora io scrivo qui: oggi posso dire solo "io l'avevo detto"; un domani "io l'avevo scritto".


    Caratteri rubati all'agricoltura

    E' lo sport del giorno, bisogna giocare.

    Non ho alcuna stima per MCC, ma ha ragione lui (malgrado il suo inglese faccia cacare).

    VG non ha detto nulla di scandaloso; scandaloso è il modo in cui l'ha detto (e l'accento).

    L'amica di Sofri (il giovane) ha delle belle tette (anche se ri-tette).

    Facci è un po' stronzo, ma i Gormiti lo sono di più; e i creatori dei Gormiti pessimissimi (e fautori dell'ascesa del Cavaliere, così si torna a parlar di cose serie, và).


    mercoledì 17 settembre 2008

    Notizie che fanno bene

    Repubblica sta facendo un sondaggio che invita a indicare di chi sia la colpa della crisi dell'Alitalia.
    Per quel che può valere un sondaggio di questo tipo, senza controllo e proposto da un giornale che fu di sinistra (non che lo sia ancora, ma molti suoi lettori sì), i risultati sono incredibilmente confortanti, vista l'aria che che tira:

    (dati del 17/9, ore 14:37)
    Del governo in carica: 55%
    Del governo precedente 2%
    Dei sindacati 16%
    Dei lavoratori 5%
    Dei precedenti amministratori 20%
    Della cordata di imprenditori privati 1%
    Non so 1%

    In pratica: solo un lettore su cinque sarebbe cascato nella trappola mediatica per cui la colpa di tutto è di sindacati e lavoratori. Quasi nessuno (uno su 50) dà la colpa a Prodi, e il 55% pensa che la colpa si di Berlusconi (come, in effetti, è).

    Meretricio

    Delle volte (raramente in verità) rimpiango di non aver fatto l'avvocato, il che mi avrebbe consentito poi di passare una serena mezza età come giudice di pace.
    In tale qualità avrei avuto modo di giudicare sui ricorsi contro l'ordinanza 242 del Comune di Roma che (stando alla stampa, ché sul sito istituzionale non è ancora disponibile) recherebbe il divieto di:

    «assumere atteggiamenti e comportamenti e di indossare abbigliamenti, che manifestino inequivocabilmente l'intenzione di adescare o esercitare l'attività
    di meretricio»

    Tutto qui si gioca su quell'"e di": dacché se non ci fosse il "di", il comportamento punibile sarebbe costituito dal vestirsi da troia e stare la notte a fianco ad un fuoco roteando la borsetta; ma con quel "di" di troppo, il Comune di Roma vieta sia di stare accanto al fuocherello sia di vestirsi da troia.
    Vestirsi da troia, quindi, a Roma è vietato. Indipendentemente dal fatto che una troia lo sia: una può essere la persona più onesta e timorata di Dio che ci sia al mondo, ma se mostra le tette un po' troppo e fa intravvedere un pezzo di coscia (per non parlar del pelo!), allora si becca la multa.
    Pensate un po' a che popò di sfilata di personalità mi troverei davanti: chiunque avrà già pensato a quei due-tre nomi ministeriali che si fanno sempre in questi casi, e sarebbe troppo facile farli anche qui: ma anche l'opposizione sarebbe ben rappresentata.

    martedì 16 settembre 2008

    Manifesto

    Può sembrare idiota -e anzi certo lo è, tutto sommato- avviare un blog nel 2008, vale a dire quando ormai tenere un blog non è più una novità né una moda. So bene che difficilmente supererò il traguardo dei venti lettori e che la mia opinione non interessa a nessuno, se non forse a coloro che, legati a me da rapporti di amicizia, avrebbero quotidianamente la possibilità di ascoltarla dalla mia viva voce.

    Sgombriamo anzitutto il campo dal dubbio che desideri parlare di me: non ne ho la minima intenzione in quanto ho una vita tutto sommato banale, e soprattutto non ho i mezzi espressivi per raccontare quelle cose che mi succedono e che una come Stufa, ad esempio, riesce a rendere piccoli (o grandi) pezzi di poesia.

    Sono poi consapevole di non avere la possibilità di analizzare la realtà e intuire le verità che vi si nascondono che sono dimostrate quotidianamente da, chessò, un Leonardo o un Sofri (quello giovane, ché quello anziano è evidentemente inarrivabile). E non tanto perché mi ritenga molto meno intelligente di loro (lo sono, certo: ma non così tanto), quanto per mancanza di tempo (preso da un lavoro e da uno o più simulacri di famiglia che spesso mi assorbono) e soprattutto di determinazione e fiducia in me stesso e nell'utilità di ciò che faccio.

    Infine, non mi interessa particolarmente diventare né un VIB né un maverick della bloggosfera: ho già dato fin troppo con gli strumenti di comunicazione 1.0, scrivendo cose serie e cazzate, e sono rimasto sempre lo stesso pesce fuor d'acqua, in grado di trovare al limite qualche fidanzata, ma non una comunità.

    Sta di fatto che ho sentito il bisogno di mettere per iscritto i miei pensieri sulla nostra società, e renderli pubblici. Non mi interessa che qualcuno li legga, quanto che siano pubblici e che ne possa essere chiamato un giorno a rispondere. Perché questo? Due sono i motivi, e iniziano entrambi per crisi: la crisi della sinistra e la crisi dell'informazione.

    Crisi della sinistra è ciò che si è verificato dopo le ultime elezioni: una gran massa di persone (non un blocco, ma tanti singoli ciascuno con una propria testa e una propria idea del mondo) hanno perso rappresentanza politica. E fini qui si poteva anche pensare che non vi sarebbe stato granché di male: non è che avere un senatore o tre deputati in parlamento consenta di influenzare la politica, tranne in casi eccezionali quali il precedente governo Prodi, "forte" di una maggioranza così risicata da rendere equipotenti la Binetti, Mastella e l'intero gruppo diessino.

    Il problema è che alla crisi di rappresentanza ha fatto immediatamente seguito una crisi dell'informazione: non si è perso solo il voto, ma la voce stessa di quelle istanze, che per la stampa italiana (comprendendovi giornali, telegiornali, rotocalchi e tutto quanto fa spettacolo) sono divenute del tutto inesistenti.

    Non cessa di stupirmi, ogni volta che ci penso, la facilità e la rapidità con la quale l'intero sistema dell'informazione si è sdraiato sul duopolio ideologico Berlusconi-Veltroni, con le due ali pierineggianti Di Pietro-Bossi. Sembra incredibile, ma per quanto siano passati solo pochi mesi prendere in mano un giornale dell'anno scorso fa lo stesso effetto della manipolazione di un 78 giri: un oggetto che ci riporta ai fasti di un lontano passato che non torna più.

    Io sono intimamente convinto di sapere in capo a chi va ascritta la responsabilità di questa situazione, e leggendo quanto scrivo tale opinione traspare al di là di ogni dubbio; ma non è questo ora il punto.

    Il punto, il manifesto di questo spazio, è che nella situazione venutasi a creare ogni voce, per quanto debole e insignificante, deve essere espressa ed utilizzata per testimoniare l'esistenza -la resistenza, mi viene spontaneo scrivere- di un pensiero critico e non omologato.

    Non importa di avere uno o zero lettori: importa di fare questo sforzo quotidiano, per sé stessi e per il futuro di tutti.


    mercoledì 10 settembre 2008

    Malgrado

    Wittgenstein cita questo articolo dell'Independent che spiega come e qualmente i commentatori di sinistra facciano sistematicamente l'errore di sottostimare l'intelligenza dei politici di destra, con il risultato finale di prenderla, altrettanto sistematicamente, in quel posto.

    L'articolo è incentrato sulle reazioni alla candidatura della Palin, ma contiene un passaggio che, pur essendo buttato lì così, mi ha veramente colpito perché mi ha riportato esattamente a quegli anni:

    Only a simple idiot would, as President, dare to denounce the Soviet Union
    "an evil empire", surely? How could anyone except a man still thinking that he
    was on a film set possibly say "Mr Gorbachev, tear down this wall"? Yet when the
    Berlin Wall was duly dismantled, Reagan's political opponents – who included the
    entire European social democratic movement – could not bear to contemplate the
    fact that this ex-Hollywood actor had understood the inherent rottenness of
    socialist economics far more profoundly than they.

    Forse è ora per tutti -me compreso- di prendere più sul serio certi soggetti. Quante volte ci siamo stupiti vedendo che gli elettori -la ggente- premiava certi partiti malgrado i Borghezio, i Bossi, i Gasparri, gli Schifani (i Guzzanti, suvvia: non facciamo torto a un appassionato lettore!)?

    E invece, forse, il punto sta proprio in quel malgrado, da ripensare.


    domenica 7 settembre 2008

    Un cordiale vaffanculo a... /1

    ...Joaquin Almunia, secondo il quale:

    L'Italia è uno dei Paesi con la situazione peggiore per quanto riguarda il costo del lavoro [...] compensare la crescita dei prezzi con aumenti dei salari non porta a nulla. E' necessario invece migliorare la competitività e abbassare il costo del lavoro.

    E, visto che ci siamo, un cordiale vaffanculo anche agli accordi sul costo del lavoro che ci hanno portato ad avere i salari più bassi in europa, alla faccia di Almunia.

    La famiglia passaguai

    Ieri, annoiato, ciondolante e un po' di cattivo umore mi sono messo su La famiglia passaguai, solo perché ce l'avevo lì ed era la prima cosa che mi era venuta sul telecomando.

    Lo so bene che non è grande cinema, e che il film nel finale è inutilmente caciarone e rumoroso; sta di fatto che, pur essendo il film del 1951 e oggi obiettivamente datatissimo, ho riso per un'ora e passa come un cretino.

    Tralasciando per un attimo Fabrizi, De Filippo e la Ninchi, un applauso va a Luigi Pavese, semplicemente magnifico, con il cocomero in mano e l'altra mano in testa a coprirsi la pelata; e il bagnante scemo è una macchietta che ancor oggi fa scuola.


    mercoledì 3 settembre 2008

    Chrome

    Ne parlano tutti, tanto vale che ne parli anch'io.

    La pervasività di google non mi piace.  Non mi preoccupa, ma non mi piace. Preciso ancor meglio: non è che mi dispiaccia, semplicemente non mi fa piacere.

    E non è che mi senta in pericolo: gli ho affidato mail, blog e ogni giorno lascio che filtri la mia conoscenza.  Sono consapevole di cosa sto facendo, e so bene che dieci anni fa sarei stato più libero di cercare, non certo di trovare.

    Mi preoccupa il fatto che sebbene la mia sia una consapevolezza critica, maturata attraverso venticinque anni di confronto con le macchine e con chi le governa, cionondimeno è una consapevolezza di nicchia: l'uomo della strada -ma anche il giornalista- digita e beve il risultato, acriticamente.  E con ciò accetta di vedere solo una fetta di realtà, senza accorgersene: come nella caverna di Platone.

    Mi piacerebbe che le lezioni di +ORC fossero rese obbligatorie: non quelle tecniche ormai irrimediabilmente archeologiche, bensì quelle sul social engeenering, ancora attuali pur se la realtà è andata ben oltre l'allora immaginabile.

    Non ho capito bene come fa Opera a vivere: neanche ciò mi piace molto, ma per ora continuo a usarlo (e mi consente di mettere i tab sotto, to')


    martedì 2 settembre 2008

    Essere d'accordo con Gasparri

    Intendiamoci: non è che io ce l'abbia pregiudizialmente, con Veltroni; anzi mi piacerebbe poter essere d'accordo con lui. Ma lui ci si mette d'impegno, a impedirmelo.

    E non sono per nulla lieto di pensarla allo stesso modo di Gasparri. Anzi, mi viene da guardarmi allo specchio per controllare se sono proprio io me medesimo o un'altro.

    Ma se è vero -e mi piacerebbe che non lo fosse- che Walterone ha attaccato il governo perché i tifosi napoletani sono stati scarcerati, una considerazioncella è proprio da fare.

    L'uomo (walterone) sembra ormai è completamente decotto, al punto di non saper più riconoscere la differenza tra il potere esecutivo e quello giudiziario. La insegnano alle scuole medie, la differenza; forse addirittura alle elementari. Il potere legislativo crea le leggi; il potere esecutivo applica le leggi; il potere giudiziario punisce chi non rispetta le leggi. E' come una filastrocca, in fondo.

    Poi c'è la Costituzione:la legge fondamentale dello Stato (anche questo, lo insegnano alle elementari): che all'articolo 13 dice che:

    La libertà personale è inviolabile.Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
    In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto

    Insomma: il governo non c'entra proprio nulla. Il governo metteva la gente in galera, e ce la teneva, nel ventennio, non oggi. Ora, i casi sono due:

    • o Veltroni ritiene che questo sia un governo fascista, e quindi grida allo scandalo perché sa che è il governo ad aver disposto la scarcerazione dei tifosi (ma allora dovrebbe portare le prove; e se avesse semplici indizi, santo cielo, dovrebbe fare qualcosa, qualsiasi cosa)
    • o Veltroni è semplicemente vittima di un lapsus, perché se ci fosse stato lui, al governo, la pulsione a scavalcare la magistratura gli sarebbe venuta.

    Si badi che la seconda tesi è meno fantascientifica di quanto sembri. Abbiamo presente Cofferati, a Bologna?


    lunedì 1 settembre 2008

    Nati con la camicia

    E' vero che non nasciamo tutti uguali: c'è chi nasce con la camicia e chi deve faticare fin da piccino per pagarsi gli studi.
    Un esempio di ciò è costituito dai fratelli Guzzanti. Trovo profondamente ingiusto che abbiano potuto avere il successo che hanno avuto, dato che non hanno dovuto faticare neppure un po', grazie al padre che si sono ritrovati, e ancor più grazie ai lettori del padre.

    Due parole su Alitalia e PD

    Se c'è una cosa sulla quale non ne so abbastanza, questa è sicuramente la vicenda dell'Alitalia, per dipanare la quale bisognerebbe intendersi di quel particolarissimo mercato che è il trasporto aereo, conoscere i numeri della compagnia e i piani messi sul tavolo dagli attori che via via si sono succeduti.
    E' tuttavia possibile scrivere qualche riga di mero buonsenso, pronto peraltro a fare ammenda qualora l'analisi fosse completamente sbagliata. Vediamo quindi un po' chi ha quali interessi.
    • i lavoratori: il 95% di essi ha come unico interesse quello di salvare il proprio reddito. Questo non coincide necessariamente con salvare il proprio posto di lavoro: sono cose diverse. Certo, ci saranno coloro che hanno mansioni gratificanti e creative ai quali interessa più il posto che la busta paga (e sono queli che non hanno difficoltà a riconvertirsi); ma di questi tempi per un'hostess di terra è più importante il fatto di riuscire ad arrivare a fine mese piuttosto che il marchio che sta davanti al bancone dietro il quale lavori;
    • i cittadini-utenti: l'enorme maggioranza degli italiani viaggia in aereo quando va in vacanza o a trovare i parenti, e l'unica cosa che guarda è il prezzo del biglietto. La fedeltà alla compagnia non si può definire minima: non esiste proprio. A quei (in fondo pochi) che viaggiano per lavoro (rectius: alle loro aziende) interessa avere la comodità di arrivare a destinazione senza fare scali, con voli frequenti e -in questi limiti- convenienti;
    • i cittadini-contribuenti: vorrebbero evitare di metterci dei soldi loro;
    • i sindacati: l'unico vero interesse dei sindacati, in questo momento, è evitare di essere messi di fronte a un nuovo aut-aut, al quale non potrebbero che rispondere negativamente, esattamente come avvenne mesi fa. Non è trinariciutismo: è semplicemente che se si viene chiamati a contrattare si contratta; se si devono solo ratificare scelte altrui per condividere le responsabilità senza aver indirizzato le scelte, tanto vale non venir nemmeno chiamati a farlo;
    • gli imprenditori: vogliono prendersi una compagnia aerea pulita da debiti e a prezzi da saldo, investire un po' e guadagnarci bene: chiamali scemi;
    • i concorrenti: vogliono aspettare di vedere come va, e poi se va bene prendersi la compagnia aerea e se fa male prendere i suoi clienti. Chiamali scemi;
    • il Paese: deve avere una compagnia di bandiera (ah ah ah). Nel 2000 neanche Starace, neanche Pavolini direbbero più una sciocchezza del genere. A nessuno frega niente, del colore della livrea, se l'aereo è sicuro, puntuale e conveniente.

    Obiettivamente, non si può negare che il piano del governo Berlusconi accontenta un po' tutti, compresi i sindacati (che devono fare un po' di maretta, ma non gli par vero di avere nuovamente il ruolo; e lo dico da sindacalista). Unica eccezione, i contribuenti, che ci metteranno una caterva di soldi; ma non sappiamo (o non so) quanto dovrebbero metterci in altri scenari.

    Vediamo ora cosa dice Veltroni. Dice che (1) Alitalia diventerà una compagnia di bandierina; (2) che l'UE boccerà il piano; (3) che il piano fa rimpiangere l'occasione perduta. In altre parole: (1) lamenta l'unica cosa di cui non gliene frega niente a nessuno; (2) porta sfiga; (3)guarda al passato anziché al futuro.
    Orbene, è vero che stare all'opposizione è più comodo: puoi limitarti a criticare senza bisogno di proporre nulla. Certo, se fai così poi è difficile andare a dare lezioni alla "sinistra radicale che sa solo dire di no"; ma la sinistra radicale l'hai ammazzata, e quindi potresti anche farla franca. Ma non è così semplice: hai fatto un governo ombra. Ci hai creduto, sei andato addirittura da Napolitano. Poco ci mancava che chiedessi la fiducia alle camere. Quei poveretti che ti hanno votato ci hanno creduto anche loro: pensavano che avresti fatto controproposte puntuali, che gliel'avresti fatta vedere, a Berlusconi.

    E invece che fai? Rimpiangi i bei tempi perduti? Ma allora ci sei, non ci fai mica.

     

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