Ormai il problema sul tavolo per i dirigenti del PD non è più quello di come salvare la baracca, bensì di come salvare le chiappe e rimettersi in gioco sotto un'altra bandiera. Cosa che non dovrebbe essere punto difficile per gente che per molti anni ha militato in un'organizzazione chiamata "Partito Comunista Italiano" e che ciononostante afferma -e non sul palco dello Zelig- di non essere mai stata comunista.
Io ho qualche considerazione da sviluppare.

E' noto a tutti che nelle cose del mondo quasi sempre è la misura, che conta. L'arsenico e la digitale possono essere usati come farmaci o come veleni. La tossina botulinica può regalare un aspetto giovanile o mandare al Creatore. Un bicchiere di vino fa bene; una bottiglia di vino non fa tanto bene; cinque bottiglie di vino possono ammazzarti.
E, per cambiare argomento, avere qualcuno innamorato di te è una cosa che riempie il cuore; essere perseguitato da uno stalker può rovinare la vita tua e quella di chi ti circonda. Cercare di far quadrare i conti del bilancio familiare rinunciando a cose superflue e troppo costose per le proprie possibilità economiche è indice di saggezza; accumulare danaro rinunciando persino a nutrirsi, vestirsi e riscaldarsi è indice di un'avarizia patologica. Come pure: altro è condividere disinteressatamente con il proprio prossimo parte della propria fortuna; altro è dilapidare senza controllo alcuno i propri beni.Cambiamo discorso.
Ci sono delle qualità che un leader deve possedere: carattere, determinazione, sicurezza di sé. Un generale tremacoda sarà al grado al più di mandare i propri uomini a farsi ammazzare, sempreché non venga ammazzato prima lui. E un amministratore delegato deve saper imporre le proprie scelte innovative, contro il parere di coloro che pensano "vecchio".
Difetti che chi ricopre posizioni di potere spesso porta con sé, ma che possono essere mitigati dall'intelligenza, dalla volontà e dalla disciplina.
Ma talora intelligenza, volontà e disciplina vengono meno: ed allora ecco che le qualità divengono inguaribili difetti. Appaiono ostinazione, tigna, cocciutaggine. Paranoia. Autismo. Il leader porta alla rovina sé stesso e, cosa assai più grave, tutta la sua organizzazione: sia gli yes-man che coloro che fino all'ultimo hanno tentato di farlo ragionare.Ma questa è patologia del comando: non fisiologia. Le cose di solito vanno (o perlomeno dovrebbero andare) diversamente.
Un capitano che grazie a lucidità e umiltà si accorga in tempo di aver imboccato un vicolo cieco è ancora in grado di fermare le macchine e rimettere la prua verso la meta. Ma può essere troppo tardi.
Anche in questo caso, tuttavia, c'è una soluzione che consente di salvare la nave, o fuor di metafora l'organizzazione; ed è una soluzione semplicissima: si chiama dimissioni
Le dimissioni hanno uno straordinario effetto catartico per l'organizzazione il cui capo si dimette: salvo casi eccezionali non importa quanto le prime e le seconde linee della struttura (e quindi la struttura stessa, ontologicamente determinata) fossero coinvolte negli errori di valutazione del capo o addirittura nelle sue furfanterie: con la rimozione del vertice l'organizazione può ripartire a nuovo, o perlomeno sperare di farlo.E la cosa più curiosa di tutte è che la catarsi coinvolge anche il capo che, finalmente, si decide a lasciare il posto. Non importa quanti svarioni o quante marachelle abbia commesso: con le dimissioni, magari seguite da un ritiro in campagna o su un'isoletta lontana dalle rotte più battute, il dimissionario riesce a costruirsi una nuova credibilità.
E -questo è sorprendente- funzionano anche quando è perfettamente chiaro che colui che le ha rassegnate lo ha fatto solo perché non aveva alcuna altra scelta, in quanto un minuto dopo sarebbe stato cacciato a pedate.
Io non so se Veltroni creda nel Partito Democratico: credo che sia troppo arrogante ed egoriferito per credere in qualunque cosa che non sia sé medesimo. Ma se ci crede, l'unica cosa sensata che può fare è dimettersi. Subito.

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