martedì 29 settembre 2009

Roman Polanski e la salvezza dell'anima

Si fa un gran parlare di Roman Polanski, in questi giorni, e un po' dappertutto ci si pone una quantità di problemi.
Chi si chiede se egli debba essere o meno ricompreso nella categoria dei pedofili, dal momento che la tredicenne che avrebbe stuprato dimostrava molti più anni di quanti ne avesse; chi solleva la questione del consenso prestato dalla medesima, e chi risponde che tale consenso, proprio perché espresso da una tredicenne, non vale nulla; chi pone il tema del parallelismo tra la vicenda in questione e lo stupro-omicidio di Manson; chi fa notare il genio del regista e vede in esso un'attenuante, una scriminante o perlomeno un buon motivo per il quale egli dovrebbe ricevere la grazia presidenziale, e chi invece ritiene che un simile trattamento preferenziale sarebbe inammissibile. Le grandi firme del giornalismo italiano (e forse mondiale, ma noi siamo provinciali e ci occupiamo di casa nostra) oggi pubblicano articoli ricchi di buon senso: le Rodotà e le Aspesi danno il meglio di sé.
I blog seguono a ruota.

Lasciamo perdere la questione del se Barack Obama debba o meno concedere la grazia: che è una sciocchezza per il semplice motivo che lo stupro è un reato statale e non federale e quindi rivolgersi ad Obama sarebbe come rivolgersi a Barroso per chiedere la grazia per la Franzoni (certo, sarebbe bello che chi ha la possibilità di scrivere per il pubblico tentasse di informarsi prima di prender la tastiera in mano: ma è una questione su cui oramai abbiamo rinunciato ad insistere). Veniamo al sodo, quindi.
Mi sembra che ben pochi, tra coloro che ho letto, abbiano rilevato questa semplice e ovvia constatazione: che i fatti di cui si sta parlando sono avvenuti 32 anni fa, e che quindi, indipendentemente dalla circostanza che Polanski sia un grande regista oppure un grande bancario o un grande netturbino, esiste un istituto del diritto naturale chiamato prescrizione.
Coloro che credono di aver appreso l'educazione civica leggendo gli scritti di Travaglio e Grillo riterranno che la prescrizione sia un qualcosa inventato da Cirielli per salvare il culo di Berlusconi; fatevi forza: così non è.
Fino alla fine del XVIII secolo la prigione non era considerata una pena: era semplicemente un modo di garantire che l'accusato di un crimine non avesse modo di sfuggire alla giustizia prima del processo: processo a seguito del quale gli sarebbe stato inflitto il castigo, fosse questo la morte, la gogna, l'ammenda, la confisca dei beni, l'esilio e via discorrendo. Anche la galera, intesa come servizio sulle navi del Re, o i lavori forzati. Nessuno si sognava di ritenere che privare taluno della libertà fosse una pena in sé, non foss'altro perché quel taluno avrebbe dovuto essere alimentato, vestito e riscaldato, con scupìo di danaro reale che sarebbe stato, letteralmente, buttato via; senza la minima utilità.

In effetti l'unico ordinamento a fare della reclusione una pena fu la Chiesa, e per un semplice motivo: l'afflizione conseguente alla condizione di recluso era vista come un'anticipazione nella vita terrena delle sofferenze dell'aldilà, e come strumento per stimolare quell'esame di coscienza e quel pentimento che avrebbero consentito di sottrarre un'anima al demonio. E' quindi nel diritto canonico che si sviluppò quel concetto ora noto come retribuzionismo, secondo il quale la pena è un prezzo da pagare per il male commesso. Prezzo che, nella tradizione cristiana e poi tridentina, era il quantum da pagare per l'espiazione del peccato.
A tale concezione si contrappone radicalmente quella hobbesiana, ripresa da tutto il secolo dei Lumi e in particolare dal nostro Beccaria, secondo la quale la pena costituisce anzitutto un esempio: punendo chi delinque lo Stato dimostra la sua volontà di far rispettare le leggi e in questo modo fa sì che chi sarebbe intenzionato a delinquere si ricreda, a fronte dell'esempio costituito dalla punizione altrui. E' questa la corrente detta della prevenzione generale, che vede nella pena una sorta di vaccino somministrato, per mezzo del reo punito, a tutta la società. Chi ha letto Beccaria, e non sono poi moltissimi che l'hanno fatto bene, sa quanto il Dei delitti e delle pene sia crudele, trattando il reo come carne da macello da sfruttare per il bene sociale; e vi assicuro che il code pénal francese del 1790, nella sua bozza redatta da Lepeletier de Saint-Fargeau sulla base della pedissequa applicazione dei principi illuministici del pensatore milanese e che pertanto non prevedeva la pena capitale, è una lettura da togliere il sonno, resa molto più umana nella sua versione definitiva del 1791 dalla reintroduzione della pena di morte: e per quanto ciò sembri un paradosso vi assicuro che è proprio così.
In parallelo rispetto alla prevenzione generale, e con basi storiche ben più profonde, c'è sempre stata la prevenzione speciale, che in poche parole significa togliere d'intorno i soggetti pericolosi. E' un'esigenza di difesa sociale questa sempre esistita e in vario modo attuata: vuoi con il bando, vuoi con la detenzione amministrativa (vale a dire l'imprigionamento ordinato non già da un potere giudiziario bensì dal governo, analogamente al confino che noi italiani ben conosciamo).
Buon'ultima, solo in età recente, la società ha sentito il bisogno di caricare la pena di un ulteriore significato e scopo: la riabilitazione o rieducazione del reo: vale a dire l'utilizzo del tempo della pena per impartire un trattamento teso a far sì che il soggetto deviante (che può esser tal per educazione, ignoranza, bisogno discendente a sua volta dalla mancanza di una professionalità spendibile) possa essere restituito integro e riadattato (e produttivo!) alla società, pronta ad accoglierlo nel suo seno.

Prevenzione generale, prevenzione speciale, rieducazione: questi sono i fondamenti della pena nelle società moderne occidentali che, a differenza di altre realtà orientate in senso teocratico, non credono più che la salvezza dell'anima sia uno scopo dello Stato (in effetti anche la filosofia hegeliana era ispirata a ciò che potremmo chiamare una sorta di neo-retribuzionismo; ma non addentriamoci troppo in tecnicismi).
In questo quadro, è evidente che la prescrizione diventa un corollario della pena: con il decorso del tempo infatti nessuno degli elementi che dovrebbero giustificare l'applicazione di una pena può essere più considerato valido. Non si può parlare di rieducazione, dato che il soggetto dopo molti anni è ormai perfettamente inserito nella società, né di prevenzione speciale dato che egli non delinque più. Né la pena irrogata potrebbe ormai essere considerata un deterrente per eventuali altri criminali, ché anzi il lasso di tempo intercorso non dimostrerebbe null'altro che la possibilità di sfuggirvi.
Considerazioni applicabili perfettamente al Polanski, del quale tutto si può dire salvo che sia un cittadino men che ligio alle leggi o poco inserito nel tessuto sociale. Certo, rimane l'onta del crimine impunito: ma i trent'anni passati rendono così flebile il legame tra delitto e castigo da non giustificare l'applicazione di una pena quale che sia. Qualche femminista integralista potrebbe ben considerare che lo stupro sia un crimine tanto orrendo da non giustificare alcun oblio, al pari del genocidio; ma lo stupro, per quanto orrendo e per quanto perpetrato nei confronti di un minorenne, non è un crimine equivalente al genocidio, no!: e se vogliamo mantenere un senso delle proporzioni nelle cose umane dobbiamo ammettere che ci sono crimini orrendi che sono meno orrendi di altri crimini ben più orrendi; e conformare le leggi a tale principio.
Dimentichiamo quindi il nostro perverso regista: e dimentichiamolo non in quanto autore di Frantic o di Rosemary's Baby, bensì in quanto persona qualunque, che come chiunque altro ha diritto a veder cancellato il crimine e la pena dopo un ragionevole numero di anni. La sua anima forse si perderà: ma questi non sono fatti nostri.

8 commenti:

.mau. ha detto...

due domande (serie):
- ma la prescrizione esiste anche negli USA per qualunque reato statale, e nella fattispecie per lo stupro?
- la prigione per debiti (occhei, è ur-vittoriana perlomeno per quello che abbiamo letto in Dickens), come entra nel tuo schema?

m.fisk ha detto...

- non lo so (non sono sufficientemente ferrato sul diritto anglo-americano da poter rispondere d'emblée);
- l'ho tralasciata per non complicare le cose, ma la Fleet Prison (e simili) rientra a pieno titolo nel concetto di detenzione amministrativa: i debitori non vi erano rinchiusi in quanto il mancato pagamento dei debiti fosse un crimine, bensì per spronarli al pagamento dei debiti stessi: tanto che una volta saldati i creditori, essi uscivano seduta stante (il che è incompatibile con il nostro concetto di pena).
La prigione non era quindi una pena modernamente intesa, bensì uno strumento di persuasione: strumento che in epoca positivista finalmente fu compreso essere del tutto inefficace: quando cioé si comprese che era meglio che il debitore potesse lavorare, e pagare così i creditori, piuttosto che essere costretto ad un ozio forzato.
Nel quadro del sistema penale italiano, potremmo assimilarla a una sorta di misura di sicurezza: ma molto di lontano, dal momento che la misura di sicurezza in Italia presuppone la commissione di un reato mentre, mi ripeto, il mancato pagamento di un debito non era reato neppure sotto Giorgio IV.

Anonimo ha detto...

Leggo con ammirazione il tuo post. Quando arrivo alla distinzione tra crimini orrendi e crimini ancora più orrendi mi vengono in mente tali non buoni presagi relativi al recente passato. Discorsi sulle aggravanti et similia.
Come dire che ci sono fili conduttori che non si spezzano, anche nei blog; e puntualizzazioni che vengono, con ragione, portate avanti.

m.fisk ha detto...

Sì, anche questo mi era presente, e anche questo l'ho lasciato cadere. E poi sono nero con me stesso per non ricordarmi un brano, che credevo di Voltaire ma che forse era di tutt'altri, che spiegava molto.

Ipazia Sognatrice ha detto...

Uhm, non so, sarà la prima volta che non mi convinci: innanzitutto, ribatto all'obiezione di .mau.: se Polanski è stato fermato, mi pare ovvio che la prescrizione non esiste, in USA, o non per questo tipo di reati.
E poi, un'altra cosa sul rigore di Polanski. Non mi sono informata molto bene e magari sbaglio, ma mi sembra che Polanski, dopo aver ammesso lo stupro, fuggì per non dover affrontare il processo. Che magari nascondeva dei brogli ai suoi danni (la mia fonte, con tutti i suoi limiti, è il Corriere). Ecco, non mi sembra poi un atteggiamento di coscienza cristallina.
Ci sarebbe poi tanto da dire sul fatto che non è che dopo trent'anni i danni eventuali perpetrati da uno stupro sulla psiche di una donna passino. E che il nostro senso di giustizia si basa anche sulla necessità di una anche simbolica retribuzione, prima che della rieducazione.

... ha detto...

mi vengono in mente un paio di obiezioni.
la prima. qual'è il ragionevole periodo di tempo? dieci anni, ventinove? ventitre e cinque mesi? credo che nessuno sia in grado di dirlo e che, se fosse come dici, in relazione alla rieducazione e al reinserimento, non dovrebbe esistere l'ergastolo o anche pene superiori a questo, ipotetico, lasso di tempo ragionevole.
la seconda, inquietante, è che se davvero l'unica ragione della pena sia la rieducazione, ad un ultrasettantenne anni si dovrebbe perdonare tutto. che sia un regista o un presidente del consiglio.
perchè il sospetto è che come sempre la sinistra sia molto meno rigorosa sulla moralità dei propri esponenti che su quella degli altri. a discapito della propria credibilità.

Anonimo ha detto...

Anch'io ho la stessa obiezione, come per Andreotti e Berlusconi giudicati non innocenti ma prescritti, forse pure colpevoli senza la prescrizione. Perchè la giustizia non viene fatta in un ragionevole lasso di tempo è il punto? O perchè i processi vengono artatamente protratti o perchè il cittadino sfugge alla giustizia. La prescrizione alla fin fine privilegia il più furbo che è scappato per anni, o ha sempre tenuto il reato nascosto o il più potente e ricco che ingiustamente può permettersi gli avvocati più "bravi" (aborro la giustizia censitaria). La cultura talvolta snob ci ha fatto amare questi personaggi tacendo le cose più sgradevoli (vedi Pasolini), l'arte spesso non ha odore e questo lo condivido. Apprendo ieri della possibile condanna a morte e ora mi sembra che esagerino e che in fondo sia diventato un capro espiatorio. Non si capisce ancora bene se lei era consenziente, perchè pur essendo (e deve essere) un reato lo stesso,e punito severamente, sarebbe un torto alle vere non consenzienti equiparare il reato.
Anto

Anonimo ha detto...

imparato molto

 

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