mercoledì 30 settembre 2009

Prescrizione e pensiero classico

Due notarelle per chiarire il mio pensiero in tema di prescrizione e rispondere ai commenti di ieri.
E' evidente che gli USA non conoscono la prescrizione per il reato di stupro; Wikipedia dice che l'assenza di prescrizione per i reati gravi è caratteristica comune ai sistemi di Common Law, e prenderò per buona tale affermazione senza fare ulteriori ricerche.
Ma questo non sposta il ragionamento di ieri: vale a dire che, perlomeno secondo la nostra sensibilità giuridica (o la mia, se preferite) è inammissibile che un crimine pur grave come lo stupro possa essere perseguito anche dopo trenta e passa anni dalla sua commissione. Notate che il fatto che negli USA tale reato sia perseguito malgrado il decorrere del tempo non è un argomento dialetticamente valido: negli USA praticano le iniezioni letali, e credo che nessuno dei miei lettori abbia simpatia per tale pratica, né si faccia scrupolo di parlarne male. In altre parole: l'esistenza (o l'inesistenza) di un certo istituto nella realtà fattuale non è ragione sufficiente a giustificare l'esistenza (o l'inesistenza) del medesimo da un punto di vista etico.
Mi allontano un secondo dal seminato per entrare nel merito del caso Polanski e rammentare che la vicenda giudiziaria è tutt'altro che chiara, dal momento che -a quanto ho capito- il medesimo aveva dapprima patteggiato una pena, poi era stato incriminato di nuovo per il medesimo fatto, sia pur con un altro titolo e, a quanto pare, il comportamento della pubblica accusa è stato ben poco limpido. Osservo questo e torno subito al punto, dato che non mi interessava tanto trattare della posizione personale del regista bensì dell'istituto in sé.
Ipazia fa notare che « Ci sarebbe poi tanto da dire sul fatto che non è che dopo trent'anni i danni eventuali perpetrati da uno stupro sulla psiche di una donna passino. E che il nostro senso di giustizia si basa anche sulla necessità di una anche simbolica retribuzione, prima che della rieducazione»; e siamo d'accordo sulla prima parte, ci mancherebbe. Ma la pena, nel diritto occidentale moderno, non è fatta per consolare o ripagare la vittima, bensì per proteggere la società. Basti pensare che, se così non fosse, il perdono della vittima o addirittura la sua dichiarazione di non volere la punizione del colpevole (come nel caso di specie sembrerebbe che sia) sarebbero valide scriminanti. Lo Stato non è il braccio vendicatore della vittima e/o dei suoi familiari, e benché tale atteggiamento sia ben presente negli USA, come ci insegnano tutti i film in cui l'esecuzione del condannato sembra essere messa in scena soprattutto ad uso dei figli o dei genitori dell'ammazzato, ciononostante questo non è, nuovamente, un atteggiamento eticamente corretto.
In Arabia Saudita, per dire, la punizione del colpevole di lesioni personali (e credo proprio anche di omicidio, perlomeno colposo) è sostanzialmente rimessa all'arbitrio della vittima o dei familiari, i quali possono perdonare il colpevole, dietro compenso, o pretendere che marcisca in galera. Bene: vi sembra che ciò risponda ad un elementare principio di giustizia? E, se lo credete, vi rendete conto che questo tipo di concetto della pena comporta la sostanziale impunità per chiunque sia sufficientemente ricco da potersi comprare il perdono a qualunque prezzo?
Veniamo poi alla seconda parte del commento di Ipazia, che adduce la necessità di una simbolica retribuzione prima che della rieducazione. Abbiamo detto che la rieducazione è solo uno dei tre pilastri del diritto penale moderno, e certo il più recente dei tre, gli altri due essendo la prevenzione generale e la prevenzione speciale. E' facile, in particolare, confondere la retribuzione con la prevenzione generale, in quanto tali principi possono essere efficacemente sintetizzati nel concetto di "pagare il prezzo"; ma in effetti le cose sono molto diverse. L'una è la consapevolezza che se si commetterà qualcosa di antisociale se ne dovrà pagare il prezzo: concetto strettamente utilitaristico teso a distogliere il delinquente dal crimine per il fatto stesso che il vantaggio dell'azione criminosa sarà più che compensato, in negativo, dalla punizione; l'altro è il concetto per cui bisogna pagare il prezzo di qualcosa di antisociale che si è commesso: e ciò ha come unici possibili fini la vendetta o la salvezza dell'anima, tanto che Platone, che non si poneva il problema della salvezza dell'anima, teneva fermo nel Protagora solo il tema della vendetta, quando parlava della pena come retribuzione:
Nessuno punisce coloro che commettono ingiustizie per il semplice fatto che sono stati ingiusti, a meno che non voglia vendicarsi in modo irrazionale, come una bestia; chi, invece, vuole punire secondo ragione, non vendica l’ingiustizia commessa - dal momento che non può annullare ciò che è stato - ma punisce in vista del futuro, affinché non venga commessa ingiustizia di nuovo, né da quello né da un altro che lo veda punito,
concetto poi ripreso da Seneca nel De Ira I,19: non praeterita sed futura intuebitur (nam, ut Plato ait, nemo prudens punit quia peccatum est, sed ne peccetur; reuocari enim praeterita non possunt, futura prohibentur) et quos uolet nequitiae male cedentis exempla fieri palam occidet, non tantum ut pereant ipsi, sed ut alios pereundo deterreant.
Queste argomentazioni mi sembra rispondano anche al dubbio di Hound. Lo ribadisco, la rieducazione e il reinserimento nella società non sono che uno dei pilastri del diritto penale; il pilastro più recente e quello con maggiore evidenza, oggi, anche perché esplicitamente inserito quale fine della pena nella nostra Costituzione; la quale tuttavia non esclude gli altri, come enunciato dalla stessa Corte Costituzionale, nel riconoscere la legittimità della pena dell'ergastolo.
Quanto al lasso di tempo che deve trascorrere perché la prescrizione si verifichi, la risposta più semplice è che deve trattarsi di un lasso di tempo ragionevole: e quindi non eccessivo, in quanto si vanificherebbe l'istituto della prescrizione della cui ragionevolezza abbiamo faticosamente cercato di dar prova, né troppo breve per evitare che la prescrizione si tramuti in promessa di impunità. Sta poi a ciascun ordinamento giuridico trovare la formula oggettiva per definire tale tempo, che certo dovrà essere modulato secondo la gravità del delitto commesso: e ciò sempre al fine di tener fermo il pilastro general-preventivo della pena e il rapporto di necessaria disutilità tra crimine e punizione.
E questo ci porterebbe ad esaminare il tema della prescrizione nell'ordinamento italiano d'oggi, dopo la cosiddetta legge ex Cirielli; ma ormai è tardi e riprenderò l'argomento un'altra volta.

4 commenti:

Ipazia Sognatrice ha detto...

Il tuo è un pezzo molto utile, e l'ho letto con interesse. Però tornerei al caso Polanski. Il quale, a fronte di una situazione non limpida, non ha agito però rispettando le leggi che lo stato gli imponeva. E' invece fuggito, temendo di essere incarcerato. Se questa può essere un'azione umanamente comprensibile, non lo è però se si presume che stiamo davanti ad un individuo coerente ed integerrimo. Socrate -restando sul classico - rimase ad Atene anche di fronte ad un processo che vedeva testimoni e giuria corrotti ed ingiusti, perché quello le leggi gli chiedevano. Polanski non è Socrate, è vero, però di fatto è stato latitante, o almeno non estradabile, tenendosi lontano dagli USA piuttosto che affrontarne un pur corrotto sistema giudiziario (del quale avrebbe potuto, però, denunciare la corruzione).
La prescrizione è un argomento delicato. E mi piacerebbe che tu l'approfondissi, anche perché essa è sfruttata e manovrata per scopi abbastanza oscuri: si veda come ci gioca il Lodo Alfano, ad esempio. Senza contare che lo Stato in genere manovra il termine 'lasso di tempo ragionevole' un po' come gli pare. Insomma, perché uno stupro (uno stupro, non un furto di caramelle) deve andare in prescrizione dopo 30 anni, e invece i diritti d'autore (e le tasse allo stato che ci van di mezzo) devono durare più del doppio?
E poi, faccio un'ultima domanda viperina: con Polanski siamo tutti portati all'indulgenza. Ma se fra tre anni becchiamo i colpevoli della strage di Piazza Fontana, gli diciamo: 'a posto così, andate pure?'

Spero che tu non pensi che voglia fare sterile polemica. Non è così. Ho letto il post con interesse e mi interessa andare a fondo alla faccenda.

m.fisk ha detto...

Non lo penso assolutamente.
Lasciamo da parte per un attimo il Polanski e il problema della compatibilità tra prescrizione e latitanza; e tralasciamo anche il fatto che Travaglio e co. abbiano dato alle masse plaudenti l'impressione che la prescrizione sia un'invenzione salvaBerlusconi come il Lodo Alfano (impressione, sia detto per inciso, falsa): perché ci torneremo.

Rispondo solo all'ultima domanda dicendo: "no, non necessariamente", de jure condendo: dato che io personalmente sarei favorevole a non considerare imprescrittibile alcun reato (e, del resto, non sono neanche favorevole alla pena dell'ergastolo).

De jure condito la risposta è molto più semplice: l'art. 157 u.c. c.p. prevede che siano imprescrittibili quei reati per i quali la legge prevede l'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti; e dato che la strage di Bologna è, per l'appunto una "strage" (art, 285 o 422 c.p.), punita con l'ergastolo, il reato è imprescrittibile.

Ipazia Sognatrice ha detto...

Mi secca che tra gli imprescrittibili non ci sia anche lo stupro, ma non voglio prendermela con un sì dotto ambasciatore! ;-)
Il pregiudizio di Travaglina memoria sul Lodo Alfano ha fatto un'altra vittima, cioé me (che pure non plaudevo) e leggerò avidamente quanto ci racconterai!

m.fisk ha detto...

Certo, avrei potuto citare Platone in greco, ma qui non si strafà.
Ps: Cioè, non cioé.

 

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