Da: Mario Bianchi
Inviato: venerdì 22 maggio 2009 14.43
A: mfisk
Cc: XXXXXX
Oggetto: Condivisione Mappa Processi
Nell'ambito del progetto di mappatura e innovazione dei processi aziendali, stiamo procedendo ad un ulteriore affinamento della mappa dei processi già emanata con Comunicazione Organizzativa n. 99/08.
Operativamente, partendo da una mappa già esistente dei processi, abbiamo cercato di evidenziare le attività chiave del processo confrontandoci con le procedure operative in essere.
Per i processi di Sua competenza, di cui alleghiamo schede di dettaglio, siamo quindi a richiederLe un’ulteriore verifica della scomposizione dei singoli processi in sottoprocessi.
RingraziandoLa per la Sua fattiva collaborazione, siamo a disposizione per qualsiasi chiarimento.
Cordiali saluti,
Mario Bianchi
From: mfisk
Sent: Friday, May 29, 2009 3:53 PM
To: Mario Bianchi
Cc: XXXXXXXXXX
Subject: R: Condivisione Mappa Processi
Francamente non ho capito nulla, e non mi ha aiutato la circostanza che i file allegati non si possano aprire.
Forse questa circostanza sarebbe la prima procedura operativa da affinare. Operativamente e fattivamente, e magari scomponendo il processo in sottoprocessi.
Cordialità,
mfisk
venerdì 29 maggio 2009
Suspence!
Voi tutti sapete che ho scritto più volte che la storia di Silvio Berlusconi e (moglie, figli di primo letto, figli di secondo letto, Noemi, padre madre fidanzato nonna zia cugini, APEDSAAQCPHVLE*, PEDPMDSAAQCPHVLE**, veline candidate, veline non candidate e compagnia cantante) è destinata a tramutarsi in un boomerang per chi l'ha sollevata e in un vantaggio per Berlusconi.
Altri la pensavano diversamente, ed è un'opinione certo rispettabile anche se da me non condivisa. Ora però, vedendo il can can che sta montando oggi, e l'impressione sempre più netta di pugile alle corde del Caro Leader, nonché l'ansia di tutta la sua corte di sopire, troncare; troncare, sopire, ho come l'impressione di poter aver sbagliato valutazione.
A questo punto, insomma, non so più cosa pensare: sembra che la situazione sia a un punto di rottura, ma potrebbe anche essere una bolla di sapone o un petardo esplosivo: non ne ho più alcuna idea***.
E dato che il week-end, comprensivo di ponte, me lo fo tutto solo in montagna (fatti salvi tre bambini decenni scatenati, ma che sarà mai, in fondo), e la mia dotazione tecnologica non prevede diavolerie in grado di comunicare a distanza e tener aggiornati i miei lettori sul flusso di ciò che mi frulla in mente, credo proprio sia opportuno dichiararlo qui, per non far la figura di quello che arriva bel bello il giorno che tutti i giochi sono fatti e spara: "l'avevo detto, io!"
Insomma, se in questi giorni Berlusconi dovesse dimettersi, o al contrario lo dovesse fare Franceschini, o la magistratura dovesse arrestare uno dei due o entrambi, sappiate che tutto ciò non l'ho minimamente previsto.
*Attuale Principale Esponente Dello Schieramento Avverso A Quello Che Poi Ha Vinto Le Elezioni;
*Principale Esponente Del Partito Minore Dello Schieramento Avverso A Quello Che Poi Ha Vinto Le Elezioni;
*** e, detto tra noi, il non avere alcuna idea mi sembra l'atteggiamento più razionale, ora come ora.
Altri la pensavano diversamente, ed è un'opinione certo rispettabile anche se da me non condivisa. Ora però, vedendo il can can che sta montando oggi, e l'impressione sempre più netta di pugile alle corde del Caro Leader, nonché l'ansia di tutta la sua corte di sopire, troncare; troncare, sopire, ho come l'impressione di poter aver sbagliato valutazione.
A questo punto, insomma, non so più cosa pensare: sembra che la situazione sia a un punto di rottura, ma potrebbe anche essere una bolla di sapone o un petardo esplosivo: non ne ho più alcuna idea***.
E dato che il week-end, comprensivo di ponte, me lo fo tutto solo in montagna (fatti salvi tre bambini decenni scatenati, ma che sarà mai, in fondo), e la mia dotazione tecnologica non prevede diavolerie in grado di comunicare a distanza e tener aggiornati i miei lettori sul flusso di ciò che mi frulla in mente, credo proprio sia opportuno dichiararlo qui, per non far la figura di quello che arriva bel bello il giorno che tutti i giochi sono fatti e spara: "l'avevo detto, io!"
Insomma, se in questi giorni Berlusconi dovesse dimettersi, o al contrario lo dovesse fare Franceschini, o la magistratura dovesse arrestare uno dei due o entrambi, sappiate che tutto ciò non l'ho minimamente previsto.
*Attuale Principale Esponente Dello Schieramento Avverso A Quello Che Poi Ha Vinto Le Elezioni;
*Principale Esponente Del Partito Minore Dello Schieramento Avverso A Quello Che Poi Ha Vinto Le Elezioni;
*** e, detto tra noi, il non avere alcuna idea mi sembra l'atteggiamento più razionale, ora come ora.
Etichette:
berlusconi,
franceschini,
io,
politica
Copyright
Ieri sera sono stato a una cena con il titolare di una tra le più famose e più antiche agenzie fotografiche italiane: non ne cito il nome non perché ci sia qualcosa di segreto, ma non mi va che venga indicizzato.
Questa persona ha portato con sé una bellissima presentazione che ricostruiva la sua storia, quella della sua agenzia e dei fotografi che hanno fatto un po' la storia del fotogiornalismo e del giornalismo d'attualità in Italia e nel mondo.
Nel commentare le immagini, ha puntualizzato ripetutamente e con particolare vigore l'importanza del copyright per la tutela del lavoro del fotografo professionista, la centralità del lavoro dell'agente per la sua difesa e i pericoli che si affacciano per effetto delle tecnologie digitali: non solo per la possibilità di trarre copia del lavoro senza alcun impedimento tecnico, ma anche per la perdita di controllo del fotografo sul materiale che viene spedito al committente o all'agente, senza una precisa garanzia su come verrà trattato dal punto di vista artistico.
Ci ha inoltre fatto render conto di come la normativa sulla privacy italiana, che impone al fotografo di raccogliere il consenso di tutti i soggetti fotografati salvo in casi eccezionali, stia modificando il modo di fare fotografia in Italia: foto che sono un po' la storia del nostro paese oggi non sarebbero più possibili, o perlomeno sarebbero infinitamente meno spontanee.
Era comunque evidente, nel discorso sul copyright, la centralità della tutela dei diritti economici del fotografo e dell'agente: che non voglio mettere in discussione, sia chiaro, dal momento che che fa fotografia per mestiere ci deve campare.
Prendendo spunto dalla foto di Uliano Lucas che vedete qui a fianco, ho poi fatto due chiacchiere con l'agente per chiedere cosa pensasse dei diritti del soggetto fotografato. Perché è vero che è il fotografo che crea la composizione, ma è anche vero che sono i soggetti che lui fotografa, quelli che rimangono impressi nella memoria collettiva, e non mi sembra giusto, o perlomeno equo, che il fotografo tragga un corrispettivo economico, anche cospicuo, dalla sua opera, senza che il soggetto ne riceva alcunché.
Devo dire che le risposte non mi hanno granché soddisfatto: è evidente che per il mio interlocutore il problema è solo e soltanto quello di raccogliere il consenso: la "liberatoria", mettendosi in regola con la legge; mi ha anche sottolineato come per una fotografia che diviene famosa il fotografo ne scatti centinaia che verranno pagate poco o nulla; e ciò lo comprendo; ma comunque la risposta mi ha lasciato un po' d'amaro in bocca: laciamo perdere i modelli, che lo fanno per mestiere; ma parlando di fotogiornalismo e fotografia d'attualità non credo giusto che basti firmare un pezzo di carta per cedere i diritti sul proprio volto vita natural durante.
giovedì 28 maggio 2009
Noemi, Silvio, Anna, Elio, Gino, Francesca, Veronica, Piersilvio...
Lo dico così, senza fronzoli, come mi viene.
La storia di Noemi Letizia e Silvio Berlusconi ha rotto il cazzo. Ogni nuovo articolo di Giuseppe d'Avanzo (del quale del resto ho già parlato sufficientemente male in passato) porta ulteriore acqua al mulino del PresConsMin.
Franceschini si è lasciato incastrare come un pollo e adesso subisce un autogol.
Berlusconi sta vincendo nuovamente sul fronte mediatico, e l'unica strategia ora sarebbe piantarla con il pettegolezzo, non raccogliere più alcuna sfida e parlare, ad esempio, dei tre miliardi di Alitalia.
Parere personale, intendiamoci.
La storia di Noemi Letizia e Silvio Berlusconi ha rotto il cazzo. Ogni nuovo articolo di Giuseppe d'Avanzo (del quale del resto ho già parlato sufficientemente male in passato) porta ulteriore acqua al mulino del PresConsMin.
Franceschini si è lasciato incastrare come un pollo e adesso subisce un autogol.
Berlusconi sta vincendo nuovamente sul fronte mediatico, e l'unica strategia ora sarebbe piantarla con il pettegolezzo, non raccogliere più alcuna sfida e parlare, ad esempio, dei tre miliardi di Alitalia.
Parere personale, intendiamoci.
Etichette:
berlusconi,
politica
mercoledì 27 maggio 2009
Carta d'Identità
Giusto una notizia di servizio che ho scoperto or ora, e che può esser interessante per chi andrà a votare tra un paio di settimane.
La mia carta d'identità è stata rilasciata nel dicembre 2003, e quindi sarebbe ampiamente scaduta. Peraltro non è una di quelle cose che si usino spesso, quindi non sono ancora andato a rinnovarla, anche perché ho già il passaporto (che ho usato ad esempio per la certificazione del 730).
E poi il rinnovo della cartà d'identità, a Milano, è una pizza mortale che richiede di perdere almeno un paio d'ore meglio utilizzabili, al limite restando nel letto (proprio o altrui).
Sta di fatto che nel decretone 112 del 25/6/2008, convertito con L. 133 del 6/8/2008 (che a voi magari così non dirà nulla ma se lo chiamo Legge Gelmini vi significherà un po' di più) c'è anche l'art. 31, in forza del quale la durata delle carte d'identità è stata aumentata a dieci anni (il testo lo trovate qui) per le carte di nuova emissione e per quelle che erano ancora in corso di validità all'entrata in vigore del decreto (vale a dire il 25 giugno 2008).
La mia carta d'identità è stata rilasciata nel dicembre 2003, e quindi sarebbe ampiamente scaduta. Peraltro non è una di quelle cose che si usino spesso, quindi non sono ancora andato a rinnovarla, anche perché ho già il passaporto (che ho usato ad esempio per la certificazione del 730).
E poi il rinnovo della cartà d'identità, a Milano, è una pizza mortale che richiede di perdere almeno un paio d'ore meglio utilizzabili, al limite restando nel letto (proprio o altrui).
Sta di fatto che nel decretone 112 del 25/6/2008, convertito con L. 133 del 6/8/2008 (che a voi magari così non dirà nulla ma se lo chiamo Legge Gelmini vi significherà un po' di più) c'è anche l'art. 31, in forza del quale la durata delle carte d'identità è stata aumentata a dieci anni (il testo lo trovate qui) per le carte di nuova emissione e per quelle che erano ancora in corso di validità all'entrata in vigore del decreto (vale a dire il 25 giugno 2008).
Etichette:
cosecosì
Del numero dei deputati
Si scatena la guerra alla pletoricità del Parlamento italiano, e naturalmente qualcuno tira fuori il fatto che negli USA ci sono molti meno parlamentari che in Italia.
Chiariamo dapprima una cosa: il numero dei deputati e senatori è un falso problema, e anche la loro retribuzione è una goccia insignificante nel mare della spesa pubblica: il problema vero è quali siano le garanzie che un'assemblea possa deliberare contenperando sia le esigenze di rapidità ed efficienza sia il rispetto delle minoranze e delle diverse istanze del Paese.
E comunque va notato che il numero di deputati e senatori del congresso federale USA non è significativamente inferiore (vale a dire almeno di un ordine di grandezza) rispetto all'Italia.
Chiariamo poi un punto che sembra sempre sfuggire: gli Stati uniti sono un organismo statale federale: il che significa che il Congresso ha competenza legislativa (e il Presidente esecutiva) solo sulle materie specificamente attribuite loro dalla Costituzione (Art.1 Sect.8); per il resto sono gli Stati, che hanno competenza generale su tutto, ivi compreso il diritto civile, penale e amministrativo.
Dal punto di vista di noi europei gli Stati federati contano poco o nulla, dato che la politica estera è di competenza esclusiva federale, ma per la vita quotidiana dell'agricoltore del Nebraska o dell'operaio di Detroit conta molto di più il proprio parlamento statale e il proprio governo.
Il congresso ha quindi compiti molto minori, per quantità e vastità di argomenti, rispetto al Parlamento italiano.
E se andiamo a mettere insieme i poteri legislativi federale e federati, e contiamo i parlamentari otteniamo numeri ben diversi: da questa tabella possiamo agevolmente (?) vedere che vi sono circa 5500 deputati e circa 2000 senatori nei cinquanta parlamenti statali, per un totale di 7500 parlamentari, che salgono ad ottomila con il Congresso federale.
Certo, in Italia ci sono le regioni; ma allora negli USA ci sono le contee; e noi abbiamo le provincie...
Insomma, in conclusione: confrontare il numero di parlamentari dall'una all'altra sponda dell'Oceano è un po' una sciocchezza.
Chiariamo dapprima una cosa: il numero dei deputati e senatori è un falso problema, e anche la loro retribuzione è una goccia insignificante nel mare della spesa pubblica: il problema vero è quali siano le garanzie che un'assemblea possa deliberare contenperando sia le esigenze di rapidità ed efficienza sia il rispetto delle minoranze e delle diverse istanze del Paese.
E comunque va notato che il numero di deputati e senatori del congresso federale USA non è significativamente inferiore (vale a dire almeno di un ordine di grandezza) rispetto all'Italia.
Chiariamo poi un punto che sembra sempre sfuggire: gli Stati uniti sono un organismo statale federale: il che significa che il Congresso ha competenza legislativa (e il Presidente esecutiva) solo sulle materie specificamente attribuite loro dalla Costituzione (Art.1 Sect.8); per il resto sono gli Stati, che hanno competenza generale su tutto, ivi compreso il diritto civile, penale e amministrativo.
Dal punto di vista di noi europei gli Stati federati contano poco o nulla, dato che la politica estera è di competenza esclusiva federale, ma per la vita quotidiana dell'agricoltore del Nebraska o dell'operaio di Detroit conta molto di più il proprio parlamento statale e il proprio governo.
Il congresso ha quindi compiti molto minori, per quantità e vastità di argomenti, rispetto al Parlamento italiano.
E se andiamo a mettere insieme i poteri legislativi federale e federati, e contiamo i parlamentari otteniamo numeri ben diversi: da questa tabella possiamo agevolmente (?) vedere che vi sono circa 5500 deputati e circa 2000 senatori nei cinquanta parlamenti statali, per un totale di 7500 parlamentari, che salgono ad ottomila con il Congresso federale.
Certo, in Italia ci sono le regioni; ma allora negli USA ci sono le contee; e noi abbiamo le provincie...
Insomma, in conclusione: confrontare il numero di parlamentari dall'una all'altra sponda dell'Oceano è un po' una sciocchezza.
Etichette:
politica
Princìpi
Pur se non avrei il tempo per scrivere alcunché (e neppure per leggere ciò che scrivono gli altri) ho letto questo post dell'acquattato e ho sentito il bisogno di fare una considerazione, che probabilmente sarà lunghetta, per mancanza di tempo, in omaggio alla massima voltairiana.
L'altro giorno -come vi è noto- ho ricevuto un messaggio a mezzanotte passata: io dormo con il telefono acceso e ho il pieno diritto di farlo, per cui se a qualcuno venisse in mente di dire "perché non l'hai spento?" se lo tolga dalla testa.
Ho spedito una protesta (che ora trovate nella versione definitiva, limata), un po' vibrata e un po' ironica, e sono in attesa di una risposta; voi avrete pensato che sono un rompicazzi sesquipedale.
Avrei potuto far finta di niente, in fondo è successo una sola volta. Ma accettare quel disturbo sarebbe stato il segnale che certe cose si possono fare: non protestare sarebbe stato dare il destro per ripetere l'azione tra sei mesi, e poi tra tre mesi, e poi tutti i giorni.
Se andate un giorno dal salumaio a chiedere un etto e mezzo di culatello e quello ve ne dà due etti, senza che voi diciate nulla, la volta successiva i due etti di mortadella diventeranno due e mezzo; e alla fine dovrete ridurre automaticamente la vostra richiesta per compensare la giunta fatta sistematicamente dal pizzicagnolo.
Perché il salumaio, la prima volta, vi testa: come un sensale di cavalli guarda in bocca al puledro che vuole acquistare.
Mio figlio è troppo piccolo, ma un giorno tornerà a casa alle tre di notte sapendo che doveva rientrare alle due; e a me probabilmente la cosa farà anche piacere, ma dovrò punirlo perché starà saggiando quanto può fidarsi di me e quanto può sgarrare.
Nel passato faceva delle gare al massacro con me, che gli ho dato una caterva di ceffoni, ma senpre e solo dopo due avvertimenti; lui ripeteva la mancanza per la terza volta e riceveva lo schiaffo, sonoro e cattivo: se li è sempre portati a casa senza piangere, e sono tuttora convinto che sia stato contento di ricevere ciò che doveva ricevere e vedere che non lo ingannavo.
Poi è chiaro che non è possibile rompere i coglioni all'universo mondo tutti i giorni; ed esprimo la piena solidarietà a Scorfano, che racconta, a proposito di una seppur lieve mancanza di uno studente: "è successo; e io non sono intervenuto, ho fatto finta di non vedere, benché avessi visto benissimo": perché magari proprio non era il caso, e poi perché rompere i coglioni è veramente faticoso, ed ogni tanto uno desidera starsene in pace.
Ma l'eccezione non muta il principio: quando si subisce (un torto, una prepotenza, una scortesia, un tradimento), la cosa migliore da fare è comunque quella di far emergere tutto, chiaramente e immediatamente: perché una volta che la controparte ti ha preso la misura sbagliata, raddrizzare il giudizio e rimettere il rapporto in carreggiata è vari ordini di grandezza più difficile di quanto lo sarebbe stato dare un buffetto iniziale.
L'altro giorno -come vi è noto- ho ricevuto un messaggio a mezzanotte passata: io dormo con il telefono acceso e ho il pieno diritto di farlo, per cui se a qualcuno venisse in mente di dire "perché non l'hai spento?" se lo tolga dalla testa.
Ho spedito una protesta (che ora trovate nella versione definitiva, limata), un po' vibrata e un po' ironica, e sono in attesa di una risposta; voi avrete pensato che sono un rompicazzi sesquipedale.
Avrei potuto far finta di niente, in fondo è successo una sola volta. Ma accettare quel disturbo sarebbe stato il segnale che certe cose si possono fare: non protestare sarebbe stato dare il destro per ripetere l'azione tra sei mesi, e poi tra tre mesi, e poi tutti i giorni.
Se andate un giorno dal salumaio a chiedere un etto e mezzo di culatello e quello ve ne dà due etti, senza che voi diciate nulla, la volta successiva i due etti di mortadella diventeranno due e mezzo; e alla fine dovrete ridurre automaticamente la vostra richiesta per compensare la giunta fatta sistematicamente dal pizzicagnolo.
Perché il salumaio, la prima volta, vi testa: come un sensale di cavalli guarda in bocca al puledro che vuole acquistare.
Mio figlio è troppo piccolo, ma un giorno tornerà a casa alle tre di notte sapendo che doveva rientrare alle due; e a me probabilmente la cosa farà anche piacere, ma dovrò punirlo perché starà saggiando quanto può fidarsi di me e quanto può sgarrare.
Nel passato faceva delle gare al massacro con me, che gli ho dato una caterva di ceffoni, ma senpre e solo dopo due avvertimenti; lui ripeteva la mancanza per la terza volta e riceveva lo schiaffo, sonoro e cattivo: se li è sempre portati a casa senza piangere, e sono tuttora convinto che sia stato contento di ricevere ciò che doveva ricevere e vedere che non lo ingannavo.
Poi è chiaro che non è possibile rompere i coglioni all'universo mondo tutti i giorni; ed esprimo la piena solidarietà a Scorfano, che racconta, a proposito di una seppur lieve mancanza di uno studente: "è successo; e io non sono intervenuto, ho fatto finta di non vedere, benché avessi visto benissimo": perché magari proprio non era il caso, e poi perché rompere i coglioni è veramente faticoso, ed ogni tanto uno desidera starsene in pace.
Ma l'eccezione non muta il principio: quando si subisce (un torto, una prepotenza, una scortesia, un tradimento), la cosa migliore da fare è comunque quella di far emergere tutto, chiaramente e immediatamente: perché una volta che la controparte ti ha preso la misura sbagliata, raddrizzare il giudizio e rimettere il rapporto in carreggiata è vari ordini di grandezza più difficile di quanto lo sarebbe stato dare un buffetto iniziale.
Etichette:
io
martedì 26 maggio 2009
Cartasì (sono un po' alterato)
Egregi signori,
il mio riposo è stato turbato tra lunedì e martedì scorso, nel corso del primo e più saporito sonno, da due messaggi pubblicitari da voi inviatimi via SMS e giunti sul mio terminale telefonico nel cuor della notte.
Tali messaggi non sono stati da me richiesti; non vi ho mai autorizzato a inviarmeli; il loro contenuto è insulso, l'italiano nel quale sono scritti vacilla dal punto di vista sintattico e l'aggettivazione è squallidamente povera, lasciando trasparire sotto un velo di spensierata e ammiccante giocosità la triste sostanza della pesca di beneficienza patronale; il che ha esacerbato il mio malanimo.
Sono estremamente contrariato, e mi chiedo sulla base di quale bizzarro e impudente ragionamento il fatto che io utilizzi -pagandone un congruo corrispettivo- i vostri servizi possa anche solo lontanamente farvi ritenere di avere il permesso di disturbarmi.
Dal momento che sono una persona mite, per questa volta ritengo che la spiacevole vicenda sia frutto di mero disguido, e non procederò oltre.
Vi diffido tuttavia formalmente dall'utilizzare il mio terminale telefonico per spedirmi in futuro un qualsiasi tipo di messaggio pubblicitario di qualunque tipo. Quand'anche intendeste regalarmi dei danari, speditemeli, ma non comunicatelo con un messaggio; e se il messaggio fosse condizione per riceverli, sappiate fin d'ora che il mio riposo val più di qualunque allettante offerta voi possiate farmi.
Spero che abbiate bene inteso quanto intendo comunicarvi: per mero scrupolo vi notifico formalmente che se per avventura in un lontano passato avessi dovuto concedervi una qualsiasi autorizzazione all'utilizzo del mio numero telefonico per l'invio di promozioni o pubblicità, il che escludo, essendo mio fermo principio il negare sempre e comunque tale consenso, la medesima viene qui revocata a tutti gli effetti, e Vi invito a tener presente che in caso di reiterazione di tale comportamento prenderò in esame la prospettiva di rivolgermi all'Autorità Garante per la Protezione dei dati personali, salva la ripetizione dei danni.
Distinti saluti
aggiornamento qui
il mio riposo è stato turbato tra lunedì e martedì scorso, nel corso del primo e più saporito sonno, da due messaggi pubblicitari da voi inviatimi via SMS e giunti sul mio terminale telefonico nel cuor della notte.
Tali messaggi non sono stati da me richiesti; non vi ho mai autorizzato a inviarmeli; il loro contenuto è insulso, l'italiano nel quale sono scritti vacilla dal punto di vista sintattico e l'aggettivazione è squallidamente povera, lasciando trasparire sotto un velo di spensierata e ammiccante giocosità la triste sostanza della pesca di beneficienza patronale; il che ha esacerbato il mio malanimo.
Sono estremamente contrariato, e mi chiedo sulla base di quale bizzarro e impudente ragionamento il fatto che io utilizzi -pagandone un congruo corrispettivo- i vostri servizi possa anche solo lontanamente farvi ritenere di avere il permesso di disturbarmi.
Dal momento che sono una persona mite, per questa volta ritengo che la spiacevole vicenda sia frutto di mero disguido, e non procederò oltre.
Vi diffido tuttavia formalmente dall'utilizzare il mio terminale telefonico per spedirmi in futuro un qualsiasi tipo di messaggio pubblicitario di qualunque tipo. Quand'anche intendeste regalarmi dei danari, speditemeli, ma non comunicatelo con un messaggio; e se il messaggio fosse condizione per riceverli, sappiate fin d'ora che il mio riposo val più di qualunque allettante offerta voi possiate farmi.
Spero che abbiate bene inteso quanto intendo comunicarvi: per mero scrupolo vi notifico formalmente che se per avventura in un lontano passato avessi dovuto concedervi una qualsiasi autorizzazione all'utilizzo del mio numero telefonico per l'invio di promozioni o pubblicità, il che escludo, essendo mio fermo principio il negare sempre e comunque tale consenso, la medesima viene qui revocata a tutti gli effetti, e Vi invito a tener presente che in caso di reiterazione di tale comportamento prenderò in esame la prospettiva di rivolgermi all'Autorità Garante per la Protezione dei dati personali, salva la ripetizione dei danni.
Distinti saluti
aggiornamento qui
lunedì 25 maggio 2009
Black out
E' da qualche giorno che a Milano nel mio quartiere, la sera, salta la luce. Sta via qualche minuto, non di più -adesso sto scrivendo alla luce del Thinkpad: posterò quando ripartirà il modem-router- --ecco: è tornata proprio adesso: saran stati due minuti in tutto--.
Fa caldo, è vero. Ci saranno i condizionatori accesi (questa città sembra non saper più riconoscere le stagioni, i giornali strillano perché le carrozze della metropolitana non sono tutte condizionate; ma sono quarant'anni che le carrozze non sono condizionate, e adesso che diavolo vi lamentate?), ma questi tagli all'erogazione dell'elettricità mi turbano.
Pochi minuti, troppa frequenza.
Io non sono un complottista, anzi: in fondo è Paolo Attivissimo che mi ha insegnato come collegarmi alla Rete.
Credo a quello che vedo, non a ciò che sembra comodo pensare. Però queste interruzioni continue mi fanno pensare.
Troppo brevi, troppo spesso.
E se ci fosse una strategia? Ci sono anche altrove, queste interruzioni?
Perché se così fosse, potrebbe anche esserci un disegno, dietro tutto ciò: preparere il terreno per gli investimenti per il nucleare, o più banalmente per i rigassificatori? Non so.
Succede anche da voi? Succede anche nelle altre zone di Milano? in Lombardia? nel resto d'Italia?
aggiornamento
in un quarto d'ora, altre due interruzioni. Che due OO!
Fa caldo, è vero. Ci saranno i condizionatori accesi (questa città sembra non saper più riconoscere le stagioni, i giornali strillano perché le carrozze della metropolitana non sono tutte condizionate; ma sono quarant'anni che le carrozze non sono condizionate, e adesso che diavolo vi lamentate?), ma questi tagli all'erogazione dell'elettricità mi turbano.
Pochi minuti, troppa frequenza.
Io non sono un complottista, anzi: in fondo è Paolo Attivissimo che mi ha insegnato come collegarmi alla Rete.
Credo a quello che vedo, non a ciò che sembra comodo pensare. Però queste interruzioni continue mi fanno pensare.
Troppo brevi, troppo spesso.
E se ci fosse una strategia? Ci sono anche altrove, queste interruzioni?
Perché se così fosse, potrebbe anche esserci un disegno, dietro tutto ciò: preparere il terreno per gli investimenti per il nucleare, o più banalmente per i rigassificatori? Non so.
Succede anche da voi? Succede anche nelle altre zone di Milano? in Lombardia? nel resto d'Italia?
aggiornamento
in un quarto d'ora, altre due interruzioni. Che due OO!
Repubblica.it
Si parla tanto di crisi della stampa, di contenuti sul web, di far pagare o non far pagare o far pagare giusto un cicinìn.
Direi che quelli di Repubblica.it hanno affrontato il problema nella maniera più pragmatica: se per più di due giorni lasceranno sul sito la pubblicità di Vodafone, così disgustosamentescassapalle invasiva, non avranno più alcun lettore, pagante o meno, e potranno finalmente mettersi il cuore in pace e non pensare più ad affrontare la modernità.
aggiornamento
oggi lo spot non c'è più: che l'abbiano capita?
Direi che quelli di Repubblica.it hanno affrontato il problema nella maniera più pragmatica: se per più di due giorni lasceranno sul sito la pubblicità di Vodafone, così disgustosamente
aggiornamento
oggi lo spot non c'è più: che l'abbiano capita?
Facia de tola /2
Per non far torto a nessuno, il premio faccia di latta spetta anche a Silvio Berlusconi, il quale in un'intervista concessa alla CNN, rinvenibile sul sito istituzionale del Governo (grazie a .mau.) tira fuori candidamente la frase “Ci sarà un giudice, alla fine, a Berlino”
E ci vuole una bella faccia tosta, per citare queste parole! Si tratta infatti di un'esclamazione che la tradizione vuole enunciata da un mugnaio di Potsdam, al quale Federico II il Grande voleva requisire il mulino per ingrandire il parco della costruenda residenza di Saint-Souci.
Di fronte alle insistenze -e alla minaccia dell'uso della forza- del sovrano, il mugnaio esclamò ciò che, agli occhi del medesimo Federico apparve come la prova suprema del fatto che le proprie riforme avevano datto della Prussia uno Stato di diritto: un umile mugnaio era infatti in grado di ribellarsi all'autorità di un Re, invocando la protezione dei giudici, i quali vengono riconosciuti come un organo autonomo dello Stato pur amministrando la giustizia in nome del Re!
La storiella è forse un puro aneddoto edificante, che ebbe peraltro grande risonanza un un'Europa nella quale era da poco stato pubblicato l'Esprit de Lois; ma dà pienamente il senso di cosa sia il principio della divisione dei poteri: un rigoroso rispetto delle pronunce della magistratura, che a sua volta è del tutto libera di pronunciare secondo giustizia, indipendente e garantita dalle pressioni dell'Esecutivo.
Che Silvio Berlusconi, l'uomo più ricco d'Italia e il più potente in quanto capo del Governo, si permetta di citare a sua difesa e contro la magistratura italiana questa famosa esclamazione, sarebbe scandaloso, se non trascendesse, me ne rendo sempre più conto via via che scrivo, nella farsa.
E ci vuole una bella faccia tosta, per citare queste parole! Si tratta infatti di un'esclamazione che la tradizione vuole enunciata da un mugnaio di Potsdam, al quale Federico II il Grande voleva requisire il mulino per ingrandire il parco della costruenda residenza di Saint-Souci.
Di fronte alle insistenze -e alla minaccia dell'uso della forza- del sovrano, il mugnaio esclamò ciò che, agli occhi del medesimo Federico apparve come la prova suprema del fatto che le proprie riforme avevano datto della Prussia uno Stato di diritto: un umile mugnaio era infatti in grado di ribellarsi all'autorità di un Re, invocando la protezione dei giudici, i quali vengono riconosciuti come un organo autonomo dello Stato pur amministrando la giustizia in nome del Re!
La storiella è forse un puro aneddoto edificante, che ebbe peraltro grande risonanza un un'Europa nella quale era da poco stato pubblicato l'Esprit de Lois; ma dà pienamente il senso di cosa sia il principio della divisione dei poteri: un rigoroso rispetto delle pronunce della magistratura, che a sua volta è del tutto libera di pronunciare secondo giustizia, indipendente e garantita dalle pressioni dell'Esecutivo.
Che Silvio Berlusconi, l'uomo più ricco d'Italia e il più potente in quanto capo del Governo, si permetta di citare a sua difesa e contro la magistratura italiana questa famosa esclamazione, sarebbe scandaloso, se non trascendesse, me ne rendo sempre più conto via via che scrivo, nella farsa.
Etichette:
berlusconi
Facia de tola
Facia de tola. In milanese (lett.) faccia di latta: dicesi di sfrontato: colui che non prova vergogna.
Francesco Costa riporta questa frase pronunciata da Dario Franceschini: uno del quale, a guardarlo, tutto sembrerebbe potersi dire tranne che sia una facia de tola:
Dacché, quando gli si è fatto notare, tempo addietro, che qualora fosse passato il referendum si sarebbe fatta una cortesia a Berlusconi, egli non si è colpito la fronte con il palmo della mano borbottando: "Accidenti, che sciocchezza ha fatto il mio predecessore" (cosa che, fra l'altro, gli sarebbe stata facile): no, lui l'ha messa sul piano dei Princìpi, con maiuscola e accento tonico:
E mi scuseranno per l'avvilente paragone i capitani delle bettoline, dato che la loro nobile attività di trasporto di merci tra porti limitrofi è antica e nobile: la praticavano i Fenici, i Cretesi, i Micenei. Popoli passati alla Storia, che a quattro millenni di distanza dal loro sorgere tuttora studiamo sui sussidiari delle scuole elementari: il che, prevediamo, non avverà per il Partito Democratico, malgrado la lungimiranza del segretario pro-tempore.
* o quel che è, oggi
Francesco Costa riporta questa frase pronunciata da Dario Franceschini: uno del quale, a guardarlo, tutto sembrerebbe potersi dire tranne che sia una facia de tola:
Chi dice che se vince il sì al referendum si consegna il paese a Berlusconi dice una panzana. La legge attuale assegna l’identico premio di maggioranza alla lista o alla coalizione che ottiene un voto in più. Quindi sono io a chiedere: è preferibile per il Pd una legge elettorale che unisce Pdl e Lega, o un’altra, come quella che esce dal referendum, che li divide?E questo ci dimostra che invece il Franceschini è foderato di latta, e a doppio strato.
Dacché, quando gli si è fatto notare, tempo addietro, che qualora fosse passato il referendum si sarebbe fatta una cortesia a Berlusconi, egli non si è colpito la fronte con il palmo della mano borbottando: "Accidenti, che sciocchezza ha fatto il mio predecessore" (cosa che, fra l'altro, gli sarebbe stata facile): no, lui l'ha messa sul piano dei Princìpi, con maiuscola e accento tonico:
Che partito sarebbe un partito che cambia idea, ripeto: dopo aver a lungo discusso, solo perché il premier distrattamente ha detto a Varsavia che sosterrà il Sì. La domanda alla quale gli italiani devono rispondere il 21 giugno è la seguente: volete abrogare la legge porcata, quella che sottrae agli elettori il diritto di scegliersi non solo i partiti ma anche le persone da mandare in Parlamento? Togliendo di mezzo la politologia, chi ha contrastato con durezza quella norma non può che rispondere Sì. Poi ci saranno 4 anni, qualunque sia l’esito referendario, per fare una buona legge elettorale (citato da Sofri giovane)E quindi, delle due l'una: o vale il discorso sui grandi Princìpi, sul fatto che la contingenza di una situazione elettorale momentanea non può guidare il Partito nel Cammino verso il Sol dell'Avvenire*: posizione nobile, ma velleitaria alquanto; o al contrario il cammino viene guidato dalla tattica di piccolo cabotaggio del cercare di dividere la Lega dal PdL.
E mi scuseranno per l'avvilente paragone i capitani delle bettoline, dato che la loro nobile attività di trasporto di merci tra porti limitrofi è antica e nobile: la praticavano i Fenici, i Cretesi, i Micenei. Popoli passati alla Storia, che a quattro millenni di distanza dal loro sorgere tuttora studiamo sui sussidiari delle scuole elementari: il che, prevediamo, non avverà per il Partito Democratico, malgrado la lungimiranza del segretario pro-tempore.
* o quel che è, oggi
Etichette:
pd,
referendum
sabato 23 maggio 2009
Lezioni italo-americane - la bancarotta /11
La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui
Negli articoli che parlano delle procedure statunitensi mi sono riproposto di utilizzare sempre i termini originali inglesi, in corsivo, per tutti i sostantivi tecnici. Mi riservo di utilizzare l'aggettivo fallimentare e consimili, di quando in quando, per fluidità di discorso.
Mi capiterà anche di scrivere "America" e "americano" nel senso di "Stati Uniti" e "statunitense": la professoressa Collotti Pischel rimandava a casa senza appello e senza esitare il candidato che avesse detto "Russia" o "russo" per riferirsi alla nazione e al popolo sovietici: so che voi non siete così drastici, e l'uso di termini colloquiali serve ad alleggerire il discorso.
Se siete riusciti ad arrivare sino a questo punto dovreste esservi fatti un quadro abbastanza verio, seppur molto semplicistico, della storia delle procedure fallimentari italiane, e avrete colto -almeno lo spero- alcune caratteristiche fondamentali.
Anzitutto, avrebbe dovuto emergere con chiarezza la preminenza la natura squisitamente liquidatoria del Fallimento e, a ruota, delle altre procedure minori, seppur con qualche temperamento. Da tale natura liquidatoria discende direttamente la seconda caratteristica, vale a dire l'incardinamento di tutte le procedure sul creditore, che viene tutelato sia dai maneggi del debitore che da quelli degli altri creditori che concorrono con lui nello spartirsi il patrimonio del fallito.
Abbiamo anche visto che dal 2006-2008 questi pilastri sono un po' venuti meno (e se vogliamo esser pignoli, già erano stati superati per le grandi aziende in crisi con la legge Prodi-bis/Marzano), e limitatamente al Concordato preventivo si può dire vi sia stata una mezza rivoluzione copernicana; ma per il resto rimangono i cardini che ho esposto poco fa.
Se andiamo dall'altra parte dell'Oceano, negli Stati Uniti, le cose stanno in modo completamente diverso: quello che mi propongo è di illustrarvi come funziona la Bankruptcy americana e, ora che siete provetti nel diritto italiano, farvi apprezzare le differenze rispetto alla disciplina che abbiamo noi.
Consentitemi una divagazione: quando ho pensato di fare degli articoli comparatistici, quello che mi proponevo era di spiegare agli italiani come funzionano le leggi del loro paese, sula base della triste constatazione che, grazie all'egemonia culturale americana che pervade il mercato cinematografico, librario e televisivo, gli italiani gli italiani conoscono meglio le procedure e le leggi di laggiù.
Una delle poche materie in cui ciò non è vero è proprio quella fallimentare: e ciò perché, per quanto uno sceneggiatore possa aver vinto decine di Oscar, rendere appetibile al pubblico un First Day Motion Hearing sarebbe veramente impensabile.
Questo ciclo di lezioni è nato in coincidenza con il Chapter 11 filing di Chrysler, e pian pianino si è espanso ben al di là degli intenti originari, tanto che a pochi giorni dalla celebrazione dell'asta che, sulla base del 363 sale plan, dovrebbe assegnare gli asset di Chrysler a Fiat, non abbiamo ancora visto proprio nulla della procedura americana.
Nel frattempo tante cose sono accadute: probabilmente settimana prossima anche General Motors cercherà riparo in un Chapter 11: spero di esser riuscito a spiegare qualcosa prima che anche GM venga venduta!
Veniamo al sodo, dunque: e cominciamo con il principio che sta alla base di tutto il diritto fallimentare statunitense:
Nel 1915 la Corte Suprema federale rimarcava:
Nel successivo 1934 la stessa Corte Suprema, nel caso Local Loan co. v. Hunt (292 U. S. 234), affermava:
E, come sempra accade quando si parla di Stati Uniti, non è semplice capire le motivazioni profonde di certi comportamenti. Avevo detto che sembra un po' paternalistica questa tutela dell'"onesto ma sfortunato" debitore: in fondo, basta pensare a due film quali La ricerca della felicità o The wrestler per avere due esempi di come l'America sia quel posto dove se non hai i venti dollari per il padrone del motel, quello ti cambia la serratura, fregandosene del fatto che tu abbia un bambino stanco e affamato o centotre gradi di febbre.
E in effetti il concetto di Fresh Start ha un po' a che fare con i diritti della persona, ma molto di più con la tensione tutta statunitense all'efficienza.
La stessa sentenza Local Loan co. v. Hunt spiega molto bene che il principio dell'esdebitazione (così è stata chiamata in Italia la cancellazione dei debiti introdotta dalla nuova legge fallimentare nel 2006) è anzitutto di interesse pubblico: perché per chi si trova a dover versare i propri guadagni ai creditori, pochi o tanti che questi siano, guadagnare o non guadagnare avvetto è la stessa cosa: e quindi pure lavorare o non lavorare affatto (in Itala vi sarebbe l'alternativa del lavoro in nero, che la Corte Suprema federale ovviamente non prendeva neppure in considerazione):
(continua)
Negli articoli che parlano delle procedure statunitensi mi sono riproposto di utilizzare sempre i termini originali inglesi, in corsivo, per tutti i sostantivi tecnici. Mi riservo di utilizzare l'aggettivo fallimentare e consimili, di quando in quando, per fluidità di discorso.
Mi capiterà anche di scrivere "America" e "americano" nel senso di "Stati Uniti" e "statunitense": la professoressa Collotti Pischel rimandava a casa senza appello e senza esitare il candidato che avesse detto "Russia" o "russo" per riferirsi alla nazione e al popolo sovietici: so che voi non siete così drastici, e l'uso di termini colloquiali serve ad alleggerire il discorso.
Se siete riusciti ad arrivare sino a questo punto dovreste esservi fatti un quadro abbastanza verio, seppur molto semplicistico, della storia delle procedure fallimentari italiane, e avrete colto -almeno lo spero- alcune caratteristiche fondamentali.
Anzitutto, avrebbe dovuto emergere con chiarezza la preminenza la natura squisitamente liquidatoria del Fallimento e, a ruota, delle altre procedure minori, seppur con qualche temperamento. Da tale natura liquidatoria discende direttamente la seconda caratteristica, vale a dire l'incardinamento di tutte le procedure sul creditore, che viene tutelato sia dai maneggi del debitore che da quelli degli altri creditori che concorrono con lui nello spartirsi il patrimonio del fallito.
Abbiamo anche visto che dal 2006-2008 questi pilastri sono un po' venuti meno (e se vogliamo esser pignoli, già erano stati superati per le grandi aziende in crisi con la legge Prodi-bis/Marzano), e limitatamente al Concordato preventivo si può dire vi sia stata una mezza rivoluzione copernicana; ma per il resto rimangono i cardini che ho esposto poco fa.
Se andiamo dall'altra parte dell'Oceano, negli Stati Uniti, le cose stanno in modo completamente diverso: quello che mi propongo è di illustrarvi come funziona la Bankruptcy americana e, ora che siete provetti nel diritto italiano, farvi apprezzare le differenze rispetto alla disciplina che abbiamo noi.
Consentitemi una divagazione: quando ho pensato di fare degli articoli comparatistici, quello che mi proponevo era di spiegare agli italiani come funzionano le leggi del loro paese, sula base della triste constatazione che, grazie all'egemonia culturale americana che pervade il mercato cinematografico, librario e televisivo, gli italiani gli italiani conoscono meglio le procedure e le leggi di laggiù.
Una delle poche materie in cui ciò non è vero è proprio quella fallimentare: e ciò perché, per quanto uno sceneggiatore possa aver vinto decine di Oscar, rendere appetibile al pubblico un First Day Motion Hearing sarebbe veramente impensabile.
Questo ciclo di lezioni è nato in coincidenza con il Chapter 11 filing di Chrysler, e pian pianino si è espanso ben al di là degli intenti originari, tanto che a pochi giorni dalla celebrazione dell'asta che, sulla base del 363 sale plan, dovrebbe assegnare gli asset di Chrysler a Fiat, non abbiamo ancora visto proprio nulla della procedura americana.
Nel frattempo tante cose sono accadute: probabilmente settimana prossima anche General Motors cercherà riparo in un Chapter 11: spero di esser riuscito a spiegare qualcosa prima che anche GM venga venduta!
Veniamo al sodo, dunque: e cominciamo con il principio che sta alla base di tutto il diritto fallimentare statunitense:
Fresh Start
Nel 1915 la Corte Suprema federale rimarcava:
It is the purpose of the Bankruptcy Act to [...] relieve the honest debtor from the weight of oppressive indebtedness and permit him to start afresh free from obligations and responsibilities consequent upon business misfortunes (Williams v. United States Fid. & Guar. Co., 236 U.S. 549)
Nel successivo 1934 la stessa Corte Suprema, nel caso Local Loan co. v. Hunt (292 U. S. 234), affermava:
This purpose of the act has been again and again emphasized by the courts as being of public, as well as private, interest, in that it gives to the honest but unfortunate debtor who surrenders for distribution the property which he owns at the time of bankruptcy a new opportunity in life and a clear field for future effort, unhampered by the pressure and discouragement of preexisting debtSembra un'impostazione un po' paternalistica, ma in queste poche parole c'è tutto il diritto fallimentare americano: ricordate che lo scopo del diritto continentale è quello di garantire i creditori l'uno dall'altro, e di impedire che il debitore possa fregarli? Ecco, per il diritto degli Stati uniti lo scopo è quello di regolare le cose una volta per tutte, per consentire all'onesto ma sfortunato debitore una nuova opportunità nella vita.
E, come sempra accade quando si parla di Stati Uniti, non è semplice capire le motivazioni profonde di certi comportamenti. Avevo detto che sembra un po' paternalistica questa tutela dell'"onesto ma sfortunato" debitore: in fondo, basta pensare a due film quali La ricerca della felicità o The wrestler per avere due esempi di come l'America sia quel posto dove se non hai i venti dollari per il padrone del motel, quello ti cambia la serratura, fregandosene del fatto che tu abbia un bambino stanco e affamato o centotre gradi di febbre.
E in effetti il concetto di Fresh Start ha un po' a che fare con i diritti della persona, ma molto di più con la tensione tutta statunitense all'efficienza.
La stessa sentenza Local Loan co. v. Hunt spiega molto bene che il principio dell'esdebitazione (così è stata chiamata in Italia la cancellazione dei debiti introdotta dalla nuova legge fallimentare nel 2006) è anzitutto di interesse pubblico: perché per chi si trova a dover versare i propri guadagni ai creditori, pochi o tanti che questi siano, guadagnare o non guadagnare avvetto è la stessa cosa: e quindi pure lavorare o non lavorare affatto (in Itala vi sarebbe l'alternativa del lavoro in nero, che la Corte Suprema federale ovviamente non prendeva neppure in considerazione):
The power of the individual to earn a living for himself and those dependent upon him is in the nature of a personal liberty quite as much, if not more, than it is a property right. To preserve its free exercise is of the utmost importance not only because it is a fundamental private necessity, but because it is a matter of great public concern. From the viewpoint of the wage earner, there is little difference between not earning at all and earning wholly for a creditor. Pauperism may be the necessary result of either. The amount of the indebtedness, or the proportion of wages assigned, may here be small, but the principle, once established, will equally apply where both are very great. The new opportunity in life and the clear field for future effort which it is the purpose of the Bankruptcy Act to afford the emancipated debtor would be of little value to the wage earner if he were obliged to face the necessity of devoting the whole or a considerable portion of his earnings for an indefinite time in the future to the payment of indebtedness incurred prior to his bankruptcy.
(continua)
Etichette:
bancarotta,
fallimento,
less.itam,
maestrino
venerdì 22 maggio 2009
Sitting on a chimera
Oggi è una giornata particolare: non ho voglia di lavorare, anche perché tutto ciò che tocco scotta; sono stanco che ho dormito poco e vengo da un'assemblea condominiale e una serata in parrocchia (e se appena appena mi conoscete, potrete immaginare quanto mi sia costata una serata in parrocchia).
Sono stato a pranzo con il mio amico Gatto: primo secondo contorno affogato al whiskey caffè ammazzacaffè vino vino acqua acqua: dopodiché all'Arena sotto il sole a vedere Nichita che faceva i giochi delle elementari.
Sono un po' provato.
Nel caldo del primo pomeriggio, sui gradoni dell'Arena vicino ad alcune mamme di eccezionale avvenenza, pensavo ai due post di stamattina e pensavo a come le lezioni di Fravia+ e quelle del suo maestro ORC+ (almeno quelle pubbliche) avessero influenzato il mio modo di pensare.
Io non ho mai preteso di capire qualcosa di ingegneria del software: gli unici linguaggi che conosco, nel quali ho mai scritto dei programmi, sono il BASIC del VIC-20 e Clipper (oltre a VBA per Excel, ma quello a fatica si può dire un linguaggio).
Questo per dire che quando ho iniziato a leggere le lezioni di ORC+, nella seconda metà dei '90 (quando lui era già sparito dalla circolazione) di tutta la parte di cracking ho preso solo ciò che mi serviva per capire che c'erano dei siti dove si potevano trovare i codici per sproteggere i programmi che mi interessavano: nulla più dato che non capivo e ad essere franchi non volevo neppure perdere tempo ad imparare l'assembler. Si trattava comunque di eoni fa (lo dico perché sono reati prescritti, oramai: il mio amico Enzo Mazza non potrà inseguirmi).
Ben diverso il concetto di reality cracking: capire come funzionano i meccanismi del mondo in cui viviamo, fatti per rimanerci invisibili e condizionare le nostre scelte.
Ricordo una lezione di ORC+ sulla disposizione delle merci nei supermercati, che mi aveva colpito profondamente perché mi aveva reso evidente il concetto che non è tanto importante che le cose siano come sono, quanto di capire perché siano così come sono. E pure una lezione sui giornali che devono essere letti per capire come stanno le cose: il primo di tutti era Le Monde Diplomatique, che leggevo, in quanto allegato mensile al Manifesto, ma con fatica.
Poi, e non voglio peccare di lesa maestà (che in questo caso forse lo sarebbe veramente), è indubbio che ORC+ abbia anche scritto un cumulo di cazzate. Alcune sue inferenze logiche erano, non so come altro dirlo, deboli. E il suo Vodka Martini prevedeva uno spruzzo di acqua tonica.
Fravia+ aveva un tessuto culturale di alcuni ordini di grandezza superiore: egli era un vero intellettuale, per quanto anomalo; prima che hacker, intellettuale. Mi ha insegnato a cercare le informazioni, e credo di avre fatto un buon uso di quello che ho imparato. Se ancor oggi quando ho bisogno di qualcosa non mi limito a digitare una parola su Google, credo che gran parte del merito sia sua: certo nel frattempo tutto è cambiato: quando ho smesso di frequentare con assiduità searchlores, troppo difficile perché lo riuscissi a seguire, Google era appena arrivato al primo posto tra i tools consigliati.
Quanto tempo! Ma non è questo il punto: il punto è aver imparato un metodo: allo stesso modo in cui si impara il latino non già per dialogare con Cesare o Caligola, bensì con il mondo che ci circonda.
Di tutte le lezioni, credo che quella di maggiore importanza sia stata relativa alla necessità di verificare sempre puntigliosamente le fonti. Non accettare mai quello che viene riferito da altri, foss'anche il giornalista più autorevole o l'amico del cuore più caro, ma cercare sempre in autonomia una fonte credibile, e soprattutto imparare a valutarne la credibilità.
Ciò è anche parte del mio lavoro: non è che ci sia solo Fravia+ che me lo ha insegnato; ma la sua lezione la sento più attuale di tante altre, che fanno sempre parte del mio modo di essere ma sono ormai divenute un substrato; mentre le pagine di Fravia mi appaiono ancor oggi tremendamente attuali.
Facevo oggi queste considerazioni, e meditavo come, giusto ieri, dopo aver scritto un post polemico che spiegava come un voto per SCALFAROTO fosse perfettamente valido, ho sentito il bisogno di citare la norma di legge, testualmente: so che mi avreste creduto comunque, ma è una questione di metodo.
E mi ricollego a questo post di Scorfano, che è la perfetta conferma del fatto che, come diceva Fravia+ in ciascuna pagina, nella Rete c'è tutto: basta saperlo cercare. So che è un'utopia, o una banale sciocchezza, ma mi piace pensare che forse, se oggi fosse ancora vivo, Fravia avrebbe saputo trovare quelle prove che molti di noi stanno inseguendo alla cieca.
Insomma: non posso considerare Fravia+ un "maestro"; ma so che qualcosa di lui è dentro di me, e se nel prossimo post andrò a puntualizzare per l'ennesima volta il significato di un aggettivo, o farò il conto della serva su quanti milioni servano per chiamare gli italiani alle urne o controllare lo spam nelle caselle di posta, sappiate che un po' di colpa va addossata al signore nell'immagine qui sopra; immagine alla quale lui stesso ha dato un titolo molto eloquente.
Etichette:
io
Epitaffio /2
Qui sotto c'è un epitaffio il cui senso, criptico, certo non potrà essere compreso da molti.
Ho appreso anch'io la notizia, come un altro noto lettore, dai commenti sul suo blog: potrei linkarlo, ma sento che farei un torto a Fravia stesso, almeno credo.
Sta di fatto che il mio epitaffio è ben povera cosa: non sono certo un poeta. Ben diverse sono le ultime parole scritte da Fravia, che desidero ristrascivere in parte (la fonte, neppur questa, la linko). La sottolineatura è mia.
Ho appreso anch'io la notizia, come un altro noto lettore, dai commenti sul suo blog: potrei linkarlo, ma sento che farei un torto a Fravia stesso, almeno credo.
Sta di fatto che il mio epitaffio è ben povera cosa: non sono certo un poeta. Ben diverse sono le ultime parole scritte da Fravia, che desidero ristrascivere in parte (la fonte, neppur questa, la linko). La sottolineatura è mia.
Ok, so all the cures I had to undergo for almost two years: two complete and quite debilitating chemotherapy cycles, 4 operations, many biopsies, uncounted PET scans and MRIs, months spent inside a clinic... did not work out.Avrete capito che Fravia, che aveva un rapporto privilegiato con l'Italia, si riferiva al nostro, di Paese.
The metastases escaped from the throat: my dutch professor managed to stop everything but not the liver tumour, and my liver is now imploding. So it is a matter of weeks, not even months.
My remaining choices are to die in a clinic, to die home or to ask for euthanasia (the last I will of course do if needs arise... fortunately this is a civilised EU-country and religious nuts don't have here -at least for now- enough power to nuke my rights just to appease and placate the alleged wishes of their dubious godzilla).
I'll go for home: it seems (again: this ubiquitous "seem") that I will die while asleep. I will "just" get weaker (and yellower, gosh: nothing like a terminal tumour to become really ugly) until one day I won't wake up any more. If so, fair enough: you go with a gentle puff on your final trip, an experience that btw is usually reported as unique and unrepeatable :-)
Etichette:
englaro
giovedì 21 maggio 2009
Che rapporti ci sono tra Berlusconi e Noemi Letizia?
Non lo so, che rapporti ci sono. La logica fa sospettare che ci sia qualcosa di poco pulito, che riguarda lei o il padre o la madre, dato che il premier si è contraddetto o ha svicolato quando gli sono state poste delle domande precise.
Idem dicasi per il padre della fanciulla: una sfinge, che non appare una figura limpida atteso che tutti gli hanno fatto il vuoto intorno.
Tra ieri e oggi, poi, è nato un gran can-can dato che Gilioli ha fatto notare che dalle cache di Google è sparita ogni traccia del blog che teneva la ragazza, il che tuttavia non mi sembra aggiunga un notevole elemento di sospetto, dato che Google stessa dichiara che la rimozione dei contenuti ha luogo, di regola, entro 3-5 giorni lavorativi; e da quel fatidico giorno della festa ne sono passati molti ma molti di più.
E' doveroso, secondo me, che il premier chiarisca la vicenda: perché non solo la moglie di Cesare, ma soprattutto Cesare stesso deve essere al di sopra di ogni sospetto: e questo è un punto.
Mi chiedo però -e non è una domanda retorica: cerco davvero una risposta- se tutta questa insistenza nel chiedere giustificazioni e sollevare sospetti non possa finire per mitridatizzare l'opinione pubblica.
Immaginiamo che tra qualche settimana Berlusconi dica: "Sì, mi sono fatto la Noemi, e allora?". Oppure "Sì, mi sono fatto la mamma della Noemi, e allora?"
Non è che a quel punto, di fronte all'ammissione del fatto compiuto (che, rammentiamo, non è reato, dato che qui siamo in Italia e non negli USA), il popolo italiano, o almeno la metà del popolo italiano che lo vota e vede in lui un modello, tirerebbe un sospiro di solievo e direbbe "finalmente: basta con queste cazzate e pensiamo alle cose serie"? Mentre, nel frattempo, sono passati in secondo piano: il terremoto in Abruzzo, la crisi economica, l'evasione fiscale, l'imminente DPEF, le nomine RAI e la riforma dell'assetto radiotelevisivo, e persino un po' il processo Mills.
Un blogger, e amico, scrive che è giusto insistere sul punto dei rapporti con il Signor Letizia, perché "la democrazia è prima di tutto, purtroppo, ricerca e mantenimento del consenso: e io ho l’impressione che il consenso del premier si possa sgretolare più per questa storia che per la sentenza del processo Mills."
Io credo che sia giusto insistere perchè Berlusconi chiarisca la sua posizione, come era giusto insistere con Nixon ai tempi del Watergate.
Quello di cui non sono certo, è che oltre che giusto, insistere sia anche utile per chi preferirebbe che l'Italia fosse governata da altri.
Idem dicasi per il padre della fanciulla: una sfinge, che non appare una figura limpida atteso che tutti gli hanno fatto il vuoto intorno.
Tra ieri e oggi, poi, è nato un gran can-can dato che Gilioli ha fatto notare che dalle cache di Google è sparita ogni traccia del blog che teneva la ragazza, il che tuttavia non mi sembra aggiunga un notevole elemento di sospetto, dato che Google stessa dichiara che la rimozione dei contenuti ha luogo, di regola, entro 3-5 giorni lavorativi; e da quel fatidico giorno della festa ne sono passati molti ma molti di più.
E' doveroso, secondo me, che il premier chiarisca la vicenda: perché non solo la moglie di Cesare, ma soprattutto Cesare stesso deve essere al di sopra di ogni sospetto: e questo è un punto.
Mi chiedo però -e non è una domanda retorica: cerco davvero una risposta- se tutta questa insistenza nel chiedere giustificazioni e sollevare sospetti non possa finire per mitridatizzare l'opinione pubblica.
Immaginiamo che tra qualche settimana Berlusconi dica: "Sì, mi sono fatto la Noemi, e allora?". Oppure "Sì, mi sono fatto la mamma della Noemi, e allora?"
Non è che a quel punto, di fronte all'ammissione del fatto compiuto (che, rammentiamo, non è reato, dato che qui siamo in Italia e non negli USA), il popolo italiano, o almeno la metà del popolo italiano che lo vota e vede in lui un modello, tirerebbe un sospiro di solievo e direbbe "finalmente: basta con queste cazzate e pensiamo alle cose serie"? Mentre, nel frattempo, sono passati in secondo piano: il terremoto in Abruzzo, la crisi economica, l'evasione fiscale, l'imminente DPEF, le nomine RAI e la riforma dell'assetto radiotelevisivo, e persino un po' il processo Mills.
Un blogger, e amico, scrive che è giusto insistere sul punto dei rapporti con il Signor Letizia, perché "la democrazia è prima di tutto, purtroppo, ricerca e mantenimento del consenso: e io ho l’impressione che il consenso del premier si possa sgretolare più per questa storia che per la sentenza del processo Mills."
Io credo che sia giusto insistere perchè Berlusconi chiarisca la sua posizione, come era giusto insistere con Nixon ai tempi del Watergate.
Quello di cui non sono certo, è che oltre che giusto, insistere sia anche utile per chi preferirebbe che l'Italia fosse governata da altri.
Etichette:
berlusconi
mercoledì 20 maggio 2009
Etilismo
No, non è un refuso, il titolo. Era partito come elitismo, ma poi mi è venuto così.
Questa sera ho partecipato all'assemblea condominiale: chi ne ha mai subita una sa come mi posso sentire e mi perdonerà eventuali eccessi.
Sono tornato a casa, ho bevuto una birra, mi sono messo a letto e per puro caso mi sono messo a sentire cosa si diceva al Boccascena Caffè, via diretta blogghettara streamizzata -e in questo momento apprendo che è a cura di Giacomo Cariello, ohibò, che saluto- dove c'erano i giovani piombinesi candidati del Pd: la generazione dei quarantenni che preme, e con ragione dato che il loro segretario è un matusa che di anni ne ha sette in più.
Sta di fatto che sto vedendo gli ultimi minuti di quest'incontro, ed emerge dalla sala Pippo Civati, che dev'essere proprio come il prezzemolo, dato che sta ovunque. E fa un intervento politico, di spessore, sul fatto che Ivan S C A L F A R O T T O e Debora S E R R A C C H I A N I hanno dei nomi lunghi e complessi e sarà un problema quando gli elettori andranno nella Cabina -anzi Gabina, si corregge, e qui mi soccorre questo post- elettorale; e perciò bisogna preparare bene gli elettori, che dovranno scrivere quei popo' di caratteri.
Probabilmente il Civati, che se c'è da dar retta a wikipedia è uno splendido trentatreenne, pensa ancora a quando, nell'Italia appena uscita dal dopoguerra e non ancora investita dal boom economico, i due maggiori partiti si contendevano l'uno il primo e l'altro l'ultimo posto sulla scheda elettorale.
Quando io votai la prima volta, e il Civati imparava a compitare le prime divisioni e i tempi dell'indicativo, già questo posizionamento strategico era visto come il retaggio di un'Italia un po' arcaica e un po' pittoresca che non esisteva più: un omaggio ai vecchi partigiani (che allora ancora erano abbastanza arzilli), e ai figli di quegli operai che avevano dovuto studiare alle scuole di avviamento professionale per andare a lavorare.
Nessuno, nella ricca Milano, credeva davvero che ci fosse chi non sapeva distinguere tra uno scudo crociato e una falce e martello (che oltretutto, essendo simboli, non richiedevano abilità di lettura per essere distinti). Credevamo che in qualche lontano paese del sud, a Eboli dove Cristo si era fermato, lì ci fossero ancora gli analfabeti, e lì ci fosse bisogno di posizionare il simbolo dove anche un figlio del popolo avrebbe potuto individuarlo.
Poi è passato del tempo: abbiamo compiuto venti anni, venticinque; siamo diventati grandi. Leggendo abbiamo appreso che al tempo di Carlo Levi Eboli non era il buco di culo del mondo, ma anzi era l'ultimo avamposto di civiltà, e che i leoni partivano da lì in poi.
Viaggiando, dopo, abbiamo visto che dove dovevano esserci i leoni -e forse c'erano al tempo del Levi- ora ci sono paesi lindi, sani, fieri. Paesi dove si fa la raccolta differenziata con sacchetti dotati di codici a barre che verificano la quantità e qualità del raccolto. Dove c'è un sacco differenziato per la cenere dei camini, che costituisce una risorsa. Dove ci sono circoli culturali omosessuali, mentre noi milanesi pensavamo che i froci li mangiassero a colazione. Dove ci sono culture artistiche, gastronomiche, artigianali e discussioni politiche e sociali che noi ce le sognavamo, nelle nostre periferie.
E abbiamo capito quanto eravamo cretini.
Poi siamo andati a fare il militare; e lì abbiamo trovato un commilitone che non sapeva leggere: tanto che era stato punito, ma era uscito lo stesso. Per forza: non sapeva leggere la tabella delle punizioni! E così si era preso un'altra punizione, di rigore, ma blanda: e noi ci eravamo comunque indignati. Avevamo ritenuto che fosse un sistema marcio, ci eravamo proposti di adire le supreme magistrature per riparare al grave torto subìto dal collega meno fortunato: pensavamo di insegnargli a distinguere le lettere l'una dall'altra nel tempo libero, dopo le manovre, e magari di comperargli pure il sillabario, ammesso che tale testo esistesse ancora e non fosse un retaggio collodiano. Qualche giorno dopo, la sera, l'abbiamo incontrato il commilitone: che commentava a gran voce Tuttosport, in un bar, ripassando più volte su giudizi del giornalista che non condivideva ed esprimendo il suo dissenso in modo colorito.
E abbiamo capito quanto eravamo cretini.
Poi abbiamo iniziato a lavorare, ad avere a che fare con agricoltori veneti e piemontesi che sapevano parlare solo in dialetto stretto ed ai quali non riuscivamo a far capire che avrebbero dovuto pagare la rata, perché non sapevamo come si dicesse "rata" nel loro vernacolo; né "pagare" né "dovere". Pensavamo di essere inadatti al compito, credevamo di dover far intervenire dei mediatori culturali (anche se allora l'espressione non esisteva): magari a spese nostre, dato che la vita ci aveva fatto così fortunati.
Poi si fissava un incontro, in regione, e il rozzo villano di colpo articolava con il funzionario pubblico complesse strrutture logiche e sintattiche per spiegare come l'interlocutore (noi, nella fattispecie) fossimo dei truffatori, malandrini e grassatori: approfittatori di soldi pubblici e pericolosi socialmente; ed ottenuto l'agognato rinvio si allontanava, sulla Maserati biturbo, mentre noi tornavamo a casa, con le pive nel sacco, nella nostra A112, smarmittata.
E abbiamo capito quanto eravamo cretini.
Ecco, Civati: pensaci. Scalfarotto. Serracchiani. Sono grafemi alla portata di tutti, ma proprio di tutti.
Il problema, ti assicuro, non è che ci siano italiani che non sappiano scrivere SCALFAROTTO: il problema, quello vero, è che ci sono dirigenti del centrosinistra che -oggi- credono che ci siano italiani che non sanno scrivere SERRACCHIANI.
Questa sera ho partecipato all'assemblea condominiale: chi ne ha mai subita una sa come mi posso sentire e mi perdonerà eventuali eccessi.
Sono tornato a casa, ho bevuto una birra, mi sono messo a letto e per puro caso mi sono messo a sentire cosa si diceva al Boccascena Caffè, via diretta blogghettara streamizzata -e in questo momento apprendo che è a cura di Giacomo Cariello, ohibò, che saluto- dove c'erano i giovani piombinesi candidati del Pd: la generazione dei quarantenni che preme, e con ragione dato che il loro segretario è un matusa che di anni ne ha sette in più.
Sta di fatto che sto vedendo gli ultimi minuti di quest'incontro, ed emerge dalla sala Pippo Civati, che dev'essere proprio come il prezzemolo, dato che sta ovunque. E fa un intervento politico, di spessore, sul fatto che Ivan S C A L F A R O T T O e Debora S E R R A C C H I A N I hanno dei nomi lunghi e complessi e sarà un problema quando gli elettori andranno nella Cabina -anzi Gabina, si corregge, e qui mi soccorre questo post- elettorale; e perciò bisogna preparare bene gli elettori, che dovranno scrivere quei popo' di caratteri.
Probabilmente il Civati, che se c'è da dar retta a wikipedia è uno splendido trentatreenne, pensa ancora a quando, nell'Italia appena uscita dal dopoguerra e non ancora investita dal boom economico, i due maggiori partiti si contendevano l'uno il primo e l'altro l'ultimo posto sulla scheda elettorale.
Quando io votai la prima volta, e il Civati imparava a compitare le prime divisioni e i tempi dell'indicativo, già questo posizionamento strategico era visto come il retaggio di un'Italia un po' arcaica e un po' pittoresca che non esisteva più: un omaggio ai vecchi partigiani (che allora ancora erano abbastanza arzilli), e ai figli di quegli operai che avevano dovuto studiare alle scuole di avviamento professionale per andare a lavorare.
Nessuno, nella ricca Milano, credeva davvero che ci fosse chi non sapeva distinguere tra uno scudo crociato e una falce e martello (che oltretutto, essendo simboli, non richiedevano abilità di lettura per essere distinti). Credevamo che in qualche lontano paese del sud, a Eboli dove Cristo si era fermato, lì ci fossero ancora gli analfabeti, e lì ci fosse bisogno di posizionare il simbolo dove anche un figlio del popolo avrebbe potuto individuarlo.
Poi è passato del tempo: abbiamo compiuto venti anni, venticinque; siamo diventati grandi. Leggendo abbiamo appreso che al tempo di Carlo Levi Eboli non era il buco di culo del mondo, ma anzi era l'ultimo avamposto di civiltà, e che i leoni partivano da lì in poi.
Viaggiando, dopo, abbiamo visto che dove dovevano esserci i leoni -e forse c'erano al tempo del Levi- ora ci sono paesi lindi, sani, fieri. Paesi dove si fa la raccolta differenziata con sacchetti dotati di codici a barre che verificano la quantità e qualità del raccolto. Dove c'è un sacco differenziato per la cenere dei camini, che costituisce una risorsa. Dove ci sono circoli culturali omosessuali, mentre noi milanesi pensavamo che i froci li mangiassero a colazione. Dove ci sono culture artistiche, gastronomiche, artigianali e discussioni politiche e sociali che noi ce le sognavamo, nelle nostre periferie.
E abbiamo capito quanto eravamo cretini.
Poi siamo andati a fare il militare; e lì abbiamo trovato un commilitone che non sapeva leggere: tanto che era stato punito, ma era uscito lo stesso. Per forza: non sapeva leggere la tabella delle punizioni! E così si era preso un'altra punizione, di rigore, ma blanda: e noi ci eravamo comunque indignati. Avevamo ritenuto che fosse un sistema marcio, ci eravamo proposti di adire le supreme magistrature per riparare al grave torto subìto dal collega meno fortunato: pensavamo di insegnargli a distinguere le lettere l'una dall'altra nel tempo libero, dopo le manovre, e magari di comperargli pure il sillabario, ammesso che tale testo esistesse ancora e non fosse un retaggio collodiano. Qualche giorno dopo, la sera, l'abbiamo incontrato il commilitone: che commentava a gran voce Tuttosport, in un bar, ripassando più volte su giudizi del giornalista che non condivideva ed esprimendo il suo dissenso in modo colorito.
E abbiamo capito quanto eravamo cretini.
Poi abbiamo iniziato a lavorare, ad avere a che fare con agricoltori veneti e piemontesi che sapevano parlare solo in dialetto stretto ed ai quali non riuscivamo a far capire che avrebbero dovuto pagare la rata, perché non sapevamo come si dicesse "rata" nel loro vernacolo; né "pagare" né "dovere". Pensavamo di essere inadatti al compito, credevamo di dover far intervenire dei mediatori culturali (anche se allora l'espressione non esisteva): magari a spese nostre, dato che la vita ci aveva fatto così fortunati.
Poi si fissava un incontro, in regione, e il rozzo villano di colpo articolava con il funzionario pubblico complesse strrutture logiche e sintattiche per spiegare come l'interlocutore (noi, nella fattispecie) fossimo dei truffatori, malandrini e grassatori: approfittatori di soldi pubblici e pericolosi socialmente; ed ottenuto l'agognato rinvio si allontanava, sulla Maserati biturbo, mentre noi tornavamo a casa, con le pive nel sacco, nella nostra A112, smarmittata.
E abbiamo capito quanto eravamo cretini.
Ecco, Civati: pensaci. Scalfarotto. Serracchiani. Sono grafemi alla portata di tutti, ma proprio di tutti.
Il problema, ti assicuro, non è che ci siano italiani che non sappiano scrivere SCALFAROTTO: il problema, quello vero, è che ci sono dirigenti del centrosinistra che -oggi- credono che ci siano italiani che non sanno scrivere SERRACCHIANI.
Style
Anch'io, ultimamente, ci ho il mio pianeta. Che è un pianeta bello grande, un pianeta blogger grande così: potentissimo; capace, se solo solo si incazza, di far saltare tutto il database dei commenti su google scatenandomi contro l'orda di fans adoranti.
Però, in omaggio al nuovo motto che adorna l'intestazione di questo blog, non riesco a fare a meno di scriverlo, e lo scrivo.
Se vuoi fare Joyce, Matteo, le virgole è meglio non usarle.
Però, in omaggio al nuovo motto che adorna l'intestazione di questo blog, non riesco a fare a meno di scriverlo, e lo scrivo.
Se vuoi fare Joyce, Matteo, le virgole è meglio non usarle.
martedì 19 maggio 2009
Reclamo (esito)
Per chi eventualmente se lo stesse chiedendo, vi segnalo che al reclamo spedito ieri, con un fax il cui testo avevo postato qui, TIM ha risposto oggi riaccreditandomi i soldi che mi erano stati scalati.
Mi sembra doveroso segnalarlo.
Mi sembra doveroso segnalarlo.
Autodafé
Quando stamane ho aperto il PC mi sono reso conto di avere commesso uno dei più tremendi delitti: pensavo dapprima di paragonarlo a quello di Ravaillac ma poi, rammentando un aforisma di Flaiano, mi sono reso conto che il paragone più corretto è con Damiens.
Ieri, leggendo una sciocchezzuola scritta su un blog ospitato sul sito di un giornale a rotocalco, che rappresentava erroneamente il contenuto di una sentenza, ho scritto un post per dare ai ventun lettori che abitualmente mi seguono qualche ragguaglio tecnico su come quel tale articolo dicesse delle cose inesatte.
La mia colpa è stata quella di inserire tra l'articolo indeterminativo e il nome proprio della giornalista un aggettivo "tale", che voleva dar conto di come l'autrice del pezzo fosse, per me, perfettamente sconosciuta e pertanto non avessi alcun motivo di rancore o di dileggio che non fosse strettamente legato al contenuto del pezzo da lei scritto e pubblicato.
E' con vivo stupore (e non è una figura retorica: sono proprio vivamente stupito!) che scopro che la persona di cui stiamo parlando è una blogger, e di primissimo piano.
Ora: io so che ciò potrà apparire incredibile a tutti coloro che mi hanno gettato addosso un cumulo di contumelie; e che la stima nei miei confronti, già minima, non potrà che diminuire ancora, trascendendo al regno dei numeri complessi essendo i negativi ormai già esauriti.
Ma -e prego di guardare bene il labiale- io questa Giulia Blasi fino a pochi minuti fa non avevo la più pallida idea di chi diavolo fosse. Credevo addirittura che fosse una praticante da quattro soldi, sottopagata o addirittura stagista, biecamente sfruttata dalla casa editrice del Presidente del Consiglio.
So che è assurdo: potete credermi; potete non credermi. Francamente sono così avvilito che anche se non mi credete, non me ne importa nulla.
E -anche se comprendo che questa sembra sempre più la trama di un brutto film- chi sia Giulia Blasi non lo so neppure ora, dal momento che il mio proxy aziendale blocca il sito che ospita i suoi scritti: e posto anche alcuni screenshot a riprova della mia buona fede (unica e debole attenuante di fronte al disprezzo che provo per me stesso), accompagnato da un altro relativo alla sua pagina su Grazia, dalla quale probabilmente avrei potuto apprendere qualcosa di più.
Il mio amministratore di sistema deve averci un pianeta, con la signora Blasi: è evidente; e dato che è anche capace, mi blocca perfino la pagina cachata su google, impedendomi di sfruttare anche questo trucchetto per colmare i miei deficit cognitivi (anche qui produco lo screenshot).
Per colmo di sfiga, persino flickr è bloccato, dal drudo; ragion per cui non posso vedere la foto accedibile tramite il link qui sotto, ma leggendo i nomi capisco di aver toccato un nervo scoperto.
Il bello è che se potessi leggere quel che scrive (ma lo farò tosto da casa), sicuramente condividerei tutte le opinioni della Giulia (io condivido quasi sempre le opinioni di coloro che scrivono su spazi che il mio sysadmin mi impedisce di raggiungere): per cui dev'essere anche una donna simpatica e intelligente.
E poi scopro che la Blasi ha anche scritto dei libri; ha partecipato a trasmissioni in TV. E' insomma una che conta: e mille e mille e mille sono le volte che, mentre scrivo queste righe, mi sono chiesto come diavolo sia possibile che il suo nome non l'abbia mai incrociato, neppur una volta, in tutte le ore di cazzeggio che ho fatto in rete.
Ora, io mi pento fino nel più profondo del cuore della mia ignoranza, faccio ammenda e se potessi metterei qui anche la mia fotografia, scamiciato e con in mano un cero di due libbre; imploro la comprensione del blogocono e chiamo in correità il perfido sysadmin, che grazie ai suoi filtri illiberali mi ha fatto fare questo popo' di figura.
Ma, una volta chiesta scusa e pietà, rimane la sostanza tutta di ciò che scrivevo (tutta, eccezion fatta per il tale, ovviamente). Perché, signori miei giudici, non è che la notissima, bellissima, bravissima Blogger (non è una presa per il culo: cito da qui) abbia, a quanto capisco, una laurea in giurisprudenza con 110 e lode, né una tesi sulla storia del diritto penale. Pertanto, a specifico uso di Emma, la quale di fronte alla mia affermazione che se qualcuno ammazza qualcun altro prende 21 anni, si chiede "(Dove? Quando? Chi l’ha detto?)", le rispondo che l'ha detto questo signore qui a fianco, che si chiama Alfredo Rocco ed è l'autore del nostro codice penale, il quale all'articolo 575 recita: "Chiunque cagiona la morte di un uomo e' punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.". E all'art. 577 dice che "Si applica la pena dell'ergastolo se il fatto preveduto dall'articolo 575 e' commesso: [...] 4) con concorso di talune delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell'articolo 61"; il quale art. 61, a sua volta dice che "Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti: 1) l'avere agito per motivi abbietti o futili".
Quanto al fatto che con il rito abbreviato i 21 anni divengano 14 e l'ergastolo diventino trent'anni, lo dice un altro signore, che si chiama Gian Domenico Pisapia (se credi, Emma, per riparare il danno fatto, lo definirò un tale Gian Domenico Pisapia), padre del nostro codice di procedura penale, il cui articolo 442 al secondo comma recita "In caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita di un terzo. Alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta. Alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell'ergastolo.".
Vedi bene, Emma, che i 21 anni divengono 14 per effetto della riduzione di un terzo, dacché 21 è divisibile per tre, come prova il fatto che la somma delle sue cifre dà, per l'appunto, proprio tre; e come del resto ben sa mio figlio, al quale ho fatto imparare, a suon di busse, tutta la tabellina del sette.
Ma non sempre è così, tanto che per il caso di omicidio preterintenzionale, per il quale si pigliano solo dieci anni, numero non divisibile per tre, il rito abbreviato farebbe ottenere una condanna a 6.66666666 anni (eccoli!, i centesimi). Fortunatamente il nostro calendario è in base 12, e quindi quei 666 millesimi e rotti possono essere agevolmente convertiti in otto mesi tondi tondi; e speriamo che vi sia dentro febbraio; e che non sia bisestile.
Veniamo ora, per un attimo, a ciò che -con meno verve ironica, me lo consenta- afferma Viscontessa: che "Uccidere per gelosia significa assecondare un'istinto che invece, per ovvi motivi, dovrebbe essere trannenuto, cancellato, eliminato così come abbiamo imparato a tenere a freno molti altri istinti".
Non potrei essere più d'accordo anzi, guarda, affermo che qualunque motivo per uccidere, se non c'è di mezzo la legittima difesa, dovrebbe essere trattenuto e cancellato. O mi vuoi dire che è giusto uccidere per ereditare una somma di danaro? O magari per eliminare l'incomodo coniuge al fine di giacersi con il proprio amante? O credi forse che sia più giustificato chi uccide il proprio superiore che ha scoperto un ammanco di cassa? O quel fidanzato respinto che per brama di possesso uccide l'ex fidanzata, ritenendo che ella, se non sarà propria, non debba essere di nessuno?
Ecco: io affermo che tutti questi non sono validi motivi per ammazzare qualcuno. Esattamente come non lo è la gelosia. E con me l'affermava il buon Rocco, quando stabiliva che tutti questi casi fossero validissimi motivi per chiudere uno in cella, e lasciarvelo per ventun anni.
E tuttavia la gelosia, tra tutti questi motivi poco commendevoli, è sempre stata una delle principali molle che hanno spinto al delitto: ho citato Colombo e Kojak, attirandomi il dileggio di Emma che ritiene i miei modelli culturali un po' troppo popolari; ma come la mettiamo con Shakespeare? Roba un po' più elevata; eppure anche lui, guarda un po'!, ti va ad inscenare un omicidio per gelosia.
Veniamo a te, fikasicula (nomignolo che si presta a lazzi e frizzi tanto qunto il mio, Emma adorata): che confondi la gelosia con il delitto d'onore quando le due cose -scusa il tecnicismo- non c'entrano una cippa.
Infatti chi uccide per gelosia si prende i suoi bravi ventun anni -o quattordici grazie al Pisapia- mentre chi uccideva al tempo del delitto d'onore si prendeva molto ma molto meno, dato che il Rocco (che era sì napoletano, ma peraltro si muoveva nel filone già tracciato dal bresciano Zanardelli), aveva previsto all'art. 587 che "Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella." Il che ci fa capire come la causa d'onore (che, detto per inciso, è cosa ben diversa dalla gelosia) fosse poco meno che una scriminante: quello che potremmo definire un quasi-valido motivo. Così vanno le cose; o perlomeno così andavano fino al 1981 quando, con decisione del tutto condivisibile seppur certo tardiva, la causa d'onore fu espunta dal nostro ordinamento; non senza averci prima regalato uno dei più bei titoli della commedia all'italiana.
Ma lasciamo perdere il cinema, il teatro, le aule dei tribunali sorde e grigie e le carceri dove qualche decina di migliaia di persone langue perché un giudice ha calcolato un numero, e con quel numero ha segnato le loro vite. Lasciamo perdere pure il conto delle frustate che, con certosina precisione, in altri sistemi giuridici vengono inferte calcolando ogni e ciascuno degli atti che i rei hanno commesso: quella è solo aritmetica, ed Emma ha un'opinione troppo elevata del mondo per scontrarsi con la triste realtà delle tabelline: la vita vera è altrove. La vita vera è qui, in rete, tra noi Blogger.
Ieri, leggendo una sciocchezzuola scritta su un blog ospitato sul sito di un giornale a rotocalco, che rappresentava erroneamente il contenuto di una sentenza, ho scritto un post per dare ai ventun lettori che abitualmente mi seguono qualche ragguaglio tecnico su come quel tale articolo dicesse delle cose inesatte.
La mia colpa è stata quella di inserire tra l'articolo indeterminativo e il nome proprio della giornalista un aggettivo "tale", che voleva dar conto di come l'autrice del pezzo fosse, per me, perfettamente sconosciuta e pertanto non avessi alcun motivo di rancore o di dileggio che non fosse strettamente legato al contenuto del pezzo da lei scritto e pubblicato.
E' con vivo stupore (e non è una figura retorica: sono proprio vivamente stupito!) che scopro che la persona di cui stiamo parlando è una blogger, e di primissimo piano.
Ora: io so che ciò potrà apparire incredibile a tutti coloro che mi hanno gettato addosso un cumulo di contumelie; e che la stima nei miei confronti, già minima, non potrà che diminuire ancora, trascendendo al regno dei numeri complessi essendo i negativi ormai già esauriti.
Ma -e prego di guardare bene il labiale- io questa Giulia Blasi fino a pochi minuti fa non avevo la più pallida idea di chi diavolo fosse. Credevo addirittura che fosse una praticante da quattro soldi, sottopagata o addirittura stagista, biecamente sfruttata dalla casa editrice del Presidente del Consiglio.
So che è assurdo: potete credermi; potete non credermi. Francamente sono così avvilito che anche se non mi credete, non me ne importa nulla.
E -anche se comprendo che questa sembra sempre più la trama di un brutto film- chi sia Giulia Blasi non lo so neppure ora, dal momento che il mio proxy aziendale blocca il sito che ospita i suoi scritti: e posto anche alcuni screenshot a riprova della mia buona fede (unica e debole attenuante di fronte al disprezzo che provo per me stesso), accompagnato da un altro relativo alla sua pagina su Grazia, dalla quale probabilmente avrei potuto apprendere qualcosa di più.
Il mio amministratore di sistema deve averci un pianeta, con la signora Blasi: è evidente; e dato che è anche capace, mi blocca perfino la pagina cachata su google, impedendomi di sfruttare anche questo trucchetto per colmare i miei deficit cognitivi (anche qui produco lo screenshot).
Per colmo di sfiga, persino flickr è bloccato, dal drudo; ragion per cui non posso vedere la foto accedibile tramite il link qui sotto, ma leggendo i nomi capisco di aver toccato un nervo scoperto.
Il bello è che se potessi leggere quel che scrive (ma lo farò tosto da casa), sicuramente condividerei tutte le opinioni della Giulia (io condivido quasi sempre le opinioni di coloro che scrivono su spazi che il mio sysadmin mi impedisce di raggiungere): per cui dev'essere anche una donna simpatica e intelligente.
E poi scopro che la Blasi ha anche scritto dei libri; ha partecipato a trasmissioni in TV. E' insomma una che conta: e mille e mille e mille sono le volte che, mentre scrivo queste righe, mi sono chiesto come diavolo sia possibile che il suo nome non l'abbia mai incrociato, neppur una volta, in tutte le ore di cazzeggio che ho fatto in rete.
Ora, io mi pento fino nel più profondo del cuore della mia ignoranza, faccio ammenda e se potessi metterei qui anche la mia fotografia, scamiciato e con in mano un cero di due libbre; imploro la comprensione del blogocono e chiamo in correità il perfido sysadmin, che grazie ai suoi filtri illiberali mi ha fatto fare questo popo' di figura.
Ma, una volta chiesta scusa e pietà, rimane la sostanza tutta di ciò che scrivevo (tutta, eccezion fatta per il tale, ovviamente). Perché, signori miei giudici, non è che la notissima, bellissima, bravissima Blogger (non è una presa per il culo: cito da qui) abbia, a quanto capisco, una laurea in giurisprudenza con 110 e lode, né una tesi sulla storia del diritto penale. Pertanto, a specifico uso di Emma, la quale di fronte alla mia affermazione che se qualcuno ammazza qualcun altro prende 21 anni, si chiede "(Dove? Quando? Chi l’ha detto?)", le rispondo che l'ha detto questo signore qui a fianco, che si chiama Alfredo Rocco ed è l'autore del nostro codice penale, il quale all'articolo 575 recita: "Chiunque cagiona la morte di un uomo e' punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.". E all'art. 577 dice che "Si applica la pena dell'ergastolo se il fatto preveduto dall'articolo 575 e' commesso: [...] 4) con concorso di talune delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell'articolo 61"; il quale art. 61, a sua volta dice che "Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti: 1) l'avere agito per motivi abbietti o futili".
Quanto al fatto che con il rito abbreviato i 21 anni divengano 14 e l'ergastolo diventino trent'anni, lo dice un altro signore, che si chiama Gian Domenico Pisapia (se credi, Emma, per riparare il danno fatto, lo definirò un tale Gian Domenico Pisapia), padre del nostro codice di procedura penale, il cui articolo 442 al secondo comma recita "In caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita di un terzo. Alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta. Alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell'ergastolo.".
Vedi bene, Emma, che i 21 anni divengono 14 per effetto della riduzione di un terzo, dacché 21 è divisibile per tre, come prova il fatto che la somma delle sue cifre dà, per l'appunto, proprio tre; e come del resto ben sa mio figlio, al quale ho fatto imparare, a suon di busse, tutta la tabellina del sette.
Ma non sempre è così, tanto che per il caso di omicidio preterintenzionale, per il quale si pigliano solo dieci anni, numero non divisibile per tre, il rito abbreviato farebbe ottenere una condanna a 6.66666666 anni (eccoli!, i centesimi). Fortunatamente il nostro calendario è in base 12, e quindi quei 666 millesimi e rotti possono essere agevolmente convertiti in otto mesi tondi tondi; e speriamo che vi sia dentro febbraio; e che non sia bisestile.
Veniamo ora, per un attimo, a ciò che -con meno verve ironica, me lo consenta- afferma Viscontessa: che "Uccidere per gelosia significa assecondare un'istinto che invece, per ovvi motivi, dovrebbe essere trannenuto, cancellato, eliminato così come abbiamo imparato a tenere a freno molti altri istinti".
Non potrei essere più d'accordo anzi, guarda, affermo che qualunque motivo per uccidere, se non c'è di mezzo la legittima difesa, dovrebbe essere trattenuto e cancellato. O mi vuoi dire che è giusto uccidere per ereditare una somma di danaro? O magari per eliminare l'incomodo coniuge al fine di giacersi con il proprio amante? O credi forse che sia più giustificato chi uccide il proprio superiore che ha scoperto un ammanco di cassa? O quel fidanzato respinto che per brama di possesso uccide l'ex fidanzata, ritenendo che ella, se non sarà propria, non debba essere di nessuno?
Ecco: io affermo che tutti questi non sono validi motivi per ammazzare qualcuno. Esattamente come non lo è la gelosia. E con me l'affermava il buon Rocco, quando stabiliva che tutti questi casi fossero validissimi motivi per chiudere uno in cella, e lasciarvelo per ventun anni.
E tuttavia la gelosia, tra tutti questi motivi poco commendevoli, è sempre stata una delle principali molle che hanno spinto al delitto: ho citato Colombo e Kojak, attirandomi il dileggio di Emma che ritiene i miei modelli culturali un po' troppo popolari; ma come la mettiamo con Shakespeare? Roba un po' più elevata; eppure anche lui, guarda un po'!, ti va ad inscenare un omicidio per gelosia.
Veniamo a te, fikasicula (nomignolo che si presta a lazzi e frizzi tanto qunto il mio, Emma adorata): che confondi la gelosia con il delitto d'onore quando le due cose -scusa il tecnicismo- non c'entrano una cippa.
Infatti chi uccide per gelosia si prende i suoi bravi ventun anni -o quattordici grazie al Pisapia- mentre chi uccideva al tempo del delitto d'onore si prendeva molto ma molto meno, dato che il Rocco (che era sì napoletano, ma peraltro si muoveva nel filone già tracciato dal bresciano Zanardelli), aveva previsto all'art. 587 che "Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella." Il che ci fa capire come la causa d'onore (che, detto per inciso, è cosa ben diversa dalla gelosia) fosse poco meno che una scriminante: quello che potremmo definire un quasi-valido motivo. Così vanno le cose; o perlomeno così andavano fino al 1981 quando, con decisione del tutto condivisibile seppur certo tardiva, la causa d'onore fu espunta dal nostro ordinamento; non senza averci prima regalato uno dei più bei titoli della commedia all'italiana.
Ma lasciamo perdere il cinema, il teatro, le aule dei tribunali sorde e grigie e le carceri dove qualche decina di migliaia di persone langue perché un giudice ha calcolato un numero, e con quel numero ha segnato le loro vite. Lasciamo perdere pure il conto delle frustate che, con certosina precisione, in altri sistemi giuridici vengono inferte calcolando ogni e ciascuno degli atti che i rei hanno commesso: quella è solo aritmetica, ed Emma ha un'opinione troppo elevata del mondo per scontrarsi con la triste realtà delle tabelline: la vita vera è altrove. La vita vera è qui, in rete, tra noi Blogger.
Etichette:
io
lunedì 18 maggio 2009
Vadi pure
Capita spesso, tra amici e colleghi, di usare l'espressione "vadi", quale mezzo autoironico per esprimere, allo stesso tempo, la consapevolezza dell'erroneità di tale forma verbale e il riconoscimento dell'altro come persona partecipe di tale consapevolezza.
Un po' come dire "io e te non abbiamo bisogno di provare l'uno all'altro che siamo persone che hanno studiato: possiamo prenderci in giro reciprocamente"; ma in realtà quello che stiamo facendo è prendere in giro coloro che quel "vadi" lo usano.
Il fatto è che probabilmente nessuno in Italia crede, dopo la 5^ elementare, che "vadi" si possa dire: perché Fantozzi bene o male l'hanno visto tutti: e tutti hanno introiettato la scorrettezza di tale congiuntivo: tanto che se qualcuno ce lo dicesse, e quel qualcuno non fosse un nostro sòdale, lo guarderemmo con aria di profondo compatimento.
Esattamente come ha fatto la mia vicina, qualche giorno fa, quando, interrompendo momentaneamente una telefonata con un amico, le ho detto, aprendo il portone con il migliore dei miei sorrisi:
- "passi, vadi pure".
Un po' come dire "io e te non abbiamo bisogno di provare l'uno all'altro che siamo persone che hanno studiato: possiamo prenderci in giro reciprocamente"; ma in realtà quello che stiamo facendo è prendere in giro coloro che quel "vadi" lo usano.
Il fatto è che probabilmente nessuno in Italia crede, dopo la 5^ elementare, che "vadi" si possa dire: perché Fantozzi bene o male l'hanno visto tutti: e tutti hanno introiettato la scorrettezza di tale congiuntivo: tanto che se qualcuno ce lo dicesse, e quel qualcuno non fosse un nostro sòdale, lo guarderemmo con aria di profondo compatimento.
Esattamente come ha fatto la mia vicina, qualche giorno fa, quando, interrompendo momentaneamente una telefonata con un amico, le ho detto, aprendo il portone con il migliore dei miei sorrisi:
- "passi, vadi pure".
Etichette:
io
Notizie false (e tendenziose)
Ogtgi ce la prendiamo con tale Giulia Blasi, la quale su Donna Moderna ha scritto tutto un papiello per raccontare come e qualmente la Corte di Cassazione avrebbe riconosciuto la gelosia come attenuante in un omicidio, vale a dire una "motivazione valida per ammazzare la propria compagna", e come "questa sentenza della Cassazione ci riporta indietro di ventotto anni, al 1981, anno in cui finalmente scomparvero dalla nostra legislazione le attenuanti “per cause d’onore” in caso di omicidio".
Cazzate.
E cazzate pericolose, dato che inducono il lettore a pensare che di questi giudici non se ne possa proprio più.
Le cose stanno così, ve le spiego come le spiegherei a mio figlio: se qualcuno ammazza qualcun altro, prende 21 anni. Con il rito abbreviato ne prende 14, che quindi è la pena base.
Con l'aggravante dei motivi futili e abbietti, prende l'ergastolo; con il rito abbreviato prende 30 anni.
La Cassazione ha confermato la pena a 14 anni, ritenendo che la gelosia non sia un motivo abietto o futile: se infatti avesse riconosciuto tale aggravante, avrebbe dovuto dare 30 anni.
Ora, una cosa è dire che la gelosia è una "motivazione valida per ammazzare la propria compagna"; altro è dire che è un movente non abietto né futile.
Se la gelosia fosse una motivazione valida, l'imputato sarebbe stato assolto, come saprebbe la signora Blasi se avesse speso cinque minuti su Wikipedia (non chiediamo ai giornalisti che si occupano di roba giuridica di essere avvocati; ma wikipedia, santo cielo!).
La Corte ha semplicemente detto che non è un motivo abietto o futile.
Per intenderci, un motivo abietto è un motivo “che si radica in una particolare perversità o malvagità del reo, così da suscitare un profondo senso di ripugnanza e di disprezzo in ogni persona di media moralità”.
Giusto per capirci, ad esempio, sono considerati motivi abietti la vendetta trasversale e il sacrificio umano rituale: cose veramente tremende.
E futile il caso in cui, secondo il comune sentire, esista un’incredibile sproporzione tra la causa scatenante e l’evento: come l’omicidio per il posto nel parcheggio.
La gelosia è un movente come tanti altri: come la brama di denaro, la vendetta, l'invidia, la sete di potere. E' anzi, se ci pendsate, uno dei moventi più ancestrali e radicati nella nostra specie e nella nostra società, come ben sa l'appassionato di Colombo, Kojak o CSI.
quindi, in sintesi, nessuno, ma proprio nessuno, ha ritenuto la gelosia un'attenuante: semplicemente non è stata ritenuta un'aggravante.
Cazzate.
E cazzate pericolose, dato che inducono il lettore a pensare che di questi giudici non se ne possa proprio più.
Le cose stanno così, ve le spiego come le spiegherei a mio figlio: se qualcuno ammazza qualcun altro, prende 21 anni. Con il rito abbreviato ne prende 14, che quindi è la pena base.
Con l'aggravante dei motivi futili e abbietti, prende l'ergastolo; con il rito abbreviato prende 30 anni.
La Cassazione ha confermato la pena a 14 anni, ritenendo che la gelosia non sia un motivo abietto o futile: se infatti avesse riconosciuto tale aggravante, avrebbe dovuto dare 30 anni.
Ora, una cosa è dire che la gelosia è una "motivazione valida per ammazzare la propria compagna"; altro è dire che è un movente non abietto né futile.
Se la gelosia fosse una motivazione valida, l'imputato sarebbe stato assolto, come saprebbe la signora Blasi se avesse speso cinque minuti su Wikipedia (non chiediamo ai giornalisti che si occupano di roba giuridica di essere avvocati; ma wikipedia, santo cielo!).
La Corte ha semplicemente detto che non è un motivo abietto o futile.
Per intenderci, un motivo abietto è un motivo “che si radica in una particolare perversità o malvagità del reo, così da suscitare un profondo senso di ripugnanza e di disprezzo in ogni persona di media moralità”.
Giusto per capirci, ad esempio, sono considerati motivi abietti la vendetta trasversale e il sacrificio umano rituale: cose veramente tremende.
E futile il caso in cui, secondo il comune sentire, esista un’incredibile sproporzione tra la causa scatenante e l’evento: come l’omicidio per il posto nel parcheggio.
La gelosia è un movente come tanti altri: come la brama di denaro, la vendetta, l'invidia, la sete di potere. E' anzi, se ci pendsate, uno dei moventi più ancestrali e radicati nella nostra specie e nella nostra società, come ben sa l'appassionato di Colombo, Kojak o CSI.
quindi, in sintesi, nessuno, ma proprio nessuno, ha ritenuto la gelosia un'attenuante: semplicemente non è stata ritenuta un'aggravante.
domenica 17 maggio 2009
Privacy e notizie: che cosa ne pensate?
C'è un post di Gilioli, che ha lo stesso titolo di questo mio, nel quale il giornalista dell'Espresso si chiede, a mio parere giustamente, se sia "notiziabile" un'eventuale testimonianza di incontri del PresConsMin con donne maggiorenni e consenzienti.
La domanda è tutt'altro che peregrina: infatti il caso di Noemi Letizia è assurto agli onori delle cronache perchè tra le varie ipotesi che si sono fatte vi è anche la possibilità che il premier avesse commesso atti sessuali o di libidine con una minorenne; il che sarebbe un fatto grave (e rammentavo che costituisse anzi reato; ma rileggendo il codice penale mi sembra proprio che ciò non sia vero).
Ma pur ammettendo (e anzi, in fondo in fondo ritenendolo probabile) che Silvio Berlusconi non abbia toccato la signorima Noemi Letizia, ciononostante credo che l'opinione pubblica il diritto di essere informata ce l'abbia: sia in quanto abbiamo almeno un Ministro della Repubblica che sembra abbia conquistato il posto grazie a favori di genere prvato (e ciò, se provato, costituirebbe un vulnus al sistema democratico a prescindere dalla competenza o meno del ministro stesso), sia in quanto la stessa Noemi, probabilmente caduta in una trappola, sospinta dalla sua stessa ingenuità e da un giornalista che sapeva il proprio mestiere, si è lasciata sfuggire l'ambizione ad un seggio alla Camera: ambizione ancor più grave in un sistema elettorale come il nostro, nel quale la scelta dei rappresentanti non compete agli elettori bensì ai partiti.
Ciò detto, torniamo alla domanda di Gilioli: se il PresConsMin andasse a letto con una donna maggiorenne e consenziente, questi sarebbero fatti loro o anche nostri?
Riporto la risposta che ho lasciato nei suoi commenti, dato che l'argomento mi sembra di interesse generale.
Voi che ne pensate?
La domanda è tutt'altro che peregrina: infatti il caso di Noemi Letizia è assurto agli onori delle cronache perchè tra le varie ipotesi che si sono fatte vi è anche la possibilità che il premier avesse commesso atti sessuali o di libidine con una minorenne; il che sarebbe un fatto grave (e rammentavo che costituisse anzi reato; ma rileggendo il codice penale mi sembra proprio che ciò non sia vero).
Ma pur ammettendo (e anzi, in fondo in fondo ritenendolo probabile) che Silvio Berlusconi non abbia toccato la signorima Noemi Letizia, ciononostante credo che l'opinione pubblica il diritto di essere informata ce l'abbia: sia in quanto abbiamo almeno un Ministro della Repubblica che sembra abbia conquistato il posto grazie a favori di genere prvato (e ciò, se provato, costituirebbe un vulnus al sistema democratico a prescindere dalla competenza o meno del ministro stesso), sia in quanto la stessa Noemi, probabilmente caduta in una trappola, sospinta dalla sua stessa ingenuità e da un giornalista che sapeva il proprio mestiere, si è lasciata sfuggire l'ambizione ad un seggio alla Camera: ambizione ancor più grave in un sistema elettorale come il nostro, nel quale la scelta dei rappresentanti non compete agli elettori bensì ai partiti.
Ciò detto, torniamo alla domanda di Gilioli: se il PresConsMin andasse a letto con una donna maggiorenne e consenziente, questi sarebbero fatti loro o anche nostri?
Riporto la risposta che ho lasciato nei suoi commenti, dato che l'argomento mi sembra di interesse generale.
Se un politico (sposato o meno) frequenta altre donne (sposate o meno) sono, in linea di massima, fatti suoi e della sua signora.
Se però lo stesso politico organizza i Family day e si pone quale paladino della famiglia tradizionale e contro le relazioni “irregolari”, allora credo sia dovere degli organi di informazione quello di informare.
Per fare un esempio uguale e contrario, immaginiamo un politico il quale, da imprenditore, tenga un atteggiamento di contrasto al sindacato, ma formalmente entro il limite della legalità: credo che se questi fosse di destra, la stampa potrebbe e forse dovrebbe ignorarlo; ma se fosse di sinistra sarebbe doveroso darne notizia.
Voi che ne pensate?
Etichette:
berlusconi,
stampa
Reclamo (ma guarda un po' che mi tocca a fa')
Spettabile
Servizio clienti TIM
C/O Centro Servizi Datel
fax 800 600 199
Reclamo - Utenza 339/xxxxxxx
Egregi Signori,
in data 17 maggio 2009 ho ricevuto sul mio terminale un messaggio che mi informava dell'avvenuto rinnovo dell'opzione MAXXI ALICE 100.
Irritato, ho immediatamente chiamato il servizio clienti 119 che -con mio grande stupore- mi ha informato che la mia utenza risultava abbonata a datto servizio dallo scorso 25 gennaio. L'operatrice mi ha altresì informato del fatto che nella stessa data, anzi esattamente due minuti dopo l'attivazione dell'opzione, l'utenza era stata bloccata, e successivamente riattivata a valere su nuova SIM.
Tale informazione mi ha consentito di ricostruire la vicenda: il 25 gennaio scorso infatti il mio terminale telefonico è stato rubato ed il ladro ha evidentemente attivato l'opzione MAXXI ALICE 100, subito prima che io operassi il blocco dell'utenza mediante chiamata da telefono fisso.
Rammento bene che in occasione del blocco avevo chiesto esplicitamente all'operatore di servizio se, nel periodo in cui il mio telefono era stato attivo nelle mani del trafugatore, questi avesse generato traffico consumando credito; l'operatore mi aveva risposto che l'informazione non era in quel momento disponibile e mi aveva suggerito di consultare, dopo la riattivazione, il riepilogo dei consumi disponibile via internet.
Pertanto, né sono stato informato dall'operatore dell'attivazione dell'opzione, malgrado la stessa fosse stata attivata solo DUE minuti prima la mia richiesta di blocco, né ho potuto appurarlo tramite il riepilogo del traffico dal quale, come ho ancor oggi verificato, non appare il credito scalato per l'attivazione (o il rinnovo) dell'opzione.
Né infine, fino ad oggi, sono mai stato informato tramite SMS dell'avvenuta sottrazione di danaro dal mio conto ricaricabile: circostanza della quale sono assolutamente certo in quanto leggo scrupolosamente ogni messaggio di servizio proprio al fine di evitare che, come già avvenuto in passato, mi siano addebitati importo o attivate offerte da me non richieste.
Il recente rinnovo è quindi il quinto pagamento che eseguo per un'opzione che non solo non ho mai attivato, ma neppure ho utilizzato, dal momento che il mio terminale non ha mai generato neppure un byte di traffico dati; e tutto ciò, mi ripeto, senza che a tutt'oggi mi sia pervenuta la sia pur minima informazione al riguardo, né che l'estratto conto consultabile su internet abbia mai riportato l'ammontare degli importi scalati, né che mi sia stato inviato alcun SMS di avvertimento né, infine, che il Vostro Servizio Clienti mi abbia chiamato per approfondire la curiosa circostanza -certo rilevata dai vostri sistemi di CRM- di un'utente che sottoscrive un oneroso abbonamento per usufruire di un traffico dati che non è poi stato mai utilizzato, neppure per isbaglio.
A seguito del colloquio telefonico odierno l'operatrice di servizio ha proceduto alla disattivazione del rinnovo automatico dell'opzione, informandomi del fatto che il riaccredito degli importi relativi sia al corrente mese, che non ho alcuna intenzione di sfruttare, sia ai mesi precedenti, non richiesti né utilizzati, avrebbe dovuto avvenire tramite richiesta scritta a codesto Centro Servizi.
Vi invito pertanto a riaccreditare sulla mia utenza l'importo corrispondente ai cinque utilizzi dell'opzione MAXXI ALICE 100 (pari, salvo errore o variazioni tariffarie nel tempo succedutesi, a €100,-).
In attesa di Vostra cortese conferma mi è gradita l'occasione per porgere distinti saluti.
aggiornamento
In sole 24 ore TIM mi ha restituito i soldini che mi erano stati scalati. Mi sembra doveroso darne atto, anche per l'efficienza.
Servizio clienti TIM
C/O Centro Servizi Datel
fax 800 600 199
Reclamo - Utenza 339/xxxxxxx
Egregi Signori,
in data 17 maggio 2009 ho ricevuto sul mio terminale un messaggio che mi informava dell'avvenuto rinnovo dell'opzione MAXXI ALICE 100.
Irritato, ho immediatamente chiamato il servizio clienti 119 che -con mio grande stupore- mi ha informato che la mia utenza risultava abbonata a datto servizio dallo scorso 25 gennaio. L'operatrice mi ha altresì informato del fatto che nella stessa data, anzi esattamente due minuti dopo l'attivazione dell'opzione, l'utenza era stata bloccata, e successivamente riattivata a valere su nuova SIM.
Tale informazione mi ha consentito di ricostruire la vicenda: il 25 gennaio scorso infatti il mio terminale telefonico è stato rubato ed il ladro ha evidentemente attivato l'opzione MAXXI ALICE 100, subito prima che io operassi il blocco dell'utenza mediante chiamata da telefono fisso.
Rammento bene che in occasione del blocco avevo chiesto esplicitamente all'operatore di servizio se, nel periodo in cui il mio telefono era stato attivo nelle mani del trafugatore, questi avesse generato traffico consumando credito; l'operatore mi aveva risposto che l'informazione non era in quel momento disponibile e mi aveva suggerito di consultare, dopo la riattivazione, il riepilogo dei consumi disponibile via internet.
Pertanto, né sono stato informato dall'operatore dell'attivazione dell'opzione, malgrado la stessa fosse stata attivata solo DUE minuti prima la mia richiesta di blocco, né ho potuto appurarlo tramite il riepilogo del traffico dal quale, come ho ancor oggi verificato, non appare il credito scalato per l'attivazione (o il rinnovo) dell'opzione.
Né infine, fino ad oggi, sono mai stato informato tramite SMS dell'avvenuta sottrazione di danaro dal mio conto ricaricabile: circostanza della quale sono assolutamente certo in quanto leggo scrupolosamente ogni messaggio di servizio proprio al fine di evitare che, come già avvenuto in passato, mi siano addebitati importo o attivate offerte da me non richieste.
Il recente rinnovo è quindi il quinto pagamento che eseguo per un'opzione che non solo non ho mai attivato, ma neppure ho utilizzato, dal momento che il mio terminale non ha mai generato neppure un byte di traffico dati; e tutto ciò, mi ripeto, senza che a tutt'oggi mi sia pervenuta la sia pur minima informazione al riguardo, né che l'estratto conto consultabile su internet abbia mai riportato l'ammontare degli importi scalati, né che mi sia stato inviato alcun SMS di avvertimento né, infine, che il Vostro Servizio Clienti mi abbia chiamato per approfondire la curiosa circostanza -certo rilevata dai vostri sistemi di CRM- di un'utente che sottoscrive un oneroso abbonamento per usufruire di un traffico dati che non è poi stato mai utilizzato, neppure per isbaglio.
A seguito del colloquio telefonico odierno l'operatrice di servizio ha proceduto alla disattivazione del rinnovo automatico dell'opzione, informandomi del fatto che il riaccredito degli importi relativi sia al corrente mese, che non ho alcuna intenzione di sfruttare, sia ai mesi precedenti, non richiesti né utilizzati, avrebbe dovuto avvenire tramite richiesta scritta a codesto Centro Servizi.
Vi invito pertanto a riaccreditare sulla mia utenza l'importo corrispondente ai cinque utilizzi dell'opzione MAXXI ALICE 100 (pari, salvo errore o variazioni tariffarie nel tempo succedutesi, a €100,-).
In attesa di Vostra cortese conferma mi è gradita l'occasione per porgere distinti saluti.
aggiornamento
In sole 24 ore TIM mi ha restituito i soldini che mi erano stati scalati. Mi sembra doveroso darne atto, anche per l'efficienza.
A' Anna, che tte serve? (aggiornato)
But she (Noemi’s mother, Anna Palumbo) also said she hoped that Mr Berlusconi could “do for my daughter what he did not manage to do for me” — implying that she had known him in the 1980s, when Mr Berlusconi was building his television empire.
The Times online
Aggiornamento
The above report originally quoted Anna Palumbo, the mother of Noemi Letizia, saying that she hoped Silvio Berlusconi could do for her daughter what he did not manage to do for her, implying that she had known Mr. Berlusconi in the 1980s during her early TV career. This quote was, in fact, given to an Italian journalist and was mistranslated in our report. Ms. Palumbo was not referring to Mr. Berlusconi when she said "il Signore", but to "The Lord", meaning God. There was, therefore, no implication that she knew Mr. Berlusconi in the 1980s. We apologise for any embarrassment caused.
The Times online
Aggiornamento
The above report originally quoted Anna Palumbo, the mother of Noemi Letizia, saying that she hoped Silvio Berlusconi could do for her daughter what he did not manage to do for her, implying that she had known Mr. Berlusconi in the 1980s during her early TV career. This quote was, in fact, given to an Italian journalist and was mistranslated in our report. Ms. Palumbo was not referring to Mr. Berlusconi when she said "il Signore", but to "The Lord", meaning God. There was, therefore, no implication that she knew Mr. Berlusconi in the 1980s. We apologise for any embarrassment caused.
Etichette:
berlusconi
Brrrrrrr!!
What would happen to our economy if nobody were around to fix security holes in Windows and IE??!!
By James Kwak
By James Kwak
Etichette:
crisi
Lezioni italo-americane - la bancarotta /10
La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui
Siamo finalmnte arrivati a parlare della nuova procedura di Concordato preventivo (avevamo parlato qui di come funzionasse fino al 2006: lo rammento giusto per un ripasso, forse necessario).
Come vi avevo detto, con le riforme del 2006-2008 è cambiato tutto, e la nuova procedura è molto simile al Chapter 11 USA, tanto che si inserisce un po' a fatica nell'insieme del sistema italiano. Ricorderete anche che con la riforma era cambiato il Fallimento, nel senso che era stato tolto un po' di potere ai magistrati in favore dei creditori, ed era stata data una maggiore attenzione alla salvaguardia dei complessi aziendali; ma in fondo sono inezie rispetto a quello che vedremo ora.
Si può dire che della vecchia disciplina il Concordato preentivo mantenga solo il nome; e forse sarebbe valsa la pena di modificare anche quello adottando il termine Ristrutturazione, che del resto è la miglior traduzione dell'inglese Reorganization: parola che altro non è se non il titolo del famigerato Chapter 11. Certo il legislatore non ha proprio copiato paro paro la disciplina americana: ci sono ad esempio forti echi della riforma tedesca e vi sono istituti -primo fra tutti il DIP Financing- che non sono stati importati; ma insomma l'influenza è molto forte.
Il presupposto per l'ammissione al Concordato preventivo è lo "Stato di crisi": che è una cosa ben diversa dallo "Stato di insolvenza" richiesto per la dichiarazione di Fallimento e anche per il "vecchio" concordato preventivo. Stato di crisi può voler dire ad esempio che un'impresa ha ancora un patrimonio netto positivo (cioè più beni che debiti) ma non ce la fa a pagare i creditori: ad esempio perché i creditori devono essere pagati subito, mentre i beni (o una loro parte significativa) non sono smobilizzabili senza interrompere l'attività o senza perderci troppo. Oppure l'impresa ha bisogno di trasformarsi completamente, dato che fa un prodotto non più vendibile (pensate, ad esempio, ai laboratori di sviluppo di pellicola fotografica, che in pochi anni sono letteralmente spariti o si sono dovuti convertire alla stampa digitale): ma per farlo ci vogliono soldi che può essere impossibile trovare se i debiti sono già elevati.
Dunque, l'imprenditore in "Stato di Crisi" può presentare una domanda che può prevedere:
Che significa in pratica tutto ciò? In parole semplici, la proposta può prevedere qualunque tipo di soluzione per la soddisfazione dei creditori: questi possono essere pagati in percentuale mediante denaro, o mediante la cessione dei beni o anche mediante azioni o obbligazioni loro offerte. La lettera b) ci dice che l'imprenditore può proporre di vendere tutto a un terzo soggetto, detto Assuntore, il quale poi pagherà i creditori, sempre in percentuale. La lettera c) diche che possono essere formate (sempre dell'imprenditore che redige la domanda!) classi di creditori omogenei per posizione giuridica o interessi (es.: una classe può essere quella dei dipendenti, un'altra quella dei fornitori...); e alle diverse classi possono essere offerti diversi trattamenti (lett. d).
Notate che è del tutto sparito il requisito della meritevolezza, e non vi sono più percentuali minime da offrire, neppur ai creditori privilegiati. Si può ben dire, insomma, che l'offerta può essere fatta come meglio si crede.
Il Tribunale, dal canto suo, esegue un controllo che possiamo dire meramente formale e, se tutto è in regola, dichiara aperta la procedura, nomina il commissario giudiziale e convoca l'Adunanza dei creditori.
Il Commissario giudiziale fa tutti i controlli per redigere la sua relazione (e se rileva che l'imprenditore ha nascosto qualcosa o imbrogliato le carte può segnalarlo al Tribunale che, d'ufficio, può dichiarare il fallimento), che presenterà all'Adunanza.
Qui i creditori votano, e la proposta si intende approvata se raccoglie l'assenso della maggioranza dei crediti (non più delle teste, quindi) e, se vi sono più classi, l'assenso (a maggioranza) della maggioranza delle classi.
Viene poi convocata l'udienza per l'omologazione del concordato, nella quale i creditori possono esporre eventuali reclami. In particolare può presentarsi un creditore che appartenga a una classe dissenziente, il quale contesti la convenienza della proposta: in tal caso "il Tribunale puo' omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili".
Se il concordato viene omologato, esso è obbligatorio per tutti i creditori, consenzienti o dissenzienti; se non viene omologato, tuttavia, non vi è più l'automatismo del Fallimento.
Queste le linee generali. Possiamo dire che con la nuova disciplina l'imprenditore può quindi proporre qualunque cosa, purché ragionevole e onesta (infatti se il commissario giudiziale "accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o piu' crediti, esposto passivita' insussistenti o commesso altri atti di frode" deve riferire al tribunale che può dichiarare il fallimento).
Sta ai creditori, e solo a loro, stabilire le la proposta sia anche conveniente, e se del caso dare la loro approvazione. Il Tribunale, se non c'è la frode, non ha più alcun potere in tal senso. E se la maggioranza dei creditori (o meglio, i creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti) dicono di sì, anche se la proposta non fosse conveniente il tribunale deve omologare la procedura: può entrare nel merito solo nel caso dell'opposizione di un creditore che appartenga a una classe dissenziente.
In effetti i Tribunali non sono stati felicissimi di perdere tutto il controllo; e per quanto si vede in questi primi tempi di applicazione, ne hanno recuperato un po' estendendo il concetto di "frode": ma sono rimedi che si possono applicare in non molti casi.
In tutti gli altri, il controllo sulla procedura ce l'hanno solo i creditori: i quali sono lasciati, si può dire, da soli a prendere le proprie decisioni. Certo, i grandi creditori (che spesso sono poi le banche) avranno degli uffici legali o dei professionisti in grado di assisterli; ma questi non possono che basarsi sui dati del Commissario giudiziale, dato che non hanno accesso ai documenti dell'impresa e quindi non sanno se vi siano degli atti suscettibili di revocatoria.
E comunque i creditori hanno un'istintiva repulsione per il fallimento del loro debitore, vedendo in esso -forse non a torto- un'ottimo mezzo per perdere ogni possibilità di recuperare qualcosa in un lasso di tempo ragionevole: e pertanto, salvo casi sporadici, tendono sempre a votare a favore del Concordato.
Vedete inoltre che l'altra fondamentale differenza rispetto al passato è che mentre prima il Concordato preventivo, pur non comportando il fallimento, aveva comunque una natura liquidatoria, e quindi al suo termine l'impresa non esisteva più, qui invece le cose sono ben diverse. La proposta può prevedere, ad esempio, il pagamento da parte di un terzo che acquista l'azienda, oppure offrire azioni o obbligazioni ai creditori; il che significa che alla fine della procedura l'azienda è ancora lì, in grado di lavorare.
(continua)
Siamo finalmnte arrivati a parlare della nuova procedura di Concordato preventivo (avevamo parlato qui di come funzionasse fino al 2006: lo rammento giusto per un ripasso, forse necessario).
Come vi avevo detto, con le riforme del 2006-2008 è cambiato tutto, e la nuova procedura è molto simile al Chapter 11 USA, tanto che si inserisce un po' a fatica nell'insieme del sistema italiano. Ricorderete anche che con la riforma era cambiato il Fallimento, nel senso che era stato tolto un po' di potere ai magistrati in favore dei creditori, ed era stata data una maggiore attenzione alla salvaguardia dei complessi aziendali; ma in fondo sono inezie rispetto a quello che vedremo ora.
Si può dire che della vecchia disciplina il Concordato preentivo mantenga solo il nome; e forse sarebbe valsa la pena di modificare anche quello adottando il termine Ristrutturazione, che del resto è la miglior traduzione dell'inglese Reorganization: parola che altro non è se non il titolo del famigerato Chapter 11. Certo il legislatore non ha proprio copiato paro paro la disciplina americana: ci sono ad esempio forti echi della riforma tedesca e vi sono istituti -primo fra tutti il DIP Financing- che non sono stati importati; ma insomma l'influenza è molto forte.
Il presupposto per l'ammissione al Concordato preventivo è lo "Stato di crisi": che è una cosa ben diversa dallo "Stato di insolvenza" richiesto per la dichiarazione di Fallimento e anche per il "vecchio" concordato preventivo. Stato di crisi può voler dire ad esempio che un'impresa ha ancora un patrimonio netto positivo (cioè più beni che debiti) ma non ce la fa a pagare i creditori: ad esempio perché i creditori devono essere pagati subito, mentre i beni (o una loro parte significativa) non sono smobilizzabili senza interrompere l'attività o senza perderci troppo. Oppure l'impresa ha bisogno di trasformarsi completamente, dato che fa un prodotto non più vendibile (pensate, ad esempio, ai laboratori di sviluppo di pellicola fotografica, che in pochi anni sono letteralmente spariti o si sono dovuti convertire alla stampa digitale): ma per farlo ci vogliono soldi che può essere impossibile trovare se i debiti sono già elevati.
Dunque, l'imprenditore in "Stato di Crisi" può presentare una domanda che può prevedere:
- a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonche' a societa' da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
b) l'attribuzione delle attivita' delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o societa' da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato;
c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;
d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
Che significa in pratica tutto ciò? In parole semplici, la proposta può prevedere qualunque tipo di soluzione per la soddisfazione dei creditori: questi possono essere pagati in percentuale mediante denaro, o mediante la cessione dei beni o anche mediante azioni o obbligazioni loro offerte. La lettera b) ci dice che l'imprenditore può proporre di vendere tutto a un terzo soggetto, detto Assuntore, il quale poi pagherà i creditori, sempre in percentuale. La lettera c) diche che possono essere formate (sempre dell'imprenditore che redige la domanda!) classi di creditori omogenei per posizione giuridica o interessi (es.: una classe può essere quella dei dipendenti, un'altra quella dei fornitori...); e alle diverse classi possono essere offerti diversi trattamenti (lett. d).
Notate che è del tutto sparito il requisito della meritevolezza, e non vi sono più percentuali minime da offrire, neppur ai creditori privilegiati. Si può ben dire, insomma, che l'offerta può essere fatta come meglio si crede.
Il Tribunale, dal canto suo, esegue un controllo che possiamo dire meramente formale e, se tutto è in regola, dichiara aperta la procedura, nomina il commissario giudiziale e convoca l'Adunanza dei creditori.
Il Commissario giudiziale fa tutti i controlli per redigere la sua relazione (e se rileva che l'imprenditore ha nascosto qualcosa o imbrogliato le carte può segnalarlo al Tribunale che, d'ufficio, può dichiarare il fallimento), che presenterà all'Adunanza.
Qui i creditori votano, e la proposta si intende approvata se raccoglie l'assenso della maggioranza dei crediti (non più delle teste, quindi) e, se vi sono più classi, l'assenso (a maggioranza) della maggioranza delle classi.
Viene poi convocata l'udienza per l'omologazione del concordato, nella quale i creditori possono esporre eventuali reclami. In particolare può presentarsi un creditore che appartenga a una classe dissenziente, il quale contesti la convenienza della proposta: in tal caso "il Tribunale puo' omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili".
Se il concordato viene omologato, esso è obbligatorio per tutti i creditori, consenzienti o dissenzienti; se non viene omologato, tuttavia, non vi è più l'automatismo del Fallimento.
Queste le linee generali. Possiamo dire che con la nuova disciplina l'imprenditore può quindi proporre qualunque cosa, purché ragionevole e onesta (infatti se il commissario giudiziale "accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o piu' crediti, esposto passivita' insussistenti o commesso altri atti di frode" deve riferire al tribunale che può dichiarare il fallimento).
Sta ai creditori, e solo a loro, stabilire le la proposta sia anche conveniente, e se del caso dare la loro approvazione. Il Tribunale, se non c'è la frode, non ha più alcun potere in tal senso. E se la maggioranza dei creditori (o meglio, i creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti) dicono di sì, anche se la proposta non fosse conveniente il tribunale deve omologare la procedura: può entrare nel merito solo nel caso dell'opposizione di un creditore che appartenga a una classe dissenziente.
In effetti i Tribunali non sono stati felicissimi di perdere tutto il controllo; e per quanto si vede in questi primi tempi di applicazione, ne hanno recuperato un po' estendendo il concetto di "frode": ma sono rimedi che si possono applicare in non molti casi.
In tutti gli altri, il controllo sulla procedura ce l'hanno solo i creditori: i quali sono lasciati, si può dire, da soli a prendere le proprie decisioni. Certo, i grandi creditori (che spesso sono poi le banche) avranno degli uffici legali o dei professionisti in grado di assisterli; ma questi non possono che basarsi sui dati del Commissario giudiziale, dato che non hanno accesso ai documenti dell'impresa e quindi non sanno se vi siano degli atti suscettibili di revocatoria.
E comunque i creditori hanno un'istintiva repulsione per il fallimento del loro debitore, vedendo in esso -forse non a torto- un'ottimo mezzo per perdere ogni possibilità di recuperare qualcosa in un lasso di tempo ragionevole: e pertanto, salvo casi sporadici, tendono sempre a votare a favore del Concordato.
Vedete inoltre che l'altra fondamentale differenza rispetto al passato è che mentre prima il Concordato preventivo, pur non comportando il fallimento, aveva comunque una natura liquidatoria, e quindi al suo termine l'impresa non esisteva più, qui invece le cose sono ben diverse. La proposta può prevedere, ad esempio, il pagamento da parte di un terzo che acquista l'azienda, oppure offrire azioni o obbligazioni ai creditori; il che significa che alla fine della procedura l'azienda è ancora lì, in grado di lavorare.
(continua)
Etichette:
bancarotta,
fallimento,
less.itam,
maestrino
venerdì 15 maggio 2009
Luna di miele
I più fedeli lettori sanno che per me l'altra faccia dello specchio, rispetto a Bordone, è Francesco Cundari: che non cito quanto vorrei in primo luogo pèerché questo non è un tumbler, e poi perché finirei per copincollare quasi tutti i suoi articoli; e questo sarebbe plagio.
Non posso tuttavia esimermi dal segnalare in questo articolo tre cose che mi sembrano molto significative (anche se sono a loro volta citazioni, da altri giornalisti). Due sono sulla crisi del PD, che malgrado la obiettiva difficoltà di Berlusconi in questi giorni non riesce a costruire una risposta degna di questo nome:
L'altra è un'osservazione di Giannini che si ricollega a qualcosa che avevo già ventilato recentemente:
Non posso tuttavia esimermi dal segnalare in questo articolo tre cose che mi sembrano molto significative (anche se sono a loro volta citazioni, da altri giornalisti). Due sono sulla crisi del PD, che malgrado la obiettiva difficoltà di Berlusconi in questi giorni non riesce a costruire una risposta degna di questo nome:
E pensare che tutto, ma proprio tutto, sembrerebbe congiurare a favore dell’opposizione [... ma] da questo ipotetico risveglio il Pd non sembra trarre beneficio. [...] Il motivo è semplice: “Il Pd non esiste. Ed esistere è condizione indispensabile per trarre vantaggio da qualcosa”
...se europee e amministrative saranno il bagno di sangue che si profila, credo che al congresso di ottobre non ci sarà una scissione, ma una frantumazione.
L'altra è un'osservazione di Giannini che si ricollega a qualcosa che avevo già ventilato recentemente:
Se dici che non fai interventi massicci perché hai dei vincoli di bilancio puoi apparire responsabile, se però nel frattempo il bilancio lo risani. Ma se poi il debito continua a salire, ti ritrovi con la crisi che morde il paese e senza nemmeno le risorse per rispondere alle emergenze, come nel caso del terremoto. Di qui le tensioni tra Palazzo Chigi e il ministero dell’EconomiaSe l'analisi di Giannini fosse vara, questo confermerebbe la mia impressione di una prossima necessaria intensificazione lotta all'evasione fiscale, come unico strumento per salvare il carrozzone sul quale il governo sta viaggiando.
Etichette:
berlusconi,
pd,
politica
Sassolini nella scarpa
C'è un post di Matteo Bordone (che fa seguito ad analogo pezzo del collega Luca Sofri), che ironizza sul fatto che Di Pietro prima abbia raccolto le firme per i referenda elettorali e poi abbia scelto di stare dalla parte del no.
Personalmente credo che chiunque abbia il diritto di ripensare le proprie scelte sbagliate: i fumatori, converrete, possono decidere di smettere di fumare, senza che qualcuno debba o possa accusarli di incongruenza morale; o no?
Non vogliamo scomodare Manzoni, notoriamente fuori moda, e che ci farebbe apparire inguaribilmente conservatori e passatisti: non in linea con la pulsione verso la modernità che informa di sé le nuove leve del centrosinistra; ma possiamo anche portare esempi più attuali se ragioniamo sul fatto che persino i frequentatori abituali di minorenni possono avere un momento di resipiscenza e decidere di tornare a giacersi con piacenti coetanee.
Che poi, tornando in argomento, Di Pietro sui referenda abbia ora scelto "bianco" solo perché Berlusconi ha scelto "nero", è un falso problema. Ciò che bisogna valutare, al momento dell'espressione della sovranità popolare, non è quali siano le motivazioni che muovono i fautori del "bianco" e quelli del "nero": ciò che conta è solo se "bianco" sia o meno più giusto di "nero".
Non succederà mai, ma il giorno in cui Vittorio Feltri e Mario Giordano dovessero presentare un referendum per abolire il finanziamento pubblico alla scuola privata, e Franceschini, D'Alema e Vendola dovessero schierarsi per il "NO"; quel giorno io andrei a votare per il "SI". Anche se ciò costituisse un plebiscito a favore di Feltri e Berlusconi: semplicemente perché credo che sia giusto abolire il finanziamento alla scuola privata, e non mi interessa chi sta da una parte e chi dall'altra.
Mi ha colpito, del post citato, un commento dello stesso autore: alla domanda Tu al referendum cosa voterai? Regali anche le prossime elezioni a Berlusconi?, egli risponde:
Ecco, credo sia il caso di dire, pacatamente e serenamente, che la democrazia non è una società commerciale. Che i soci di minoranza (fuor di metafora: coloro che perdono le elezioni) hanno dei diritti che non discendono dalla rappresentanza politica in Parlamento, bensì dal fatto di essere uomini o cittadini; e in quanto cittadini hanno diritto di partecipare ai processi decisionali, tramite i propri rappresentanti.
Mi sono venuti i brividi quando a un certo punto si è parlato, nei mille dibattiti sul maggioritario, del diritto di tribuna da concedere ai partiti minori: un'immagine che mi evoca alla mente Ciccio Ingrassia sull'albero che urla al vento "Voglio una donnaaaaaaa!!!!".
Se il 10, il 20 o il 30% del corpo elettorale è escluso dalla partecipazione alla vita democratica, e può al più contare su uno scranno defilato dal quale lanciare qualche proclama pomposo, come un nonnino un po' suonato al quale si fa fare il brindisi a Natale, allora non siamo più in democrazia: siamo, mi ripeto, in un'assemblea societaria.
Mi piacerebbe chiedere, a questi campioni del bipartitismo, se sanno che nel Senato degli Stati Uniti, faro di luce e democrazia che illumina l'intero globo terracqueo, per far passare una legge è necessario il consenso di 60 senatori. Su 100. Non 50 su 100 o 60 su 120: 60 su 100.
Qui da noi, Segni e Guzzetta propongono una riforma per la quale chi prende il 30% dei voti potrebbe far ciò che vuole. Un bell'esempio di coerenza tra modello e sua trasposizione, non c'è che dire.
Visto che ci siamo, commentiamo anche questo post di Francesco Costa, variazione sul tema della frequentatissima e sempreverde fallacia ad hominem tu quoque: questa volta l'estensore se la piglia con Furio Colombo, che invita a disertare le urne, in quanto il medesimo nel 2005 aveva detto che fare propaganda per l'astensione era antidemocratico (erano i tempi dei famigerati referenda sulla legge 40).
Orbene, se una persona, si chiami Colombo, Piccione o Costa, oggi dice "verde" mentre ieri rebus sic stantibus aveva detto "rosso", è evidente che ha un problema di coerenza. Almeno una volta ha mentito; o perlomeno almeno una volta ha assunto un'opinione sbagliata.
Il fatto è che nessuno, sulla base di queste sole informazioni, può in alcun modo inferire se la posizione sbagliata (o falsa) sia "verde" oppure "rosso" (o anche entrambe, se non siamo di fronte a una scelta che ammette solo due possibilità).
Accusare Furio Colombo di incoerenza non porta un microgrammo di ragione né a coloro che propugnano la legittimità della propaganda astensionista né al loro avversari. Perché se vogliamo giudicare una scelta dalla dirittura morale di chi la propugna (e noi non lo vogliamo, perché è una sciocchezza, ma sviluppiamo comunque il ragionamento), allora sia la posizione astensionista che quella contraria sono state entrambe sostenute da un voltagabbana; e il fatto che tale voltagabbana oggi assuma una certa posizione non vuol dire che tale posizione sia perciostesso più o meno meritevole di quella che egli medesimo aveva assunto ieri.
Poi, per carità, nel dibattito politico ci stanno, queste forzature: è un po' il concetto di dolus bonus per il quale i pubblicitari possono anche dire che un detersivo lava più bianco del bianco: sono slogan, non risultati scientifici.
Ma questo ditino alzato, questo ergersi a censori morali, questo catonizzarsi, che sposta il problema della scelta referendaria dal merito dei quesiti ai meriti dei querenti, ecco: tutto ciò abbruttisce la vita democratica, e rende un cattivo servizio al paese e anche al mero buonsenso.
* Anzi, se vogliamo il referendum è anche peggio, dato che farebbe comandare con meno del 51%
Personalmente credo che chiunque abbia il diritto di ripensare le proprie scelte sbagliate: i fumatori, converrete, possono decidere di smettere di fumare, senza che qualcuno debba o possa accusarli di incongruenza morale; o no?
Non vogliamo scomodare Manzoni, notoriamente fuori moda, e che ci farebbe apparire inguaribilmente conservatori e passatisti: non in linea con la pulsione verso la modernità che informa di sé le nuove leve del centrosinistra; ma possiamo anche portare esempi più attuali se ragioniamo sul fatto che persino i frequentatori abituali di minorenni possono avere un momento di resipiscenza e decidere di tornare a giacersi con piacenti coetanee.
Che poi, tornando in argomento, Di Pietro sui referenda abbia ora scelto "bianco" solo perché Berlusconi ha scelto "nero", è un falso problema. Ciò che bisogna valutare, al momento dell'espressione della sovranità popolare, non è quali siano le motivazioni che muovono i fautori del "bianco" e quelli del "nero": ciò che conta è solo se "bianco" sia o meno più giusto di "nero".
Non succederà mai, ma il giorno in cui Vittorio Feltri e Mario Giordano dovessero presentare un referendum per abolire il finanziamento pubblico alla scuola privata, e Franceschini, D'Alema e Vendola dovessero schierarsi per il "NO"; quel giorno io andrei a votare per il "SI". Anche se ciò costituisse un plebiscito a favore di Feltri e Berlusconi: semplicemente perché credo che sia giusto abolire il finanziamento alla scuola privata, e non mi interessa chi sta da una parte e chi dall'altra.
Mi ha colpito, del post citato, un commento dello stesso autore: alla domanda Tu al referendum cosa voterai? Regali anche le prossime elezioni a Berlusconi?, egli risponde:
Me ne frego di Berlusconi e voto quello che mi sembra giusto. Se vincerà Berlusconi, vorrà dire che avrà avuto più voti. Io faccio il cittadino, non il politico.In questa risposta è contenuta tutta l'essenza del berlusconismo, che ormai ha permeato di sé la società italiana a qualunque livello. La concezione della democrazia come un consiglio d'amministrazione o un'assemblea condominiale: dove chi ha il 51% comanda e gli altri fanno le belle statuine*.
Ecco, credo sia il caso di dire, pacatamente e serenamente, che la democrazia non è una società commerciale. Che i soci di minoranza (fuor di metafora: coloro che perdono le elezioni) hanno dei diritti che non discendono dalla rappresentanza politica in Parlamento, bensì dal fatto di essere uomini o cittadini; e in quanto cittadini hanno diritto di partecipare ai processi decisionali, tramite i propri rappresentanti.
Mi sono venuti i brividi quando a un certo punto si è parlato, nei mille dibattiti sul maggioritario, del diritto di tribuna da concedere ai partiti minori: un'immagine che mi evoca alla mente Ciccio Ingrassia sull'albero che urla al vento "Voglio una donnaaaaaaa!!!!".
Se il 10, il 20 o il 30% del corpo elettorale è escluso dalla partecipazione alla vita democratica, e può al più contare su uno scranno defilato dal quale lanciare qualche proclama pomposo, come un nonnino un po' suonato al quale si fa fare il brindisi a Natale, allora non siamo più in democrazia: siamo, mi ripeto, in un'assemblea societaria.
Mi piacerebbe chiedere, a questi campioni del bipartitismo, se sanno che nel Senato degli Stati Uniti, faro di luce e democrazia che illumina l'intero globo terracqueo, per far passare una legge è necessario il consenso di 60 senatori. Su 100. Non 50 su 100 o 60 su 120: 60 su 100.
Qui da noi, Segni e Guzzetta propongono una riforma per la quale chi prende il 30% dei voti potrebbe far ciò che vuole. Un bell'esempio di coerenza tra modello e sua trasposizione, non c'è che dire.
Visto che ci siamo, commentiamo anche questo post di Francesco Costa, variazione sul tema della frequentatissima e sempreverde fallacia ad hominem tu quoque: questa volta l'estensore se la piglia con Furio Colombo, che invita a disertare le urne, in quanto il medesimo nel 2005 aveva detto che fare propaganda per l'astensione era antidemocratico (erano i tempi dei famigerati referenda sulla legge 40).
Orbene, se una persona, si chiami Colombo, Piccione o Costa, oggi dice "verde" mentre ieri rebus sic stantibus aveva detto "rosso", è evidente che ha un problema di coerenza. Almeno una volta ha mentito; o perlomeno almeno una volta ha assunto un'opinione sbagliata.
Il fatto è che nessuno, sulla base di queste sole informazioni, può in alcun modo inferire se la posizione sbagliata (o falsa) sia "verde" oppure "rosso" (o anche entrambe, se non siamo di fronte a una scelta che ammette solo due possibilità).
Accusare Furio Colombo di incoerenza non porta un microgrammo di ragione né a coloro che propugnano la legittimità della propaganda astensionista né al loro avversari. Perché se vogliamo giudicare una scelta dalla dirittura morale di chi la propugna (e noi non lo vogliamo, perché è una sciocchezza, ma sviluppiamo comunque il ragionamento), allora sia la posizione astensionista che quella contraria sono state entrambe sostenute da un voltagabbana; e il fatto che tale voltagabbana oggi assuma una certa posizione non vuol dire che tale posizione sia perciostesso più o meno meritevole di quella che egli medesimo aveva assunto ieri.
Poi, per carità, nel dibattito politico ci stanno, queste forzature: è un po' il concetto di dolus bonus per il quale i pubblicitari possono anche dire che un detersivo lava più bianco del bianco: sono slogan, non risultati scientifici.
Ma questo ditino alzato, questo ergersi a censori morali, questo catonizzarsi, che sposta il problema della scelta referendaria dal merito dei quesiti ai meriti dei querenti, ecco: tutto ciò abbruttisce la vita democratica, e rende un cattivo servizio al paese e anche al mero buonsenso.
* Anzi, se vogliamo il referendum è anche peggio, dato che farebbe comandare con meno del 51%
Etichette:
politica,
referendum
giovedì 14 maggio 2009
martedì 12 maggio 2009
Anche i pubblicani piangono
C'è crisi per tutti.
E comunque nel bar che frequento, dove sono obbligati a tenere solo la Foster's, non bevo un goccio di birra neppure per isbaglio, dato che -almeno quella spinata- va proprio rivoltare le budella
E comunque nel bar che frequento, dove sono obbligati a tenere solo la Foster's, non bevo un goccio di birra neppure per isbaglio, dato che -almeno quella spinata- va proprio rivoltare le budella
Volete abrogare la legge porcata?
Qualcuno dei blogger più famosi, per cortesia, lo spieghi a Luca Sofri; e lui, che può, lo spieghi a Franceschini, che non lo ha ancora capito, tanto da aver reso la dichiarazione che ho messo come titolo.
Con i referenda elettorali non, ripeto NON, si abroga la legge porcata.
Al contrario, si esaltano quelle caratteristiche che la rendono porcata.
Abrogarla vorrebbe dire tornare indietro. I referenda la mandano avanti.
E andare avanti, se la direzione è il baratro, è una sciocchezza.
Con i referenda elettorali non, ripeto NON, si abroga la legge porcata.
Al contrario, si esaltano quelle caratteristiche che la rendono porcata.
Abrogarla vorrebbe dire tornare indietro. I referenda la mandano avanti.
E andare avanti, se la direzione è il baratro, è una sciocchezza.
Etichette:
referendum
La faccia come qualcos'altro
C'è sempre stata gente che non ha mai saputo evitare di dimostrare la propria mancanza di un qualunque senso del dovere; e molti di costoro sono arrivati in posizioni di potere dove non hanno mancato di divenire ancor più arroganti e boriosi. Da ciò il concetto di casta, la deriva antipolitica, i referenda di Mariotto Segni, l'ascesa di Berlusconi e Lega, che dell'antipolitica si sono fatti campioni.
Ma non voglio annoiarvi con massimi sistemi. Solo spendere qualche riga su Lucio Stanca, che molti ricorderanno per essere stato l'ideatore del portale italia.it, macchina mangiasoldi che al confronto la Materia Rossa è solo il contenuto di una di quelle lampade maldimareggianti che tanto mi affascinavano quando avevo sei anni.
Questo signore è riuscito a farsi mettere a capo di uno dei progetti dichiarati più importanti per la sopravvivenza stessa del nostro povero Paese: l'Expo 2015. Un carrozzone che costerà molto più di Italia '90, servirà molto meno e lascerà più debiti, desolazione produttiva e cemento delle Olimipadi di Torino; ma ormai ce lo dobbiamo puppare.
Sta di fatto che non so voi, ma se io fossi stato messo a capo di una tale macchina, avrei sentito il dovere di dedicarmici anima e corpo. Vero che è tutto un magna magna, ma anche le forme contano; e se sarà un disastro (sarà un disastro, credete ammé), almeno il fatto di averci dato dentro potrà costituire un'attenuante.
Invece no: l'estemporaneo neppure ha avuto il buon gusto di dimettersi da un altro posto di lavoro profumatamente pagato: quello di parlamentare; lavoro, sia detto per inciso, che il suo capo vorrebbe rendere virtuale e teleesercitabile (ricordate la boutade sul far votare i capigruppo?); ma per adesso è ancora uno dei pochi per i quali serva la presenza fisica al banco, come per i ciabattini e gli orefici.
Non pago, il nostro eroe ha anche deciso che deve avere una sede degna del suo status. E quale meglio del Palazzo Reale, per il nostro reuccio dalle Murge?
C'è un problema: che l'affitto costa un popo': 1.150 chiloeuri all'anno.
Facciamo un rapido conto: il Viceré potrà lavorare il lunedì e il venerdì, essendo impegnato nella Città eterna per gli altri tre giorni; ma consideriamo che in periodi di sessioni straordinarie (Finanziaria e compagnia cantante) probabilmente dovrà stare a Roma di più. Mettiamoci Agosto, Natale, Pasqua e qualche gita istituzionale, e diciamo pure che se va bene si farà 35 settimane, vale a dire 70 giorni; e ripartendo i 1.150 chiloeuri su 70 giorni otteniamo la sciocchezza di 16 chiloeuri al giorno, 2 chiloeuri all'ora e poco più di cinquanta centesimi d'affitto al minuto secondo.
La cosa, francamente, non mi sconvolge più di tanto, dacché l'affitto andrebbe al Comune di Milano, del quale io sono contribuente e quindi, in ultima analisi, sarebbero tutti soldi che cadrebbero nelle mie tasche. Il presidente della Provincia tuttavia qualche giramento di zebedèi l'ha provato, dato che la maggior parte della spesa spetterebbe a lui; e trasferire soldi (per quanto posseduti da un ente squisitamente inutile) al Comune di Milano non è punto bello, se consideriamo che gli stessi danari potevano essere molto meglio spesi per finanziare le rondeleghiste civiche, come il Penati, bontà sua, aveva già dichiarato di voler fare.
Già, perché la Provincia, per salvare quegli spiccioli per i pensionati catarifrangenti (non sia mai che li si dovesse investire degli edifici scolastici!) aveva messo a disposizione, gratuitamente, un edifizio pronto e accessoriato; ma in quel di Quarto Oggiaro, che a Milano ha la stessa nomea del Bronx a New York, in ispecie per chi non ci ha mai messo piede e crede che si tratti di una sorta di riedizione della Manhattan di 1997: fuga da New York, ma senza Jena.
Proposta che il reuccio ha rimandato con sdegno al mittente, minacciando di dimettersi se la sede prestigiosa non gli sarà concessa.
Fosse uomo di parola, il dàuno; e uomo di palle, il Penato, ci sarebbe da festeggiare; ma conoscendo entrambi sappiamo bene che il leghista di costì cederà anche su questo: tanto può sempre tuonare contro gli immigrati dai manifesti elettorali, quelli con scritto PD in basso-verde; ed aiutare i licenziati finanziando le imprese.
Ma non voglio annoiarvi con massimi sistemi. Solo spendere qualche riga su Lucio Stanca, che molti ricorderanno per essere stato l'ideatore del portale italia.it, macchina mangiasoldi che al confronto la Materia Rossa è solo il contenuto di una di quelle lampade maldimareggianti che tanto mi affascinavano quando avevo sei anni.
Questo signore è riuscito a farsi mettere a capo di uno dei progetti dichiarati più importanti per la sopravvivenza stessa del nostro povero Paese: l'Expo 2015. Un carrozzone che costerà molto più di Italia '90, servirà molto meno e lascerà più debiti, desolazione produttiva e cemento delle Olimipadi di Torino; ma ormai ce lo dobbiamo puppare.
Sta di fatto che non so voi, ma se io fossi stato messo a capo di una tale macchina, avrei sentito il dovere di dedicarmici anima e corpo. Vero che è tutto un magna magna, ma anche le forme contano; e se sarà un disastro (sarà un disastro, credete ammé), almeno il fatto di averci dato dentro potrà costituire un'attenuante.
Invece no: l'estemporaneo neppure ha avuto il buon gusto di dimettersi da un altro posto di lavoro profumatamente pagato: quello di parlamentare; lavoro, sia detto per inciso, che il suo capo vorrebbe rendere virtuale e teleesercitabile (ricordate la boutade sul far votare i capigruppo?); ma per adesso è ancora uno dei pochi per i quali serva la presenza fisica al banco, come per i ciabattini e gli orefici.
Non pago, il nostro eroe ha anche deciso che deve avere una sede degna del suo status. E quale meglio del Palazzo Reale, per il nostro reuccio dalle Murge?
C'è un problema: che l'affitto costa un popo': 1.150 chiloeuri all'anno.
Facciamo un rapido conto: il Viceré potrà lavorare il lunedì e il venerdì, essendo impegnato nella Città eterna per gli altri tre giorni; ma consideriamo che in periodi di sessioni straordinarie (Finanziaria e compagnia cantante) probabilmente dovrà stare a Roma di più. Mettiamoci Agosto, Natale, Pasqua e qualche gita istituzionale, e diciamo pure che se va bene si farà 35 settimane, vale a dire 70 giorni; e ripartendo i 1.150 chiloeuri su 70 giorni otteniamo la sciocchezza di 16 chiloeuri al giorno, 2 chiloeuri all'ora e poco più di cinquanta centesimi d'affitto al minuto secondo.
La cosa, francamente, non mi sconvolge più di tanto, dacché l'affitto andrebbe al Comune di Milano, del quale io sono contribuente e quindi, in ultima analisi, sarebbero tutti soldi che cadrebbero nelle mie tasche. Il presidente della Provincia tuttavia qualche giramento di zebedèi l'ha provato, dato che la maggior parte della spesa spetterebbe a lui; e trasferire soldi (per quanto posseduti da un ente squisitamente inutile) al Comune di Milano non è punto bello, se consideriamo che gli stessi danari potevano essere molto meglio spesi per finanziare le ronde
Già, perché la Provincia, per salvare quegli spiccioli per i pensionati catarifrangenti (non sia mai che li si dovesse investire degli edifici scolastici!) aveva messo a disposizione, gratuitamente, un edifizio pronto e accessoriato; ma in quel di Quarto Oggiaro, che a Milano ha la stessa nomea del Bronx a New York, in ispecie per chi non ci ha mai messo piede e crede che si tratti di una sorta di riedizione della Manhattan di 1997: fuga da New York, ma senza Jena.
Proposta che il reuccio ha rimandato con sdegno al mittente, minacciando di dimettersi se la sede prestigiosa non gli sarà concessa.
Fosse uomo di parola, il dàuno; e uomo di palle, il Penato, ci sarebbe da festeggiare; ma conoscendo entrambi sappiamo bene che il leghista di costì cederà anche su questo: tanto può sempre tuonare contro gli immigrati dai manifesti elettorali, quelli con scritto PD in basso-verde; ed aiutare i licenziati finanziando le imprese.
Etichette:
politica
Lezioni italo-americane - la bancarotta /9
La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui
Come vi ho detto in sin troppe occasioni, nel 2006, in attuazione di una legge-delega del 2005 e nell'ambito di una riforma complessiva del diritto societario, la Legge Fallimentare è stata completamente riformata.
La prima cosa che si può dire della riforma è che è stata fatta con i piedi. E non si tratta di un giudizio di merito: non è che mi metta a fare il comunista che vuole a tutti i costi criticare il governo Berlusconi allora in carica, no. E' proprio che sembra scritta da un branco di scimmie del Burundi; e ciò non sarebbe bello per i cittadini del Burundi e per i suoi giuristi, ma certamente è ancor peggio per un paese che crede ancora di avere qualcosa da insegnare nel mondo quanto a Diritto.
Basti un esempio: se all'art.180 si dice che "Il Tribunale [...] approva il concordato con decreto motivato", non si può poi dire all'art. 183 che "Contro la sentenza che omologa o respinge il concordato possono appellare gli opponenti e il debitore entro quindici giorni dall'affissione"; perché o (aut) è un decreto, o (aut) è una sentenza; e le due cose sono diverse, seguono procedure diverse e necessitano di rimedi diversi. Sarebbe come, per un matematico, mettere in un'equazione un e, e nel passaggio successivo un π, con la scusa che tanto sono tutt'e due numeri trascendenti.
E se all'art.163 si scrive "[...] il commissario giudiziale provvede a norma dell'articolo 173, quarto comma", non si può poi, santo cielo!, lasciare un art.173 di due soli commi; e lo stesso vale per l'art.186 "Nel caso di concordato mediante cessione dei beni a norma dell'art. 160, comma secondo, n.2", che si riferisce ad un art.160 che contiene un solo comma e quattro lettere delle quali solo la "a" parla di cessione dei beni: queste cose, credo, le capisce anche il profano senza bisogno di alate metafore; ma pensate chi si trova a sfogliare il codice e dirsi "e mo' che faccio?", avendo in ballo magari qualche milione che si rischia di perdere se si fa la mossa sbagliata.
Insomma: con l'entrata in vigore della riforma è successo un gran bailamme; e fra l'altro il numero dei fallimenti è crollato vertiginosamente, in quanto non si capiva nemmeno chi fosse fallibile e chi no, e a chi spettasse dimostrare i requisiti: se cioè fosse il fallendo a dover dimostrare di essere non fallibile, o l'istante (il richiedente) a dover provare che lo fosse. Sta di fatto che nessuno ci si raccapezzava, tanto che si è dovuta mettere in piedi in fretta e furia una nuova riforma, entrata in vigore il 31.12.2007.
L'insieme di queste due riforme ha dato luogo a una sistemazione che non è del tutto scevra da dubbi interpretativi: ma questo è abbastanza comprensibile in quanto è una caratteristica di tutte le normative nuove, che hanno bisogno di tempo per sedimentarsi nei particolari. Però adesso le linee generali si riescono a comprendere bene!
La prima cosa da dire è che con la riforma i giudici hanno molto meno spazio di prima, e correlativamente ne hanno molto di più il curatore da un lato e i creditori dall'altro.
Mentre precedentemente qualunque imprenditore non minuscolo poteva fallire (o essere sottoposto a una delle altre procedure concorsuali), ora vi sono dei requisiti che fanno sì che siano soggetti al fallimento (e alle altre procedure) solo gli imprenditori di una certa dimensione: non grossi, ma neppur minuscoli o anche semplicemente piccoli; viene poi sottratto al Tribunale il potere di dichiarare d'ufficio il fallimento (è necessario che qualcuno lo chieda espressamente).
Per quanto riguarda specificamente il Fallimento, vi sono tutta una serie di profondissime riforme procedurali che vi risparmio (del resto di procedura non avevamo parlato neppure in precedenza), mentre dal punto di vista sostanziale vi sono due cose molto importanti.
La prima, una drastica riduzione dei casi di revocatoria, sia mediante la diminuzione del cosiddetto "periodo sospetto" (dove in precedenza si richiedevano due anni, ora se ne richiede uno; e dove prima si richiedeva un anno, ora si richiedono sei mesi), e l'introduzione di una serie di esenzioni.
La seconda, una nuova procedura per la liquidazione dei beni, che tende a preservare, per i complessi aziendali, la loro continuità nel tempo (e quindi a consentirne la vendita in blocco, anche funzionanti, evitando lo "spezzatino" dei beni e la perdita dei posti di lavoro).
Per quanto riguarda la riforma delle revocatorie, si può dire che sia stata una reazione a certi eccessi che si sono sviluppati nel tempo: vero è che con la vecchia legge venivano sovente revocati atti che erano stati posti in essere in perfetta buona fede e in momenti in cui nessuno, imprenditore compreso, poteva sospettare l'avvicinarsi di una crisi: e quindi quello che era un rimedio contro le frodi era divenuto una vera e propria ingiustizia che rendeva difficili gli affari; vero è anche che con la nuova normativa praticamente le revocatorie sono divenute quasi impossibili: e quindi si è passati da un eccesso all'altro.
Per quanto riguarda la vendita in blocco di complessi aziendali, il legislatore non ha fatto altro che rendersi conto che la salvaguardia dei complessi aziendali conviene sia ai lavoratori che agli stessi creditori; per quanto a volte ciò si presti a sperequazioni che tendono a favorire taluni (lavoratori; obbligazionisti) a scapito di altri. Ma sarebbe troppo complicato spiegarne i meccanismi.
Le maggiori novità sono però state introdotte nella disciplina del Concordato Preventivo, per il quale è stato preso a modello proprio il Chapter 11 statunitense.
(continua)
Come vi ho detto in sin troppe occasioni, nel 2006, in attuazione di una legge-delega del 2005 e nell'ambito di una riforma complessiva del diritto societario, la Legge Fallimentare è stata completamente riformata.
La prima cosa che si può dire della riforma è che è stata fatta con i piedi. E non si tratta di un giudizio di merito: non è che mi metta a fare il comunista che vuole a tutti i costi criticare il governo Berlusconi allora in carica, no. E' proprio che sembra scritta da un branco di scimmie del Burundi; e ciò non sarebbe bello per i cittadini del Burundi e per i suoi giuristi, ma certamente è ancor peggio per un paese che crede ancora di avere qualcosa da insegnare nel mondo quanto a Diritto.
Basti un esempio: se all'art.180 si dice che "Il Tribunale [...] approva il concordato con decreto motivato", non si può poi dire all'art. 183 che "Contro la sentenza che omologa o respinge il concordato possono appellare gli opponenti e il debitore entro quindici giorni dall'affissione"; perché o (aut) è un decreto, o (aut) è una sentenza; e le due cose sono diverse, seguono procedure diverse e necessitano di rimedi diversi. Sarebbe come, per un matematico, mettere in un'equazione un e, e nel passaggio successivo un π, con la scusa che tanto sono tutt'e due numeri trascendenti.
E se all'art.163 si scrive "[...] il commissario giudiziale provvede a norma dell'articolo 173, quarto comma", non si può poi, santo cielo!, lasciare un art.173 di due soli commi; e lo stesso vale per l'art.186 "Nel caso di concordato mediante cessione dei beni a norma dell'art. 160, comma secondo, n.2", che si riferisce ad un art.160 che contiene un solo comma e quattro lettere delle quali solo la "a" parla di cessione dei beni: queste cose, credo, le capisce anche il profano senza bisogno di alate metafore; ma pensate chi si trova a sfogliare il codice e dirsi "e mo' che faccio?", avendo in ballo magari qualche milione che si rischia di perdere se si fa la mossa sbagliata.
Insomma: con l'entrata in vigore della riforma è successo un gran bailamme; e fra l'altro il numero dei fallimenti è crollato vertiginosamente, in quanto non si capiva nemmeno chi fosse fallibile e chi no, e a chi spettasse dimostrare i requisiti: se cioè fosse il fallendo a dover dimostrare di essere non fallibile, o l'istante (il richiedente) a dover provare che lo fosse. Sta di fatto che nessuno ci si raccapezzava, tanto che si è dovuta mettere in piedi in fretta e furia una nuova riforma, entrata in vigore il 31.12.2007.
L'insieme di queste due riforme ha dato luogo a una sistemazione che non è del tutto scevra da dubbi interpretativi: ma questo è abbastanza comprensibile in quanto è una caratteristica di tutte le normative nuove, che hanno bisogno di tempo per sedimentarsi nei particolari. Però adesso le linee generali si riescono a comprendere bene!
La prima cosa da dire è che con la riforma i giudici hanno molto meno spazio di prima, e correlativamente ne hanno molto di più il curatore da un lato e i creditori dall'altro.
Mentre precedentemente qualunque imprenditore non minuscolo poteva fallire (o essere sottoposto a una delle altre procedure concorsuali), ora vi sono dei requisiti che fanno sì che siano soggetti al fallimento (e alle altre procedure) solo gli imprenditori di una certa dimensione: non grossi, ma neppur minuscoli o anche semplicemente piccoli; viene poi sottratto al Tribunale il potere di dichiarare d'ufficio il fallimento (è necessario che qualcuno lo chieda espressamente).
Per quanto riguarda specificamente il Fallimento, vi sono tutta una serie di profondissime riforme procedurali che vi risparmio (del resto di procedura non avevamo parlato neppure in precedenza), mentre dal punto di vista sostanziale vi sono due cose molto importanti.
La prima, una drastica riduzione dei casi di revocatoria, sia mediante la diminuzione del cosiddetto "periodo sospetto" (dove in precedenza si richiedevano due anni, ora se ne richiede uno; e dove prima si richiedeva un anno, ora si richiedono sei mesi), e l'introduzione di una serie di esenzioni.
La seconda, una nuova procedura per la liquidazione dei beni, che tende a preservare, per i complessi aziendali, la loro continuità nel tempo (e quindi a consentirne la vendita in blocco, anche funzionanti, evitando lo "spezzatino" dei beni e la perdita dei posti di lavoro).
Per quanto riguarda la riforma delle revocatorie, si può dire che sia stata una reazione a certi eccessi che si sono sviluppati nel tempo: vero è che con la vecchia legge venivano sovente revocati atti che erano stati posti in essere in perfetta buona fede e in momenti in cui nessuno, imprenditore compreso, poteva sospettare l'avvicinarsi di una crisi: e quindi quello che era un rimedio contro le frodi era divenuto una vera e propria ingiustizia che rendeva difficili gli affari; vero è anche che con la nuova normativa praticamente le revocatorie sono divenute quasi impossibili: e quindi si è passati da un eccesso all'altro.
Per quanto riguarda la vendita in blocco di complessi aziendali, il legislatore non ha fatto altro che rendersi conto che la salvaguardia dei complessi aziendali conviene sia ai lavoratori che agli stessi creditori; per quanto a volte ciò si presti a sperequazioni che tendono a favorire taluni (lavoratori; obbligazionisti) a scapito di altri. Ma sarebbe troppo complicato spiegarne i meccanismi.
Le maggiori novità sono però state introdotte nella disciplina del Concordato Preventivo, per il quale è stato preso a modello proprio il Chapter 11 statunitense.
(continua)
Etichette:
bancarotta,
fallimento,
less.itam,
maestrino
Iscriviti a:
Post (Atom)