Questo non è un post sulla signora Englaro o sul diritto alla vita o alla morte, bensì sulle regole. E' solo a scanso di equivoci che ci tengo a precisare nuovamente che io
tifo perché quella povera donna possa finalmente liberarsi e andare in Paradiso, se esiste, o nel nulla.
Ho usato il termine
tifo perché questa vicenda tocca profondamente ciascuno di noi, e credo che ciascuno abbia assunto un'opinione ben precisa da una o dall'altra parte, e speri
ardentemente che la situazione abbia uno o un'altro esito.
Al tifoso interessa che la squadra vinca: anche se il rigore era rubato; e anch'io sono contento che la situazione della paziente si stia evolvendo nella direzione che auspico. Nondimeno ritengo che sia stato fischiato un rigore che non c'era, e sento di doverlo scrivere e motivare, anche se non sono né un direttore di giornale né un'insigne costituzionalista, ma solo uno che al tempo ha dato qualche esame con buoni voti.
L'art. 77 della Costituzione recita:
Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.
Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
Quello su cui ci troviamo a dibattere in questo momento nel Paese è la portata e il significato di questa norma: c'è chi ritiene che nel caso specifico, quello del decreto sull'alimentazione forzata, manchi il requisito della necessità, dato che finora non se ne era sentito il bisogno; c'è chi ritiene che manchi il requisito dell'urgenza, dato che l'urgenza sarebbe costituita dalla signora Englaro, ma riconoscendolo si farebbe una legge
ad personam il che sarebbe vietato; chi poi ritiene che un decreto violerebbe il principio di separazione dei poteri andando contro il principio della cosa giudicata (tesi che avevamo confutato
qui) o dell'autonomia del Parlamento perché alle Camere è già in discussione una legge sul tema (tesi del Presidente della Repubblica).
Lasciamo perdere i discorsi sui principi astratti quali la separazione dei poteri, ché quattro ore spese disputando sull'entelechia darebbero frutti maggiori, e vediamo di concentrarci sull'inciso
in casi straordinari di necessità e d'urgenza.
Nel diritto in generale, e nel diritto pubblico in particolare, spesso le parole hanno un significato diverso dal comune. Chessò: se presto una macchina a un amico perché vado in America, giuridicamente sono io ad averne il possesso; ma nella vita comune tutti diranno che è lui, che la possiede.
Lo stesso vale in questo caso per "straordinarietà", "necessità" e "urgenza".
Partiamo da
"necessità", che può avere due aspetti: uno sostanziale e uno formale. Dal punto di vista sostanziale, una cosa necessaria è una cosa della quale si senta un indefettibile bisogno; il problema è che al mondo vi sono tante teste e ciascuna ragiona a modo suo, così ciò che per me è necessario (il diritto ad andarsene in pace) è completamente diverso da ciò che è necessario per il Cardinale Ruini (il diritto a tenere in vita un paziente). Poi c'è un aspetto formale, che consiste nel verificare che -una volta determinato il risultato cui si vuole arrivare- l'ordinamento giuridico non offra mezzi diversi per giungervi. Se ad esempio fosse possibile definire una norma per via regolamentare, anziché per legge, la decretazione d'urgenza mancherebbe del requisito
formale della necessità, pur restando impregiudicata la questione della necessità
sostanziale.
Per quanto riguarda l'
"urgenza" vale un analogo discorso: l'urgenza dipende dalle circostanze, non è scritta nel marmo; e le circostanze dipendono in gran parte dall'occhio di chi le osserva. Io posso pensare che sia urgente modificare l'ordinamento scolastico, altri che sia urgente disciplinare il matrimonio tra omosessuali; quello che è certo è che nella prassi repubblicana lo strumento del decreto-legge non è stato riservato solo ai casi di calamità naturali: il governo Prodi, per dire, emanò decreto-legge in tema di lotta all'evasione fiscale, intercettazioni telefoniche o tutela dei consumatori (il mitico decreto Bersani): tutte cose che certo in Italia non erano saltate fuori così, all'improvviso!
Insomma: chi è che decide la "straordinaria necessità e urgenza"? Semplice: le decide il Governo. Non lo dico io: lo dice la Costituzione, con quell'inciso
"sotto la sua responsabilità". E' interessante la storia di quell'inciso, in quanto non fu votato in Assemblea Costituente durante la discussione dell'articolato, ma fu introdotto dal Comitato di redazione, incaricato di coordinare il testo uscito dall'Assemblea, al fine di chiarire al di là di ogni dubbio che la responsabilità
politica non pertiene al Presidente della Repubblica, che in questo campo è mero Notaio.
La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza 171/2007, ha chiarito che la formula "in casi straordinari di necessità e d'urgenza"
"comporta l'inevitabile conseguenza di dare alla disposizione un largo margine di elasticità. Infatti, la straordinarietà del caso, tale da imporre la necessità di dettare con urgenza una disciplina in proposito, può essere dovuta ad una pluralità di situazioni (eventi naturali, comportamenti umani e anche atti e provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi." E la Corte stessa nella medesima sentenza ha dichiarato la propria competenza a giudicare
ex post la sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza, ma che
"il suo esercizio non sostituisce e non si sovrappone a quello iniziale del Governo e a quello successivo del Parlamento in sede di conversione – in cui le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti – ma deve svolgersi su un piano diverso, con la funzione di preservare l'assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito è predisposto", talché
"Ciò spiega perché questa Corte abbia ritenuto che il difetto dei presupposti di legittimità della decretazione d'urgenza, in sede di scrutinio di costituzionalità, debba risultare evidente e perchè sia intervenuta positivamente soltanto una volta in presenza dello specifico fenomeno, divenuto cronico, della reiterazione dei decreti-legge non convertiti".
In buona sostanza, con quell'"evidente" la Corte sta dicendo che il suo sindacato sulla sussistenza della straordinaria necessità e urgenza non può spingersi alla valutazione del merito del provvedimento, bensì solo alla coerenza dei presupposti nel sistema delle fonti. Infatti nel 1995 ha dichiarato l'incostituzionelaità di un decreto-legge a seguito della sua continua reiterazione, senza entrare nel merito; e nel 2007 ha dichiarato l'incostituzionalità di una norma contenuta in un decreto-legge ancora senza entrare nel merito, ma sulla base della constatazione che nella premessa al dl non era stato dato conto della necessità e urgenza di quella norma: verifiche del tutto formali, pertanto!
Il Presidente della Repubblica, che non è un organo politico bensì di garanzia, non può che limitare il suo vaglio nei limiti che la stessa Corte Costituzionale si è data, e quindi rifiutare la firma di un decreto legge in due casi: o perché contiene norme incostituzionali (come per una legge ordinaria), o perché il procedimento emanativo risulta evidentemente in spregio al dettato dell'art. 77, inteso come lo intende la Corte Costituzionale.
All'esito di questa -fin troppo lunga- analisi, la mia personale opinione è che sulla vicenda di cui stiamo trattando abbia ragione Berlusconi e torto Napolitano. Se mi ostino a dichiararlo, pur andando contro il mio sentimento riguardo al destino della signora Englaro, è perché al di là dei singoli casi è comunque sempre fondamentale:
a) la comprensione e
b) il rispetto delle regole. Le regole sono la barriera tra la civiltà e il diritto, da un lato, e la barbarie e l'autoritarismo, dall'altro. Le regole sono anzitutto l'arma dei deboli, dato che chi è forte ha i mezzi per conseguire i propri interessi in altro modo, mentre chi è debole ha spesso come unico mezzo l'appigliarsi al rispetto della regola.
La stessa Costituente non voleva inserire in Costituzione l'istituto del decreto-legge: ed è ben comprensibile, essendo l'Italia uscita da un ventennio in cui le leggi le faceva il Governo anziché il Parlamento. L'istituto del decreto-legge fu introdotto perché si riconobbe che, in caso di necessità, il Governo comunque avrebbe comunque agito precedendo le Camere, e quindi sarebbe stato meglio dare delle
regole che non darne per niente, lasciando spazio all'arbitrio:
"Meglio quindi fare in modo che un simile potere del Governo venga esattamente e precisamente delimitato. Quando l'esperienza storica dimostra che anche negando tale potere nelle Costituzioni, come quella anglosassone in cui praticamente è escluso, si finisce per far uso della potestà di ordinanza, è molto meglio mostrarsi aderenti alla realtà nel riconoscere simile potere al Governo, disciplinandolo in maniera sicura.
(continua)