lunedì 16 marzo 2009

3653 giorni


Esattamente dieci anni fa nasceva Nichita.
Guardandomi indietro posso ora accorgermi di quanto tempo sia passato e di come questo tempo mi abbia trasformato; quanto quella di oggi sia una persona profondamente diversa da quella di allora.
Per tutto il periodo dell'attesa, avevo vissuto con l'ansia di non essere all'altezza di diventare un padre. "Che cosa potrò insegnargli?", mi chiedevo, sapendo di non essere riuscito ad imparare molto nemmeno io stesso.
E poi i timori di non riuscire a far fronte alle responsabilità, all'impegno economico, al cambiamento totale del modello di vita, tutto ora incentrato attorno alle esigenze di un altro anziché alle proprie, come fino ad allora era accaduto.
Pian pianino, nei mesi e nei giorni che hanno preceduto il parto, ha poi cominciato a subentrare l'abitudine e un senso di fatalistica rassegnazione all'inevitabile scorrere della vita, che avrebbe fatto sì che, come ci riuscivano tutti gli altri, ci sarei riuscito anch'io, a fare il padre.

Del giorno in cui Nichita nacque ricordo distintamente un'immagine: quella dei suoi capelli, che io vedevo attraverso il canale del parto; e ricordo il misto di sensazioni provate in quell'istante: una fitta acuta di consapevolezza che da quel momento niente sarebbe stato più uguale, accompagnato da un crescente senso di entusiasmo per ciò che stava per succedere, e di fiducia nel futuro: sensazioni che via via scacciavano quei singulti di gelosia e rimpianto per il mondo che stava per sparire.
Rammento bene il parto, che fu molto breve e semplice, con Cristina che indossava un cardigan di cachemire anziché il camicione verde d'ordinanza, e ancor oggi non so come mai le cose andarono così come andarono; ma comunque mi sembra tuttora un buon segno, nascere nel cachemire.

Ricordo poi il momento in cui uscì, la conferma di ciò di cui eravamo in fondo tutti convinti -che fosse un maschio- anche se non avevamo alcun indizio in tal senso, eccezion fatta per la forza e la convinzione con cui scalciava. Rammento quando vidi quelle enormi palle attaccate a mio figlio, e la sorpresa non fu tanto il vederle (a quel punto mi sarei stupito se non ci fossero), quanto la loro dimensione (che, mi fu poi spiegato, è del tutto normale, in quel momento). Rammento come si agitava, con gli occhi ben aperti e le dita sottilissime che si muovevano tutte, vitalissime. Non urlava come un ossesso; agitava le braccine, invece, in un modo particolare che poi continuò a seguire, nei momenti di gioia o di rabbia, per molti anni.
"Cazzuto!" fu il primo commento, e ancor oggi spesso me lo ripeto.

Non ricordo come passai la giornata; ma so bene che verso le sei andai all'Honky Tonks, presi due birre e le introdussi di straforo in ospedale, dove ce le scolammo io e Cristina, con la scusa che "fanno latte".
Rammento anche bene la sera, con gli amici a festeggiare. Un momento nel quale credevo che si sarebbero acutizzate le paure e l'incertezza per il futuro, e che invece passai sereno, con una gioia non descrivibile dentro.

Nei giorni successivi giravo come un cretino per il quartiere, con la carrozzina con dentro il pupattolo del quale andavo fierissimo, come fosse una straordinaria novità, di cui nessuno fino ad allora aveva mai avuto occasione di vedere l'eguale.
Il primo giorno di passeggiata, era sabato e Nichita aveva quattro giorni, presi la carrozzina e mi incamminai così, senza meta. Cominciai a pensare a tornare indietro quando raggiunsi lo Stadio; e al ritorno -erano trascorse un paio d'ore- trovai Cristina in lacrime, che temeva potesse essere successo qualcosa dato che si aspettava che saremmo stati in giro al più una mezz'oretta. Poi, tranquillizzata, prese a darmi del cretino, e per una volta non posso poi darle troppo torto.

Col tempo poi imparai anche che aveva ragione il mio amico Nikos, in Grecia, che a proposito di sua figlia mi disse "non sono io che devo insegnare qualcosa a lei, è lei che insegna le cose a me"; ed in effetti nei primi anni di vita ho imparato tantissimo; e ancor più avrei potuto imparare, se solo avessi saputo fare attenzione.
Poi è arrivato il momento in cui ho cominciato a dover essere io, quello che trasmetteva qualcosa; e anche qui ho da ringraziare un amico che con la forza del suo esempio mi ha insegnato cosa sia il senso di responsabilità e la capacità di far fronte ai propri impegni: lezioni che io ho ricambiato insegnandogli l'arte della leggerezza e del farsi scivolare le cose addosso, come le onde sulla battigia.

Chi mi conosce sa che sono una delle migliori pubblicità a favore della procreazione, dato che l'affetto che mi lega a Nichita -e lui a me- mi compensa abbondantemente ogni giorno di tutte le rinunce e i compromessi che devo porre in essere, e che se fossi libero mi potrei risparmiare.
Se lui non fosse nato, certo ora potrei fare tutto quello che voglio; ma fare che? Quello che voglio è quello che ho; e per quanto per arrivare a questo punto abbia fatto molte cose delle quali non vado molto fiero; abbia fatto molto male ad alcune persone e anche un bel po' di male a me stesso, comunque questi dieci anni e quelli che seguiranno ne sono valsi, centuplicati, la pena.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Sottoscrivo il post, ma sottolineo che: "non sono io che devo insegnare qualcosa a lei, è lei che insegna le cose a me" sono parole da tatuarsi sul braccio.

Nostra figlia ci impartito la sua prima vera lezione a 7 mesi e da allora è stato un continuo crescendo.

Cosa diamo noi? Una relazione umana, e più questa è carica di affetto, rispetto e amore, più vedremo i nostri figli crescere forti. Tutto il resto, sinceramente, non serve a molto.

Un abbraccio e che il vostro futuro sia meraviglioso.

ciao
nicola.

Anonimo ha detto...

Ciao, ho letto questo post perche' segnalato da .mau. Mi e' piaciuto davvero molto, specie l'idea di "cosa pensa un papa' che vede nascere il figlio/a". Stasera chiedo a mio marito.

Mi e' rimasta pero' una domanda tecnica: siete riusciti a togliere le macchie di sangue dal cachemire? A me ogni volta hanno messo in braccio un neonato parecchio lurido :-).

Anonimo ha detto...

Io invece non ho figli. I miei amici sono tutti padri e madri, così come è madre mia sorella, e quindi sono circondato da bimbi di tutte le età, molto spesso. E due sono anche i miei nipotini.
Capisco quindi le gioie, lo giuro, è vero. Però, per quanto io le capisca, non riesco a invidiare il fatto di essere genitore. Forse è perché ognuno ha un suo destino, o semplicemente una sua storia, che lo ha portato ad essere quello che è. E quindi sarebbe assurdo volere la storia di un altro, anche quella di un altro che si stima.
E' bello vedere te (come tanti altri che frequento) così felici di questa gioia che la vita vi ha dato. E' bello ma non è una gioia che cerco per me e non riesco a sentirmi meno felice, per questo. E non riesco a pensare che il resto non serva a molto, nemmeno questo. Auguri a Nichita, quindi, prima di tutto, da uno che ha una propria storia diversa, ma a cui piace un sacco sentire (e un po' esserne anche felice) quelle altrui.

m.fisk ha detto...

@barbara: mi fa piacere che ti sia piaciuto. Mi dispiace solo perché la prima stesura, su cui avevo lavorato un po', era molto più bella e descrittiva delle mie sensazioni, ma la pressione di un tasto sbagliato l'ha mandata nel purgatorio dei post.
Volevo rinunciare, ma poi alla fine mi sono messo di puntiglio e ho prodotto, un po' di fretta, quello che è pubblicato.

m.fisk ha detto...

@scorfano: i miei pensieri non volevano assolutamente essere una forma di proselitismo, né avevano neppure come retropensiero un giudizio di maggior valore o di semplice maggior fortuna per coloro che hanno prole. Sono certo che non c'era bisogno di spiegarlo, ma è meglio fugare ogni dubbio.
Semplicemente, io sono felice che le cose mi siano andate come mi sono andate, tutto qui.
Aggiungo che vedo anche molte altre persone che evidentemente avrebbero preferito che la vita, almeno da quel punto di vista, scorresse diversamente, e nella scelta tra figli e carriera hanno scelto di coltivare la seconda a scapito dei primi: non invidio loro e soprattutto non invidio i loro figli, sebbene a molti di essi mancheranno molte meno cose che al mio, dal punto di vista materiale.

m.fisk ha detto...

Avevo dimanticato un pezzo di risposta: sangue non ce n'era praticamente per niente. Era bello umido, ma pulito.

Anonimo ha detto...

Non c'era bisogno di spiegarlo, si sentiva che non c'era alcun retropensiero. Ho detto qualcosa su di me, perché a non avere figli a quarant'anni uno inevitabilmente si fa delle domande. Quelle erano le mie risposte a me stesso, in sintesi estrema e un po' troppo semplificata, sollecitate dal tuo post. Sollecitate perché il post era molto bello, che mi ero dimenticato di dirtelo.

Anonimo ha detto...

dovresti andare in giro con un baloon, un fumetto.
se per esprimerti scrivi, invece che parlare, riesci ad andare lontano. e portare con te le persone che ti ascoltano. leggono.
a giovedì (con carta, penna, e bocca chiusa).

m.fisk ha detto...

A volte sono pessimo anche quando scrivo :-P

 

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