mercoledì 18 marzo 2009

Studio Illegale

Nel week-end, grazie alla mia capa che me l'ha passato, mi sono letto Studio Illegale.
L'autore, che ha firmato sotto lo pseudonimo di Duchesne, lunedì si è appalesato con i giornalisti del Corriere, per cui ormai sarà conosciuto anche da tutti voi, ma per quei pochi distratti premetto brevemente che il libro nasce dall'omonimo blog che racconta il dorato e frenetico mondo degli avvocati d'affari, e sviluppa molte delle idee contenute nei post in forma di romanzo.
Dico subito che il blog non lo conoscevo, e quindi il mio giudizio è sul romanzo in quanto tale: e francamente mi è molto piaciuto. Certo, il mio giudizio fatica ad essere oggettivo, in quanto si tratta di una fabula in qua de me narratur, che rappresenta brillantemente i luoghi geografici e professionali nei quali vivo, con un raro senso del sarcasmo e capacità di ironia. Intendiamoci: non è il Dickens di Casa Desolata: ho ancora un po' di senso delle proporzioni; ma comunque si tratta di un lavoro molto ma molto apprezzabile.

Chi non conosce questo mondo, o ne ha solo sentito parlare, troverà nel libro una vena di grottesco: penserà che l'autore abbia voluto mettere alla berlina un mondo disegnando una caricatura dei suoi vizi e tic. Questo non vuol dire che non lo troverà divertente, si badi: anzi in un paio di passaggi scatena risate a scena aperta; ma comunque quanto descritto apparirà forse poco verosimile.
E questo, se vogliamo, è forse il principale difetto del romanzo (del resto devo trovarne uno, di difetto, altrimenti sembra che mi abbiano pagato): il fatto che i personaggi e i fatti descritti appaiano grotteschi mentre invece sono un fedele ritratto di quello che succede tutte le notti in Via Manzoni, Corso Venezia, Corso Vittorio Emanuele e via discorrendo.
Per il grande pubblico la trovata più bella del libro è sicuramente il concerto, mentre per uno come me (e credo anche per l'autore) il fulcro è la black ball clause, che attraversa metà della narrazione come un MacGuffin: ma si tratta di un particolare per iniziati.

La recensione (se così possiamo definire queste righe) potrebbe anche terminare qui. Quanto segue è del tutto personale e, rivolgendosi soprattutto a che ha già letto il romanzo, costituisce una chiave di lettura delle vicende narrate attraverso il filtro di un'esperienza contigua ma diversa.
Duchesne descrive perfettamente il funzionamento di una di quelle trattative ad altissimo livello attraverso le quali si combinano fusioni tra colossi industriali, acquisizioni di interi rami d'azienda, quotazioni in borsa e via discorrendo.
Si tratta di trattative che si incentrano primariamente sulla resistenza fisica delle persone sedute al tavolo (prima di tutto i legali), vincolate a passare la notte perché solo con il trascorrere delle ore e il venir meno dell'effetto dei deodoranti è possibile far cadere le obiezioni e le pregiudiziali di principio che ciascuna parte ha fatto proprie, nel tentativo di assicurarsi un vantaggio sulle altre.

Tentativo, dicevo: perché alla fin fine la gran maggioranza di quelle clausole costate lacrime, sangue e gastriti non verranno mai applicate; e quando vengono applicate (vale a dire quando l'affare salta, e bisogna mettersi a litigare) i contratti, gli allegati e le side letter arrivano sul tavolo di praticoni come me, che leggono quei profluvi di avverbi, aggettivi, definizioni barocche e le prendono per quel che sono: macchie d'inchiostro su fogli di carta.
Noi che facciamo litigation (che siamo visti quali cugini poveri, un po' come quelli che venivano spediti all'avviamento professionale mentre il figlio dello zio Erminio veniva iscritto al classico) leggiamo quell'avverbio "ragionevolmente", che è costato un'ora di trattativa, due biglietti per il teatro buttati e l'ennesimo litigio con una fidanzata che si è consolata con qualcun altro, e sorridiamo ben sapendo che il trovarlo infilato lì non cambierà di una virgola il nostro atteggiamento.
E ci infuriamo, vedendo che poche righe dopo quel "ragionevolmente" c'è una subordinata della quale non si riesce a capire quale sia il soggetto, e sappiamo bene che determinare quale sia, quel soggetto, ci costerà uno sproposito sia in termini di tempo che di danaro, e pensiamo a come sarebbe migliore il mondo e più semplice il nostro lavoro se i nostri colleghi più blasonati conoscessero un po' più di logica aristotelica e sintassi e un po' meno di lessico italo-anglicizzato.

P.S.: non riesco a credere troppo al fatto che lo pseudonimo Duchesne sia una pura casualità, scelta sfogliando un elenco di cognomi americani. Anzitutto perché non è un cognome americano, bensì francese, e poi perché per uno storico Le Père Duchesne è anzitutto il giornale fondato da Hébert, che costituiva il più radicale dei fogli rivoluzionari (non a caso gli hébertisti erano anche soprannominati "gli esagerati").
Può essere che si tratti veramente di una casualità: ma ciò dimostrerebbe che c'è una logica anche nel caso.

4 commenti:

Gianluca Emili ha detto...

Mi pare di leggere la trasposizione del rapporto che c'è fra i Project Manager che si trovano a gestire l'esecuzione dei contratti e i Commerciali che i contratti li chiudono a volte con delle clausole ineseguibili o che rendono i PM ostaggi dei clienti. Indovina che parte recito io fra le due... giusto una curiosità: cos'è una black ball clause?

m.fisk ha detto...

Anch'io sono stato PM (in effetti ho fatto una quantità di lavori, lo ammetto), e quindi capisco bene il tuo punto di vista.
La black ball clause è un McGuffin. Cosa sia un McGuffin, se non sei un cinefilo te lo lascio googlare ;-)))

Anonimo ha detto...

Vigliacco, una mezza giornata di lavoro ho perso. Me lo sono letto tutto quel blog.

m.fisk ha detto...

@Oziosa: eheheheheh (ghigno)!!

 

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