domenica 29 marzo 2009

Papillon

Il New Yorker di marzo pubblica un interessante articolo di Atul Gawande, significativamente intitolato "Hellhole", nel quale parla delle prigioni supermax e delle unità di rigore delle prigioni ordinarie.
Negli USA vi sarebbero, stando all'articolo, circa 25.000 prigionieri rinchiusi nelle unità supermax, speciali prigioni di massima sicurezza nelle quali la detenzione avviene in completo isolamento; e tra 50 e 80 mila prigionieri in isolamento in unità di segregazione all'interno di prigioni comuni.
Nell'articolo viene anche raccontata la vite, se così si può chiamare, di due ospiti: tale Bobby Delello, che ha trascorso cinque anni e un mese in tali condizioni, e tale Robert Fulton, che vi ha trascorso quattordici anni e mezzo.
La cella di Fulton era tipica: senza finestre né orologio, muri grigi e porta d'acciaio. Inizialmente condannato a un anno di isolamento, che gli era stato comminato per possesso di un coltello artigianale trovatogli in cella, le continue ribellioni di Fulton comportarono continue proroghe del termine, talché praticamente tutta la sua condanna fu passata in totale solitudine.

Quello che veramente stupisce, tuttavia, non è tanto la storia di Fulton, né la descrizione di cosa può diventare un uomo ridotto in quello stato.
Quello che mi ha sconvolto, è l'occhiello dell'articolo: The United States holds tens of thousands of inmates in long-term solitary confinement. Is this torture?.
Is this torture? Il fatto stesso di chiederselo dimostra la perdita di quel minimo senso di umanità che distingue un popolo civile da una tribù barbara. Anzi, peggio: perché io posso comprendere, pur senza condividerla punto, la logica che sta dietro alla pena di morte per l'assassino; e persino dietro alla pena del taglio della mano per il ladro o dell'evirazione per lo stupratore.
Pene di inaudita crudeltà, ma che si esauriscono nello spazio di qualche minuto, pur avendo poi un effetto definitivo o permanente.
Ma tener chiuso uno per quattordici anni in un buco senza finestre, e sapendo che quello e tanti come lui stanno lì, e riuscire lo stesso ad andare a casa per cena, giocare con i figli e fare il barbecue in giardino, questo supera la mia capacità d'immaginazione.
Ma in fondo un carceriere non è detto sia una persona del tutto normale. Ancor peggio è quindi il New Yorker stesso, che -è vero- solleva il velo del silenzio, ma con quel punto interrogativo si trincera dietro un muro di ipocrisia. O, peggio, il punto interrogativo indica una domanda vera e non retorica.

Che dire della società americana di oggi (la stessa che ha inventato il famigerato Camp Delta, non dimentichiamolo)? Può essere interessante fare il confronto con la sentenza riportata dal New Yorker della U.S. Supreme Court, pronunciata dal giudice Samuel Miller quale majority opinion, in un caso riguardante un detenuto tenuto in isolamento per un mese:
A considerable number of the prisoners fell, after even a short confinement, into a semi-fatuous condition, from which it was next to impossible to arouse them, and others became violently insane; others, still, committed suicide; while those who stood the ordeal better were not generally reformed, and in most cases did not recover suffcient mental activity to be of any subsequent service to the community
Era il 1890!
Centocinque anni dopo, nel 1995, una corte federale, con riferimento alla pretesa incostituzionalità di una prigione supermax della California, statuì che le condizioni di detenzione potevano essere considerate hover on the edge of what is humanly tolerable for those with normal resilience, ma ciononostante non crudeli o inusuali (formula dell'ottavo emendamento, che riprende l'analoga formula del Bill of Right inglese 1689, del quale prima o poi torneremo a parlare) in quanto tali condizioni con comportano a sufficiently high risk to all inmates of incurring a serious mental illness. In altre parole: l'isolamento non sarebbe incostituzionale, dato che non fa andare tutti al manicomio.

Andando avanti nella lettura dell'articolo, si scopre che ci sono anche molti direttori di prigione che vorrebbero abolire o ridurre drasticamente i casi di detenzione in isolamento, ma non possono farlo perché le reazioni dell'opinione pubblica sarebbero insostenibili. E qui, dilaniato dal disgusto, chiudo questa noterella consigliando caldamente la lettura dell'articolo.

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