lunedì 23 marzo 2009

Serracchiani for president

Spinto dal fatto che tutti ne parlano ho messo a letto Nichita, mi sono acceso il PC e mi sono sentito l'intervento di Debora Serracchiani all'Assemblea Nazionale dei Circoli del PD.
Che questa ragazza o giovane donna abbia una faccia e un eloquio simpaticissimi è un dato di fatto; e che abbia avuto la forza di dire da dentro l'istituzione che il Re è nudo pure; e perciò merita un plauso.
Sta di fatto che, ciò detto, non posso risparmiarmi di osservare che quelle cose dette, nella sostanza, altro non sono che le critiche espresse da tempo ormai immemorabile da parte di coloro che, Veltroni regnante, guardavano da fuori quel partito affondare e cercavano di lanciare qualche salvagentesuggerimento.
E badate che non sto citandomi autoreferenzialmente: quello che ho scritto io l'hanno scritto centinaia o migliaia di altri scribacchini come me o ben più autorevoli di me; mettere dei link sarebbe inutile perché ciascuno di noi ne conosce e ne ricorda molti a tutte le possibili altezza del blogocono.

Che il PD non sia stato un partito bensì un'accozzaglia di voci dissonanti non è cosa scoperta oggi; che la smania di protagonismo delle seconde file (e ben conosciamo i nomi e le facce più o meno fotogeniche) fosse distruttiva, l'abbiamo detto e letto tutti; che la scelta di togliere Ignazio Marino e mettere Dorina Bianchi fosse una scelta dettata da un profondo senso di cupio dissolvi non è opinabile esattamente come non è opinabile il fatto che fosse miope (ma miope da Mr. Magoo) l'astensione al Senato sulla sottoposizione del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in merito alla sentenza Englaro: scelta vigliacca fatta solo per non smuovere le acque e non sollevare la melma.
Questo blog è cominciato il giorno in cui Veltroni aveva deciso che, essendo ingiusto prendere le impronte agli immigrati, avremmo dovuto farci prendere le impronte tutti. Un episodio minore, del quale anche la Serracchiani si è probabilmente dimenticata; e io stesso non lo rammenterei se non fosse per questo imprinting.

Tutto questo pippone per dire che condivido pienamente le critiche della simpatica friulana, che qualcuno ora vorrebbe addirittura come presidente: del Pd o del Consiglio o un giorno fors'anche della Repubblica; e chissà che qualcuna di queste profezie non si avveri, dato che di coraggio, come ricordato, ne ha assai.
Resta, purtroppo per il partito di cui ella fa parte, un problema di fondo a mio -modesto- parere dirimente.
La Serracchiani per più di metà del suo intervento non ha fatto altro che recuperare il vecchio, buono e sano principio del centralismo democratico. Quello per cui il partito decide con il dibattito all'interno e poi all'esterno si presenta con una sola faccia.
Si tratta di un principio perfin banale che viene declinato in mille modi: dal "i panni sporchi si lavano in casa" ai briefing prima di una sessione di negoziazione in cui si decidono le linee guida, i ruoli psicologici da assumere e i limiti di possibile cedimento alle pretese di controparte. Quando si siede al tavolo delle trattative si deve parlare con una voce sola; se un collega dice una cazzata la si difende, e se non è proprio difendibile la si manipola fino a farle dire il contrario.
Il problema è che questo principio funziona per il mondo degli affari; per il vecchio Partito Comunista, che aveva il supporto della sua ideologia; per il partito della libertà, con il suo padre-padrone-azionista di maggioranza.
Per il Partito Democratico così com'è non può funzionare, per due motivi.
Il primo motivo è che il dibattito interno può essere a porte aperte o a porte chiuse, ma tertium non datur. E in un Partito che per statuto ha il pallino delle primarie, cioè dei dibattiti pubblici, non si può pensare che il dibattito si smonti e tutti si intruppino sulla linea del vincitore il momento successivo alla sua proclamazione. Abbiamo visto l'esempio di Obama e Clinton: ma quanto ci hanno messo per riconciliarsi, e quanto frequentemente può succedere? E' possibile che lo stesso modello sia trasportabile nell'agone politico quotidiano, delle scelte da operare giorno per giorno, nel contesto di un Paese dove c'è un appuntamento con qualche forma di elezione ogni sei mesi?

Il secondo motivo è che, come ricordato, il centralismo democratico funzionava nel PCI per la presenza di una fortissima ideologia; e pure nella DC, malgrado le correnti interne, per un altrettanto fortissimo senso di pragmatismo malgrado l'ideologia (non dimentichiamo la firma dei presidenti democristiani in calce alle leggi su divorzio e aborto, e persino gli scontri tra De Gasperi e Pio XII!). Il Partito Democratico (almeno quello di Veltroni) la parola pragmatismo manco sapeva cosa significasse; e quanto al resto, lungi dall'essere post-ideologico, esso poteva essere definito pluri-ideologico: ma già è difficile convivere con una sola di ideologia, figuriamoci con due o tre diverse tra loro!

Certo, ora c'è un democristiano. Non un ex-democristiano, badate bene: un democristiano vero, di scuola di razza purissima quale quella di Zaccagnini, mica l'ultimo ras locale! Uno capace di guardare alla pratica e lasciar perdere la grammatica e la cravatta, se serve. Credo che la sua sia un'impresa disperata, perché le forze centrifughe sono troppo potenti, ma seppur improbabile è possibile che riuscirà nella difficilissima impresa.
Di trasformare il PD nella DC.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Io tradurrei il "problema del centralismo democratico" in qualcosa, ahimè, ancora più fondamentale e di difficile (se non impossibile) soluzione: la natura ibrida del PD.
Perchè il vero motivo per cui nel PCI il centralismo democratico funzionava è che in quel partito in realtà la gente era normalmente d'accordo sul 90% delle cose da dire e da fare. E lo era a causa di una storia politica ultra-consolidata. Se e quando non lo era più e non lo era su questioni fondamentali, c'era la scissione. Ma nel giorno-per-giorno non ci si doveva scontrare su tutti i problemi e su tutte le strategie, perchè la visione di fondo era consolidata.
In quanto al discorso "pragmatismo", nulla come il potere fa diventare pragmatici. Tanto che la DC restava unita pur se percorsa da tante correnti ed oggi il PdL rimane unito per il potere (quando fino a quattro mesi prima delle elezioni e prima del suicidio-omicidio veltroniano, omicida nei confronti della sinistra, se le dicevano di santa ragione). Forse se il PD avesse vinto le elezioni sarebbe diventato improvvisamente "pragmatico" ...

In quanto alla Serracchiani, pur condividendo la maggior parte delle cose che dice, credo che al suo discorso manchi innanzitutto questa consapevolezza: la questione non è che "i dirigenti stavano a litigare, mentre la base era unita". Che è, guarda caso, la (sciocca) "giustificazione" che ha dato Veltroni al momento del tardivo addio. In realtà Veltroni ha goduto per oltre un anno di una gigantesca "carta bianca" da parte di tutto il partito, cominciata con lo spianamento della sua strada alle primarie (vedi il ritiro forzato di Bersani) e continuata fino alle elezioni sarde con l'adesione silenziosa di tutto il gruppo dirigente alla sua linea "nessuna autocritica, il tempo ci darà ragione". Andare ora a dire che il disastro veltroniano è colpa delle (sporadiche, moderate e tardive) critiche di D'Alema o di altri è decisamente ridicolo, oltre che infondato.
Il vero problema, la vera questione non è la divisione del gruppo dirigente: la vera questione è la mancanza di IDENTITA' di quel partito.

Questa parola chiave, identità, manca totalmente nell'applauditissimo discorso della Serracchiani, che sembra pensare di sopperire a ciò con la "linea di sintesi unitaria". Come se la "mancanza di linea" avuta finora fosse da imputare ai litigi e ai personalismi e non, a livello ben più fondamentale, al fatto di aver messo nello stesso cesto, per decisione calata dall'alto, mele e banane.
Tanto che anche su questa "unità nella base", una base che in realtà (nei DS come nella Margherita) ha subìto e non richiesto un progetto voluto da un ristretto gruppo dirigente, ho parecchi dubbi.
Capisco che una "militante", una che nonostante disastri e delusioni è ancora lì a combattere per il partito, possa avere un'ottica molto ma molto diversa dalla mia, non solo non-piddino ma ex iscritto ed elettore PCI-PDS-DS e "chiaro preveggente" fin dall'inizio dell'aborto immobilista ed amorfo che sarebbe diventato il PD.

Insomma, non vedo molti motivi di entusiasmo per il discorso della Serracchiani che comunque, stando a quanto scrivono i giornali, pare abbia il buon senso di essere la prima ad essere stupita del tanto clamore per aver detto cose abbastanza scontate.
Probabilmente ciò che fa "clamore" è che siano state dette in una assemblea nazionale di circoli di partito. Ma se qualcuno ha seguito i forum e i dibattiti in rete di questi mesi, ha potuto leggere disamine ben più "tranchant" e critiche ben più pungenti.
Il fatto che la Serracchiani faccia "scalpore", soprattutto tra i militanti del partito, nel momento in cui dice cose tra lo scontato ed il superficiale, non mi pare poi un segno così positivo per il PD.
Perchè vuol dire che l'"apparato", anche quello più vicino alla base, sembra solo ora risvegliarsi e scoprire la "rivoluzionaria verità" c'è una società di sinistra che sta abbandonando in massa la barca di quel partito.
Se a questo aggiungiamo che l'analisi politica mi pare azzeccata solo a metà (vedi il giudizio troppo drastico sull'IdV), ne devo concludere che forse la speranza per la sinistra italiana, la "meglio gioventù" di quell'area politica, si trova ormai solo fuori dal PD.
Anche se, beninteso, meglio Debora Serracchiani di Matteo Renzi ...

Opus Mei

P.S.: non so se quello di "trasformare il PD nella DC" sia un timore o un auspicio.
Per quel che mi riguarda questo è proprio il timore per cui, pur ritenendo il grigio e democristiano Franceschini più efficace di Veltroni (e così è già scolpito il giudizio su quest'ultimo! ...), non voterò assolutamente PD alle europee.
Di un Partito Democraticocristiano ne faccio volentieri a meno e se nasce sarò lieto che non si possa dire che è anche per colpa mia ...

m.fisk ha detto...

Ovviamente sono d'accordo praticamente su tutto: quanto dici tu con molta chiarezza è proprio quanto intendevo io con quella frase sul pluri-ideologismo. Il PCI aveva una linea unitaria, e solo se e quando c'erano scazzi, questi si risolvevano in casa a maggioranza; il PD non ce l'ha: ha diverse anime che vanno ciascuna per la sua strada.
Ciò detto, mi permetto solo di dissentire sul fatto che la base abbia subito il progetto del PD: la mia impressione (solo un'impressione, per carità) è che dopo un momento iniziale di disorientamento sia proprio la base quella che ci crede, in quel progetto.

Anonimo ha detto...

Sulla questione della "base" (questione di fondamentale importanza, perchè è da quella che dipenderà il futuro del PD, più che dai destini e dalle idee personali dei dirigenti) anch'io ho poco più che impressioni, oltre alla mia esperienza personale.

La mia esperienza personale di ex-iscritto ai DS dice che alla base dei DS nessuno è mai venuto a chiedere se volevano davvero fondersi con la Margherita. Se l'hanno fatto, devono averlo fatto nel chiuso delle sezioni, ambiente ristretto ed ormai quasi scollegato con la realtà che io ho frequentato per decenni ma che ultimamente non frequentavo più. E non ho mai notato alcun interesse (men che meno entusiasmo) tra gli iscritti, simpatizzanti, elettori e potenziali elettori DS su questo tema. Anzi, gli unici feedback che ebbi da alcuni di loro prima della fusione erano di profondo dissenso.

Sulla Margherita poco posso dire, tranne che ho un paio di amici che la votavano e che ora votano ... IdV! E anche con loro la creazione del PD non è mai stato un argomento di interesse. Direi che potrei scommettere che anche i militanti e simpatizzanti della Margherita sono stati coinvolti altrettanto poco dei diessini.

A questo punto, ne devo concludere che la nascita del PD è stata TUTTA un'operazione verticistica, portata avanti da un gruppo dirigente privo di idee e di carattere (i famosi "con questo tipo di dirigenti non vinceremo mai" di morettiana memoria), che ha pensato di trovare nel "diventiamo grossi" la soluzione alla propria insipienza.

Personalmente considero Piero Fassino, distruttore dei DS, direttamente responsabile del disastro della sinistra, disastro che Veltroni ha poi completato ed ampliato da par suo. Dall'altra parte, forse la Margherita con la fusione ci ha guadagnato (adesso hanno anche il segretario ...) e non essendo Rutelli "di sinistra" non posso rimproverargli molto: non è a lui che devo rivolgere le critiche, ma a chi ha infelicemente rappresentato l'altra metà (ed oltre) della torta.

Questo per la genesi del partito.

A questo punto sono arrivate le famigerate primarie del 2007 (alle quali sono lieto di non aver partecipato), con il plebiscito accuratamente preparato per Walter Veltroni. E che, a mio avviso, più che un plebiscito per il nuovo segretario sono state un disperato plebiscito del popolo della sinistra per chiedere di fermare Berlusconi, in tempi in cui la popolarità del governo Prodi andava a picco e l'esecutivo sembrava ogni giorno sul punto di crollare. Se invece che con Veltroni tutto il neo-partito si fosse dichiaratemente schierato con Bersani o con qualunque altro leader con un minimo di notorietà, costui avrebbe vinto con percentuali altrettanto "bulgare". Perchè (secondo me) la gente ha votato per fare diga contro Berlusconi, piuttosto che per l'ex sindaco di Roma.

Queste primarie, però, sono poi state utilizzate per mesi da Veltroni per presentarsi come "l'unto della Base" e per giustificare il cocciuto rifiuto non solo a mettersi in discussione ma anche ad aprire un dibattito dopo la sconfitta. Una mistificazione di tipo berlusconiano.

Adesso la base ci crede più del vertice?
Mah, chi partecipa ai circoli del PD, come la Serracchiani, probabilmente sì.
Ma è quella "la base"?
O non è piuttosto tutta quella enormemente più vasta area di elettori e simpatizzanti che hanno votato prima Veltroni alle primarie (per dare forza contro il temuto Cavaliere), poi il PD alle politiche (in gran parte per la paura di Berlusconi) e che poi hanno cominciato a disaffezionarsi al partito?
E non è anche quell'altra vastissima area (nella quale mi ci metto) che nel progetto del PD ha sempre creduto poco ma che al PD così come è venuto fuori dalla gestione Veltroni non crede proprio per nulla (e Franceschini, numero due di Veltroni, non è il tipo da far cambiare questo giudizio)?

Probabilmente le europee, dove "la paura di Berlusconi" dovrebbe influire poco, serviranno a capire quanto la "base" sia ancora convinta del progetto. Anche se mi aspetto una probabile forte divaricazione tra la componente ex-Margherita, che come ha detto uno di loro all'Assemblea dei Circoli adesso ha trovato la "casa" nella quale stare bene (e te lo credo!), e quella ex-DS, che adesso sta forse cominciando a capire il pericolo della trasformazione "da PD a DC" ...

m.fisk ha detto...

Concordo pienamente sul fatto che il grande successo di Veltroni alle primarie è stato un successo delle primarie e non di Veltroni.
Per quanto dobbiamo tener conto del fatto che lo stesso Veltroni, con la sua demagogica retorica, sembra fatto apposta per far presa su un corpo elettorale destrutturato, che per sua natura cerca il fumo più che l'arrosto (penso alle lezioni sulla "bella politica" e rabbrividisco). E infatti ha dato il meglio di sé in occasioni di pura rappresentanza, quali il Circo Massimo.

Quanto al concetto di "base", io, che notoriamente sono legato alle tradizioni, intendo con tale espressione gli iscritti che hanno (e pagano) la tessera e vanno in cellula a discutere. Certo, oggidì con ci sono più né gli iscritti né le cellule né le discussioni: per cui hai ragione anche tu quando identifichi la base con i simpatizzanti.

 

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