lunedì 9 marzo 2009

Tremonti Bond /6

(segue da qui) e, fortunatamente, si avvia verso la fine!

Abbiamo quindi visto che al fine di alzare il coefficiente di solvibilità (patrimonio/attivo ponderato), la scelta di diminuire il denominatore della frazione non è una grande idea. Infatti, i casi sono due:
  • possiamo diminuire l'attivo: ma questo implica ridurre anche il patrimonio, e per effetto della leva questa operazione fa scendere il coefficiente di solvibilità anziché aumentarlo;
  • possiamo diminuire il coefficiente di ponderazione: ma così facendo stringiamo i cordoni della borsa, provocendo una stretta creditizia. Dal momento che siamo avidi banchieri potremmo anche fregarcene, se non fosse per il fatto che noi ci campiamo, sul credito, e se non ne eroghiamo non facciamo utili, il che E' MALE.
I più dotati in matematica avrenno capito a questo punto che l'altra soluzione è quella di incrementare il numeratore della frazione, vale a dire aumentare il patrimonio. Detto così, sembra semplice; il guaio è che non lo è mica poi tanto.
Uno dei modi che abbiamo per incrementare la nostra ricchezza è quello di risparmiare. Ipotizziamo di prendere un normale stipendio da 6.000 euro al mese: se tiriamo un po' la cinghia e spendiamo solo 5.700 euro al mese ci resteranno 300 euri puliti puliti da mettere da parte, e a fine anno potremo usare il gruzzoletto per comprarci il motorino nuovo oppure metterli sotto il materasso per l'eventualità di dover fronteggiare tempi di vacche magre.
Per le società per azioni è un po' lo stesso: alla chiusura dell'anno si calcola l'utile lordo, ci si pagano sopra le tasse e quel che rimane è l'utile netto. Questa sommetta può essere distribuita ai soci (gli azionisti), un tanto per ciascuna azione posseduta: tecnicamente queste somme si chiamano dividendi. Ma se la società prevede tempi di vacche magre, può decidere di non distribuire i dividendi, e tenerseli in pancia, che è un po' l'equivalente del mettere i soldi nel salvadanaio: in tal modo anziché distribuire dividendi si incrementa il patrimonio.
Immagino che si sarà già capito il problema: malgrado il nostro PresConsMin affermi che tutto va per il meglio, in Italia abbiamo ancora dei fannulloni che grazie ad uno stato assistenziale e all'eredità del comunismo si ostinano a guadagnare 1.000 euri al mese: e costoro come fanno a risparmiare? Ecco, le banche in questo momento sono un po' assimilabili ai fannulloni di cui sopra: se la necessità di incrementare il patrimonio deriva dal fatto che rischiano di perdere soldi, o perlomeno di avere utili risicatissimi, ben difficilmente potranno mettere da parte qualcosa per incrementare le riserve, è ovvio!

Cosa facciamo noi fannulloni sottopagati quando abbiamo veramente bisogno? Se li abbiamo ancora, e loro sono in grado, andiamo dai genitori a chiedere un obolo. Formalmente si chiama prestito, ma tanto sappiamo tutti che non sarà mai restituito, e comunque i conti si pareggeranno al momento di ereditare.
Ecco, le società possono andare dalla mamma, che nello specifico sarebbero i propri azionisti, e dire: "cari papà e mamma soci, le cose vanno male, abbiamo un problema: sareste così carini da mettere mano al portafoglio?" La cosa viene fatta emettendo delle nuove azioni, che secondo il Codice civile vengono offerte anzitutto in prelazione ai soci, proporzionalmente al numero di azioni già possedute.
Il problema, qui, è che i soci (specie i soci delle banche italiane) non sono papà e mamma: sono delle persone, magari padri e madri, pieni di problemi loro, che certo non hanno alcun desiderio di sovvenzionare la società, specie nel momento in cui i figli biologici stanno magari lottando con le rate del mutuo. Oppure i soci sono a loro volta delle società, che hanno fatto una fatica boia a chiudere il bilancio in nero, tagliando costi e licenziando o cassintegrando, e l'ultima cosa che desiderano è buttare altri soldi.

Vediamo un'altra possibilità, ma qui dobbiamo forzare un po' il paragone. Supponiamo di vivere in un paese islamico dove sia consentito avere più mogli. La nostra famiglia arranca a fatica, i nostri genitori soldi non ne hanno da darci e neppure quelli delle due mogli che già abbiamo: che facciamo allora? Semplicissimo: ci sposiamo una donna ricca, che ci porti una congrua dote! Se siamo una società, il nuovo matrimonio corrisponde al chiedere soldi non già ai soci, bensì a terzi, ai quali venderemo le nuove azioni che i vecchi soci non hanno voluto o potuto comprare.
Certo, nell'esempio che abbiamo fatto le nostre due mogli non potranno più godere del vigore dei nostri lombi per tre notti la settimana (domenica riposo), bensì solo per due; allo stesso modo con, l'ingresso dei "nuovi" soci i "vecchi" soci possiedono un po' meno di società, cosa chiara se consideriamo che il controllo della società intera non può che valere il 100% delle azioni: è un tetto da cui non si può prescindere. Immaginiamo che una società abbia un capitale formato da 100 azioni, che sono distribuite tra 10 soci ciascuno dei quali possiede 10 azioni. Se la società emette altre 50 azioni, ciascun "vecchio" socio non possiede più il 10%, bensì solo il 6,66%.
Quest'ultimo punto merita di essere sviluppato un po' più in profondità. Rammentiamo che stiamo parlando di banche, non di opere caritatevoli. I soci delle banche negli anni passati hanno potuto contare su utili più che discreti: qualcuno se li sarà spesi in ristoranti, qualcuno si sarà comprato la casa per i figli e qualcuno li avrà giocati al casinò. Qualcuno li avrà anche messi da parte. Ora la situazione è diversa e le banche hanno bisogno di aumentare il capitale? Bene, chiediamolo ai soci: chi ha da parte i soldi lo potrà fare, chi li ha spesi non potrà farlo.
Se poi conveniamo tutti che c'è un interesse pubblico a far sì che le banche non tracollino (e quest'interesse c'è, fidatevi, anche se non è questo il post giusto per dimostrarlo), bé, vorrà dire che le azioni che i soci spendaccioni non sottoscriveranno verranno sottoscritte dallo Stato, che diventerà socio. Ma questa, signori miei, è una strada irragionevole, è COMUNISMO.
Strana, vero? Questa paura del comunismo che vien sempre fuori quando lo Stato deve acquisire dei diritti, mentre non emerge mai quando deve pagare dei conti. Che fa sì che lo Stato metta i soldi per pagare i conti di Alitalia, e che allo stesso tempo Alitalia non diventi di proprietà pubblica, come sarebbe ovvio, bensì di proprietà privata. Ma i tempi sono questi, e non sarà certo la stizzita reazione di due o tre blogghér che cambierà l'ideologia imperante.

I Tremonti Bond (di questo, in fondo, stavamo parlando) sono una risposta ai problemi che abbiamo visto qui sopra; e se mi è consentita una valutazione prettamente tecnica, svestita dell'ideologia da sinistra massimalista e illiberale che trasudava dalle ultime righe, neppur pessima. Ne parleremo nella prossima puntata.

(continua)

2 commenti:

Billy Pilgrim ha detto...

Mument', mi sto tragicamente perdendo.
I termini logico-matematici mi sono perfettamente chiari, così come quelli di economia empirica: ma che cavolo c'entrano le partecipazioni pubbliche nel capitale delle banche con i Tremonti-bond?
Mi sembrano cose diversissime, perché le partecipazioni statali in capitale provocano una diluizione dell'azionariato privato e concedono allo Stato di influenzare direttamente le decisioni politiche della banca; mentre i bond sono prestiti ad un tasso di interesse prestabilito, quindi in teoria andrebbero ad aggiungersi tra i debiti della banca; non diluirebbero l'azionariato, e il potere politico esercitabile dallo Stato, al netto di un aggravio di condizioni che mi sembra emerga leggendo un attimo dal Sole24Ore quali siano le condizioni richieste per potersi considerare assegnatari dei bond, sarebbe assimilabile a quello di un (potente) gruppo di pressione esterno.
Sbaglio?

m.fisk ha detto...

Questa volta ho mischiato i fatti e le opinioni, anticipando i commenti finali.
Se hai la pazienza di attendere l'ultima puntata, il meccanismo apparirà abbastanza chiaro, dopodiché potremo commentare insieme.

 

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