mercoledì 29 aprile 2009

Articolo 138

Berlusconi ha dichiarato che per riformare la Costituzione l'opposizione non serve: ciò mi spinge a formulare un'osservazione e una considerazione.

L'osservazione.
I primi a modificare la Costituzione a colpi di maggioranza, nel 2001, furono quei partiti e quelle forze politiche che oggi costituiscono il Partito Democratico. Ricorderete la riforma approvata alla fine del secondo governo Amato, in un miope e vano tentativo di evitare una sconfitta elettorale che giunse, puntuale come una cartella esattoriale: e sonora.
Questa, del privilegiar la tattica alla strategia, e del saper perdere sia le battaglie che le guerre, sembra una caratteristica distintiva di questa sfortunata area politica, quella cosiddetta del centrosinistra senza trattino. Vedremo se, con il precedente del 2001, Franceschini avrà l'animo di rispondere a Berlusconi, consapevole com'è di tale peccato originale.

La considerazione.
Quei molti che ancora credono che i referenda proposti da Mariotto Segni abbiano un qualche valore farebbero bene a riflettere attentamente: considerare che un sistema elettorale il quale, a prescindere dalle candidature e dall'esito del voto, darebbe la maggioranza assoluta dei seggi a un solo partito, e attribuirebbe i seggi medesimi a persone nominate dai vertici dello stesso (e ciò indipendentemente dall'esito del terzo quesito referendario, mero specchietto per allodole), avrebbe il seguente effetto:
attribuire a una sola persona la potestà di cambiare la Costituzione.

Accennavo, tempo addietro, al fatto che la nostra Costituzione è stata pensata per funzionare in un regime parlamentare e proporzionale: e valga il vero.
L'Assemblea Costituente rispecchiava un Paese diviso in varie grandi correnti di pensiero: i cattolici e i comunisti, i principali; e i liberali e i socialisti, meno forti. Era certo ai costituenti che qualunque governo sarebbe stato necessariamente di coalizione tra queste correnti politiche e sociali, e difatti scrissero una Costituzione che rispecchiava tale assetto.
Venuti alla decisione su come modificarla, la Costituzione, si resero perfettamente conto che una maggioranza qualificata di due terzi avrebbe conferito a una delle due forze maggiori un potere di veto su qualunque modifica, mentre una maggioranza assoluta avrebbe comunque fatto sì che la modifica fosse condivisa almeno tra due delle correnti. Stabilirono così che la maggioranza necessaria per le modifiche costituzionali fosse assoluta e non qualificata, ma, per prevenire gli scollamenti tra Palazzo e Paese, stabilirono pure la sottoponibilità a referendum qualora la maggioranza raggiunta non fosse così plebiscitaria (il 67%!) da far presupporre juris et de jure la concordanza tra voto parlamentare e sentimento del Paese.

Qualunque modifica della legge elettorale che attribuisca la maggioranza assoluta dei seggi a una sola forza, anche debole del solo 25% dei voti, costituisce una evidente rottura di questo delicato meccanismo. Con l'attuale legge elettorale, che di fatto, mediante il meccanismo delle liste bloccate, cancella l'art. 67 (Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato), il sistema che si verrebbe a creare è definibile solo come bonapartismo; a voler esser delicati!

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