lunedì 20 aprile 2009

C'è crisi, c'è grande crisi /4

Dopo che Tremonti ha detto che non c'è più il pericolo di una crisi globale della finanza e delle borse, ci si è messa anche la presidentessa di Confindustria a dire che già dalla seconda metà del 2009 dovrebbe iniziare la ripresa, o quantomeno un'inversione di tendenza.
Vale, in questi casi, il vecchio adagio per cui in tempo di guerra la verità è la prima vittima: Tremonti e Marcegaglia fanno benissimo a comportarsi come si comportano e dire quello che dicono: sarebbero anzi irresponsabili ad alimentare le preoccupazioni! Del resto, una parte non indifferente delle crisi è anche legata ad un profilo psicologico: la mancanza di fiducia alimenta le crisi, e creare una fiducia, anche immotivata, può far incamminare verso una soluzione.
Purtroppo le cose stanno un po' diversamente, e i segnali che vedo io (io che non sono Tremonti e Marcegaglia, beninteso, e neppure un economista) sono scricchiolii, tanto più pericolosi in quanto intervengono in un clima in cui l'attenzione e la tensione si sono un po' rilassate, dopo tanti mesi di timori.

Faccio degli esempi americani, per due motivi: il primo è che le nostre economie, volenti o nolenti, dipendono comunque dall'andamento degli USA: un aggravarsi della crisi di là dell'oceano non potrebbe che avere effetti catastrofici nella vecchia Europa. Gli USA, inoltre, hanno una politica fortemente interventista contro la crisi, a differenza dell'Europa (i cui governi peraltro giustificano il loro minor interventismo con il fatto che in Europa, a differenza che negli USA, esistono degli istituti di stato sociale che sono per loro natura anticiclici, e impediscono che coloro che hanno perso il lavoro finiscano nella spirale della miseria).
C'è poi il fatto che ci sono molte più occasioni per documentarsi sull'economia americana , come dimostrano i link lì sulla destra.
Dico subito che le righe che seguono sono abbastanza tecniche: se non dovessi essere abbastanza chiaro, me ne scuso fin d'ora.

La prima cosa preoccupante viene proprio dalla circostanza che anche il governo USA sembra in difficoltà: secondo il New York Times, Obama avrebbe intenzione di utilizzare in maniera più incisiva i fondi TARP (i famosi 700 miliardi di dollari di salvataggio pubblico), senza doverne chiedere altri al Congresso, utilizzandoli per sottoscrivere azioni ordinarie anziché privilegiate.
Per farla molto semplice: le azioni ordinarie hanno diritto pieno di voto, mentre quelle privilegiate no: questo vuol dire andare verso la nazionalizzazione (almeno parziale) delle banche, il che è stato finora un tabù.
E non ci sarebbe niente di male, intendiamoci, se solo si trattasse di una scelta meditata e politica, dovuta al fatto che è scandaloso (io la penso così) che i contribuenti paghino i debiti delle banche senza sottrarne la proprietà agli azionisti precedenti.
Invece, almeno a leggere il NYT e i commenti in giro di tutti i colori, l'impressione che si trae è che la scelta sia dettata proprio dal fatto che i soldi sono quasi finiti e/o che ne servono molti di più di quanti siano stati stanziati. Il che è molto ma molto preoccupante: anche perché la pezza trovata è peggio del buco. Se andate a ripassare la lezioncina sulla parte alta del passivo di bilancio, il patrimonio, rammenterete che dal bianco (il capitale sociale) al nero (il debito garantito) ci sono tante sfumature; ma una cosa è certa, vale a dire che le azioni ordinarie e quelle privilegiate sono, rispettivamente, bianco e panna chiaro; e in ogni caso molto più chiare dei debiti a cui dovrebbero fare da "cuscinetto". Quindi, come ben puntualizzano Krugman e altri, spostare i fondi da azioni privilegiate a ordinarie non serve assolutamente a nulla, se non a far quadrare un po' di indici che tuttavia sono semplici rapporti matematici privi di sostanza reale.
Metter in piedi un intervento puramente cosmetico potrebbe anche avere un senso: ma se ciò va contro i sacri principi del capitalismo americano ed è destinato a scatenare violente reazioni, allora vuol dire che altre vie per far qualcosa non ce ne sono. Devo confessare che la cosa mi ha un po' turbato.
(ora è tardi, la seconda cosa brutta la racconto poi)

aggiornamento: Krugman (sempre lui) spiega molto meglio di me la (non) differenza tra azioni ordinarie e privilegiate

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