Quando arrivano dei messaggi di posta, il mio PC fa suonare alcune note di This old man nella versione di Tori Amos: è una scelta come un'altra, non credo che mi giudicherete migliore o peggiore per questo.
Come per tutte le cose che vengono ripetute, e ripetute, e ripetute ancora, dopo un po' la mente smette di farci caso, e l'arrivo di nuove mail diventa un fenomeno del tutto indifferente: qualche offerta speciale, qualche newsletter, qualche commento che è stato aggiunto in coda al mio su qualche blog, qualche mamma che ha qualche sciocchezza da dire sull'andamento della classe.
Diventando grandi ci si rende conto che i regali di Natale sono sempre le stesse cose; e dopo una mezza vita spesa in rete ci si rende conto che la prossima mail sarà inutile quanto quella che l'ha preceduta; ma come il quarantenne a Natale comunque, nonostante cinismo e disincanto, ha pur sempre in fondo allo stomaco una minima emozione, ecco che anche chi ha migliaia di mail archiviate ogni volta che ne giunge una ha la segreta e inconfessabile speranza che sia quella che darà una svolta: alla prossima ora, al prossimo giorno, ai prossimi dieci anni.
Ed il bello è che talvolta succede: che tu senta suonare la musichetta e continui imperterrito a far quello che stai facendo; che dopo un po' tu vada a stimolare quella busticina blu scuro, ti appaia un nome che sulle prime non ti dice nulla ma che poi risveglia un guazzabuglio di ricordi.
Succede, che una risposta che aspettavi da nove mesi esatti arrivi; e che il numero di mesi sia semplicissimo da calcolare dato che colei che ti ha scritto, poco sotto (sotto, ovviamente; ma è ormai uno standard) il suo messaggio abbia lasciato il tuo messaggio precedente, con la sua bella data: 9 luglio 2008.
E tu, che ormai non ci pensavi assolutamente più, ti chiedi cosa mai abbia spinto quella persona a mettersi a scrivere: quanto tempo le sia servito per riaprire quella finestrella, quanto siano state pesate quelle parole, quante volte si sia posta il problema del senso del ridicolo e, infine, quanto tempo abbia impiegato prima di premere quel tasto "Send".
E succede che tu cominci a porti il problema se rispondere subito o far passare il tempo; o magari non rispondere per nulla; e se mi si nota di più se sto zitto o se mi faccio vedere; e che ti chieda se la risposta la debba fare lunga o corta, naturale o ironica o addirittura sfacciata, che è sempre la soluzione migliore ma porta con sè il rischio che l'altra la venga a vedere, la sfacciataggine, e in tal modo ti incastri.
Ed ecco che un po' di fretta, un po' di malavoglia e un po' perché saresti un quaqquaraqquà a non farlo, impapocchi qualche riga un po' ironica, in po' sfacciata a un po' normale in fondo: un misto mare-monti senza né pesce né funghi, da trattoria per camionisti sul lastrico.
E premi il tasto "Send", anche tu; e un paio di volte premi anche "Undo", che il signor Google ha fatto una vera figata per gli eterni indecisi con quel tastino; ma alla fine bisogna decidersi: e allora "send" e le mani via dalla tastiera e legate dietro la schiena, per cinque lunghi secondi.
E così, riparte il conteggio: mfisk to XXXX (33 minutes ago): diventeranno poi ore, giorni, e infine una semplice data.
giovedì 9 aprile 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento