giovedì 2 aprile 2009

Buone notizie


La buona notizia che commentiamo è questa qui: il preside di un liceo canadese, per risolvere il problema dei cellulari accesi in classe, ha pensato bene di comperare un jammer che, impedendo il funzionamento dei terminali, ha reso inutilizzabili i telefonini all'interno della scuola.
Intendiamoci: io sono assolutamente contrario alla detenzione se non nei casi più gravi (e comunque si tratta certo di un arresto fatto solo per l'incriminazione, a seguito del quale il signore sarà liberato su cauzione, come sarebbe chiaro a tutti se un certo blogger avesse tempo e voglia di continare a parlare di un certo argomento).
Ma credo che un educatore che non sia in grado di insegnare e se del caso imporre ai propri studenti adolescenti il rispetto minimale di certe regole, qualli lo spegnere il telefonino, sia un soggetto dannoso.
Perché una scuola non riesce a insegnare che la regola va seguita in quanto regola, e deve percorrere la facile scorciatoia dell'imporre l'obbedienza mediante un escamotage tecnologico, ha completamente fallito il proprio compito, che è quello di formare degli adulti, non di insegnare le declinazioni latine o la derivata di e^x.
Ottenere l'obbedienza mettendo i soggetti in condizione di non poter disobbedire è sempre la strada più semplice: oggi è il jammer nell'edificio scolastico; domani l'automobile con il limitatore di velocità incorporato (e che, vogliamo dire che siamo teneri verso chi corre troppo?); poi l'alcoolimetro collegato al blocchetto di accensione (vogliamo dire che è sbagliato impedire di guidare a chi beve?); poi ancora il tracciamento nominativo di tutte le attività su Internet (vogliamo dire che siamo a favore dei diffamatori e degli apologi dello stupro?), fino ad arrivare al deposito di impronte digitali e DNA (del resto chi non commette reati non ha nulla da temere, no?) e all'impianto di un trasmettitore GPS sottopelle, just in case.

Vabbé, ho esagerato: lo so che la scuola è una cosa difficile, e che forse in Canada è ancor più difficile che qui. Però ai miei tempi agli insegnanti si obbediva: anche a quelli che si prendevano in giro perché svaniti, anche a quelli che non sapevano farsi rispettare. Li si contestava, magari, così come si contestava l'istituzione scolastica e la società intiera; ma quando loro erano l'interrogante e tu l'interrogato li rispettavi; e se ti dicevano di sputare la cicca la sputavi senza storie, e chiedevi anche scusa.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Oggi non chiedono scusa, ma la cicca la sputano, senz'altro.
Comunque il post è condivisibile, in toto.
Te ne scrivo più ampiamente domani in un altro commento, che ora sono un po' di fretta.

Anonimo ha detto...

La mia idea, semplice e fin troppo schematica, è che ci vogliano tre condizioni tre per far rispettare una regola in un ambiente come una scuola. Prendo l'esempio del cellulare, perché è quello da cui parte la vicenda.
1. L'esempio. Se tu sei il primo a rispondere al cellulare in classe, è ovvio che non puoi poi impedirlo agli altri. Se durante i consigli di classe ti alzi e te ne vai, perché ti suona il telefono, magari i ragazzi non lo sapranno mai, ma comunque qualcosa non funziona, nel tuo rispetto delle regole.
2. La sanzione. Voglio dire: la prima volta che parli al cellulare, ti mando fuori dalla classe o comunque ti do un avvertimento. La seconda ti sospendo: ma davvero però, non solo sulla carta. Lo so che è come invocare la certezza della pena, lo so; e infatti è proprio quello che sto invocando, la certezza della pena.
3. L'omogeneità dei comportamenti (che è il più complicato dei tre requisiti). Vale a dire che tutti gli insegnanti, non solo uno o due, devono applicare lo stesso metro di giudizio e le stesse sanzioni, altrimenti è inutile; altrimenti resti tu (o un altro) il "fanatico delle regole" e l'educazione è già andata da un'altra parte.
In conclusione, invece, un'amena curiosità. I cellulari, nelle mie classi, suonano perlopiù solo in prima, dove sono più piccoli e si devono ancora abituare (e si abituano subito, a loro onore). Ma sai chi li chiama? I genitori, quasi sempre. Voglio dire: sai che tuo figlio è a scuola, e lo chiami. Ecco, la quarta condizione è anche una certa collaborazione familiare, la condivisione delle minime regole. Altrimenti salta il banco.

m.fisk ha detto...

Un breve commento a ciascun punto.
1) Ovvio. Scontato. Banale. Talmente ovvio, scontato e banale che il fatto che tu l'abbia scritto mi fa immaginare che una parte dei professori tenga il telefono acceso: spero almeno che poi non si lamentino;
2) E' certo la cosa più difficile, ma va fatta. Io nel mio piccolo ho insegnato a Nichita che la prima volta lo rimprovero; la seconda lo informo che gli tirerò un ceffone senza ulteriore preavviso e la terza gli tiro un ceffone, senza ulteriore preavviso (ciò mi fa venire alla memoria un aneddoto morale che debbo rammentarmi di narrare);
3) si ricollega all'1. In ogni caso credo che sia utile far rispettare le regole anche se si fosse il solo che lo fa (tenuto poi conto che -perlomeno dal punto di vista del numero di ore- altro è l'insegnante di italiano e latino e altro quello di disegno). Anche il preside dovrebbe dare un indirizzo, no?
4) sul quarto punto non so che dire. Anche il solo pensare che un genitore possa chiamare il figlio durante la lezione mi fa accaponare la pelle. Ma come caspita è possibile, mi chiedo?

Giacomo Cariello ha detto...

Secondo me gli scolari hanno gioco facile nel non rispettare le regole perchè il contraltare è una famiglia in cui i genitori mediamente li appoggiano o comunque se ne fregano altamente della loro educazione.
Se uno è cafone nella vita (li riconosci, quelli che rispondono al cellulare anche al cinema?), non è che ti puoi aspettare che nelle 4 ore che sta a scuola, grazie al Pigmalione di turno, si trasformi in un perfetto gentiluomo.
A quel punto, tanto vale rendergli impossibile la commissione della cafonata, piuttosto che ottenere il fatto che smetta per il timore delle conseguenze (che non sarebbe comunque l'obbiettivo dell'insegnamento).

 

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