Volete stare sempre sul pezzo e saperne abbastanza, ma al tempo stesso vorreste consentirvi qualche piacevole ora di svago per andare al cinema o giacere con la vostra compagna?
Sentite, quali cittadini e consumatori, il dovere di tenervi aggiornati minuto per minuto sul lavoro del venti capi di stato e di governo che si troveranno a Londra e non sapete come conciliare tale fame di notizie con la vostra vita privata, in fase di tracollo da quando la fidanzata lamenta che le vostre mani conoscono meglio il Corriere Economia che la sua schiena?
Facciamo così: vi faccio leggere già oggi il comunicato finale del G20 (può esservi chiesto di registrarvi!), così potete tornare a coltivare in pace il vostro giardinetto e divertirvi a vedere i soldatini di Gianni Riotta che domani e dopo vi racconteranno le magnifiche sorti e progressive.
Nel comunicato ci sono giusto un cinque-sei blobbini, come si chiamano in gergo: vale a dire dei punti in cui bisogna solo inserire il numerino giusto; ma per il resto la sostanza è tutta lì.
Certo, potevano anche risparmiarsi il viaggio: ma vuoi mettere il fascino di Londra in aprile?
martedì 31 marzo 2009
CDO (istituzioni di finanza strutturata)
Ho già segnalato in questo post un video che spiega in modo molto semplice e intuitivo i fondamenti della finanza strutturata e in particolare dei fenomeni che stanno alla base delle cartolarizzazioni e dei cosiddetti "titoli tossici", vale a dire CDO (Collateralized debt obligations) e ABS (Asset Backed Security).
Chi volesse approfondire l'argomento con un taglio un po' più tecnico può leggere l'articolo Structured Finance for Beginners su The Baseline Scenario, che a sua volta sintetizza un interessantissimo (e corposo!) articolo di tre docenti della Harvard Business School intitolato "The Economics of Structured Finance".
E' roba per gente che non è del tutto digiuna di matematica, ma bastano gli studi liceali, non è che ci voglia una laurea.
Un concetto in particolare viene approfondito con grande chiarezza, ed è quello della non confrontabilità tra i rating assegnati alle obbligazioni ordinarie e ai titoli di finanza strutturata.
Giusto per dare qualche indicazione, il concetto è in pratica il seguente (cerco di spiegarlo in due parole, che saranno confuse e noiose: leggete solo se veramente interessati): le agenzie di rating assegnano un "punteggio", comunemente indicato con una serie di lettere, che esprime una stima della probabilità che un dato debitore divenga insolvente o che un dato strumento finanziario possa non essere onorato.
Un titolo con un rating "AAA" ha una probabilità di solo lo 0.02% di non essere pagato, e quindi è molto tranquillo. Se io ho un insieme di beni (crediti ipotecari, ad esempio) che hanno complessivamente un rating inferiore, anche di molto, a quello "AAA", posso convertire il loro valore in strumenti finanziari (titoli): se tutti i titoli hanno lo stesso rango, il loro rating sarà identico a quello degli attivi sottostanti.
Ma si possono costruire varie categorie di titoli, ciascuna delle quali sarà preferita nel pagamento rispetto a quella successiva. In tal modo si crea un "cuscinetto" di titoli che probabilmente non verranno mai pagati (quelli che stanno in fondo alla pila), e che perciostesso garantiscono il fatto che i titoli che stanno in cima alla pila verranno pagati per intero (in quanto le perdite non si distribuiranno equamente su tutti i titoli, bensì solo qu quelli di meno preferiti).
Strutturando adeguatamente l'ammontare delle varie fette di titoli si può far in modo che i titoli più sicuri abbiano una probabilità di non essere pagati inferiore allo 0,02%, meritando così il rating "AAA", che consente di venderli agli investitori (es. i fondi pensione).
L'articolo dimostra quanto però il giochino sia pericoloso, per due motivi: anzitutto, in quanto la probabilità di default degli attivi sottostanti può presentare un indice di correlazione significativo, che in caso di crisi sistemica può falsare completamente il modello; successivamente, in quanto la "sicurezza" dei titolil di prima scelta non è dovuta a una vera qualità dei beni sottostanti, bensì ad un meccanismo di leva finanziaria: ciò (unitamente al coefficiente di correlazione) fa sì che i titoli presentino una alta sensitività a variazioni anche minime della probabilità di default complessiva degli asset sottostanti.
Chi volesse approfondire l'argomento con un taglio un po' più tecnico può leggere l'articolo Structured Finance for Beginners su The Baseline Scenario, che a sua volta sintetizza un interessantissimo (e corposo!) articolo di tre docenti della Harvard Business School intitolato "The Economics of Structured Finance".
E' roba per gente che non è del tutto digiuna di matematica, ma bastano gli studi liceali, non è che ci voglia una laurea.
Un concetto in particolare viene approfondito con grande chiarezza, ed è quello della non confrontabilità tra i rating assegnati alle obbligazioni ordinarie e ai titoli di finanza strutturata.
Giusto per dare qualche indicazione, il concetto è in pratica il seguente (cerco di spiegarlo in due parole, che saranno confuse e noiose: leggete solo se veramente interessati): le agenzie di rating assegnano un "punteggio", comunemente indicato con una serie di lettere, che esprime una stima della probabilità che un dato debitore divenga insolvente o che un dato strumento finanziario possa non essere onorato.
Un titolo con un rating "AAA" ha una probabilità di solo lo 0.02% di non essere pagato, e quindi è molto tranquillo. Se io ho un insieme di beni (crediti ipotecari, ad esempio) che hanno complessivamente un rating inferiore, anche di molto, a quello "AAA", posso convertire il loro valore in strumenti finanziari (titoli): se tutti i titoli hanno lo stesso rango, il loro rating sarà identico a quello degli attivi sottostanti.
Ma si possono costruire varie categorie di titoli, ciascuna delle quali sarà preferita nel pagamento rispetto a quella successiva. In tal modo si crea un "cuscinetto" di titoli che probabilmente non verranno mai pagati (quelli che stanno in fondo alla pila), e che perciostesso garantiscono il fatto che i titoli che stanno in cima alla pila verranno pagati per intero (in quanto le perdite non si distribuiranno equamente su tutti i titoli, bensì solo qu quelli di meno preferiti).
Strutturando adeguatamente l'ammontare delle varie fette di titoli si può far in modo che i titoli più sicuri abbiano una probabilità di non essere pagati inferiore allo 0,02%, meritando così il rating "AAA", che consente di venderli agli investitori (es. i fondi pensione).
L'articolo dimostra quanto però il giochino sia pericoloso, per due motivi: anzitutto, in quanto la probabilità di default degli attivi sottostanti può presentare un indice di correlazione significativo, che in caso di crisi sistemica può falsare completamente il modello; successivamente, in quanto la "sicurezza" dei titolil di prima scelta non è dovuta a una vera qualità dei beni sottostanti, bensì ad un meccanismo di leva finanziaria: ciò (unitamente al coefficiente di correlazione) fa sì che i titoli presentino una alta sensitività a variazioni anche minime della probabilità di default complessiva degli asset sottostanti.
lunedì 30 marzo 2009
Non impareranno mai
Io mi domando e dico:
ma come diavolo è possibile che i giornalisti in generale e i giornalisti economici in particolare non abbiano ancora capito che qualche giorno di borsa in rialzo non basta a dire che la crisi è finita?
Persino il Sole 24 ore di domenica aveva in prima pagina un articolo pieno di ottimismo sul recupero delle quotazioni: cosa scriveranno domani?
Non è che mi ci diverta, a fare la Cassandra: e capisco anche che i giornali hanno una certa responsabilità morale nel cercare di far ripartire un po' di fiducia: in tal senso qualche notarella ottimistica, e anche qualche tacere di troppo sulle notizie meno liete non può fare che del bene.
Invece cantare un giorno vittoria e l'altro dopo tragedia; raccontare un giorno di miliardi bruciati e il giorno successivo di miliardi magicamente reintegrati; dare l'impressione di un mondo altalenante nel quale nulla è certo e tutto in balìa del momento come viaggiatori sulla scialuppa in un mare in tempesta: bene, questo è il miglior modo per iniettare sfiducia e spingere qualunque consumatore, scafato o meno che sia, a tenere i propri euri sotto il materasso rimandando l'acquisto di qualunque cosa: anche solo di una cintura del Dottor Gibaud.
Ne parlavo qui, ormai sei mesi fa. Sei mesi, sono passati da quando le prime pagine dei giornali facevano le montagne russe, e a distanza di sei mesi continuano a fare gli stessi saliscendi, come prima: come se non avessero ancora imparato nulla.
Banana republic
Visto che siamo in tema di letture impegnate, sul numero di maggio 2009 (sì, lo so che siamo in marzo, ma così va il mondo) di Atlantic ci sarà un articolo di Simon Johnson sulla crisi finanziaria e i piani del governo Obama per superarla.
L'articolo è molto interessante e non molto tecnico, per cui alla portata di chiunque, e -stringendo e semplificando all'osso, voi mi perdonerete- in pratica dice che bisognerebbe perndere un po' di management delle banche e mandarlo a casa, nazionalizzare le banche stesse per ripristinare la fiducia nella solvibilità, e con essa il funzionamento del mercato; dopodiché si potranno anche rivendere le banche così risanate per non tenerle in mano pubblica.
E' un concetto, quello della nazionalizzazione, che non può essere preso neppure in considerazione, negli USA. Io ne parlavo in fondo a questo post, in una digressione stizzita che mi sono permesso nel mentre raccontavo del funzionamento dei Tremonti Bond; ma certo non conto granché.
Ne parla da tempo anche Krugman, che ha evidenziato le criticità del piano Geithner prima ancora che venisse reso pubblico, e che proprio per tale sua posizione ipercritica ormai è considerato alla stregua di un inguaribile comunista (se ne è accorto perfino Sofri giovane, leggendo Newsweek). E se andate a vedere un po' di articoli vecchi tratti da quei siti che sulla colonna qui, a destra, sono marcati come "Economie", probabilmente vedrete che è da qualche mese, che se ne parla.
Ma la cosa veramente interessante è che Simon Johnson non è Krugman o un altro professore universitario, chiuso nella torre d'avorio della sua cattedra, o perlomeno non è solo quello. E' stato capo economista del Fondo Monetario Internazionale, vale a dire di quella istituzione che è l'espressione più pura e dura del neoliberismo d'assalto.
L'FMI (o IMF in acronimo inglese) è quell'ente che arriva nei paesi del terzo mondo (e non solo del terzo) disastrati, tipo Argentina, per intenderci, e impone la svendita di tutto il patrimonio pubblico, il taglio ai diritti dei lavoratori e alle pensioni dei pensionati, il rincaro dei servizi e la abolizione della sanità pubblica, per dire. Gente con le palle, insomma, che non guardano in faccia nessuno.
bene: Johnson dice, papale papale, che se gli USA non fossero gli USA, l'FMI imporrebbe la nazionalizzazione delle banche:
In Europa, infatti, sono state fatte delle nazionalizzazioni, negli scorsi mesi, senza pensarci su troppo (Fortis, per dirne una, e così varie banche inglesi), mentre negli USA non se ne riesce neppure a parlare pubblicamente, e ci si incentra sul problema del bonus ai dirigenti, come se quelli fossero i problemi!
In Italia, a Dio piacendo, il problema proprio non si pone: che sia perché, come dice Tremonti, i banchieri non sanno l'inglese, oppure (come più probabile) perché la Vigilanza di Banca d'Italia è composta da gente che sa fare il suo mestiere (e difatti Tremonti vorrebbe togliere queste persone e mettere in campo i prefetti), sta di fatto che in Italia le Banche hanno la febbre, ma non rischiano certo la pelle.
E' per questo che lo strumento dei Tremonti Bond è più che sufficiente per fronteggiare la situazione attuale: questo a Tremonti gli va riconosciuto; ma bisogna anche tener presente che la sua soluzione ha dovuto fronteggiare un problema di vari ordini di grandezza minore di quello che hanno dovuto fronteggiare i suoi omologhi nel resto del mondo: e ciò non certo per merito suo.
L'articolo è molto interessante e non molto tecnico, per cui alla portata di chiunque, e -stringendo e semplificando all'osso, voi mi perdonerete- in pratica dice che bisognerebbe perndere un po' di management delle banche e mandarlo a casa, nazionalizzare le banche stesse per ripristinare la fiducia nella solvibilità, e con essa il funzionamento del mercato; dopodiché si potranno anche rivendere le banche così risanate per non tenerle in mano pubblica.
E' un concetto, quello della nazionalizzazione, che non può essere preso neppure in considerazione, negli USA. Io ne parlavo in fondo a questo post, in una digressione stizzita che mi sono permesso nel mentre raccontavo del funzionamento dei Tremonti Bond; ma certo non conto granché.
Ne parla da tempo anche Krugman, che ha evidenziato le criticità del piano Geithner prima ancora che venisse reso pubblico, e che proprio per tale sua posizione ipercritica ormai è considerato alla stregua di un inguaribile comunista (se ne è accorto perfino Sofri giovane, leggendo Newsweek). E se andate a vedere un po' di articoli vecchi tratti da quei siti che sulla colonna qui, a destra, sono marcati come "Economie", probabilmente vedrete che è da qualche mese, che se ne parla.
Ma la cosa veramente interessante è che Simon Johnson non è Krugman o un altro professore universitario, chiuso nella torre d'avorio della sua cattedra, o perlomeno non è solo quello. E' stato capo economista del Fondo Monetario Internazionale, vale a dire di quella istituzione che è l'espressione più pura e dura del neoliberismo d'assalto.
L'FMI (o IMF in acronimo inglese) è quell'ente che arriva nei paesi del terzo mondo (e non solo del terzo) disastrati, tipo Argentina, per intenderci, e impone la svendita di tutto il patrimonio pubblico, il taglio ai diritti dei lavoratori e alle pensioni dei pensionati, il rincaro dei servizi e la abolizione della sanità pubblica, per dire. Gente con le palle, insomma, che non guardano in faccia nessuno.
bene: Johnson dice, papale papale, che se gli USA non fossero gli USA, l'FMI imporrebbe la nazionalizzazione delle banche:
The challenges the United States faces are familiar territory to the people at the IMF. If you hid the name of the country and just showed them the numbers, there is no doubt what old IMF hands would say: nationalize troubled banks and break them up as necessary.E' un punto di vista interessante, da prendere in considerazione seriamente. E per inciso ci dà anche la sensazione della differenza tra la situazione del mercato finanziario americano ed europeo, ed anche se vogliamo delle differenze tra Europa e Italia.
In Europa, infatti, sono state fatte delle nazionalizzazioni, negli scorsi mesi, senza pensarci su troppo (Fortis, per dirne una, e così varie banche inglesi), mentre negli USA non se ne riesce neppure a parlare pubblicamente, e ci si incentra sul problema del bonus ai dirigenti, come se quelli fossero i problemi!
In Italia, a Dio piacendo, il problema proprio non si pone: che sia perché, come dice Tremonti, i banchieri non sanno l'inglese, oppure (come più probabile) perché la Vigilanza di Banca d'Italia è composta da gente che sa fare il suo mestiere (e difatti Tremonti vorrebbe togliere queste persone e mettere in campo i prefetti), sta di fatto che in Italia le Banche hanno la febbre, ma non rischiano certo la pelle.
E' per questo che lo strumento dei Tremonti Bond è più che sufficiente per fronteggiare la situazione attuale: questo a Tremonti gli va riconosciuto; ma bisogna anche tener presente che la sua soluzione ha dovuto fronteggiare un problema di vari ordini di grandezza minore di quello che hanno dovuto fronteggiare i suoi omologhi nel resto del mondo: e ciò non certo per merito suo.
Stato etico
Non voglio rompervi anch'io i marroni con Fini, Berlusconi e Gasparri.
Solo richiamare questa notizia (via Paul the Wine Guy), che parla di un tale che nel Michigan si è preso 90 giorni di prigione perché si stava facendo fare un sufflone da un aspirapolvere.
Fino a qualche tempo fa la notizia sarebbe stata l'ennesima dimostrazione di quanto pazzi sono gli americani e il loro sistema giudiziario.
Ora mi corre un brivido lungo la schiena, pensando che un giorno Gasparri e quall'altro lì, Quagliariello, potrebbero pensare che anche i soffioni con gli aspirapolveri vanno contro la libertà della vita, e sicuramente vanno contro la libertà di coloro che rabbrividiscono all'idea che qualcuno usi gli aspirapolveri per farsi fare dei suffloni, e che conseguentemente lo Stato debba intervenire per fermare questa pratica di morte.
Solo richiamare questa notizia (via Paul the Wine Guy), che parla di un tale che nel Michigan si è preso 90 giorni di prigione perché si stava facendo fare un sufflone da un aspirapolvere.
Fino a qualche tempo fa la notizia sarebbe stata l'ennesima dimostrazione di quanto pazzi sono gli americani e il loro sistema giudiziario.
Ora mi corre un brivido lungo la schiena, pensando che un giorno Gasparri e quall'altro lì, Quagliariello, potrebbero pensare che anche i soffioni con gli aspirapolveri vanno contro la libertà della vita, e sicuramente vanno contro la libertà di coloro che rabbrividiscono all'idea che qualcuno usi gli aspirapolveri per farsi fare dei suffloni, e che conseguentemente lo Stato debba intervenire per fermare questa pratica di morte.
domenica 29 marzo 2009
Papillon
Il New Yorker di marzo pubblica un interessante articolo di Atul Gawande, significativamente intitolato "Hellhole", nel quale parla delle prigioni supermax e delle unità di rigore delle prigioni ordinarie.
Negli USA vi sarebbero, stando all'articolo, circa 25.000 prigionieri rinchiusi nelle unità supermax, speciali prigioni di massima sicurezza nelle quali la detenzione avviene in completo isolamento; e tra 50 e 80 mila prigionieri in isolamento in unità di segregazione all'interno di prigioni comuni.
Nell'articolo viene anche raccontata la vite, se così si può chiamare, di due ospiti: tale Bobby Delello, che ha trascorso cinque anni e un mese in tali condizioni, e tale Robert Fulton, che vi ha trascorso quattordici anni e mezzo.
La cella di Fulton era tipica: senza finestre né orologio, muri grigi e porta d'acciaio. Inizialmente condannato a un anno di isolamento, che gli era stato comminato per possesso di un coltello artigianale trovatogli in cella, le continue ribellioni di Fulton comportarono continue proroghe del termine, talché praticamente tutta la sua condanna fu passata in totale solitudine.
Quello che veramente stupisce, tuttavia, non è tanto la storia di Fulton, né la descrizione di cosa può diventare un uomo ridotto in quello stato.
Quello che mi ha sconvolto, è l'occhiello dell'articolo: The United States holds tens of thousands of inmates in long-term solitary confinement. Is this torture?.
Is this torture? Il fatto stesso di chiederselo dimostra la perdita di quel minimo senso di umanità che distingue un popolo civile da una tribù barbara. Anzi, peggio: perché io posso comprendere, pur senza condividerla punto, la logica che sta dietro alla pena di morte per l'assassino; e persino dietro alla pena del taglio della mano per il ladro o dell'evirazione per lo stupratore.
Pene di inaudita crudeltà, ma che si esauriscono nello spazio di qualche minuto, pur avendo poi un effetto definitivo o permanente.
Ma tener chiuso uno per quattordici anni in un buco senza finestre, e sapendo che quello e tanti come lui stanno lì, e riuscire lo stesso ad andare a casa per cena, giocare con i figli e fare il barbecue in giardino, questo supera la mia capacità d'immaginazione.
Ma in fondo un carceriere non è detto sia una persona del tutto normale. Ancor peggio è quindi il New Yorker stesso, che -è vero- solleva il velo del silenzio, ma con quel punto interrogativo si trincera dietro un muro di ipocrisia. O, peggio, il punto interrogativo indica una domanda vera e non retorica.
Che dire della società americana di oggi (la stessa che ha inventato il famigerato Camp Delta, non dimentichiamolo)? Può essere interessante fare il confronto con la sentenza riportata dal New Yorker della U.S. Supreme Court, pronunciata dal giudice Samuel Miller quale majority opinion, in un caso riguardante un detenuto tenuto in isolamento per un mese:
Centocinque anni dopo, nel 1995, una corte federale, con riferimento alla pretesa incostituzionalità di una prigione supermax della California, statuì che le condizioni di detenzione potevano essere considerate hover on the edge of what is humanly tolerable for those with normal resilience, ma ciononostante non crudeli o inusuali (formula dell'ottavo emendamento, che riprende l'analoga formula del Bill of Right inglese 1689, del quale prima o poi torneremo a parlare) in quanto tali condizioni con comportano a sufficiently high risk to all inmates of incurring a serious mental illness. In altre parole: l'isolamento non sarebbe incostituzionale, dato che non fa andare tutti al manicomio.
Andando avanti nella lettura dell'articolo, si scopre che ci sono anche molti direttori di prigione che vorrebbero abolire o ridurre drasticamente i casi di detenzione in isolamento, ma non possono farlo perché le reazioni dell'opinione pubblica sarebbero insostenibili. E qui, dilaniato dal disgusto, chiudo questa noterella consigliando caldamente la lettura dell'articolo.
Negli USA vi sarebbero, stando all'articolo, circa 25.000 prigionieri rinchiusi nelle unità supermax, speciali prigioni di massima sicurezza nelle quali la detenzione avviene in completo isolamento; e tra 50 e 80 mila prigionieri in isolamento in unità di segregazione all'interno di prigioni comuni.
Nell'articolo viene anche raccontata la vite, se così si può chiamare, di due ospiti: tale Bobby Delello, che ha trascorso cinque anni e un mese in tali condizioni, e tale Robert Fulton, che vi ha trascorso quattordici anni e mezzo.
La cella di Fulton era tipica: senza finestre né orologio, muri grigi e porta d'acciaio. Inizialmente condannato a un anno di isolamento, che gli era stato comminato per possesso di un coltello artigianale trovatogli in cella, le continue ribellioni di Fulton comportarono continue proroghe del termine, talché praticamente tutta la sua condanna fu passata in totale solitudine.
Quello che veramente stupisce, tuttavia, non è tanto la storia di Fulton, né la descrizione di cosa può diventare un uomo ridotto in quello stato.
Quello che mi ha sconvolto, è l'occhiello dell'articolo: The United States holds tens of thousands of inmates in long-term solitary confinement. Is this torture?.
Is this torture? Il fatto stesso di chiederselo dimostra la perdita di quel minimo senso di umanità che distingue un popolo civile da una tribù barbara. Anzi, peggio: perché io posso comprendere, pur senza condividerla punto, la logica che sta dietro alla pena di morte per l'assassino; e persino dietro alla pena del taglio della mano per il ladro o dell'evirazione per lo stupratore.
Pene di inaudita crudeltà, ma che si esauriscono nello spazio di qualche minuto, pur avendo poi un effetto definitivo o permanente.
Ma tener chiuso uno per quattordici anni in un buco senza finestre, e sapendo che quello e tanti come lui stanno lì, e riuscire lo stesso ad andare a casa per cena, giocare con i figli e fare il barbecue in giardino, questo supera la mia capacità d'immaginazione.
Ma in fondo un carceriere non è detto sia una persona del tutto normale. Ancor peggio è quindi il New Yorker stesso, che -è vero- solleva il velo del silenzio, ma con quel punto interrogativo si trincera dietro un muro di ipocrisia. O, peggio, il punto interrogativo indica una domanda vera e non retorica.
Che dire della società americana di oggi (la stessa che ha inventato il famigerato Camp Delta, non dimentichiamolo)? Può essere interessante fare il confronto con la sentenza riportata dal New Yorker della U.S. Supreme Court, pronunciata dal giudice Samuel Miller quale majority opinion, in un caso riguardante un detenuto tenuto in isolamento per un mese:
A considerable number of the prisoners fell, after even a short confinement, into a semi-fatuous condition, from which it was next to impossible to arouse them, and others became violently insane; others, still, committed suicide; while those who stood the ordeal better were not generally reformed, and in most cases did not recover suffcient mental activity to be of any subsequent service to the communityEra il 1890!
Centocinque anni dopo, nel 1995, una corte federale, con riferimento alla pretesa incostituzionalità di una prigione supermax della California, statuì che le condizioni di detenzione potevano essere considerate hover on the edge of what is humanly tolerable for those with normal resilience, ma ciononostante non crudeli o inusuali (formula dell'ottavo emendamento, che riprende l'analoga formula del Bill of Right inglese 1689, del quale prima o poi torneremo a parlare) in quanto tali condizioni con comportano a sufficiently high risk to all inmates of incurring a serious mental illness. In altre parole: l'isolamento non sarebbe incostituzionale, dato che non fa andare tutti al manicomio.
Andando avanti nella lettura dell'articolo, si scopre che ci sono anche molti direttori di prigione che vorrebbero abolire o ridurre drasticamente i casi di detenzione in isolamento, ma non possono farlo perché le reazioni dell'opinione pubblica sarebbero insostenibili. E qui, dilaniato dal disgusto, chiudo questa noterella consigliando caldamente la lettura dell'articolo.
Etichette:
america
giovedì 26 marzo 2009
Vénalité des Charges
Nei bei tempi dell'Ancien Régime gli uffici pubblici erano ricoperti da funzionari cui il Sovrano delegava una parte del proprio potere affinché sbrigassero in suo nome taluni affari.
Taluni incarichi, quale quello di collettore delle imposte, avevano un notevole riscontro economico, dato che gli esattori trattenevano parte delle imposte raccolte quale compenso per la propria attività; ma anche gli uffici che non consentivano di arricchirsi (non che ve ne fossero poi tanti, anche in questa categoria) avevano comunque un valore, ad esempio in quanto comportavano esenzioni fiscali, o costituivano gradini verso l'innalzamento nella scala sociale e strumenti per avvicinarsi alla nobiltà, se borghesi, o per aumentare il proprio prestigio.
Fu così che pian piano l'accesso alle cariche fu condizionato al pagamento di una tassa, il che non destò grande scandalo finché Francesco I, che come al solito aveva bisogno di soldi per pagare dei mercenari svizzeri, non pose in vendita dei posti di giudice al Parlamento di Parigi.
Era nata la venalità delle cariche, istituto fondamentale della storia francese che non solo sopravvisse indisturbato sino alla Rivoluzione, ma anzi ebbe notevoli evoluzioni con il tempo.
La prima notevole conseguenza fu il fatto che il funzionario, una volta pagata la tassa, aveva qualcosa di molto simile alla proprietà dell'ufficio: del resto chi comprerebbe una casa sapendo che il costruttore può riprendersela quando vuole? Ecco così che il Re stesso, a causa della venalità delle cariche, vide ridursi il suo potere di allontanare funzionari infedeli o inefficienti ai soli casi di colpa grave o tradimento.
Il secondo passaggio fu quello di considerare che, se la carica era una proprietà del funzionario, questi poteva anche rivenderla a terzi: e infatti così fu, seppure in forme molto meno crude di quelle che qui vi descrivo.
Con Enrico IV poi il giochino perse ogni barlume di dignità, e -sempre contro pagamento di una tassa annuale, detta Paulette- le cariche pubbliche divennero trasmissibili per eredità e per compravendita, esattamente come le carrozze o i poderi.
Quando ho letto (via Sofri) che Pippo Civati trova vergognoso che taluni parlamentari del PD non abbiano versatola tassa il contributo al Partito di euri 50.000, mi sono sovvenuti alla memoria i miei studi sul Parlamento di Parigi, e francamente a un primo esame ciò che mi è sembrato vergognoso non è stato il comportamento di chi non vuole versare la Paulette al partito, bensì il comportamento del Partito che ha imposto la tassa.
Poi ci ho pensato meglio, e devo ammettere che, dato che nell'attuale sistema i parlamentari non sono eletti dal popolo, bensì nominati dalle segreterie dei partiti, mi sembra del tutto accettabile il fatto che le stesse segreterie definiscano un listino prezzi per diventare parlamentare.
Potrei anche suggerire di organizzare delle aste su eBay, per massimizzare i ricavi: che ne dite?
Taluni incarichi, quale quello di collettore delle imposte, avevano un notevole riscontro economico, dato che gli esattori trattenevano parte delle imposte raccolte quale compenso per la propria attività; ma anche gli uffici che non consentivano di arricchirsi (non che ve ne fossero poi tanti, anche in questa categoria) avevano comunque un valore, ad esempio in quanto comportavano esenzioni fiscali, o costituivano gradini verso l'innalzamento nella scala sociale e strumenti per avvicinarsi alla nobiltà, se borghesi, o per aumentare il proprio prestigio.
Fu così che pian piano l'accesso alle cariche fu condizionato al pagamento di una tassa, il che non destò grande scandalo finché Francesco I, che come al solito aveva bisogno di soldi per pagare dei mercenari svizzeri, non pose in vendita dei posti di giudice al Parlamento di Parigi.
Era nata la venalità delle cariche, istituto fondamentale della storia francese che non solo sopravvisse indisturbato sino alla Rivoluzione, ma anzi ebbe notevoli evoluzioni con il tempo.
La prima notevole conseguenza fu il fatto che il funzionario, una volta pagata la tassa, aveva qualcosa di molto simile alla proprietà dell'ufficio: del resto chi comprerebbe una casa sapendo che il costruttore può riprendersela quando vuole? Ecco così che il Re stesso, a causa della venalità delle cariche, vide ridursi il suo potere di allontanare funzionari infedeli o inefficienti ai soli casi di colpa grave o tradimento.
Il secondo passaggio fu quello di considerare che, se la carica era una proprietà del funzionario, questi poteva anche rivenderla a terzi: e infatti così fu, seppure in forme molto meno crude di quelle che qui vi descrivo.
Con Enrico IV poi il giochino perse ogni barlume di dignità, e -sempre contro pagamento di una tassa annuale, detta Paulette- le cariche pubbliche divennero trasmissibili per eredità e per compravendita, esattamente come le carrozze o i poderi.
Quando ho letto (via Sofri) che Pippo Civati trova vergognoso che taluni parlamentari del PD non abbiano versato
Poi ci ho pensato meglio, e devo ammettere che, dato che nell'attuale sistema i parlamentari non sono eletti dal popolo, bensì nominati dalle segreterie dei partiti, mi sembra del tutto accettabile il fatto che le stesse segreterie definiscano un listino prezzi per diventare parlamentare.
Potrei anche suggerire di organizzare delle aste su eBay, per massimizzare i ricavi: che ne dite?
mercoledì 25 marzo 2009
Una mezza milionata
Lo so, adorati lettori, che la vostra faccia è più presentabile di quella del signore qui a fianco, e che quindi siete assolutamente certi che non potrà mai capitarvi di essere accusati di alcun reato ed essere sbattuti in galera.
E che confidate che, quand'anche ciò dovesse succedere, la giustizia trionferà in pochi giorni e tutto sarà chiarito.
Del resto, con le tecnologie che ci sono al giorno d'oggi (impronte digitali, Luminol, analisi del DNA...) la Scientifica ci metterebbe poche ore a capire che voi non c'entravate per nulla, con quella brutta storia.
E se per avventura mentre siete in galera, e la polizia ha già trovato le prove che dimostrano che voi non c'entrate, arrivasse un'altra sconosciuta ad accusarvi di un altro delitto, l'autore del quale fino al giorno prima era stato da lei stessa descritto con vent'anni meno e venti centimetri più di quanto voi non abbiate, comincereste a chiedervi come mai hanno preso proprio voi, per una puntata di Scherzi a parte: voi che, con tutto il rispetto parlando, non contate una fava; e comincereste a pretendere che questi di Mediaset si mettessero a srotolarlo, il benedetto striscione, perché il gioco è bello ma è durato un po' troppo.
Ecco: a voi tutto ciò non tocca. Ma se riuscite ad immaginare per un attimo che potrebbe toccarvi, sappiate che il risarcimento per l'ingiusta detenzione cautelare vi spetterebbe nella misura di € 235,82 al giorno, sempreché il vostro comportamento non sia stato tale, per vostro dolo o per vostra colpa grave, da dare causa o concorrere a dar causa alla detenzione che vi sareste cercati.
Colpa grave che, secondo gli arzigogoli della giurisprudenza, potrebbe anche solo consistere nell'avere una brutta faccia! no, non è che dica proprio così la Cassazione: ma talora ci va assai vicino)
E che confidate che, quand'anche ciò dovesse succedere, la giustizia trionferà in pochi giorni e tutto sarà chiarito.
Del resto, con le tecnologie che ci sono al giorno d'oggi (impronte digitali, Luminol, analisi del DNA...) la Scientifica ci metterebbe poche ore a capire che voi non c'entravate per nulla, con quella brutta storia.
E se per avventura mentre siete in galera, e la polizia ha già trovato le prove che dimostrano che voi non c'entrate, arrivasse un'altra sconosciuta ad accusarvi di un altro delitto, l'autore del quale fino al giorno prima era stato da lei stessa descritto con vent'anni meno e venti centimetri più di quanto voi non abbiate, comincereste a chiedervi come mai hanno preso proprio voi, per una puntata di Scherzi a parte: voi che, con tutto il rispetto parlando, non contate una fava; e comincereste a pretendere che questi di Mediaset si mettessero a srotolarlo, il benedetto striscione, perché il gioco è bello ma è durato un po' troppo.
Ecco: a voi tutto ciò non tocca. Ma se riuscite ad immaginare per un attimo che potrebbe toccarvi, sappiate che il risarcimento per l'ingiusta detenzione cautelare vi spetterebbe nella misura di € 235,82 al giorno, sempreché il vostro comportamento non sia stato tale, per vostro dolo o per vostra colpa grave, da dare causa o concorrere a dar causa alla detenzione che vi sareste cercati.
Colpa grave che, secondo gli arzigogoli della giurisprudenza, potrebbe anche solo consistere nell'avere una brutta faccia! no, non è che dica proprio così la Cassazione: ma talora ci va assai vicino)
Etichette:
maestrino
Internet Explorer
L'altro giorno ho installato Internet Explorer 8, proprio quando è uscito.
Intendiamoci: di regola io uso Opera, ovviamente non standard (aver creato l'attuale rete offre una serie di vantaggi: primo tra tutti avere -o sapere come fare ad avere- i diritti di amministrazione sulla macchina personale), ma qui al lavoro ci sono alcune cose che con Opera non vanno proprio e necessitano IE.
Dato che il nuovo motore di IE8 dovrebbe rispettare gli standard, a differenza del predecessore, ho preso e l'ho installato.
Oggi ha iniziato a crashare con Gmail, poi con la intranet aziendale e infine anche con il sito di Microsoft Update, per cui ho ripreso l'ho disinstallato e sono tornato a IE7.
Giusto perché, se volete farlo anche voi, siate avvertiti.
Intendiamoci: di regola io uso Opera, ovviamente non standard (aver creato l'attuale rete offre una serie di vantaggi: primo tra tutti avere -o sapere come fare ad avere- i diritti di amministrazione sulla macchina personale), ma qui al lavoro ci sono alcune cose che con Opera non vanno proprio e necessitano IE.
Dato che il nuovo motore di IE8 dovrebbe rispettare gli standard, a differenza del predecessore, ho preso e l'ho installato.
Oggi ha iniziato a crashare con Gmail, poi con la intranet aziendale e infine anche con il sito di Microsoft Update, per cui ho ripreso l'ho disinstallato e sono tornato a IE7.
Giusto perché, se volete farlo anche voi, siate avvertiti.
martedì 24 marzo 2009
Altrimenti ci arrabbiamo
E mentre invitiamo i diversi interlocutori a non abbandonare mai il linguaggio di quel rispetto che è indice di civiltà, vorremmo anche dire – sommessamente ma con energia − che non accetteremo che il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso.(qui)
non abbandonare mai il linguaggio di quel rispetto che è indice di civiltà, dice: dopo le irrisioni e le offese a Beppino Englaro.
Etichette:
chiesa
Bycycle shed /2
Il titolo di questo post (che è la continuazione di questo) si riferisce al principio organizzativo definito da Cyril Northcote Parkinson secondo il quale gli assuntori di decisioni complesse si perdono nella discussione di particolari senza importanza e anzi prestano un'attenzione inversamente proporzionale alla dimensione del problema.
L'esempio è quello di un consiglio d'amministrazione che deve deliberare sulla costruzione di una centrale nucleare e di un riparo per le biciclette in cortile. Molto probabilmente sulla centrale nucleare non si farà altro che approvare il progetto presentato, dato che nessuno attorno a quel tavolo ha la benché minima competenza per dare un benché minimo contributo, mentre sul riparo molti potranno prendere la parola per dire quale sia il colore migliore, la forma o il materiale: perché si tratta di un argomento alla portata di chiunque.
Se ne parlava qualche giorno fa a proposito dei bonus ai dirigenti di AIG: 160 o 200 milioni di dollari, che sono una briciola rispetto ai 160 miliardi di dollari erogati ad AIG per pagare le proprie obbligazioni.
Oggi tutti i giornali parlano del piano Geithner come di una panacea che dovrebbe tirare fuori il mondo dalla crisi: fa eccezione il solito Krugman, ma lui è uno che vede sempre il bicchiere mezzo vuoto, quandi non conta.
In realtà andando a vedere bene il piano, si tratta di un formidabile contributo fornito dall'amminnistrazione Obama agli speculatori finanziari e alle banche che hanno assunto rischi incontrollati. In altre parole: un mezzo per:
a) far arricchire un po' di squali e
b) distorcere il meccanismo della concorrenza trasferendo risorse dai banchieri prudenti ai banchieri imprudenti, lasciando questi ultimi al loro posto.
Purtroppo non ho il tempo per sviluppare questi concetti (oggi DEVO proprio lavorare), e quindi mi limito a lasciare un po di link qui, qui (questo sembra molto tecnico ma è comprensibile anche al profano), qui; e a fare una sola considerazione, vale a dire che i privati, nel piano:
- mettono il 7,5% dei denari;
- prendono il 50% degli utili;
- hanno il 100% del controllo delle società che verranno create.
Badate bene: non sto dicendo che la strada presa sia sbagliata: non ho la pretesa di insegnare al governo USA cosa deve fare: è possibile, e forse addirittura probabile, che il piano di Tim Geithner sia l'unico praticabile (anche se Krugman, che comunque ha vinto un Nobel e quindi un po' più di autorità ce l'ha, così non crede; ma lui in fondo in fondo è un comunista mancato :-))).
Sto dicendo semplicemente che è un piano che presenta delle fortissime criticità, non tanto dal punto di vista delle probabilità di successo (non è di ciò che discutiamo), quanto dal punto di vista etico. Se far arricchire degli speculatori è l'unico modo di salvare l'economia americana, ben venga; ma sia chiaro che si stanno facendo arricchire degli speculatori. E le cifre messe in campo sono di tre o addirittura quattro ordini di grandezza superiori a quelle dei bonus AIG.
Solo che a criticare i bonus sono capaci tutti, perché è qualcosa di immediatamente percettibile; mentre a capire il piano ci vuole studio e fatica.
L'esempio è quello di un consiglio d'amministrazione che deve deliberare sulla costruzione di una centrale nucleare e di un riparo per le biciclette in cortile. Molto probabilmente sulla centrale nucleare non si farà altro che approvare il progetto presentato, dato che nessuno attorno a quel tavolo ha la benché minima competenza per dare un benché minimo contributo, mentre sul riparo molti potranno prendere la parola per dire quale sia il colore migliore, la forma o il materiale: perché si tratta di un argomento alla portata di chiunque.
Se ne parlava qualche giorno fa a proposito dei bonus ai dirigenti di AIG: 160 o 200 milioni di dollari, che sono una briciola rispetto ai 160 miliardi di dollari erogati ad AIG per pagare le proprie obbligazioni.
Oggi tutti i giornali parlano del piano Geithner come di una panacea che dovrebbe tirare fuori il mondo dalla crisi: fa eccezione il solito Krugman, ma lui è uno che vede sempre il bicchiere mezzo vuoto, quandi non conta.
In realtà andando a vedere bene il piano, si tratta di un formidabile contributo fornito dall'amminnistrazione Obama agli speculatori finanziari e alle banche che hanno assunto rischi incontrollati. In altre parole: un mezzo per:
a) far arricchire un po' di squali e
b) distorcere il meccanismo della concorrenza trasferendo risorse dai banchieri prudenti ai banchieri imprudenti, lasciando questi ultimi al loro posto.
Purtroppo non ho il tempo per sviluppare questi concetti (oggi DEVO proprio lavorare), e quindi mi limito a lasciare un po di link qui, qui (questo sembra molto tecnico ma è comprensibile anche al profano), qui; e a fare una sola considerazione, vale a dire che i privati, nel piano:
- mettono il 7,5% dei denari;
- prendono il 50% degli utili;
- hanno il 100% del controllo delle società che verranno create.
Badate bene: non sto dicendo che la strada presa sia sbagliata: non ho la pretesa di insegnare al governo USA cosa deve fare: è possibile, e forse addirittura probabile, che il piano di Tim Geithner sia l'unico praticabile (anche se Krugman, che comunque ha vinto un Nobel e quindi un po' più di autorità ce l'ha, così non crede; ma lui in fondo in fondo è un comunista mancato :-))).
Sto dicendo semplicemente che è un piano che presenta delle fortissime criticità, non tanto dal punto di vista delle probabilità di successo (non è di ciò che discutiamo), quanto dal punto di vista etico. Se far arricchire degli speculatori è l'unico modo di salvare l'economia americana, ben venga; ma sia chiaro che si stanno facendo arricchire degli speculatori. E le cifre messe in campo sono di tre o addirittura quattro ordini di grandezza superiori a quelle dei bonus AIG.
Solo che a criticare i bonus sono capaci tutti, perché è qualcosa di immediatamente percettibile; mentre a capire il piano ci vuole studio e fatica.
lunedì 23 marzo 2009
Serracchiani for president
Spinto dal fatto che tutti ne parlano ho messo a letto Nichita, mi sono acceso il PC e mi sono sentito l'intervento di Debora Serracchiani all'Assemblea Nazionale dei Circoli del PD.
Che questa ragazza o giovane donna abbia una faccia e un eloquio simpaticissimi è un dato di fatto; e che abbia avuto la forza di dire da dentro l'istituzione che il Re è nudo pure; e perciò merita un plauso.
Sta di fatto che, ciò detto, non posso risparmiarmi di osservare che quelle cose dette, nella sostanza, altro non sono che le critiche espresse da tempo ormai immemorabile da parte di coloro che, Veltroni regnante, guardavano da fuori quel partito affondare e cercavano di lanciare qualchesalvagentesuggerimento.
E badate che non sto citandomi autoreferenzialmente: quello che ho scritto io l'hanno scritto centinaia o migliaia di altri scribacchini come me o ben più autorevoli di me; mettere dei link sarebbe inutile perché ciascuno di noi ne conosce e ne ricorda molti a tutte le possibili altezza del blogocono.
Che il PD non sia stato un partito bensì un'accozzaglia di voci dissonanti non è cosa scoperta oggi; che la smania di protagonismo delle seconde file (e ben conosciamo i nomi e le facce più o meno fotogeniche) fosse distruttiva, l'abbiamo detto e letto tutti; che la scelta di togliere Ignazio Marino e mettere Dorina Bianchi fosse una scelta dettata da un profondo senso di cupio dissolvi non è opinabile esattamente come non è opinabile il fatto che fosse miope (ma miope da Mr. Magoo) l'astensione al Senato sulla sottoposizione del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in merito alla sentenza Englaro: scelta vigliacca fatta solo per non smuovere le acque e non sollevare la melma.
Questo blog è cominciato il giorno in cui Veltroni aveva deciso che, essendo ingiusto prendere le impronte agli immigrati, avremmo dovuto farci prendere le impronte tutti. Un episodio minore, del quale anche la Serracchiani si è probabilmente dimenticata; e io stesso non lo rammenterei se non fosse per questo imprinting.
Tutto questo pippone per dire che condivido pienamente le critiche della simpatica friulana, che qualcuno ora vorrebbe addirittura come presidente: del Pd o del Consiglio o un giorno fors'anche della Repubblica; e chissà che qualcuna di queste profezie non si avveri, dato che di coraggio, come ricordato, ne ha assai.
Resta, purtroppo per il partito di cui ella fa parte, un problema di fondo a mio -modesto- parere dirimente.
La Serracchiani per più di metà del suo intervento non ha fatto altro che recuperare il vecchio, buono e sano principio del centralismo democratico. Quello per cui il partito decide con il dibattito all'interno e poi all'esterno si presenta con una sola faccia.
Si tratta di un principio perfin banale che viene declinato in mille modi: dal "i panni sporchi si lavano in casa" ai briefing prima di una sessione di negoziazione in cui si decidono le linee guida, i ruoli psicologici da assumere e i limiti di possibile cedimento alle pretese di controparte. Quando si siede al tavolo delle trattative si deve parlare con una voce sola; se un collega dice una cazzata la si difende, e se non è proprio difendibile la si manipola fino a farle dire il contrario.
Il problema è che questo principio funziona per il mondo degli affari; per il vecchio Partito Comunista, che aveva il supporto della sua ideologia; per il partito della libertà, con il suo padre-padrone-azionista di maggioranza.
Per il Partito Democratico così com'è non può funzionare, per due motivi.
Il primo motivo è che il dibattito interno può essere a porte aperte o a porte chiuse, ma tertium non datur. E in un Partito che per statuto ha il pallino delle primarie, cioè dei dibattiti pubblici, non si può pensare che il dibattito si smonti e tutti si intruppino sulla linea del vincitore il momento successivo alla sua proclamazione. Abbiamo visto l'esempio di Obama e Clinton: ma quanto ci hanno messo per riconciliarsi, e quanto frequentemente può succedere? E' possibile che lo stesso modello sia trasportabile nell'agone politico quotidiano, delle scelte da operare giorno per giorno, nel contesto di un Paese dove c'è un appuntamento con qualche forma di elezione ogni sei mesi?
Il secondo motivo è che, come ricordato, il centralismo democratico funzionava nel PCI per la presenza di una fortissima ideologia; e pure nella DC, malgrado le correnti interne, per un altrettanto fortissimo senso di pragmatismo malgrado l'ideologia (non dimentichiamo la firma dei presidenti democristiani in calce alle leggi su divorzio e aborto, e persino gli scontri tra De Gasperi e Pio XII!). Il Partito Democratico (almeno quello di Veltroni) la parola pragmatismo manco sapeva cosa significasse; e quanto al resto, lungi dall'essere post-ideologico, esso poteva essere definito pluri-ideologico: ma già è difficile convivere con una sola di ideologia, figuriamoci con due o tre diverse tra loro!
Certo, ora c'è un democristiano. Non un ex-democristiano, badate bene: un democristiano vero, di scuola di razza purissima quale quella di Zaccagnini, mica l'ultimo ras locale! Uno capace di guardare alla pratica e lasciar perdere la grammatica e la cravatta, se serve. Credo che la sua sia un'impresa disperata, perché le forze centrifughe sono troppo potenti, ma seppur improbabile è possibile che riuscirà nella difficilissima impresa.
Di trasformare il PD nella DC.
Che questa ragazza o giovane donna abbia una faccia e un eloquio simpaticissimi è un dato di fatto; e che abbia avuto la forza di dire da dentro l'istituzione che il Re è nudo pure; e perciò merita un plauso.
Sta di fatto che, ciò detto, non posso risparmiarmi di osservare che quelle cose dette, nella sostanza, altro non sono che le critiche espresse da tempo ormai immemorabile da parte di coloro che, Veltroni regnante, guardavano da fuori quel partito affondare e cercavano di lanciare qualche
E badate che non sto citandomi autoreferenzialmente: quello che ho scritto io l'hanno scritto centinaia o migliaia di altri scribacchini come me o ben più autorevoli di me; mettere dei link sarebbe inutile perché ciascuno di noi ne conosce e ne ricorda molti a tutte le possibili altezza del blogocono.
Che il PD non sia stato un partito bensì un'accozzaglia di voci dissonanti non è cosa scoperta oggi; che la smania di protagonismo delle seconde file (e ben conosciamo i nomi e le facce più o meno fotogeniche) fosse distruttiva, l'abbiamo detto e letto tutti; che la scelta di togliere Ignazio Marino e mettere Dorina Bianchi fosse una scelta dettata da un profondo senso di cupio dissolvi non è opinabile esattamente come non è opinabile il fatto che fosse miope (ma miope da Mr. Magoo) l'astensione al Senato sulla sottoposizione del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in merito alla sentenza Englaro: scelta vigliacca fatta solo per non smuovere le acque e non sollevare la melma.
Questo blog è cominciato il giorno in cui Veltroni aveva deciso che, essendo ingiusto prendere le impronte agli immigrati, avremmo dovuto farci prendere le impronte tutti. Un episodio minore, del quale anche la Serracchiani si è probabilmente dimenticata; e io stesso non lo rammenterei se non fosse per questo imprinting.
Tutto questo pippone per dire che condivido pienamente le critiche della simpatica friulana, che qualcuno ora vorrebbe addirittura come presidente: del Pd o del Consiglio o un giorno fors'anche della Repubblica; e chissà che qualcuna di queste profezie non si avveri, dato che di coraggio, come ricordato, ne ha assai.
Resta, purtroppo per il partito di cui ella fa parte, un problema di fondo a mio -modesto- parere dirimente.
La Serracchiani per più di metà del suo intervento non ha fatto altro che recuperare il vecchio, buono e sano principio del centralismo democratico. Quello per cui il partito decide con il dibattito all'interno e poi all'esterno si presenta con una sola faccia.
Si tratta di un principio perfin banale che viene declinato in mille modi: dal "i panni sporchi si lavano in casa" ai briefing prima di una sessione di negoziazione in cui si decidono le linee guida, i ruoli psicologici da assumere e i limiti di possibile cedimento alle pretese di controparte. Quando si siede al tavolo delle trattative si deve parlare con una voce sola; se un collega dice una cazzata la si difende, e se non è proprio difendibile la si manipola fino a farle dire il contrario.
Il problema è che questo principio funziona per il mondo degli affari; per il vecchio Partito Comunista, che aveva il supporto della sua ideologia; per il partito della libertà, con il suo padre-padrone-azionista di maggioranza.
Per il Partito Democratico così com'è non può funzionare, per due motivi.
Il primo motivo è che il dibattito interno può essere a porte aperte o a porte chiuse, ma tertium non datur. E in un Partito che per statuto ha il pallino delle primarie, cioè dei dibattiti pubblici, non si può pensare che il dibattito si smonti e tutti si intruppino sulla linea del vincitore il momento successivo alla sua proclamazione. Abbiamo visto l'esempio di Obama e Clinton: ma quanto ci hanno messo per riconciliarsi, e quanto frequentemente può succedere? E' possibile che lo stesso modello sia trasportabile nell'agone politico quotidiano, delle scelte da operare giorno per giorno, nel contesto di un Paese dove c'è un appuntamento con qualche forma di elezione ogni sei mesi?
Il secondo motivo è che, come ricordato, il centralismo democratico funzionava nel PCI per la presenza di una fortissima ideologia; e pure nella DC, malgrado le correnti interne, per un altrettanto fortissimo senso di pragmatismo malgrado l'ideologia (non dimentichiamo la firma dei presidenti democristiani in calce alle leggi su divorzio e aborto, e persino gli scontri tra De Gasperi e Pio XII!). Il Partito Democratico (almeno quello di Veltroni) la parola pragmatismo manco sapeva cosa significasse; e quanto al resto, lungi dall'essere post-ideologico, esso poteva essere definito pluri-ideologico: ma già è difficile convivere con una sola di ideologia, figuriamoci con due o tre diverse tra loro!
Certo, ora c'è un democristiano. Non un ex-democristiano, badate bene: un democristiano vero, di scuola di razza purissima quale quella di Zaccagnini, mica l'ultimo ras locale! Uno capace di guardare alla pratica e lasciar perdere la grammatica e la cravatta, se serve. Credo che la sua sia un'impresa disperata, perché le forze centrifughe sono troppo potenti, ma seppur improbabile è possibile che riuscirà nella difficilissima impresa.
Di trasformare il PD nella DC.
Etichette:
franceschini,
serracchiani
Post-it
Per circa tre anni sono stato l'amministratore di sistema di questa baracca, e in quanto tale responsabile anche della sua sicurezza. L'approfondire i motivi per i quali un quasi-avvocato abbia dovuto imparare a configurare un firewall e sviluppare un piano di disaster recovery esula da questo post: serve solo a farvi capire che qualcosina sulla gestione delle password posso dirla con una minima cognizione di causa, anche se da alcuni anni ho ripreso ad occuparmi -per fortuna- di cose legali
Ovviamente in quanto amministratore di sistema avevo tanti account, con tante password, tutte diverse tra loro, complicate e barocche, che conoscevo a memoria e che per sicurezza erano scritte in forma blandamente codificata in un foglietto che tenevo nel portafoglio, just in case, e che non ho mai utilizzato. Ma quello di ricordare le password era parte sostanziale del mio mestiere.
Chi fa analisi di bilancio, o immette rate nel terminale, o si occupa delle spedizioni, invece, ha quella come principale attività. Dovrebbe, anzi deve essere adeguatamente informato sulla necessità di avere delle password un minimo robuste, ma come insegnano le buone regole dovrebbe essere messo in grado di sviluppare un pattern mnemonico talché le proprie password risultino per lui facili da ricordare, ma difficili da indovinare per gli altri.
Se così non è, è automatico che la password venga attaccata al monitor un minuto dopo essere stata assegnata o inserita: per il semplice motivo che la mattina uno che non si occupa direttamente di sicurezza deve iniziare a lavorare: non può, non deve e soprattutto non vuole tirare sempre fuori il portafogli o cercare di ricordare combinazioni di lettere e numeri che a lui non dicono niente; col pericolo poi che esauriti i tentativi di accesso si debba aprire una richiesta di reset, buttando via una mezza giornata di lavoro prima che arrivi la risposta.
L'utente standard qui ha da rammentare due password: quella del dominio windows e quella del sistema informativo legacy. Le nuove policy di sicurezza prevedono che le password:
- scadano ogni 90 giorni;
- debbano essere diverse dalle ultime 18 password utilizzate in precedenza.
Oltre a ciò, sono state poste regole di complessità diverse per i due sistemi: nel primo la password:
-deve essere lunga almeno 8 caratteri
-deve essere composta da almeno 5 caratteri differenti
-deve contenere almeno una maiuscola
-non può avere più di 4 parti ricorsive;
-non deve ricalcare il seguente schema: 2 caratteri alfabetici, 6 caratteri numerici, 1 carattere alfabetico;
-la parola diretta o quella inversa scelta come password non deve essere contenuta in un dizionario contenente circa 77000 parole tra italiane e inglesi e sequenze di numeri.
Nel secondo la password:
- deve essere lunga almeno 8 caratteri;
- può contenere solo caratteri alfanumerici;
- deve contenere caratteri numerici;
- non deve contenere caratteri numerici adiacenti;
- non può contenere alcun carattere che si trovi nella stessa posizione in cui si trovava nella password precedente!
Dopo l'emanazione delle regole di complessità per il primo sistema, in vigore già da qualche mese, è nato un fiorente mercato nero delle password "funzionanti": alti dirigenti e semplici commessi dopo aver tentato cinque o sei volte di cambiare password che venivano sempre rifiutate hanno iniziato a chiamare i fortunati colleghi che erano riusciti, per logica o puro culo, a trovarne una accettata. In pratica mezza banca utilizza tre o quattro password, tutte ugali fra loro.
Con l'entrata in vigore in questi giorni delle regole di complessità per il secondo sistema, il mercato diventerà ancora più fiorente; per intanto è iniziata la corsa all'accaparramento dei post-it.
Ovviamente in quanto amministratore di sistema avevo tanti account, con tante password, tutte diverse tra loro, complicate e barocche, che conoscevo a memoria e che per sicurezza erano scritte in forma blandamente codificata in un foglietto che tenevo nel portafoglio, just in case, e che non ho mai utilizzato. Ma quello di ricordare le password era parte sostanziale del mio mestiere.
Chi fa analisi di bilancio, o immette rate nel terminale, o si occupa delle spedizioni, invece, ha quella come principale attività. Dovrebbe, anzi deve essere adeguatamente informato sulla necessità di avere delle password un minimo robuste, ma come insegnano le buone regole dovrebbe essere messo in grado di sviluppare un pattern mnemonico talché le proprie password risultino per lui facili da ricordare, ma difficili da indovinare per gli altri.
Se così non è, è automatico che la password venga attaccata al monitor un minuto dopo essere stata assegnata o inserita: per il semplice motivo che la mattina uno che non si occupa direttamente di sicurezza deve iniziare a lavorare: non può, non deve e soprattutto non vuole tirare sempre fuori il portafogli o cercare di ricordare combinazioni di lettere e numeri che a lui non dicono niente; col pericolo poi che esauriti i tentativi di accesso si debba aprire una richiesta di reset, buttando via una mezza giornata di lavoro prima che arrivi la risposta.
L'utente standard qui ha da rammentare due password: quella del dominio windows e quella del sistema informativo legacy. Le nuove policy di sicurezza prevedono che le password:
- scadano ogni 90 giorni;
- debbano essere diverse dalle ultime 18 password utilizzate in precedenza.
Oltre a ciò, sono state poste regole di complessità diverse per i due sistemi: nel primo la password:
-deve essere lunga almeno 8 caratteri
-deve essere composta da almeno 5 caratteri differenti
-deve contenere almeno una maiuscola
-non può avere più di 4 parti ricorsive;
-non deve ricalcare il seguente schema: 2 caratteri alfabetici, 6 caratteri numerici, 1 carattere alfabetico;
-la parola diretta o quella inversa scelta come password non deve essere contenuta in un dizionario contenente circa 77000 parole tra italiane e inglesi e sequenze di numeri.
Nel secondo la password:
- deve essere lunga almeno 8 caratteri;
- può contenere solo caratteri alfanumerici;
- deve contenere caratteri numerici;
- non deve contenere caratteri numerici adiacenti;
- non può contenere alcun carattere che si trovi nella stessa posizione in cui si trovava nella password precedente!
Dopo l'emanazione delle regole di complessità per il primo sistema, in vigore già da qualche mese, è nato un fiorente mercato nero delle password "funzionanti": alti dirigenti e semplici commessi dopo aver tentato cinque o sei volte di cambiare password che venivano sempre rifiutate hanno iniziato a chiamare i fortunati colleghi che erano riusciti, per logica o puro culo, a trovarne una accettata. In pratica mezza banca utilizza tre o quattro password, tutte ugali fra loro.
Con l'entrata in vigore in questi giorni delle regole di complessità per il secondo sistema, il mercato diventerà ancora più fiorente; per intanto è iniziata la corsa all'accaparramento dei post-it.
Etichette:
sicurezza
C'è crisi, c'è grande crisi /3
Uno dei più drammatici effetti della crisi economica mondiale può essere osservato nel fatto che la Godwin's Law necessita di essere riformulata, sostituendo a "Hitler" una delle seguenti espressioni: signoraggio; derivati tossici; denaro virtuale.
Con l'importante differenza che più o meno chiunque sa dire qualcosa di sensato sul nazismo; mentre ben pochi sanno anche vagamente cosa sia un derivato.
Con l'importante differenza che più o meno chiunque sa dire qualcosa di sensato sul nazismo; mentre ben pochi sanno anche vagamente cosa sia un derivato.
Etichette:
crisi
venerdì 20 marzo 2009
A posteriori /segue
In un commento al precedente post Scorfano solleva una questione che mi pare valga la pena di approfondire. Queste le sue osservazioni:
Vediamo la mia storia:
Nel 2003 i miei genitori, ormai anziani e che avevano trascorso una vita in affitto, comprarono casa. L'appartamento era di un fondo pensione che lo mise in vendita, e quindi era una scelta obbligata, visto che al tempo trovare un altro appartamento in affitto era pressoché impossibile.
Mi chiesero consiglio ed io consigliai loro, con insistenza, di stipulare un tasso variabile, perché allora il differenziale tra fisso e variabile era sensibilmente elevato e non ci si attendeva il rialzo che avvenne.
Chi aveva lavorato in banca da qualche anno rammentava i tassi al 15% di dieci anni prima, e ben sapeva che simili livelli, con i quali si era riuscito a convivere, non si sarebbero più ripresentati. Oltretutto non si contavano più le volte in cui ci eravamo detti "più di così i tassi non possono scendere: ora dovranno per forza salire!", ogni volta smentiti dai fatti. Avevamo visto varcare la soglia del 10, del 7, del 5, del 4, del 3...
Forse avevamo perso la prospettiva del limite costituito dallo zero; forse ragionavamo in scala logaritmica anziché lineare e quindi credevamo che la distanza dal 20 al 2 fosse confrontabile con quela dal 2 all'1.
Tenete poi presente che le mie erano considerazoni personali, dato che non sono un risk manager o un analista; ma erano generalmente condivise dai colleghi.
Sta di fatto che, mi ripeto, il differenziale tra fisso e variabile era elevato; e comunque il reddito dei miei vecchi consentiva un minimo di spazio anche in caso di aumento della rata.
Qualche mese dopo la stipula, se ben ricordo, ci fu il primo segnale di inversione di tendenza: il primo rialzo della BCE. La cosa provocò una certa tensione, se ne parlò a lungo. I miei ricevettero una lettera con la quale la banca proponeva la sottoscrizione di un derivato: non ho qui i numeri precisi ma più o meno con 3.200 euri circa potevano "cappare" il tasso base (l'Euribor) al 4,20% per cinque anni: vale a dire che per cinque anni, se l'Euribor avesse superato tale soglia, la differenza sulla rata sarebbe stata pagata dal derivato e non da loro.
Era una cosa un po' più complessa da valutare, e andai a trovare il nostro guru dei derivati: un'autorità in materia. Egli mise i numeri in un suo programma e mi disse che quel derivato proposto, in quell'orizzonte temporale, aveva una probabilità del 28% di attivarsi (vale a dire di rendere almeno un euro). Ma perché risultasse conveniente avrebbe dovuto rendere almeno 3.600 euro: vale a dire i 3.200 che mio padre avrebbe dovuto pagare, più gli interessi (dato che egli avrebbe pagato subito, mentre il beneficio l'avrebbe visto nei cinque anni, in massima parte verso la fine).
Valutò anche quanto sarebbe stato il prezzo di un simile derivato (il mark to market), quotandolo in circa 1.100 euro.
Consigliai quindi a mio padre di non stipulare il contratto, e da quel giorno ad ogni aumento di tasso mi sentivo filippiche su quanto avesse fatto male a darmi retta.
A posteriori, posso affermare che entrambi i consigli fornitigli si sono dimostrati validi: a tutt'oggi, nonostante tutto, i miei hanno pagato meno di quanto avrebbero pagato se avessero stipulato un fisso fin dall'origine; e quanto al derivato, sottoscriverlo sarebbe stata una corbelleria.
Dal punto di vista psicologico, è evidente che rispetto ai miei genitori non potevo che essere in buona fede, e quindi la possibilità che tirassi a fregarli è esclusa. Certo, le cose avrebbero potuto andare diversamente, e mia madre, ormai vedova, avrebbe potuto passare ora un brutto momento: ma ciascuno di noi può solo fare delle ragionevoli assunzioni sul futuro, non certo conoscerlo; e se qualcuno avesse la sfera di cristallo, non lavorerebbe in banca e non giocherebbe neppure in borsa, ma passerebbe il tempo in sala corse.
I consigli da me forniti li ho elaborati sulla base di ragionamenti che, tenendo conto dei possibili rischi delle due soluzioni prospettabili, mi avevano consentito di scegliere quella che, a priori, appariva più conveniente. Le mie scelte avrebbero potuto dimostrarsi perdenti, ma comunque nel 2003 sarebbe stato poco accorto prendere un'altra decisione; i fatti hanno dimostrato che invece ho avuto ragione, ma avrebbe potuto anche andare diversamente.
Ci sono poi scelte completamente diverse, quali quella sulla sottoscrizione dell'accordo ABI-MEF da cui eravamo partiti per il precedente post. Qui avevamo due scelte (sottoscrivere o non sottoscrivere) delle quali una offriva solo vantaggi e nessuno svantaggio. Lo dico qui apoditticamente perché ho già speso i miei canonici sette articoli per argomentare questa affermazione: chi è interessato può andare a rileggerseli. In questo caso siamo di fronte a una non-scelta: nella generalità dei casi, salvo eccezioni particolari, non ha molto senso non sottoscrivere un accordo che va solo a proprio vantaggio.
Ecco quindi che il collega che si fosse trovato, interpellato dal cliente, a sconsigliare la sottoscrizione, avrebbe reso un pessimo servigio.
Io ovviamente sono andato con mia madre a sottoscriverlo, l'accordo: e ho durato grandissima fatica a convincerla, grazie anche ad Adusbef (associazione sulla quale molto ci sarebbe da dire!), Codacons, Altroconsumo e compagnia cantante. Lì ho trovato un collega (sia pur di altra banca, pur sempre di collega si tratta), che ci ha guardato stranito, dato che eravamo i primi interessati che avesse visto: e ha cercato di sconsigliarci.
Ho capito che era in perfetta buona fede: quanto ci diceva non lo faceva per dovere, ma proprio perché ci credeva; e credo che quel poco che sapeva (veramente poco!) fosse frutto più dell'ascolto del telegiornale che di istruzioni impartite dalla banca.
Che dire, in conclusione? Mi sembra ci sia spazio per varie considerazioni.
Anzitutto, che nessuna banca istruisce i dipendenti al fine di fregare il cliente. Sarebbe impossibile tenere il segreto, anche perché rimarrebbero le circolari scritte, e non è pensabile un passaparola omertoso, considerato anche il turn-over, il grado di sindacalizzazione e la frequente litigiosità tra banche e dipendenti: sarebbe una formidabile arma di ricatto nelle mani dei lavoratori!
Diverso è l'assegnare obiettivi individuali particolarmente incentrati su certi prodotti: qui il dipendente agisce in perfetta buona fede, mentre per quanto concerne i vertici non sono in grado di trarre un giudizio. Non ho vissuto né la vicenda dei bond argentini né Cirio né Parmalat; ho seguito da vicino una vicenda analoga, seppur in scala estremamente più ridotta e posso dire che, perlomeno in quel caso, la colpa principale era di chi, improvvisandosi Soros, pensava di fare l'affare della vita comprendo azioni di una società sull'orlo del fallimento; ma, ripeto, si tratta di fattispecie molto ma molto diverse.
Una seconda considerazione è che, a fare i conti e allo stato attuale delle cose, il consiglio di scegliere il tasso variabile si è dimostrato alla prova dei fatti azzeccato. Ci sono, certo, delle variabili personali: una persona con una fortissima avversione al rischio, che magari potrebbe somatizzare l'incertezza perdendo il sonno la notte, avrebbe fatto sicuramente bene a contrattare a tasso fisso, perché la propria salute vale infinitamente più di quel pugno di euri risparmiato; ma per l'utente medio, il consiglio era adeguato.
Una terza, importante considerazione, è che bisogna sempre ricordare chi ci si trova di fronte in banca non è un oracolo. Egli non ha notizie riservate che potrebbero farvi arricchire e che condividerà con voi. Se fosse un indovino non sarebbe lì; e se avesse notizie riservate neppure, dato che chi le possiede ha un grado tale da non rammentare nemmeno più che cosa sia, uno sportello, ammesso che vi ci sia mai seduto dietro. Probabilmente il vostro interlocutore ha letto Milano Finanza e poco più, ed ha l'obiettivo di vendere un po' di fondi, un po' di assicurazioni e far qualche operazione in azioni, tutto lì.
Pensiamoci un attimo: se aveste veramente una dritta sicura sul cavallo giusto, lo consigliereste a cani e porci per far crollare il totalizzatore e alzare un pugno di biglietti da cinquanta, o piuttosto la terreste gelosamente segreta per far sì che le quote restino alte? Ecco, vi siete risposti da soli. E con i tassi non cambia nulla, salvo che prevedere i tassi futuri è molto più difficile che azzeccare una tris.
Io, proprio nel 2003, cominciai a pensare di comprare casa. Andai in alcune agenzie e poi in una banca, per la questione del mutuo. Mi consigliarono con insistenza il tasso variabile; quando io dissi che mi sentivo psicologicamente più portato per il tasso fisso, quasi mi presero in giro.
(psicologicamente: so che devo pagare quella cifra per vent'anni, non mi preoccupo più, visto che non capisco niente di economia)
Per fortuna non comprai casa; l'ho poi acquistata due anni fa senza accendere nessun mutuo, grazie a un po' di fortuna. Però spesso ripenso a quel consiglio. Come ripenso all'amico che mi consiglio vivamente di comprare i bond argentini. E non ho ancora compreso davvero se sono pagati per fregarmi o se, invece, non ci capiscono niente nemmeno loro, nonostante quell'aria da so-tutto-io.
Vediamo la mia storia:
Nel 2003 i miei genitori, ormai anziani e che avevano trascorso una vita in affitto, comprarono casa. L'appartamento era di un fondo pensione che lo mise in vendita, e quindi era una scelta obbligata, visto che al tempo trovare un altro appartamento in affitto era pressoché impossibile.
Mi chiesero consiglio ed io consigliai loro, con insistenza, di stipulare un tasso variabile, perché allora il differenziale tra fisso e variabile era sensibilmente elevato e non ci si attendeva il rialzo che avvenne.
Chi aveva lavorato in banca da qualche anno rammentava i tassi al 15% di dieci anni prima, e ben sapeva che simili livelli, con i quali si era riuscito a convivere, non si sarebbero più ripresentati. Oltretutto non si contavano più le volte in cui ci eravamo detti "più di così i tassi non possono scendere: ora dovranno per forza salire!", ogni volta smentiti dai fatti. Avevamo visto varcare la soglia del 10, del 7, del 5, del 4, del 3...
Forse avevamo perso la prospettiva del limite costituito dallo zero; forse ragionavamo in scala logaritmica anziché lineare e quindi credevamo che la distanza dal 20 al 2 fosse confrontabile con quela dal 2 all'1.
Tenete poi presente che le mie erano considerazoni personali, dato che non sono un risk manager o un analista; ma erano generalmente condivise dai colleghi.
Sta di fatto che, mi ripeto, il differenziale tra fisso e variabile era elevato; e comunque il reddito dei miei vecchi consentiva un minimo di spazio anche in caso di aumento della rata.
Qualche mese dopo la stipula, se ben ricordo, ci fu il primo segnale di inversione di tendenza: il primo rialzo della BCE. La cosa provocò una certa tensione, se ne parlò a lungo. I miei ricevettero una lettera con la quale la banca proponeva la sottoscrizione di un derivato: non ho qui i numeri precisi ma più o meno con 3.200 euri circa potevano "cappare" il tasso base (l'Euribor) al 4,20% per cinque anni: vale a dire che per cinque anni, se l'Euribor avesse superato tale soglia, la differenza sulla rata sarebbe stata pagata dal derivato e non da loro.
Era una cosa un po' più complessa da valutare, e andai a trovare il nostro guru dei derivati: un'autorità in materia. Egli mise i numeri in un suo programma e mi disse che quel derivato proposto, in quell'orizzonte temporale, aveva una probabilità del 28% di attivarsi (vale a dire di rendere almeno un euro). Ma perché risultasse conveniente avrebbe dovuto rendere almeno 3.600 euro: vale a dire i 3.200 che mio padre avrebbe dovuto pagare, più gli interessi (dato che egli avrebbe pagato subito, mentre il beneficio l'avrebbe visto nei cinque anni, in massima parte verso la fine).
Valutò anche quanto sarebbe stato il prezzo di un simile derivato (il mark to market), quotandolo in circa 1.100 euro.
Consigliai quindi a mio padre di non stipulare il contratto, e da quel giorno ad ogni aumento di tasso mi sentivo filippiche su quanto avesse fatto male a darmi retta.
A posteriori, posso affermare che entrambi i consigli fornitigli si sono dimostrati validi: a tutt'oggi, nonostante tutto, i miei hanno pagato meno di quanto avrebbero pagato se avessero stipulato un fisso fin dall'origine; e quanto al derivato, sottoscriverlo sarebbe stata una corbelleria.
Dal punto di vista psicologico, è evidente che rispetto ai miei genitori non potevo che essere in buona fede, e quindi la possibilità che tirassi a fregarli è esclusa. Certo, le cose avrebbero potuto andare diversamente, e mia madre, ormai vedova, avrebbe potuto passare ora un brutto momento: ma ciascuno di noi può solo fare delle ragionevoli assunzioni sul futuro, non certo conoscerlo; e se qualcuno avesse la sfera di cristallo, non lavorerebbe in banca e non giocherebbe neppure in borsa, ma passerebbe il tempo in sala corse.
I consigli da me forniti li ho elaborati sulla base di ragionamenti che, tenendo conto dei possibili rischi delle due soluzioni prospettabili, mi avevano consentito di scegliere quella che, a priori, appariva più conveniente. Le mie scelte avrebbero potuto dimostrarsi perdenti, ma comunque nel 2003 sarebbe stato poco accorto prendere un'altra decisione; i fatti hanno dimostrato che invece ho avuto ragione, ma avrebbe potuto anche andare diversamente.
Ci sono poi scelte completamente diverse, quali quella sulla sottoscrizione dell'accordo ABI-MEF da cui eravamo partiti per il precedente post. Qui avevamo due scelte (sottoscrivere o non sottoscrivere) delle quali una offriva solo vantaggi e nessuno svantaggio. Lo dico qui apoditticamente perché ho già speso i miei canonici sette articoli per argomentare questa affermazione: chi è interessato può andare a rileggerseli. In questo caso siamo di fronte a una non-scelta: nella generalità dei casi, salvo eccezioni particolari, non ha molto senso non sottoscrivere un accordo che va solo a proprio vantaggio.
Ecco quindi che il collega che si fosse trovato, interpellato dal cliente, a sconsigliare la sottoscrizione, avrebbe reso un pessimo servigio.
Io ovviamente sono andato con mia madre a sottoscriverlo, l'accordo: e ho durato grandissima fatica a convincerla, grazie anche ad Adusbef (associazione sulla quale molto ci sarebbe da dire!), Codacons, Altroconsumo e compagnia cantante. Lì ho trovato un collega (sia pur di altra banca, pur sempre di collega si tratta), che ci ha guardato stranito, dato che eravamo i primi interessati che avesse visto: e ha cercato di sconsigliarci.
Ho capito che era in perfetta buona fede: quanto ci diceva non lo faceva per dovere, ma proprio perché ci credeva; e credo che quel poco che sapeva (veramente poco!) fosse frutto più dell'ascolto del telegiornale che di istruzioni impartite dalla banca.
Che dire, in conclusione? Mi sembra ci sia spazio per varie considerazioni.
Anzitutto, che nessuna banca istruisce i dipendenti al fine di fregare il cliente. Sarebbe impossibile tenere il segreto, anche perché rimarrebbero le circolari scritte, e non è pensabile un passaparola omertoso, considerato anche il turn-over, il grado di sindacalizzazione e la frequente litigiosità tra banche e dipendenti: sarebbe una formidabile arma di ricatto nelle mani dei lavoratori!
Diverso è l'assegnare obiettivi individuali particolarmente incentrati su certi prodotti: qui il dipendente agisce in perfetta buona fede, mentre per quanto concerne i vertici non sono in grado di trarre un giudizio. Non ho vissuto né la vicenda dei bond argentini né Cirio né Parmalat; ho seguito da vicino una vicenda analoga, seppur in scala estremamente più ridotta e posso dire che, perlomeno in quel caso, la colpa principale era di chi, improvvisandosi Soros, pensava di fare l'affare della vita comprendo azioni di una società sull'orlo del fallimento; ma, ripeto, si tratta di fattispecie molto ma molto diverse.
Una seconda considerazione è che, a fare i conti e allo stato attuale delle cose, il consiglio di scegliere il tasso variabile si è dimostrato alla prova dei fatti azzeccato. Ci sono, certo, delle variabili personali: una persona con una fortissima avversione al rischio, che magari potrebbe somatizzare l'incertezza perdendo il sonno la notte, avrebbe fatto sicuramente bene a contrattare a tasso fisso, perché la propria salute vale infinitamente più di quel pugno di euri risparmiato; ma per l'utente medio, il consiglio era adeguato.
Una terza, importante considerazione, è che bisogna sempre ricordare chi ci si trova di fronte in banca non è un oracolo. Egli non ha notizie riservate che potrebbero farvi arricchire e che condividerà con voi. Se fosse un indovino non sarebbe lì; e se avesse notizie riservate neppure, dato che chi le possiede ha un grado tale da non rammentare nemmeno più che cosa sia, uno sportello, ammesso che vi ci sia mai seduto dietro. Probabilmente il vostro interlocutore ha letto Milano Finanza e poco più, ed ha l'obiettivo di vendere un po' di fondi, un po' di assicurazioni e far qualche operazione in azioni, tutto lì.
Pensiamoci un attimo: se aveste veramente una dritta sicura sul cavallo giusto, lo consigliereste a cani e porci per far crollare il totalizzatore e alzare un pugno di biglietti da cinquanta, o piuttosto la terreste gelosamente segreta per far sì che le quote restino alte? Ecco, vi siete risposti da soli. E con i tassi non cambia nulla, salvo che prevedere i tassi futuri è molto più difficile che azzeccare una tris.
Etichette:
abi-tremonti,
io,
mutui
giovedì 19 marzo 2009
A posteriori
Tempo addietro, quando ancora non era scoppiata la crisi e di parlava del rischio dell'inflazione e della crescita inarrestabile dei tassi d'interesse, ho scritto una serie di articoli su questo blog.
L'occasione era l'entrata in vigore dell'accordo ABI-Tremonti con il quale veniva offerto alle famiglie uno strumento per calmierare l'ammontare delle rate sui mutui a tasso variabile; accordo che conoscevo bene in quanto facevo parte del gruppo di studio che, nella banca per cui lavoro, doveva mettere in attuazione le relative regole.
In quel periodo le associazioni dei consumatori, la stampa generalista e le stesse Banche riuscirono a esprimere quasi unanimemente lo stesso concetto: vale a dire che l'accordo in questione non conveniva assolutamente, e che bene avrebbero fatto invece gli italiani a rinegoziare i mutui, passando al tasso fisso dal variabile approfittando della cosiddetta "portabilità" introdotta dall'art. 1202 del Codice Civile (articolo scritto non già da Bersani, bensì dal Cavaliere; e neppur quello tricotrapiantato, bensì quello con il mascellone).
Si distinsero, nell'orientare le scelte del pubblico, alcuni soloni, tra cui ci piace ricordare:
Non sono andato, per mancanza sia di voglia che di tempo, a leggere i siti dei signori e delle istituzioni sopra citate, per cui se mi sbaglio farò pubblica ammenda; ma non risulta che nessun di loro abbia mai ammesso con i propri lettori:
"Scusate, vi ho mal consigliato"..
Lo dovrebbero fare.
L'occasione era l'entrata in vigore dell'accordo ABI-Tremonti con il quale veniva offerto alle famiglie uno strumento per calmierare l'ammontare delle rate sui mutui a tasso variabile; accordo che conoscevo bene in quanto facevo parte del gruppo di studio che, nella banca per cui lavoro, doveva mettere in attuazione le relative regole.
In quel periodo le associazioni dei consumatori, la stampa generalista e le stesse Banche riuscirono a esprimere quasi unanimemente lo stesso concetto: vale a dire che l'accordo in questione non conveniva assolutamente, e che bene avrebbero fatto invece gli italiani a rinegoziare i mutui, passando al tasso fisso dal variabile approfittando della cosiddetta "portabilità" introdotta dall'art. 1202 del Codice Civile (articolo scritto non già da Bersani, bensì dal Cavaliere; e neppur quello tricotrapiantato, bensì quello con il mascellone).
Si distinsero, nell'orientare le scelte del pubblico, alcuni soloni, tra cui ci piace ricordare:
- lo stesso Bersani, il quale continuò a ripetere in tutte le sedi possibili ed immaginabili quanto era meglio il suo sistema (rectius del Cavaliere) rispetto a quello del ministro valtellinese;
- la rivista Altroconsumo, che sul proprio sito lanciò un qualificante slogan: Rinegoziare il mutuo secondo il patto tra banche e governo non conviene. Vi spieghiamo perché con un link per scaricare un PDF a pagamento contenente la spiegazione;
- tale Fracaro Massimo, consigliere economico delle famiglie per il Corriere della Sera, che in quei giorni consigliava, o forse sarebbe meglio dire intimava senza neppur lo schermo di un condizionale, l'abbandono del variabile per il convenientissimo fisso, sconsigliando decisamente la rinegoziazione.
Non sono andato, per mancanza sia di voglia che di tempo, a leggere i siti dei signori e delle istituzioni sopra citate, per cui se mi sbaglio farò pubblica ammenda; ma non risulta che nessun di loro abbia mai ammesso con i propri lettori:
"Scusate, vi ho mal consigliato"..
Lo dovrebbero fare.
Etichette:
abi-tremonti,
maestrino,
mutui
mercoledì 18 marzo 2009
Bicycle shed
C'è un gran fermento negli Stati uniti per il fatto che AIG, il colosso assicurativo nel quale il Tesoro ha iniettato circa 200 miliardi di dollari per salvarlo dal tracollo, ha liquidato in questi giorni circa 165 milioni di dollari in bonus ai dirigenti.
Il Congresso si sta scandalizzando, Barak Obama sta perdendo credibilità e un enorme polverone si sta sollevando.
Credit Slips ha scritto un lucidissimo articolo sottolineando quanto sia stupido scandalizzarsi per questo sciocco e marginale episodio quando non è stato fatto nemmeno un plissé al momento del passaggio del piano di salvataggi, quello dei 700 miliardi di dollari, che non prevedeva praticamente alcun tipo di restrizioni o supervisione pubblica sulle società salvate.
Lo scandalo, dice il post, è che il Congresso, la stampa e l'opinione pubblica siano scandalizzati per questi bonus, e non per il fatto che il disegno di legge che consentirebbe la ristrutturazione dei mutui immobiliari per i privati in Chapter 13 sia fermo al Senato non riuscendo a raggiungere la maggioranza di 60 voti richiesta.
Lo scandalo è che l'America stia ragionando sulla tettoia per le bici e non sulla centrale nucleare.
Credo che tutto ciò abbia un qualche nesso con i 400 milioni referendari. Non so bene in quele direzione sia il nesso, per cui lo butto lì come uno spunto di riflessione, esattamente come avevo fatto qualche giorno fa per gli orari dei treni: non impallinatemi subito.
Il Congresso si sta scandalizzando, Barak Obama sta perdendo credibilità e un enorme polverone si sta sollevando.
Credit Slips ha scritto un lucidissimo articolo sottolineando quanto sia stupido scandalizzarsi per questo sciocco e marginale episodio quando non è stato fatto nemmeno un plissé al momento del passaggio del piano di salvataggi, quello dei 700 miliardi di dollari, che non prevedeva praticamente alcun tipo di restrizioni o supervisione pubblica sulle società salvate.
Lo scandalo, dice il post, è che il Congresso, la stampa e l'opinione pubblica siano scandalizzati per questi bonus, e non per il fatto che il disegno di legge che consentirebbe la ristrutturazione dei mutui immobiliari per i privati in Chapter 13 sia fermo al Senato non riuscendo a raggiungere la maggioranza di 60 voti richiesta.
Lo scandalo è che l'America stia ragionando sulla tettoia per le bici e non sulla centrale nucleare.
Credo che tutto ciò abbia un qualche nesso con i 400 milioni referendari. Non so bene in quele direzione sia il nesso, per cui lo butto lì come uno spunto di riflessione, esattamente come avevo fatto qualche giorno fa per gli orari dei treni: non impallinatemi subito.
Studio Illegale
Nel week-end, grazie alla mia capa che me l'ha passato, mi sono letto Studio Illegale.
L'autore, che ha firmato sotto lo pseudonimo di Duchesne, lunedì si è appalesato con i giornalisti del Corriere, per cui ormai sarà conosciuto anche da tutti voi, ma per quei pochi distratti premetto brevemente che il libro nasce dall'omonimo blog che racconta il dorato e frenetico mondo degli avvocati d'affari, e sviluppa molte delle idee contenute nei post in forma di romanzo.
Dico subito che il blog non lo conoscevo, e quindi il mio giudizio è sul romanzo in quanto tale: e francamente mi è molto piaciuto. Certo, il mio giudizio fatica ad essere oggettivo, in quanto si tratta di una fabula in qua de me narratur, che rappresenta brillantemente i luoghi geografici e professionali nei quali vivo, con un raro senso del sarcasmo e capacità di ironia. Intendiamoci: non è il Dickens di Casa Desolata: ho ancora un po' di senso delle proporzioni; ma comunque si tratta di un lavoro molto ma molto apprezzabile.
Chi non conosce questo mondo, o ne ha solo sentito parlare, troverà nel libro una vena di grottesco: penserà che l'autore abbia voluto mettere alla berlina un mondo disegnando una caricatura dei suoi vizi e tic. Questo non vuol dire che non lo troverà divertente, si badi: anzi in un paio di passaggi scatena risate a scena aperta; ma comunque quanto descritto apparirà forse poco verosimile.
E questo, se vogliamo, è forse il principale difetto del romanzo (del resto devo trovarne uno, di difetto, altrimenti sembra che mi abbiano pagato): il fatto che i personaggi e i fatti descritti appaiano grotteschi mentre invece sono un fedele ritratto di quello che succede tutte le notti in Via Manzoni, Corso Venezia, Corso Vittorio Emanuele e via discorrendo.
Per il grande pubblico la trovata più bella del libro è sicuramente il concerto, mentre per uno come me (e credo anche per l'autore) il fulcro è la black ball clause, che attraversa metà della narrazione come un MacGuffin: ma si tratta di un particolare per iniziati.
La recensione (se così possiamo definire queste righe) potrebbe anche terminare qui. Quanto segue è del tutto personale e, rivolgendosi soprattutto a che ha già letto il romanzo, costituisce una chiave di lettura delle vicende narrate attraverso il filtro di un'esperienza contigua ma diversa.
Duchesne descrive perfettamente il funzionamento di una di quelle trattative ad altissimo livello attraverso le quali si combinano fusioni tra colossi industriali, acquisizioni di interi rami d'azienda, quotazioni in borsa e via discorrendo.
Si tratta di trattative che si incentrano primariamente sulla resistenza fisica delle persone sedute al tavolo (prima di tutto i legali), vincolate a passare la notte perché solo con il trascorrere delle ore e il venir meno dell'effetto dei deodoranti è possibile far cadere le obiezioni e le pregiudiziali di principio che ciascuna parte ha fatto proprie, nel tentativo di assicurarsi un vantaggio sulle altre.
Tentativo, dicevo: perché alla fin fine la gran maggioranza di quelle clausole costate lacrime, sangue e gastriti non verranno mai applicate; e quando vengono applicate (vale a dire quando l'affare salta, e bisogna mettersi a litigare) i contratti, gli allegati e le side letter arrivano sul tavolo di praticoni come me, che leggono quei profluvi di avverbi, aggettivi, definizioni barocche e le prendono per quel che sono: macchie d'inchiostro su fogli di carta.
Noi che facciamo litigation (che siamo visti quali cugini poveri, un po' come quelli che venivano spediti all'avviamento professionale mentre il figlio dello zio Erminio veniva iscritto al classico) leggiamo quell'avverbio "ragionevolmente", che è costato un'ora di trattativa, due biglietti per il teatro buttati e l'ennesimo litigio con una fidanzata che si è consolata con qualcun altro, e sorridiamo ben sapendo che il trovarlo infilato lì non cambierà di una virgola il nostro atteggiamento.
E ci infuriamo, vedendo che poche righe dopo quel "ragionevolmente" c'è una subordinata della quale non si riesce a capire quale sia il soggetto, e sappiamo bene che determinare quale sia, quel soggetto, ci costerà uno sproposito sia in termini di tempo che di danaro, e pensiamo a come sarebbe migliore il mondo e più semplice il nostro lavoro se i nostri colleghi più blasonati conoscessero un po' più di logica aristotelica e sintassi e un po' meno di lessico italo-anglicizzato.
P.S.: non riesco a credere troppo al fatto che lo pseudonimo Duchesne sia una pura casualità, scelta sfogliando un elenco di cognomi americani. Anzitutto perché non è un cognome americano, bensì francese, e poi perché per uno storico Le Père Duchesne è anzitutto il giornale fondato da Hébert, che costituiva il più radicale dei fogli rivoluzionari (non a caso gli hébertisti erano anche soprannominati "gli esagerati").
Può essere che si tratti veramente di una casualità: ma ciò dimostrerebbe che c'è una logica anche nel caso.
L'autore, che ha firmato sotto lo pseudonimo di Duchesne, lunedì si è appalesato con i giornalisti del Corriere, per cui ormai sarà conosciuto anche da tutti voi, ma per quei pochi distratti premetto brevemente che il libro nasce dall'omonimo blog che racconta il dorato e frenetico mondo degli avvocati d'affari, e sviluppa molte delle idee contenute nei post in forma di romanzo.
Dico subito che il blog non lo conoscevo, e quindi il mio giudizio è sul romanzo in quanto tale: e francamente mi è molto piaciuto. Certo, il mio giudizio fatica ad essere oggettivo, in quanto si tratta di una fabula in qua de me narratur, che rappresenta brillantemente i luoghi geografici e professionali nei quali vivo, con un raro senso del sarcasmo e capacità di ironia. Intendiamoci: non è il Dickens di Casa Desolata: ho ancora un po' di senso delle proporzioni; ma comunque si tratta di un lavoro molto ma molto apprezzabile.
Chi non conosce questo mondo, o ne ha solo sentito parlare, troverà nel libro una vena di grottesco: penserà che l'autore abbia voluto mettere alla berlina un mondo disegnando una caricatura dei suoi vizi e tic. Questo non vuol dire che non lo troverà divertente, si badi: anzi in un paio di passaggi scatena risate a scena aperta; ma comunque quanto descritto apparirà forse poco verosimile.
E questo, se vogliamo, è forse il principale difetto del romanzo (del resto devo trovarne uno, di difetto, altrimenti sembra che mi abbiano pagato): il fatto che i personaggi e i fatti descritti appaiano grotteschi mentre invece sono un fedele ritratto di quello che succede tutte le notti in Via Manzoni, Corso Venezia, Corso Vittorio Emanuele e via discorrendo.
Per il grande pubblico la trovata più bella del libro è sicuramente il concerto, mentre per uno come me (e credo anche per l'autore) il fulcro è la black ball clause, che attraversa metà della narrazione come un MacGuffin: ma si tratta di un particolare per iniziati.
La recensione (se così possiamo definire queste righe) potrebbe anche terminare qui. Quanto segue è del tutto personale e, rivolgendosi soprattutto a che ha già letto il romanzo, costituisce una chiave di lettura delle vicende narrate attraverso il filtro di un'esperienza contigua ma diversa.
Duchesne descrive perfettamente il funzionamento di una di quelle trattative ad altissimo livello attraverso le quali si combinano fusioni tra colossi industriali, acquisizioni di interi rami d'azienda, quotazioni in borsa e via discorrendo.
Si tratta di trattative che si incentrano primariamente sulla resistenza fisica delle persone sedute al tavolo (prima di tutto i legali), vincolate a passare la notte perché solo con il trascorrere delle ore e il venir meno dell'effetto dei deodoranti è possibile far cadere le obiezioni e le pregiudiziali di principio che ciascuna parte ha fatto proprie, nel tentativo di assicurarsi un vantaggio sulle altre.
Tentativo, dicevo: perché alla fin fine la gran maggioranza di quelle clausole costate lacrime, sangue e gastriti non verranno mai applicate; e quando vengono applicate (vale a dire quando l'affare salta, e bisogna mettersi a litigare) i contratti, gli allegati e le side letter arrivano sul tavolo di praticoni come me, che leggono quei profluvi di avverbi, aggettivi, definizioni barocche e le prendono per quel che sono: macchie d'inchiostro su fogli di carta.
Noi che facciamo litigation (che siamo visti quali cugini poveri, un po' come quelli che venivano spediti all'avviamento professionale mentre il figlio dello zio Erminio veniva iscritto al classico) leggiamo quell'avverbio "ragionevolmente", che è costato un'ora di trattativa, due biglietti per il teatro buttati e l'ennesimo litigio con una fidanzata che si è consolata con qualcun altro, e sorridiamo ben sapendo che il trovarlo infilato lì non cambierà di una virgola il nostro atteggiamento.
E ci infuriamo, vedendo che poche righe dopo quel "ragionevolmente" c'è una subordinata della quale non si riesce a capire quale sia il soggetto, e sappiamo bene che determinare quale sia, quel soggetto, ci costerà uno sproposito sia in termini di tempo che di danaro, e pensiamo a come sarebbe migliore il mondo e più semplice il nostro lavoro se i nostri colleghi più blasonati conoscessero un po' più di logica aristotelica e sintassi e un po' meno di lessico italo-anglicizzato.
P.S.: non riesco a credere troppo al fatto che lo pseudonimo Duchesne sia una pura casualità, scelta sfogliando un elenco di cognomi americani. Anzitutto perché non è un cognome americano, bensì francese, e poi perché per uno storico Le Père Duchesne è anzitutto il giornale fondato da Hébert, che costituiva il più radicale dei fogli rivoluzionari (non a caso gli hébertisti erano anche soprannominati "gli esagerati").
Può essere che si tratti veramente di una casualità: ma ciò dimostrerebbe che c'è una logica anche nel caso.
Etichette:
duchesne,
studio illegale
martedì 17 marzo 2009
Giovani e meno giovani
Sto vedendo Ballarò, con la partecipazione di Franceschini.
Sentire e vedere Franceschini che argomenta e risponde a Gasparri, Belpietro e compagnia cantante mi sta confermando due cose:
- pensare che in politica i giovani debbano essere preferiti ai vecchi solo perché sono giovani, è una solenne cazzata;
- la scuola di formazione dei quadri democristiani sta alla summer school come Oxford sta all'università dell'Insubria.
Speriamo che il segretario a termine sia veramente a termine, ché se così non fosse mi tocca anche considerare la possibilità di votare democratico.
Sentire e vedere Franceschini che argomenta e risponde a Gasparri, Belpietro e compagnia cantante mi sta confermando due cose:
- pensare che in politica i giovani debbano essere preferiti ai vecchi solo perché sono giovani, è una solenne cazzata;
- la scuola di formazione dei quadri democristiani sta alla summer school come Oxford sta all'università dell'Insubria.
Speriamo che il segretario a termine sia veramente a termine, ché se così non fosse mi tocca anche considerare la possibilità di votare democratico.
Etichette:
franceschini,
pd
L'arte di argomentare
E' da tempo che cerco di limitare le mie esternazioni sia sul PD che sugli esegeti del PD, ma oggi non riesco proprio a farne a meno.
Un gruppo di pesone che fanno parte del PD, come hanno tenuto a sottolineare nelle firme, ha redatto un manifesto (esternazione, imprecazione o come diavolo volete chiamarla).
Gente d'importanza, come Sofri, Civati (nientemeno che candidato dei blogger alla guida del partito), Cuperlo, Majorino...
Per taluno la cosa non è del resto nuova, come io stesso commentavo in questo post.
Pure questa volta la forma scelta è quella di un appello (usiamo questo termine volutamente generico) lanciato nell'etere un po' come un messaggio in una bottiglia.
Che si propongono, questi signori?
riteniamo importantissimo che la scelta delle candidature del Partito Democratico avvenga sulla base di criteri nuovi che privilegino la costruzione di una classe politica motivata e le competenze internazionali e aggiornate dei candidati rispetto ai longevi curriculum istituzionali di rappresentanti già carichi di responsabilità.
A parte il latinorum (a Scorfano si sarà drizzato un capello, e con ragione), praticamente il significato è: largo ai giovani. Concetto giustissimo, per carità; ma si può dirlo in modo più diretto, non trovate?
La cosa bella è l'elencazione delle ragioni che stanno dietro a questa dirompente proposta:
Il Parlamento Europeo ha bisogno di persone attente alla modernità e ai cambiamenti internazionali, per le quali il futuro e non il passato sia un elemento decisivo della propria prospettiva politica.
Vale a dire: troviamo gente giovane (a ridaje!) che si impegni, mica i soliti uomini di facciata!
Dopodiché:
Le elezioni europee attraggono per la natura dell’istituzione un voto di opinione e appartenenza, più che un’adesione a politiche definite o personalità specifiche.
Che, a casa mia, vuol dire: la gente qui vota il partito, delle persone non gliene frega niente a nessuno.
come le due cose possano andare d'accordo l'una con l'altra, è un mistero che credo sarà difficle spiegare.
Un gruppo di pesone che fanno parte del PD, come hanno tenuto a sottolineare nelle firme, ha redatto un manifesto (esternazione, imprecazione o come diavolo volete chiamarla).
Gente d'importanza, come Sofri, Civati (nientemeno che candidato dei blogger alla guida del partito), Cuperlo, Majorino...
Per taluno la cosa non è del resto nuova, come io stesso commentavo in questo post.
Pure questa volta la forma scelta è quella di un appello (usiamo questo termine volutamente generico) lanciato nell'etere un po' come un messaggio in una bottiglia.
Che si propongono, questi signori?
riteniamo importantissimo che la scelta delle candidature del Partito Democratico avvenga sulla base di criteri nuovi che privilegino la costruzione di una classe politica motivata e le competenze internazionali e aggiornate dei candidati rispetto ai longevi curriculum istituzionali di rappresentanti già carichi di responsabilità.
A parte il latinorum (a Scorfano si sarà drizzato un capello, e con ragione), praticamente il significato è: largo ai giovani. Concetto giustissimo, per carità; ma si può dirlo in modo più diretto, non trovate?
La cosa bella è l'elencazione delle ragioni che stanno dietro a questa dirompente proposta:
Il Parlamento Europeo ha bisogno di persone attente alla modernità e ai cambiamenti internazionali, per le quali il futuro e non il passato sia un elemento decisivo della propria prospettiva politica.
Vale a dire: troviamo gente giovane (a ridaje!) che si impegni, mica i soliti uomini di facciata!
Dopodiché:
Le elezioni europee attraggono per la natura dell’istituzione un voto di opinione e appartenenza, più che un’adesione a politiche definite o personalità specifiche.
Che, a casa mia, vuol dire: la gente qui vota il partito, delle persone non gliene frega niente a nessuno.
come le due cose possano andare d'accordo l'una con l'altra, è un mistero che credo sarà difficle spiegare.
Etichette:
pd
lunedì 16 marzo 2009
Treni in orario
Nel precedente post si accennava con una nota di rimpianto al fatto che qualche anno fa i treni arrivassero in orario e i sospetti fossero allontanati di torno senza tanti se e ma da donnicciole.
Tornando per un attimo al primo dei due punti, val la pena di raccontare che sabato sono andato al Museo della Scienza e della Tecnica (lo so, ora si chiama "della scienza e della tecnologia", e sarà anche più giusto; ma io continuo a chiamare "15" il tram che passa sotto casa mia, per cui...)
Con i due bimbi che mi accompagnavano abbiamo anche partecipato a una drammatizzazione teatrale, con due attori che, l'uno fingendosi un viaggiatore e l'altro un fuochista, raccontavano la storia della Locomotiva 691, una delle più belle macchine a vapore della storia del trasporto su ferro in Italia (questo almeno era ciò che affermavano; non ho termini di confronto ma in effetti si tratta di un bestione veramente affascinante.
A un certo punto dal valigino di uno degli attori è venuta anche fuori la copia di un orario ferroviario dell'epoca. Ebbene, la locomotiva era in esercizio sulla tratta Milano-Venezia: partenza alle 8:18 e arrivo a S.Lucia alle 11:16, compresa una sosta per "fare acqua" dalle parti di Verona.
Volendo andare a Venezia oggi, in Eurostar, Trenitalia offre il treno 9707 che parte da Milano Centrale alle 8:05 e arriva a S.Lucia alle 10:40. Impiega 2 ore e trentacinque minuti: ventitrè minuti meno della vaporiera: ma non si ferma per l'acqua.
In settant'anni abbiamo guadagnato ventitrè minuti sul viaggio: circa un minuto ogni tre anni. Non so se ci sia una morale dietro a tutto ciò, e non so neppure se questo possa essere un argomento a favore o contro l'alta velocità: ciascuno è libero di interpretarlo come crede.
Etichette:
milano
26 giorni
Questi due signori qui a fianco si chiamano Alexandru Loyos e Karol Racz. Sono rumeni, sono brutti, sporchi e hanno due facce da delinquenti.
Gente che ad incontrarla di notte per istrada ti spaventeresti sicuramente, metteresti mano al portafoglio, se uomo, e rimpiangeresti il momento in cui hai deciso di non prendere un tassì, se donna.
Le nostre strade sono molto più tranquille per il fatto che questi signori non siano più in circolazione da 26 giorni. Non preoccupiamoci troppo del fatto che le accuse formulate contro di loro cadano, l'una dopo l'altra: la nostra polizia riesce sempre a formulare un'accusa nuova, malgrado l'opera distruttiva della magistratura. Ma presto alche i magistrati giureranno fedeltà al Governo, ne siamo certi.
Finalmente siamo tornati a vivere in un paese in cui criminali e sovversivi vengono allontanati dal tessuto sociale e le mele marce non possono contaminare la parte sana del raccolto.
Forse tra poco cominceremo anche a far arrivare i treni in orario.
Gente che ad incontrarla di notte per istrada ti spaventeresti sicuramente, metteresti mano al portafoglio, se uomo, e rimpiangeresti il momento in cui hai deciso di non prendere un tassì, se donna.
Le nostre strade sono molto più tranquille per il fatto che questi signori non siano più in circolazione da 26 giorni. Non preoccupiamoci troppo del fatto che le accuse formulate contro di loro cadano, l'una dopo l'altra: la nostra polizia riesce sempre a formulare un'accusa nuova, malgrado l'opera distruttiva della magistratura. Ma presto alche i magistrati giureranno fedeltà al Governo, ne siamo certi.
Finalmente siamo tornati a vivere in un paese in cui criminali e sovversivi vengono allontanati dal tessuto sociale e le mele marce non possono contaminare la parte sana del raccolto.
Forse tra poco cominceremo anche a far arrivare i treni in orario.
Etichette:
libertà
3653 giorni
Esattamente dieci anni fa nasceva Nichita.
Guardandomi indietro posso ora accorgermi di quanto tempo sia passato e di come questo tempo mi abbia trasformato; quanto quella di oggi sia una persona profondamente diversa da quella di allora.
Per tutto il periodo dell'attesa, avevo vissuto con l'ansia di non essere all'altezza di diventare un padre. "Che cosa potrò insegnargli?", mi chiedevo, sapendo di non essere riuscito ad imparare molto nemmeno io stesso.
E poi i timori di non riuscire a far fronte alle responsabilità, all'impegno economico, al cambiamento totale del modello di vita, tutto ora incentrato attorno alle esigenze di un altro anziché alle proprie, come fino ad allora era accaduto.
Pian pianino, nei mesi e nei giorni che hanno preceduto il parto, ha poi cominciato a subentrare l'abitudine e un senso di fatalistica rassegnazione all'inevitabile scorrere della vita, che avrebbe fatto sì che, come ci riuscivano tutti gli altri, ci sarei riuscito anch'io, a fare il padre.
Del giorno in cui Nichita nacque ricordo distintamente un'immagine: quella dei suoi capelli, che io vedevo attraverso il canale del parto; e ricordo il misto di sensazioni provate in quell'istante: una fitta acuta di consapevolezza che da quel momento niente sarebbe stato più uguale, accompagnato da un crescente senso di entusiasmo per ciò che stava per succedere, e di fiducia nel futuro: sensazioni che via via scacciavano quei singulti di gelosia e rimpianto per il mondo che stava per sparire.
Rammento bene il parto, che fu molto breve e semplice, con Cristina che indossava un cardigan di cachemire anziché il camicione verde d'ordinanza, e ancor oggi non so come mai le cose andarono così come andarono; ma comunque mi sembra tuttora un buon segno, nascere nel cachemire.
Ricordo poi il momento in cui uscì, la conferma di ciò di cui eravamo in fondo tutti convinti -che fosse un maschio- anche se non avevamo alcun indizio in tal senso, eccezion fatta per la forza e la convinzione con cui scalciava. Rammento quando vidi quelle enormi palle attaccate a mio figlio, e la sorpresa non fu tanto il vederle (a quel punto mi sarei stupito se non ci fossero), quanto la loro dimensione (che, mi fu poi spiegato, è del tutto normale, in quel momento). Rammento come si agitava, con gli occhi ben aperti e le dita sottilissime che si muovevano tutte, vitalissime. Non urlava come un ossesso; agitava le braccine, invece, in un modo particolare che poi continuò a seguire, nei momenti di gioia o di rabbia, per molti anni.
"Cazzuto!" fu il primo commento, e ancor oggi spesso me lo ripeto.
Non ricordo come passai la giornata; ma so bene che verso le sei andai all'Honky Tonks, presi due birre e le introdussi di straforo in ospedale, dove ce le scolammo io e Cristina, con la scusa che "fanno latte".
Rammento anche bene la sera, con gli amici a festeggiare. Un momento nel quale credevo che si sarebbero acutizzate le paure e l'incertezza per il futuro, e che invece passai sereno, con una gioia non descrivibile dentro.
Nei giorni successivi giravo come un cretino per il quartiere, con la carrozzina con dentro il pupattolo del quale andavo fierissimo, come fosse una straordinaria novità, di cui nessuno fino ad allora aveva mai avuto occasione di vedere l'eguale.
Il primo giorno di passeggiata, era sabato e Nichita aveva quattro giorni, presi la carrozzina e mi incamminai così, senza meta. Cominciai a pensare a tornare indietro quando raggiunsi lo Stadio; e al ritorno -erano trascorse un paio d'ore- trovai Cristina in lacrime, che temeva potesse essere successo qualcosa dato che si aspettava che saremmo stati in giro al più una mezz'oretta. Poi, tranquillizzata, prese a darmi del cretino, e per una volta non posso poi darle troppo torto.
Col tempo poi imparai anche che aveva ragione il mio amico Nikos, in Grecia, che a proposito di sua figlia mi disse "non sono io che devo insegnare qualcosa a lei, è lei che insegna le cose a me"; ed in effetti nei primi anni di vita ho imparato tantissimo; e ancor più avrei potuto imparare, se solo avessi saputo fare attenzione.
Poi è arrivato il momento in cui ho cominciato a dover essere io, quello che trasmetteva qualcosa; e anche qui ho da ringraziare un amico che con la forza del suo esempio mi ha insegnato cosa sia il senso di responsabilità e la capacità di far fronte ai propri impegni: lezioni che io ho ricambiato insegnandogli l'arte della leggerezza e del farsi scivolare le cose addosso, come le onde sulla battigia.
Chi mi conosce sa che sono una delle migliori pubblicità a favore della procreazione, dato che l'affetto che mi lega a Nichita -e lui a me- mi compensa abbondantemente ogni giorno di tutte le rinunce e i compromessi che devo porre in essere, e che se fossi libero mi potrei risparmiare.
Se lui non fosse nato, certo ora potrei fare tutto quello che voglio; ma fare che? Quello che voglio è quello che ho; e per quanto per arrivare a questo punto abbia fatto molte cose delle quali non vado molto fiero; abbia fatto molto male ad alcune persone e anche un bel po' di male a me stesso, comunque questi dieci anni e quelli che seguiranno ne sono valsi, centuplicati, la pena.
Etichette:
io
mercoledì 11 marzo 2009
Questo pazzo pazzo mondo
Leggo non senza sorpresa dal blog di Krugman che il prezzo dei CDS sul debito pubblico USA ha raggiunto i 100 BPS (cioè l'1%).
Senza farla tanto lunga, i CDS sono dei derivati assimilabili ad assicurazioni sui crediti (e sono anche uno dei principali motivi per cui il colosso AIG sta messo male come sta messo).
Il meccanismo è semplicissimo: io avanzo dei soldi da qualcuno, ma temo che possa fallire: mi assicuro pagando una certa percentuale del mio credito a un'assicurazione (o un'istituzione finanziaria), che mi pagherà lei nel caso in cui il mio debitore non lo faccia.
Dire che i CDS sul debito USA hanno raggiunto i 100 BPS vuol dire che un signore che possiede un milione di dollari di titoli di stato federali può assicurarsi per 10.000 dollari (l'1%) contro il rischio che i titoli non vengano onorati dal governo federale.
Avete capito qual è il fatto sorprendente?
S
P
O
I
L
E
R
E' che il giorno in cui il governo USA dovesse smettere di pagare i titoli di stato, non è neppur lontanamente immaginabile che qualunque istituzione finanziaria possa davvero pensare di onorare i CDS emessi. Saremmo in un mondo completamente diverso dall'attuale, con nuove regole, probabilmente basate sull'uso delle clave, dell'arco e della freccia; e delle tute antiradiazioni per i fortunati che ne hanno potuto venire in possesso per tempo.
Come icasticamente ha sottolineato Nassim Taleb, i CDS sono un po' come un'assicurazione contro l'affondamento del Titanic venduta da un assicuratore che viaggia sul Titanic; e in questo caso il Titanic sarebbe l'intero sistema economico mondiale.
Dopodiché, nei commenti al post di Krugman ci sono delle belle spiegazioni su come il formalismo della matematica finanziaria giustifichi il fiorire di un mercato dei CDS sul debito USA; ma questa è solo la dimostrazione che la matematica finanziaria non ha più alcuna aderenza con la realtà che ci circonda.
Senza farla tanto lunga, i CDS sono dei derivati assimilabili ad assicurazioni sui crediti (e sono anche uno dei principali motivi per cui il colosso AIG sta messo male come sta messo).
Il meccanismo è semplicissimo: io avanzo dei soldi da qualcuno, ma temo che possa fallire: mi assicuro pagando una certa percentuale del mio credito a un'assicurazione (o un'istituzione finanziaria), che mi pagherà lei nel caso in cui il mio debitore non lo faccia.
Dire che i CDS sul debito USA hanno raggiunto i 100 BPS vuol dire che un signore che possiede un milione di dollari di titoli di stato federali può assicurarsi per 10.000 dollari (l'1%) contro il rischio che i titoli non vengano onorati dal governo federale.
Avete capito qual è il fatto sorprendente?
S
P
O
I
L
E
R
E' che il giorno in cui il governo USA dovesse smettere di pagare i titoli di stato, non è neppur lontanamente immaginabile che qualunque istituzione finanziaria possa davvero pensare di onorare i CDS emessi. Saremmo in un mondo completamente diverso dall'attuale, con nuove regole, probabilmente basate sull'uso delle clave, dell'arco e della freccia; e delle tute antiradiazioni per i fortunati che ne hanno potuto venire in possesso per tempo.
Come icasticamente ha sottolineato Nassim Taleb, i CDS sono un po' come un'assicurazione contro l'affondamento del Titanic venduta da un assicuratore che viaggia sul Titanic; e in questo caso il Titanic sarebbe l'intero sistema economico mondiale.
Dopodiché, nei commenti al post di Krugman ci sono delle belle spiegazioni su come il formalismo della matematica finanziaria giustifichi il fiorire di un mercato dei CDS sul debito USA; ma questa è solo la dimostrazione che la matematica finanziaria non ha più alcuna aderenza con la realtà che ci circonda.
Etichette:
krugman
Corri!
Il sindaco di Londra ha intenzione di diminuire il tempo del verde dei semafori pedonali per sveltire il traffico.
Arriva buon secondo, dato che a Milano già da un annetto o due, in coincidenza con un'ubiquitario rifacimento di buona parte degli impianti, il tempo del verde è stato drasticamente abbreviato.
esso dura infatti pochi secondi, per poi lasciar posto al giallo; l'idea sottostante è che il traffico pedonale dovrebbe concentrarsi tutto nel primo momendo di disponibilità della strada, per fare in modo che all'arrivo del rosso le macchine possano transitare senza dover attendere vecchiette e zuzzurelloni in lento passeggio.
La cosa potrebbe anche avere un senso, non fosse per il fatto che dimostra la subalternità di ogni logica di vivibilità della città al totem dell'automobile e della produttività ed efficienza ad ogni costo; ma anche questo sarebbe comunque molto ma molto milanese.
Il problema vero è che, dopo qualche settimana (per i più ligi, o tonti, qualche mese) il pedone medio si è accorto del trucco e quindi si è creata una corrente, non saprei dire se ancora minoritaria o ormai maggioritaria, che ormai considera il giallo come verde, e transita tranquillamente.
Forse per rispondere a tale attacco al cuore del sistema, il ciclo di taluni semafori è stato ulteriormente inasprito: in Largo Toscanini, ad esempio, il semaforo pedonale per chi viene da Corso Europa e va verso il metrò di San Babila ha un ciclo di rosso puro, vbale a dire un periodo nel quale i pedoni hanno il rosso e i veicoli ancora non hanno ricevuto il verde.
Arriva buon secondo, dato che a Milano già da un annetto o due, in coincidenza con un'ubiquitario rifacimento di buona parte degli impianti, il tempo del verde è stato drasticamente abbreviato.
esso dura infatti pochi secondi, per poi lasciar posto al giallo; l'idea sottostante è che il traffico pedonale dovrebbe concentrarsi tutto nel primo momendo di disponibilità della strada, per fare in modo che all'arrivo del rosso le macchine possano transitare senza dover attendere vecchiette e zuzzurelloni in lento passeggio.
La cosa potrebbe anche avere un senso, non fosse per il fatto che dimostra la subalternità di ogni logica di vivibilità della città al totem dell'automobile e della produttività ed efficienza ad ogni costo; ma anche questo sarebbe comunque molto ma molto milanese.
Il problema vero è che, dopo qualche settimana (per i più ligi, o tonti, qualche mese) il pedone medio si è accorto del trucco e quindi si è creata una corrente, non saprei dire se ancora minoritaria o ormai maggioritaria, che ormai considera il giallo come verde, e transita tranquillamente.
Forse per rispondere a tale attacco al cuore del sistema, il ciclo di taluni semafori è stato ulteriormente inasprito: in Largo Toscanini, ad esempio, il semaforo pedonale per chi viene da Corso Europa e va verso il metrò di San Babila ha un ciclo di rosso puro, vbale a dire un periodo nel quale i pedoni hanno il rosso e i veicoli ancora non hanno ricevuto il verde.
Etichette:
milano
martedì 10 marzo 2009
O di qua o di là /2
La lettura di questo articolo dell'edizione di firenze di Repubblica, che dà dettagliatamente conto delle posizioni del Partito Democratico a proposito del conferimento della cittadinanza onoraria a Beppino Englaro, è l'ennesimo argomento utilizzabile per dimostrare che in politica anzitutto bisogna avere un programma chiaro, e poi si può decidere chi lo deve portare avanti.
Pretendere di mettere tutte le opinioni in un calderone e nominare un leader con i gazebo potrà anche servire a vincere qualche elezione (e spesso neppur a quello); ma non aiuta a stabilire una linea politica condivisa, salvo che poi all'eletto non vengano attribuiti poteri nordcoreani per la repressione del dissenso interno.
Qualcuno potrà anche obiettare che la cittadinanza onoraria a Beppino Englaro non è tanto importante, e comunque costituisce un caso di coscienza.
Personalmente per me la laicità dello Stato è fondamentale e seppur ciascuno è libero di credere a ciò che vuole, cionondimeno la sua coscienza ha il limite del rispetto di tale principio; ed è per questo che la lite su questa cittadinanza onoraria, nel capoluogo della regione storicamente rossa, mi disgusta.
Pretendere di mettere tutte le opinioni in un calderone e nominare un leader con i gazebo potrà anche servire a vincere qualche elezione (e spesso neppur a quello); ma non aiuta a stabilire una linea politica condivisa, salvo che poi all'eletto non vengano attribuiti poteri nordcoreani per la repressione del dissenso interno.
Qualcuno potrà anche obiettare che la cittadinanza onoraria a Beppino Englaro non è tanto importante, e comunque costituisce un caso di coscienza.
Personalmente per me la laicità dello Stato è fondamentale e seppur ciascuno è libero di credere a ciò che vuole, cionondimeno la sua coscienza ha il limite del rispetto di tale principio; ed è per questo che la lite su questa cittadinanza onoraria, nel capoluogo della regione storicamente rossa, mi disgusta.
Etichette:
bipartitismo,
englaro,
pd
Oracolo /2
Speculazione edilizia: locuzione che odora di anni '60. Ma se abitate a Milano e riflettete un attimo su parcheggi interrati, quartiere Isola, Expo, riqualificazione delle aree dismesse e via discorrendo, vi accorgete che oggi la speculazione c'è davvero, e quella di 30 anni fa era un gioco da bambini dell'oratorio.Questo, invece, lo scrivevo qui. E anche qui la realtà supera la fantasia: oggi non occorre più neppure abitare a Milano, per godersi il fascino della speculazione edilizia.
Comincio ad avere paura, nel rileggere gli articoli di sei mesi fa.
Etichette:
berlusconi,
previsioni
Oracolo
E' una sciocchezza la riduzione a 200 o a 100 del numero di parlamentari. Basterebbe ridurre il Parlamento a una sala riunioni, magari un po' elegante, nella quale si troverebbero settimanalmente i quattro o cinque attuali capigruppo, ciascuno con tanti voti quanti sono gli uomini che oggi siedono in aula.
Queste cose le scrivevo trenta giorni fa.
Non pensavo di scrivere qualcosa di fantascientifico: sentivo in cuor mio che entro la fine della legislatura qualcuno avrebbe anche potuto buttarla lì, la proposta.
Me non potevo certo credere che dopo quattro settimante il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Principale Esponente dello Schieramento nel Quale Mi Riconosco Meno, avrebbe formulato la proposta davanti ai suoi parlamentari.
Quando cerco di mettere in guardia chi mi segue contro i pericoli delle derive maggioritarie, non riesco mai a trovare esempi abbastanza calzanti quanto questo.
Etichette:
berlusconi,
previsioni
Senza cipolla, grazie.
Mi scandalizzo dopo aver letto questa notizia del Corriere.
Spero che i NAS abbiano già provveduto a far chiudere la rivendita in questione. E' noto infatti che dopo Mucca Pazza la carne di afgano non può essere venduta al dettaglio.
Spero che i NAS abbiano già provveduto a far chiudere la rivendita in questione. E' noto infatti che dopo Mucca Pazza la carne di afgano non può essere venduta al dettaglio.
Etichette:
stampa
C'è crisi, c'è grande crisi /2
Grazie a Cottica, via .mau., ho trovato questo splendido video che in dieci munuti spiega la crisi dei mutui e, fra l'altro, la leva finanziaria di cui abbiamo perlato negli scorsi giorni.
Il video è godibilissimo e commentato in un inglese così semplice che riesce a seguirlo perfino un bancario come me, alla faccia del ministro Tremonti!
The Crisis of Credit Visualized from Jonathan Jarvis on Vimeo.
Il video è godibilissimo e commentato in un inglese così semplice che riesce a seguirlo perfino un bancario come me, alla faccia del ministro Tremonti!
The Crisis of Credit Visualized from Jonathan Jarvis on Vimeo.
Etichette:
crisi
lunedì 9 marzo 2009
Tremonti Bond /7
(continua da qui)
Nella scorsa puntata abbiamo esaminato come l'aumentare il patrimonio, specie in tempi di crisi, non sia affatto cosa semplice. Se ci sono pochi soldi, sono pochi per tutti, e quindi chi dovrebbe metter mano al portafoglio non avrà volgia o mezzi per farlo. C'è pur sempre lo Stato, che ha capacità finanziarie superiori a quelle di qualsiasi altro soggetto, ma come abbiamo visto ci sono dei vincoliideologicioggettivi che ne impediscono l'ingresso nelle compagini sociali.
Tuttavia delle soluzioni ci sono, e le possiamo capire approfondendo l'ultima cosa che finora ho lasciato un po' confusa nell'ombra: il concetto di patrimonio.
Ricorderete che nella seconda puntata avevamo fatto l'esempio dell'acquisto di una casa: un po' con soldi propri e un po' con il mutuo della banca. Avevamo anche visto che il concetto "Di chi sono i soldi?" corrisponde, bilancisticamente parlando, al concetto di Passivo
Prendiamo ora queste in esame tre possibilità di passivo:
Nessun dubbio che se siamo nella seconda ipotesi dormiamo sonni molto più tranquilli che nella prima: è vero che la nostra ricchezza (il nostro patrimonio) è esattamente identica, ma ben diverso è pensare che tra trenta giorni dovremo firmare un assegno per una cifra che neppur lontanamente abbiamo, piuttosto che pensare di doverlo fare tra 10.000 e rotti giorni.
Per quanto riguarda la terza ipotesi, si tratta di una via di mezzo tra le prime due: più tranquillizzante della prima e più seria della seconda. Ma proviamo, fermo restando il resto, a fornire un'informazione in più:
Siamo ancora sicuri che la terza ipotesi sia intermedia? Converrete che nella maggioranza dei casi (non sempre, ovviamente, ma spesso) il prestito dei genitori è una di quelle cose che si paga quando si può; e se non si può non saranno certo coloro che ci hanno messo al mondo a cacciarci di casa.
Ecco, con il patrimonio è un po' così: non è tutto bianco o nero, ma ci sono delle sfumature, tanto che si arriva a un certo punto dove il colore è puro grigio e totalmente indistinguibile.
Se chiamiamo bianco il patrimonio e nero il debito, allora sicuramente il capitale sociale (vale a dire il prezzo pagato per comprare le azioni) è bianco, mentre un debito rappresentato da un certificato di deposito che scade domani mattina è sicuramente nero, così come un conto corrente, che scade nel momento stesso in cui il correntista si presenta allo sportello per ritirare i suoi soldi.
Da un lato, infatti, abbiamo una situazione in cui se la banca non onora il debito, il giorno dopo può arrivare un ufficiale giudiziario a pignorare i mobili; dall'altro lato, abbiamo dei debiti (il capitale sociale) nei confronti dei soci, che non hanno alcun diritto di pretendere né i dividendi né la restituzione del capitale: i dividendi saranno pagati se ci saranno utili e se la società lo vorrà, e il capitale addirittura sarà pagato solo quando la società cesserà di esistere.
Ovviamente il certificato di deposito o il conto corrente rendono molto poco, ma vengono sempre pagati; mentre le azioni rendono molto di più, ma solo se e quando vengono pagati i dividendi.
Ora, ipotizziamo di avere un debito che non ha scadenza: verrà pagato quando la banca avrà i mezzi; e ipotizziamo pure che anche gli interessi verranno pagati solo se la banca farà utili; e ipotizziamo pure che, nel malaugurato caso in cui la banca dovesse fallire, tale debito venga sì pagato prima delle azioni (ci mancherebbe!) ma dopo tutti gli altri debiti.
Si tratta per l'appunto dei Tremonti Bond, ma di che colore sono? Bianco? Nero? Grigio? Ma grigio #777777, grigio #CCCCCC o grigio #333333?
La risposta (lo dice l' art. 12 del Decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 e il relativo decreto attuativo, e volta a volta lo deve confermare la Banca d'Italia), è che questi strumenti sono quasi-bianchi, vale a dire che possono essere computati nel patrimonio di vigilanza purché entro certi limiti e a certe condizioni.
Come funzionano in pratica questi benedetti "Tremonti Bond"? La prima sorpresa è che non li emette Tremonti (il Ministero dell'Economia, insomma). Sono titoli che emettono le Banche, mentre il Tesoro ha messo a disposizione un po' di soldi (un bel po' di soldi, invero) per comperarli.
Né potrebbe essere altrimenti, se ragioniamo su tutto quel che abbiamo visto finora: infatti non si sta né creando né distruggendo ricchezza; non si sta regalando denaro. La Banca emette dei titoli con certe caratteristiche, che iscrive al passivo; e contemporaneamente mette all'attivo una uguale quantità di contanti: non si sono creati né utili né perdite, ma abbiamo ottenuto un risultato molto interessante. L'attivo ponderato infatti è rimasto immutato (i contanti sono ponderati allo 0%), mentre il patrimonio si è incrementato di un importo pari a quello dei titoli emessi, esattamente come se avesse avuto luogo un aumento di capitale.
Ogni Banca può strutturare dei titoli con un certo tipo di tasso e condizioni, all'interno peraltro di paletti ben precisi; c'è un controllo esperito in parte da Banca d'Italia e in parte dal Ministero sull'economicità dell'operazione, vale a dire sul fatto che il rendimento offerto sia congruo rispetto alle condizioni di mercato e soprattutto alla rischiosità della Banca.
Ci sono poi dei limiti e delle condizioni, abbiamo detto. Il primo limite è che l'ammontare dei titoli non può superare il 2% dell'attivo ponderato; le condizioni sono che la Banca si deve impegnare a finanziare la piccola e media impresa, le famiglie in difficoltà, agire eticamente, sviluppare l'imprenditoria e tutto un yada yada che conta meno del due di spade a briscola quando briscola è coppe.
Più interessante il comma 3 dell'art.1 del decreto attuativo, che recita: "Le Banche che ricorrono agli interventi previsti dal presente decreto devono svolgere la propria attività in modo da non abusare del sostegno ricevuto senza intraprendere politiche di espansione aggressive incompatibili con gli obiettivi di cui all'articolo 12, comma 1, del Dl 185, e conseguirne indebiti vantaggi": il che sembrerebbe voler dire che non bisogna usare i soldi di Tremonti per scalare altre Banche.
C'è poi il comma 5 dell'art. 3 del decreto, che recita: "Per singola Banca, l'importo delle sottoscrizioni di cui al presente decreto è contenuto nel minimo necessario rispetto agli obiettivi da conseguire e non può di regola essere superiore al due per cento del valore dell'insieme delle attività del gruppo bancario di appartenenza della Banca ponderate per il rischio.", il che, letto maliziosamente, significherebbe che possono ricorrere all'emissione di titoli solo le banche che stanno messe così male da non poterne fare a meno. Un bel disincentivo, no? In pratica le Banche che emetteranno i bond stanno confessando di essere quasi alla canna del gas: il che spiega come mai in questi ultimi giorni sembra che tutte le prenotazioni siano improvvisamente svanite come neve al sole.
Un'ultima particolarità, che suscità una certa curiosità, è quella del tasso che sale con il passare del tempo. In effetti è una cosa molto comune, tecnicamente si chiama step-up. Ci sono dei casi in cui due parti si accordano per un affare che formalmente ha una durata molto lunga, ma in effetti entrambi intendono impegnarsi per tempi assai più brevi. Se, per tanti motivi, vi sono dei vincoli a far sì che l'operazione abbia una durata una durata coincidente con quella che le parti si propongono, di solito si concorda che una delle parti possa chiudere l'operazione quando vuole; ma per esser certi che lo farà, si concorda che l'operazione stessa per lei diventerà molto più costosa.
Qui è lo stesso: i titoli emessi non devono avere una scadenza, o perlomeno non una scadenza vicina: altrimenti sarebbero molto più simili al debito che al patrimonio. Ma per far sì che vengano ripagati dalla Banca, li si rende molto più costosi via via che passa il tempo. La scadenza si vede ma non c'è, insomma!
Credo sia ormai giunto il momento di chiudere questa serie di racconti: ho impiegato molto più tempo e tasti di quanto avevo inizialmente pensato, ma credo che senza sviscerare tutti i vari passaggi la natura di quest'iniziativa sarebbe rimasta oscura (e non è detto che ancora non lo sia).
Dal punto di vista tecnico credo quindi di aver illustrato il funzionamento dei "Tremonti Bond". E' ora il momento di provare a commentare criticamente l'iniziativa del Governo, per valutare se si tratti di roba seria o di fuffa, ma questo sarà oggetto di un'altro articolo, secondo il buon vecchio -e non sempre seguito, soprattutto da me- principio di separare fatti e commenti.
Nella scorsa puntata abbiamo esaminato come l'aumentare il patrimonio, specie in tempi di crisi, non sia affatto cosa semplice. Se ci sono pochi soldi, sono pochi per tutti, e quindi chi dovrebbe metter mano al portafoglio non avrà volgia o mezzi per farlo. C'è pur sempre lo Stato, che ha capacità finanziarie superiori a quelle di qualsiasi altro soggetto, ma come abbiamo visto ci sono dei vincoli
Tuttavia delle soluzioni ci sono, e le possiamo capire approfondendo l'ultima cosa che finora ho lasciato un po' confusa nell'ombra: il concetto di patrimonio.
Ricorderete che nella seconda puntata avevamo fatto l'esempio dell'acquisto di una casa: un po' con soldi propri e un po' con il mutuo della banca. Avevamo anche visto che il concetto "Di chi sono i soldi?" corrisponde, bilancisticamente parlando, al concetto di Passivo
Prendiamo ora queste in esame tre possibilità di passivo:
|
|
|
Nessun dubbio che se siamo nella seconda ipotesi dormiamo sonni molto più tranquilli che nella prima: è vero che la nostra ricchezza (il nostro patrimonio) è esattamente identica, ma ben diverso è pensare che tra trenta giorni dovremo firmare un assegno per una cifra che neppur lontanamente abbiamo, piuttosto che pensare di doverlo fare tra 10.000 e rotti giorni.
Per quanto riguarda la terza ipotesi, si tratta di una via di mezzo tra le prime due: più tranquillizzante della prima e più seria della seconda. Ma proviamo, fermo restando il resto, a fornire un'informazione in più:
|
|
|
Siamo ancora sicuri che la terza ipotesi sia intermedia? Converrete che nella maggioranza dei casi (non sempre, ovviamente, ma spesso) il prestito dei genitori è una di quelle cose che si paga quando si può; e se non si può non saranno certo coloro che ci hanno messo al mondo a cacciarci di casa.
Ecco, con il patrimonio è un po' così: non è tutto bianco o nero, ma ci sono delle sfumature, tanto che si arriva a un certo punto dove il colore è puro grigio e totalmente indistinguibile.
Se chiamiamo bianco il patrimonio e nero il debito, allora sicuramente il capitale sociale (vale a dire il prezzo pagato per comprare le azioni) è bianco, mentre un debito rappresentato da un certificato di deposito che scade domani mattina è sicuramente nero, così come un conto corrente, che scade nel momento stesso in cui il correntista si presenta allo sportello per ritirare i suoi soldi.
Da un lato, infatti, abbiamo una situazione in cui se la banca non onora il debito, il giorno dopo può arrivare un ufficiale giudiziario a pignorare i mobili; dall'altro lato, abbiamo dei debiti (il capitale sociale) nei confronti dei soci, che non hanno alcun diritto di pretendere né i dividendi né la restituzione del capitale: i dividendi saranno pagati se ci saranno utili e se la società lo vorrà, e il capitale addirittura sarà pagato solo quando la società cesserà di esistere.
Ovviamente il certificato di deposito o il conto corrente rendono molto poco, ma vengono sempre pagati; mentre le azioni rendono molto di più, ma solo se e quando vengono pagati i dividendi.
Ora, ipotizziamo di avere un debito che non ha scadenza: verrà pagato quando la banca avrà i mezzi; e ipotizziamo pure che anche gli interessi verranno pagati solo se la banca farà utili; e ipotizziamo pure che, nel malaugurato caso in cui la banca dovesse fallire, tale debito venga sì pagato prima delle azioni (ci mancherebbe!) ma dopo tutti gli altri debiti.
Si tratta per l'appunto dei Tremonti Bond, ma di che colore sono? Bianco? Nero? Grigio? Ma grigio #777777, grigio #CCCCCC o grigio #333333?
La risposta (lo dice l' art. 12 del Decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 e il relativo decreto attuativo, e volta a volta lo deve confermare la Banca d'Italia), è che questi strumenti sono quasi-bianchi, vale a dire che possono essere computati nel patrimonio di vigilanza purché entro certi limiti e a certe condizioni.
Come funzionano in pratica questi benedetti "Tremonti Bond"? La prima sorpresa è che non li emette Tremonti (il Ministero dell'Economia, insomma). Sono titoli che emettono le Banche, mentre il Tesoro ha messo a disposizione un po' di soldi (un bel po' di soldi, invero) per comperarli.
Né potrebbe essere altrimenti, se ragioniamo su tutto quel che abbiamo visto finora: infatti non si sta né creando né distruggendo ricchezza; non si sta regalando denaro. La Banca emette dei titoli con certe caratteristiche, che iscrive al passivo; e contemporaneamente mette all'attivo una uguale quantità di contanti: non si sono creati né utili né perdite, ma abbiamo ottenuto un risultato molto interessante. L'attivo ponderato infatti è rimasto immutato (i contanti sono ponderati allo 0%), mentre il patrimonio si è incrementato di un importo pari a quello dei titoli emessi, esattamente come se avesse avuto luogo un aumento di capitale.
Ogni Banca può strutturare dei titoli con un certo tipo di tasso e condizioni, all'interno peraltro di paletti ben precisi; c'è un controllo esperito in parte da Banca d'Italia e in parte dal Ministero sull'economicità dell'operazione, vale a dire sul fatto che il rendimento offerto sia congruo rispetto alle condizioni di mercato e soprattutto alla rischiosità della Banca.
Ci sono poi dei limiti e delle condizioni, abbiamo detto. Il primo limite è che l'ammontare dei titoli non può superare il 2% dell'attivo ponderato; le condizioni sono che la Banca si deve impegnare a finanziare la piccola e media impresa, le famiglie in difficoltà, agire eticamente, sviluppare l'imprenditoria e tutto un yada yada che conta meno del due di spade a briscola quando briscola è coppe.
Più interessante il comma 3 dell'art.1 del decreto attuativo, che recita: "Le Banche che ricorrono agli interventi previsti dal presente decreto devono svolgere la propria attività in modo da non abusare del sostegno ricevuto senza intraprendere politiche di espansione aggressive incompatibili con gli obiettivi di cui all'articolo 12, comma 1, del Dl 185, e conseguirne indebiti vantaggi": il che sembrerebbe voler dire che non bisogna usare i soldi di Tremonti per scalare altre Banche.
C'è poi il comma 5 dell'art. 3 del decreto, che recita: "Per singola Banca, l'importo delle sottoscrizioni di cui al presente decreto è contenuto nel minimo necessario rispetto agli obiettivi da conseguire e non può di regola essere superiore al due per cento del valore dell'insieme delle attività del gruppo bancario di appartenenza della Banca ponderate per il rischio.", il che, letto maliziosamente, significherebbe che possono ricorrere all'emissione di titoli solo le banche che stanno messe così male da non poterne fare a meno. Un bel disincentivo, no? In pratica le Banche che emetteranno i bond stanno confessando di essere quasi alla canna del gas: il che spiega come mai in questi ultimi giorni sembra che tutte le prenotazioni siano improvvisamente svanite come neve al sole.
Un'ultima particolarità, che suscità una certa curiosità, è quella del tasso che sale con il passare del tempo. In effetti è una cosa molto comune, tecnicamente si chiama step-up. Ci sono dei casi in cui due parti si accordano per un affare che formalmente ha una durata molto lunga, ma in effetti entrambi intendono impegnarsi per tempi assai più brevi. Se, per tanti motivi, vi sono dei vincoli a far sì che l'operazione abbia una durata una durata coincidente con quella che le parti si propongono, di solito si concorda che una delle parti possa chiudere l'operazione quando vuole; ma per esser certi che lo farà, si concorda che l'operazione stessa per lei diventerà molto più costosa.
Qui è lo stesso: i titoli emessi non devono avere una scadenza, o perlomeno non una scadenza vicina: altrimenti sarebbero molto più simili al debito che al patrimonio. Ma per far sì che vengano ripagati dalla Banca, li si rende molto più costosi via via che passa il tempo. La scadenza si vede ma non c'è, insomma!
Credo sia ormai giunto il momento di chiudere questa serie di racconti: ho impiegato molto più tempo e tasti di quanto avevo inizialmente pensato, ma credo che senza sviscerare tutti i vari passaggi la natura di quest'iniziativa sarebbe rimasta oscura (e non è detto che ancora non lo sia).
Dal punto di vista tecnico credo quindi di aver illustrato il funzionamento dei "Tremonti Bond". E' ora il momento di provare a commentare criticamente l'iniziativa del Governo, per valutare se si tratti di roba seria o di fuffa, ma questo sarà oggetto di un'altro articolo, secondo il buon vecchio -e non sempre seguito, soprattutto da me- principio di separare fatti e commenti.
I tempi che corrono
A proposito del fatto che il nostro paese stia andando a rotoli, non sarebbe male notare che al tempo del primo Tremonti i costruttori abusivi venivano messi in condizione di costruire abusivamente, ma almeno lo Stato ci guadagnava qualcosa.
Con il nuovo Tremonti, chi avrebbe dovuto pagare quanto dovuto per i condoni è stato lasciato in pace: nessuno è andato a chieder soldi, che si sa il recupero dei crediti fiscali non è fine.
Con il Tremonti nuovissimo, il problema è stato risolto alla radice: i costruttori abusivi adesso potranno abusare senza pagare una lira, il che semplifica di molto la nostra burocrazia!
Con il nuovo Tremonti, chi avrebbe dovuto pagare quanto dovuto per i condoni è stato lasciato in pace: nessuno è andato a chieder soldi, che si sa il recupero dei crediti fiscali non è fine.
Con il Tremonti nuovissimo, il problema è stato risolto alla radice: i costruttori abusivi adesso potranno abusare senza pagare una lira, il che semplifica di molto la nostra burocrazia!
Etichette:
berlusconi,
tremonti
Tremonti Bond /6
(segue da qui) e, fortunatamente, si avvia verso la fine!
Abbiamo quindi visto che al fine di alzare il coefficiente di solvibilità (patrimonio/attivo ponderato), la scelta di diminuire il denominatore della frazione non è una grande idea. Infatti, i casi sono due:
Uno dei modi che abbiamo per incrementare la nostra ricchezza è quello di risparmiare. Ipotizziamo di prendere un normale stipendio da 6.000 euro al mese: se tiriamo un po' la cinghia e spendiamo solo 5.700 euro al mese ci resteranno 300 euri puliti puliti da mettere da parte, e a fine anno potremo usare il gruzzoletto per comprarci il motorino nuovo oppure metterli sotto il materasso per l'eventualità di dover fronteggiare tempi di vacche magre.
Per le società per azioni è un po' lo stesso: alla chiusura dell'anno si calcola l'utile lordo, ci si pagano sopra le tasse e quel che rimane è l'utile netto. Questa sommetta può essere distribuita ai soci (gli azionisti), un tanto per ciascuna azione posseduta: tecnicamente queste somme si chiamano dividendi. Ma se la società prevede tempi di vacche magre, può decidere di non distribuire i dividendi, e tenerseli in pancia, che è un po' l'equivalente del mettere i soldi nel salvadanaio: in tal modo anziché distribuire dividendi si incrementa il patrimonio.
Immagino che si sarà già capito il problema: malgrado il nostro PresConsMin affermi che tutto va per il meglio, in Italia abbiamo ancora dei fannulloni che grazie ad uno stato assistenziale e all'eredità del comunismo si ostinano a guadagnare 1.000 euri al mese: e costoro come fanno a risparmiare? Ecco, le banche in questo momento sono un po' assimilabili ai fannulloni di cui sopra: se la necessità di incrementare il patrimonio deriva dal fatto che rischiano di perdere soldi, o perlomeno di avere utili risicatissimi, ben difficilmente potranno mettere da parte qualcosa per incrementare le riserve, è ovvio!
Cosa facciamo noi fannulloni sottopagati quando abbiamo veramente bisogno? Se li abbiamo ancora, e loro sono in grado, andiamo dai genitori a chiedere un obolo. Formalmente si chiama prestito, ma tanto sappiamo tutti che non sarà mai restituito, e comunque i conti si pareggeranno al momento di ereditare.
Ecco, le società possono andare dalla mamma, che nello specifico sarebbero i propri azionisti, e dire: "caripapà e mamma soci, le cose vanno male, abbiamo un problema: sareste così carini da mettere mano al portafoglio?" La cosa viene fatta emettendo delle nuove azioni, che secondo il Codice civile vengono offerte anzitutto in prelazione ai soci, proporzionalmente al numero di azioni già possedute.
Il problema, qui, è che i soci (specie i soci delle banche italiane) non sono papà e mamma: sono delle persone, magari padri e madri, pieni di problemi loro, che certo non hanno alcun desiderio di sovvenzionare la società, specie nel momento in cui i figli biologici stanno magari lottando con le rate del mutuo. Oppure i soci sono a loro volta delle società, che hanno fatto una fatica boia a chiudere il bilancio in nero, tagliando costi e licenziando o cassintegrando, e l'ultima cosa che desiderano è buttare altri soldi.
Vediamo un'altra possibilità, ma qui dobbiamo forzare un po' il paragone. Supponiamo di vivere in un paese islamico dove sia consentito avere più mogli. La nostra famiglia arranca a fatica, i nostri genitori soldi non ne hanno da darci e neppure quelli delle due mogli che già abbiamo: che facciamo allora? Semplicissimo: ci sposiamo una donna ricca, che ci porti una congrua dote! Se siamo una società, il nuovo matrimonio corrisponde al chiedere soldi non già ai soci, bensì a terzi, ai quali venderemo le nuove azioni che i vecchi soci non hanno voluto o potuto comprare.
Certo, nell'esempio che abbiamo fatto le nostre due mogli non potranno più godere del vigore dei nostri lombi per tre notti la settimana (domenica riposo), bensì solo per due; allo stesso modo con, l'ingresso dei "nuovi" soci i "vecchi" soci possiedono un po' meno di società, cosa chiara se consideriamo che il controllo della società intera non può che valere il 100% delle azioni: è un tetto da cui non si può prescindere. Immaginiamo che una società abbia un capitale formato da 100 azioni, che sono distribuite tra 10 soci ciascuno dei quali possiede 10 azioni. Se la società emette altre 50 azioni, ciascun "vecchio" socio non possiede più il 10%, bensì solo il 6,66%.
Quest'ultimo punto merita di essere sviluppato un po' più in profondità. Rammentiamo che stiamo parlando di banche, non di opere caritatevoli. I soci delle banche negli anni passati hanno potuto contare su utili più che discreti: qualcuno se li sarà spesi in ristoranti, qualcuno si sarà comprato la casa per i figli e qualcuno li avrà giocati al casinò. Qualcuno li avrà anche messi da parte. Ora la situazione è diversa e le banche hanno bisogno di aumentare il capitale? Bene, chiediamolo ai soci: chi ha da parte i soldi lo potrà fare, chi li ha spesi non potrà farlo.
Se poi conveniamo tutti che c'è un interesse pubblico a far sì che le banche non tracollino (e quest'interesse c'è, fidatevi, anche se non è questo il post giusto per dimostrarlo), bé, vorrà dire che le azioni che i soci spendaccioni non sottoscriveranno verranno sottoscritte dallo Stato, che diventerà socio. Ma questa, signori miei, è una strada irragionevole, è COMUNISMO.
Strana, vero? Questa paura del comunismo che vien sempre fuori quando lo Stato deve acquisire dei diritti, mentre non emerge mai quando deve pagare dei conti. Che fa sì che lo Stato metta i soldi per pagare i conti di Alitalia, e che allo stesso tempo Alitalia non diventi di proprietà pubblica, come sarebbe ovvio, bensì di proprietà privata. Ma i tempi sono questi, e non sarà certo la stizzita reazione di due o tre blogghér che cambierà l'ideologia imperante.
I Tremonti Bond (di questo, in fondo, stavamo parlando) sono una risposta ai problemi che abbiamo visto qui sopra; e se mi è consentita una valutazione prettamente tecnica, svestita dell'ideologia da sinistra massimalista e illiberale che trasudava dalle ultime righe, neppur pessima. Ne parleremo nella prossima puntata.
(continua)
Abbiamo quindi visto che al fine di alzare il coefficiente di solvibilità (patrimonio/attivo ponderato), la scelta di diminuire il denominatore della frazione non è una grande idea. Infatti, i casi sono due:
- possiamo diminuire l'attivo: ma questo implica ridurre anche il patrimonio, e per effetto della leva questa operazione fa scendere il coefficiente di solvibilità anziché aumentarlo;
- possiamo diminuire il coefficiente di ponderazione: ma così facendo stringiamo i cordoni della borsa, provocendo una stretta creditizia. Dal momento che siamo avidi banchieri potremmo anche fregarcene, se non fosse per il fatto che noi ci campiamo, sul credito, e se non ne eroghiamo non facciamo utili, il che E' MALE.
Uno dei modi che abbiamo per incrementare la nostra ricchezza è quello di risparmiare. Ipotizziamo di prendere un normale stipendio da 6.000 euro al mese: se tiriamo un po' la cinghia e spendiamo solo 5.700 euro al mese ci resteranno 300 euri puliti puliti da mettere da parte, e a fine anno potremo usare il gruzzoletto per comprarci il motorino nuovo oppure metterli sotto il materasso per l'eventualità di dover fronteggiare tempi di vacche magre.
Per le società per azioni è un po' lo stesso: alla chiusura dell'anno si calcola l'utile lordo, ci si pagano sopra le tasse e quel che rimane è l'utile netto. Questa sommetta può essere distribuita ai soci (gli azionisti), un tanto per ciascuna azione posseduta: tecnicamente queste somme si chiamano dividendi. Ma se la società prevede tempi di vacche magre, può decidere di non distribuire i dividendi, e tenerseli in pancia, che è un po' l'equivalente del mettere i soldi nel salvadanaio: in tal modo anziché distribuire dividendi si incrementa il patrimonio.
Immagino che si sarà già capito il problema: malgrado il nostro PresConsMin affermi che tutto va per il meglio, in Italia abbiamo ancora dei fannulloni che grazie ad uno stato assistenziale e all'eredità del comunismo si ostinano a guadagnare 1.000 euri al mese: e costoro come fanno a risparmiare? Ecco, le banche in questo momento sono un po' assimilabili ai fannulloni di cui sopra: se la necessità di incrementare il patrimonio deriva dal fatto che rischiano di perdere soldi, o perlomeno di avere utili risicatissimi, ben difficilmente potranno mettere da parte qualcosa per incrementare le riserve, è ovvio!
Cosa facciamo noi fannulloni sottopagati quando abbiamo veramente bisogno? Se li abbiamo ancora, e loro sono in grado, andiamo dai genitori a chiedere un obolo. Formalmente si chiama prestito, ma tanto sappiamo tutti che non sarà mai restituito, e comunque i conti si pareggeranno al momento di ereditare.
Ecco, le società possono andare dalla mamma, che nello specifico sarebbero i propri azionisti, e dire: "cari
Il problema, qui, è che i soci (specie i soci delle banche italiane) non sono papà e mamma: sono delle persone, magari padri e madri, pieni di problemi loro, che certo non hanno alcun desiderio di sovvenzionare la società, specie nel momento in cui i figli biologici stanno magari lottando con le rate del mutuo. Oppure i soci sono a loro volta delle società, che hanno fatto una fatica boia a chiudere il bilancio in nero, tagliando costi e licenziando o cassintegrando, e l'ultima cosa che desiderano è buttare altri soldi.
Vediamo un'altra possibilità, ma qui dobbiamo forzare un po' il paragone. Supponiamo di vivere in un paese islamico dove sia consentito avere più mogli. La nostra famiglia arranca a fatica, i nostri genitori soldi non ne hanno da darci e neppure quelli delle due mogli che già abbiamo: che facciamo allora? Semplicissimo: ci sposiamo una donna ricca, che ci porti una congrua dote! Se siamo una società, il nuovo matrimonio corrisponde al chiedere soldi non già ai soci, bensì a terzi, ai quali venderemo le nuove azioni che i vecchi soci non hanno voluto o potuto comprare.
Certo, nell'esempio che abbiamo fatto le nostre due mogli non potranno più godere del vigore dei nostri lombi per tre notti la settimana (domenica riposo), bensì solo per due; allo stesso modo con, l'ingresso dei "nuovi" soci i "vecchi" soci possiedono un po' meno di società, cosa chiara se consideriamo che il controllo della società intera non può che valere il 100% delle azioni: è un tetto da cui non si può prescindere. Immaginiamo che una società abbia un capitale formato da 100 azioni, che sono distribuite tra 10 soci ciascuno dei quali possiede 10 azioni. Se la società emette altre 50 azioni, ciascun "vecchio" socio non possiede più il 10%, bensì solo il 6,66%.
Quest'ultimo punto merita di essere sviluppato un po' più in profondità. Rammentiamo che stiamo parlando di banche, non di opere caritatevoli. I soci delle banche negli anni passati hanno potuto contare su utili più che discreti: qualcuno se li sarà spesi in ristoranti, qualcuno si sarà comprato la casa per i figli e qualcuno li avrà giocati al casinò. Qualcuno li avrà anche messi da parte. Ora la situazione è diversa e le banche hanno bisogno di aumentare il capitale? Bene, chiediamolo ai soci: chi ha da parte i soldi lo potrà fare, chi li ha spesi non potrà farlo.
Se poi conveniamo tutti che c'è un interesse pubblico a far sì che le banche non tracollino (e quest'interesse c'è, fidatevi, anche se non è questo il post giusto per dimostrarlo), bé, vorrà dire che le azioni che i soci spendaccioni non sottoscriveranno verranno sottoscritte dallo Stato, che diventerà socio. Ma questa, signori miei, è una strada irragionevole, è COMUNISMO.
Strana, vero? Questa paura del comunismo che vien sempre fuori quando lo Stato deve acquisire dei diritti, mentre non emerge mai quando deve pagare dei conti. Che fa sì che lo Stato metta i soldi per pagare i conti di Alitalia, e che allo stesso tempo Alitalia non diventi di proprietà pubblica, come sarebbe ovvio, bensì di proprietà privata. Ma i tempi sono questi, e non sarà certo la stizzita reazione di due o tre blogghér che cambierà l'ideologia imperante.
I Tremonti Bond (di questo, in fondo, stavamo parlando) sono una risposta ai problemi che abbiamo visto qui sopra; e se mi è consentita una valutazione prettamente tecnica, svestita dell'ideologia da sinistra massimalista e illiberale che trasudava dalle ultime righe, neppur pessima. Ne parleremo nella prossima puntata.
(continua)
Iscriviti a:
Post (Atom)