giovedì 30 aprile 2009

Parola per parola

Ci sono delle volte che ci si sente di sottoscrivere un pensiero parola per parola.
Questo post di Francesco Cundari vorrei averlo scritto io; dato che non l'ho fatto mi limito a riportarlo.
Il tema della selezione dei gruppi dirigenti resta però ugualmente attuale e degno di essere discusso, come attuale e di rilevante interesse pubblico è il tema della legge elettorale nazionale (con liste bloccate) e del referendum (che di quella legge aggraverebbe tutti i difetti). E’ la questione centrale della democrazia: chi e come seleziona i gruppi dirigenti. Un filo comune conduce infatti dai partiti personali alle liste bloccate, dalle liste bloccate alle candidature improbabili, a un Parlamento muto, a una democrazia bloccata. Bloccata in uno scontro tra due leader indiscussi e indiscutibili – quando ce ne siano almeno due – a capo di due partiti-coalizione tenuti insieme esclusivamente da loro, e dove pertanto potrebbero fare più o meno quello che preferiscono. Con il comprensibile desiderio di trasferire questo modello alle istituzioni: il governo – o meglio, il capo del governo – a decidere, e il Parlamento, composto a quel punto pressoché interamente di vallette e valletti da lui personalmente nominati, a ratificare senza tante storie (proprio come i loro partiti).
E’ uno spettacolo che in buona parte si è già svolto sotto i nostri occhi. Il problema non è dunque la valletta che passi direttamente dagli studi televisivi alle aule del Parlamento, ma il crescente numero di servizievoli valletti che già circondano il capo, in tutti i partiti e in tutti i gruppi parlamentari. Questo è oggi il vero problema democratico. Non se un deputato o un ministro, prima di essere eletto, facesse la velina. Ma che lo faccia dopo.

Mi piace notare che non si fa cenno a Berlusconi: il cesarismo non è un problema legato alla statura morale della persona che volta a volta incarna il ruolo di Cesare, bensì della forma di Stato e di governo. La statura politica di Bonaparte era indiscutibilmente sueriore a quella di Berlusconi e pure a quella di tutti i politici della seconda e pure della prima repubblica; ma ciò non toglie che il bonapartismo non avesse niente a che spartire con la democrazia.
Se al posto di Berlusconi ci fosse Fini o Maroni, sarebbe la stessa cosa. Se ci fosse Casini, pure. E se ci fosse Franceschini (o Veltroni, per gli amanti dello spanking, o Prodi per i nostalgici, o perfino Enrico Berlinguer), pure.

Una democrazia con un solo uomo al comando, sia pur per cinque anni, altro non è che una dittatura della demagogia e del populismo; e allora, forse forse, è meglio una dittatura vera: di quelle con OVRA e MVSN, ché almeno ciascuno sa che cosa ha di fronte. Del resto a Fouché ci stiamo già arrivando.

Buone notizie /2

La buona notizia di oggi non è proprio una notizia buonissima, ma con i tempi che corrono bisogna accontentarsi.
Ieri pèrevedevo che titti i giornali italiani oggi avrebbero parlato della bancarotta di Chrysler.
E difatti oggi il Corriere oggi titola:

Ed è una corbelleria, dato che -come detto altre volte- "bancarotta" e "bankruptcy" sono due concetti diversissimi. Tanto più grave in quanto il direttore del Corrierone viene fresco fresco da viale Monterosa, e dovrebbe avere un po' di dimestichezza con queste cose.
La buona notizia è che altri giornali, quali Repubblica:

e il Messaggero

usano il più consono termine "fallimento.

La Stampa (forse condizionata dal fatto che il direttore viene fresco fresco dagli USA)

e Il Giornale

usano i termini "bancarotta protetta" e "bancarotta pilotata"; che è una sciocchezza pure, ma quell'aggettivo lascia intendere che ci sia qualcosa di diverso rispetto alla bancarotta nostra, che essendo penale non può essere pilotata per definizione (vi è da dire che il penale in USA è pilotabile, e quindi si tratta comunque di una pezza a colore).

Tutti indistintamente i quotidiani, comunque, danno al lettore l'impressione che, comunque la si chiami, questsa procedura di Chrysler sia un quancosa di molto negativo che si è cercato fino all'ultimo di evitare: ma si tratta di un messaggio fuorviante.

Fa eccezione il Sole-24 Ore (e sarebbe stato drammatico assai se così non fosse stato, anche se il direttore di viale Monterosa ora si chiama Riotta), il quale, giustamente, non ritenendo che il concetto sia esprimibile in italiano, usa la definizione "Chapter 11", lasciando al lettore (che si presume abbastanza smaliziato, visto il pubblico di riferimento) l'onere di capire cosa ciò significhi)

mercoledì 29 aprile 2009

Indovinala grillo!

Indovinate un po' chi ha scritto questo:
ciao ragazzi,sono passata sul blog e vi giuro ke mi sono uscite le lacrime...perche'finalmen te vi sono arrivata per quello ke sono...e'stato pesante rivedermi perke'ho rivissuto tutto ma credo di aver retto abbastanza bene e di questo devo ringraziare i miei genitori per la persona ke mi hanno fatto diventare...sapete se mi guardassi indietro ci sarebbero tante cose ke eviterei e tante altre ke rifarei,ma purtroppo nn si puo'e allora imparero'dagli errori...va cmq bene cosi'!io vi ringrazio infinitamente per il vostro affetto,per me e'significato tanto!!vorrei rispondere a ki continua a scrivere ke sono fidanzata...beh ho una moralita'ed un'educazione ke nn mi permetterebbe di comportarmi cosi'in piu'non potrei mai stare con una persona ke accetterebbe questo ruolo in una trasmissione televisiva...per la cronaca sn single da un anno!!!!!sei un po' sciocchina a credere a certe voci....baci

A) Rita Levi Montalcini, senatrice;
B) Mara Carfagna, ministro;
C) Debora Serracchiani, candidata all'Europarlamento;
D) Camilla Ferranti, candidata all'Europarlamento.

La risposta
(grazie a Ipazia Sognatrice)

aggiornamento: sembra che alla fine la signora Ferranti non sarà candidata alle elezioni europee. Forse il merito è di Veronica Lario, forse la notizia era fin dall'inizio una bufala ben architettata. Sarebbe bello -ma è presuntuoso persino il solo pensarlo- che un infinitesimo briciolo di merito potesse andare a questo blog unitamente agli altri mille che hanno espresso la propria indignazione.

Verità rivelata

Io sono contento che esista Faccialibro: da quando hanno iniziato ad usarlo i pesanti pps buffi spediti dagli amici fancazzisti sono diminuiti tantissimo.

(da un commento di mfp su una notiziola di .mau.)

Fisiognomica


Non so voi, ma io trovo una certa somiglianza.

Sempre un passo avanti



Quel che mi fa veramente incazzare del PresConsMin, e che allo stesso tempo gli invidio, è la capacità di essere sempre un passo avanti rispetto agli altri.
Io stamane gli dò del bonapartista, e lui già va oltre, verso Caligola.

Articolo 138

Berlusconi ha dichiarato che per riformare la Costituzione l'opposizione non serve: ciò mi spinge a formulare un'osservazione e una considerazione.

L'osservazione.
I primi a modificare la Costituzione a colpi di maggioranza, nel 2001, furono quei partiti e quelle forze politiche che oggi costituiscono il Partito Democratico. Ricorderete la riforma approvata alla fine del secondo governo Amato, in un miope e vano tentativo di evitare una sconfitta elettorale che giunse, puntuale come una cartella esattoriale: e sonora.
Questa, del privilegiar la tattica alla strategia, e del saper perdere sia le battaglie che le guerre, sembra una caratteristica distintiva di questa sfortunata area politica, quella cosiddetta del centrosinistra senza trattino. Vedremo se, con il precedente del 2001, Franceschini avrà l'animo di rispondere a Berlusconi, consapevole com'è di tale peccato originale.

La considerazione.
Quei molti che ancora credono che i referenda proposti da Mariotto Segni abbiano un qualche valore farebbero bene a riflettere attentamente: considerare che un sistema elettorale il quale, a prescindere dalle candidature e dall'esito del voto, darebbe la maggioranza assoluta dei seggi a un solo partito, e attribuirebbe i seggi medesimi a persone nominate dai vertici dello stesso (e ciò indipendentemente dall'esito del terzo quesito referendario, mero specchietto per allodole), avrebbe il seguente effetto:
attribuire a una sola persona la potestà di cambiare la Costituzione.

Accennavo, tempo addietro, al fatto che la nostra Costituzione è stata pensata per funzionare in un regime parlamentare e proporzionale: e valga il vero.
L'Assemblea Costituente rispecchiava un Paese diviso in varie grandi correnti di pensiero: i cattolici e i comunisti, i principali; e i liberali e i socialisti, meno forti. Era certo ai costituenti che qualunque governo sarebbe stato necessariamente di coalizione tra queste correnti politiche e sociali, e difatti scrissero una Costituzione che rispecchiava tale assetto.
Venuti alla decisione su come modificarla, la Costituzione, si resero perfettamente conto che una maggioranza qualificata di due terzi avrebbe conferito a una delle due forze maggiori un potere di veto su qualunque modifica, mentre una maggioranza assoluta avrebbe comunque fatto sì che la modifica fosse condivisa almeno tra due delle correnti. Stabilirono così che la maggioranza necessaria per le modifiche costituzionali fosse assoluta e non qualificata, ma, per prevenire gli scollamenti tra Palazzo e Paese, stabilirono pure la sottoponibilità a referendum qualora la maggioranza raggiunta non fosse così plebiscitaria (il 67%!) da far presupporre juris et de jure la concordanza tra voto parlamentare e sentimento del Paese.

Qualunque modifica della legge elettorale che attribuisca la maggioranza assoluta dei seggi a una sola forza, anche debole del solo 25% dei voti, costituisce una evidente rottura di questo delicato meccanismo. Con l'attuale legge elettorale, che di fatto, mediante il meccanismo delle liste bloccate, cancella l'art. 67 (Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato), il sistema che si verrebbe a creare è definibile solo come bonapartismo; a voler esser delicati!

martedì 28 aprile 2009

Delusione

Ci sono persone che d'un tratto diventano un'icona: ti chiedi come è possibile che fino ad allora fossero nell'ombra, o comunque in seconda fila; fino al giorno in cui, d'improvviso, emergono dalla massa o anche solo dalla seconda fila per divenire protagonisti.
Cofferati, quando era in predicato di diventare il leader del centrosinistra: lo ricordate? E che dire di Nichi Vendola, che sembrava dover rifondare il comunismo? Il giovane Scalfarotto (giovane si fa per dire), pur amato quasi solo nella ristrettissima cerchia dei blogger, sembrava avere un radioso futuro, e così pure la Serracchiani, forte del fatto di essere stata la prima ad aver l'occasione di dire davanti a Franceschini ciò che centinaia o migliaia di persone dicevano senza poterlo fare in presenza del destinatario del messaggio.

Il problema è che, passato quel momento di innamoramento e passione, spesso lasciano enormi delusioni; e ogni riferimento a Cofferati è del tutto voluto (ma potete metterci anche Veltroni, per quei tanti che all'inizio ci hanno creduto: io fortunatamente no; ma con Cofferati mi ero lasciato infinocchiare).
Concedetemi una divagazione milanese, che non c'entra nulla con il prosieguo, per dire che a Milano abbiamo avuto la gioia di vedere quali campioni della nostra parte politica figure che qualunque altro italiano avrebbe considerato impresentabili a prescindere dal colore politico: Diego Masi, sonoramente trombato alle regionali del '95, già con Segni poi nel governo D'Alema poi in Forza Italia.
Aldo Fumagalli, che concorse alla poltrona di sindaco nel '97 con l'obiettivo di fare il sindaco e basta, e che infatti una volta sconfitto si dimise immediatamente dalla poltrona di capo dell'opposizione, di cui non gliene infischiava un tubo.
Bruno Ferrante, pure candidato sindaco nel 2006, che pure dopo la sconfitta trovò una altra comoda poltrona su cui sedersi, seppur non immediatamente: ebbe il buongusto di aspettare un sei mesi circa.

Insomma: qui non ci si è mai fatti mancare nulla, e dovremmo essere abbastanza scafati da capire che una rondine di pensiero non fa primavera; ma ci ricaschiamo sempre lo stesso. Torniamo a bomba.

Ignazio Marino recentemente era divenuto il campione della laicità dello stato e del pensiero che ci piace. La sua lotta per la dignità della morte di Eluana Englaro e per essa della libertà di scegliere di tutti noi; il suo appello per il testamento biologico; la sua competenza in materia e non ultima la sua estromissione dalla commissione sanità del Senato a seguito di uno degli ultimi colpi di coda dell'innominabile ex segretario: tutto ciò aveva contribuito a fare di questo medico cattolico eppur laicissimo un mito per molti di noi.
Ed è per questo che questa sera, vederlo battibeccare a Otto e Mezzo con la sottosegretaria alla sanità, Francesca Martini, è stata una grande delusione. Perfino per un lombardo e milanese, uno abituato a sopravvivere alle delusioni lasciandosele alle spalle dopo pochi minuti.

L'argomento era quello dell'influenza suina, e mannaggia se io ho capito se sia una bufala totale o ci sia molto di vero o anche solo qualche grammo di vero affogato in palettate di sciocchezze; ma non è questo il punto.
Il punto è che i due discutevano animatamente, perché Marino imputava al governo il fatto che in Italia, oggi come oggi, ci sono medicinali (il famoso Tamiflu) sufficienti per curare un milione di ammalati, che sono appena il 7% della popolazione mentre altrove, ad esempio in Austria, ne hanno abbastanza per curarne il 50%.
La Martini rispondeva che in realtà anche in Italia ce l'abbiamo, il medicinale; ma Marino ribatteva che ce l'abbiamo sì, ma nei bidoni, mentre bisogna metterlo nelle capsule, e che per far questo ci vogliono quattro settimane mentre le capsule già pronte sono solo un milione.
La Martini, che devo confessare mi faceva un po' pena, anche per la sua incapacità di ribadire esponendo con chiarezza -e in ordine logico- i propri argomenti, faceva notare che se proprio ce ne fosse stato bisogno si poteva sempre sciogliere il medicinale nei bicchieri d'acqua, attirando gli strali del Marino che si rideva tutto all'idea che nell'emergenza si sciogliessero nell'acqua le polverine. E qui la Martini si riscattava, facendo notare che di emergenza adesso come adesso non ce n'è nessuna; e comunque l'attività di incapsulamento era già avviata.
Io aspettavo: tifavo!, perché la signora dicesse le uniche tre cose logiche anche per il profano, vale a dire che: A) crede davvero che entro domani si ammaleranno un milione di persone? e: B) crede davvero che nel corso della prossima settimana si ammaleranno dieci milioni di persone (che dieci milioni di dosi, facendo il conto della serva, si possono incapsulare in una settimana)? e: C) crede davvero che se venti milioni di italiani si ammalassero in una settimana, ci sarebbe da andare tanto per il sottile a distribuire il farmaco con i cucchiaini?
Ma la signora ciò non ha detto, e Marino aveva gioco facile a stroncarla dicendo che l'Austria ce le aveva, le capsule, e noi no; e perché loro sì e noi no?

Un dialogo tra sordi; e soprattutto un dialogo disonesto. Marino queste cose le sapeva benissimo. Sa meglio di me che buona parte dell'allarme è una montatura; sa meglio di me che se entro la prossima settimana ci saranno dieci milioni di dosi di antivirale si potranno curare le pesti suina, aviaria, canina e marsupiale per i prossimi trent'anni, visti i precedenti degli altri allarmi-di-fine-di-mondo risoltisi in una scoreggina.
Sa, soprattutto, che in una situazione da 28 giorni dopo non si va tanto per il sottile: si prende l'esercito, lo si manda per le strade occupando militarmente il territorio e si dichiara la legge marziale: a quel punto si distribuiscono i farmaci con i cucchiaini fregandosene del fatto che non è tanto bello; ma quello è solo un film.
Marino sa, insomma, che il nostro Paese è del tutto preparato ad affrontare un'emergenza quale quella di questa influenzaccia, che farà colare il naso e avrà anche ammazzato -forse- qualcuno, ma è tutto tranne che Ebola o Vaiolo.

Io credo che vi siano dei limiti etici al dibattito politico. Far montare l'allarmismo facendo credere allo spettatore che entro quattro settimane ci potranno essere quaranta milioni di ammalati di una malattia potenzialmente mortale non è un buon modo di fare politica né un buon servizio per il Paese.
Non lo sarebbe neppure se ci fossero da vincere le elezioni: perché perfino Machiavelli non ha mai detto che il fine giustifica qualunque mezzo, dacché il fine, in effetti, NON giustifica i mezzi se non in caso di forza maggiore; e se far perdere consensi a Berlusconi non costituirebbe comunque forza maggiore, a maggior ragione non lo è la speranza di far fare una magra figura a una sottosegretaria del suo governo in una trasmissione di scarso ascolto.

Numeri al lotto (giocare con i numeri /5)



Non intendo spendere una parola per commentare il merito della notizia, che è di quelle che si commentano da sole (qui a fianco vedete i lanci di Corriere e Repubblica e potete capire di che si tratti: per i non lombardi, offro una chiave di lettura ulteriore facendo notare che la nostra Regione offre fior di quattrini alle famiglie che mandano i figli nelle scuole private, in nome della libertà di scelta sull'educazione dei figli: ma non dà da mangiare ai bambini nelle scuole pubbliche).

No, quello su cui desidero richiamare l'attenzione è il fatto che i due articoli parlano della stessa stessissima notizia, ma tra di essi non c'è un solo numero che corrisponda.
Per Repubblica i bimbi a digiuno sono 22, mentre per il Corriere sono 34; per quest'ultimo tuttavia le famiglie morose sono 432, che per Repubblica diventano 1.027. Perlomeno sul nome della ditta appaltatrice, Dussman Service, c'è concordia; ma per il Corriere il credito di quest'ultima è di 78mila euri, mentre per Repubblica di soli 28mila.
Notevole, no?

lunedì 27 aprile 2009

Gran Torino

Uscendo dalla sala cinematografica, ciò che più colpisce di Gran Torino sono i commenti degli spettatori che hanno condiviso con voi quelle due orette scarse.
Indottrinati a dovere dalla stampa sul fatto che il film che stavano per vedere fosse un capolavoro, evidentemente quei signori di mezz'età si attendevano che delle giovani ragazze discinte avrebbero aspirato le loro anime; e le accompagnatrici dei signori certo fantasticavano sul vortice di passione, tormento ed estasi nelle quali si sarebbero immerse e annegate.
E' quindi con ben comprensibile disappunto che, al risveglio della luce, gli spettatori tra loro vicini si guardassero con un misto di imbarazzo e timidezza: occhiate espressive di dubbio e disappunto che non riescono a trovare il loro oggetto: se il film, così piattamente deludente; i critici cinematografici, così boriosamente intellettuali e sempre pronti a definire "capolavoro" un filmetto che il figlio cugino dello zio Antonio, quello che fa i filmini ai matrimoni, avrebbe reso molto più avvincente; o (e questo è il dubbio che impedisce di esprimere il proprio pensiero!) sé medesimi, incapaci di penetrare nelle profondità di quella che in fondo ci appare sempre più una pellicola scialba che non vale i 4 euri del biglietto Esselunga. Ma ai commentatori di professione è tanto piaciuto, e un perché ci deve pur essere, Santo Dio!
Il breve percorso dalla poltrona all'uscita, nel cortile del multisala, e già si colgono i primi "ma ti è piaciuto, vero?" e le attese repliche "sì, certo, un capolavoro, ma... (un po' lento/un po' lungo/un po' triste/un po' confuso...); e immagino che nel ritorno, in auto, i meno sicuri di sé abbiano trovato la chiave interpretativa "una grande lezione contro il razzismo"; e i più boriosi abbiano, alla fine tratto la conclusione:
Gran Torino è una boiata pazzesca!

Il fatto, ahinoi e ahiloro, è che Gran Torino è un capolavoro: ma un capolavoro vero, elitario: non un silenzio degli innocenti in grado di piacere a tutti, bensì una cosa come la poesia di Gozzano (to'!) o un quadro di Schifano; una cosa per esperti, insomma, che allontana da sé chi esperto non è ma vorrebbe farsi passare per tale.
Anche un pons asinorum, questo film: che ci permettere di identificare subito i cattivi commentatori: se leggete un critico secondo cui Gran Torino è un film sul razzismo, ecco: quello è un cattivo critico, e l'unica attenuante per lui sarebbe il non aver visto il film per trascorrere un pomeriggio con l'amante; ché altrimenti andrebbe licenziato in tronco dal foglio che imbratta.

Gran Torino è un film rohmeriano sul fallimento, sul riscatto e sullo scopo della vita. Il protagonista, Kowalski, è una persona eminentemente morale, e non è vero che disprezzi l'umanità, i figli, i negri o i musi gialli. Egli disprezza chi gli sta intorno perché costoro non hanno una morale, e quindi non sono uomini: tutto qui.
Kowalski non vuole salvare Tao: gli si avvicina quando Tao, ribellandosi al cugino, dimostra di avere dei valori morali; e lo stesso fa con il prete, quando riconosce in lui l'uomo -pur prete- anziché il prete e basta.
L'universo morale di Kowalski è racchiuso tutto nella confessione: ha tradito la moglie (che tradimento, poi!), ha evaso le tasse e non è stato un buon padre. Doveri primigeni (si potrebbe dire primitivi) cui non ha saputo adempiere, e per questo -e solo per questo- è colpevole: tutti i morti ammazzati non contano, perché erano dovere nel senso più puro.
Come dovere è far sì che i deboli non soccombano ai forti, siano questi gialli, neri o bianchi. E se mi contestate quest'ultima affermazione, dicendo che ci sono nel film prepotenti gialli e prepotenti neri ma non prepotenti bianchi, vuol dire che alla penultima scena dormivate saporitamente: buon per voi.
E dovere è anche quello di riparare i torti generati: la trista fine di Sue è imputabile esclusivamente a Kowalski, che ha creduto di essere ancora in Corea e di avere il potere di rendere giustizia, ma era in errore. Ed è per riparare al suo errore che l'epilogo è quello che è: Kowalski non è un idealista: è giusto e rigido, prima di tutto con sé stesso.
Consentitemi di esagerare e dire che ricorda, Kowalski, il Jean-Louis di Ma nuit chez Maud, con quella sua incrollabile sicumera che lo rende certo di essere un Giusto dalla parte del giusto, e che il mondo non possa altro che andare nella direzione del Giusto e del Dovere, tanto che per affermare la propria Ragione non serve una pistola vera: basta il gesto con le dita (certo, se dietro la macchina ci fosse stato Rohmer forse i gangsta si sarebbero dileguati; ma Eastwood è più smaliziato, ed è costretto a far estrarre a Kowalski il cannone vero: ma con la morte nel cuore).

Manifesti elettorali

Sabato 25 aprile non sono potuto andare in manifestazione a fischiare Formigoni, perché Nichita non me l'avrebbe permesso (l'ho portato quand'era piccolo e spero che lo porterò quando sarà un po' più grandicello, ma a quest'età proprio con le manifestazioni non c'entra nulla).
Abbiamo perciò fatto un giro in bici e, strada facendo, mi sono goduto un po' di propaganda elettorale che adorna le strade cittadine.

Mi piacerebbe aver da dire qualcosa sulla sinistra, almeno di questi tempi in cui sarebbe ora, se qualcuno esiste, di farsi sentire. Purtroppo l'unica cosa che ho potuto notare è la ricomparsa dei manifesti blu "VOTA COMUNISTA" con il simbolo della bandiera rossa con falce e martello sulla bandiera italiana. Quelli che ho sempre visto, ad ogni elezione, finché Occhetto non si è inventato il partito con la quercia della strada per Capalbio.
Bene l'operazione nostalgia; diciamo che non credo sia una strategia efficace, ecco, ma staremo a vedere. Quanto all'altra forza di sinistra, ancora non ne ho inteso il nome: mi piacerebbe esser fiducioso ma non vedo come.

Veniamo al PD, che almeno c'è qualcosa da dire.
Alla Provincia di Milano c'è Penati, che ha affittato un'enorme quantità di spazi. Ad occhio il 60% parla di sicurezza ed il 40% di altri argomenti (la crisi, il lavoro, etc.).
Per avere una conferma a questa impressione sono anche andato sul sito del Penati, dove campeggia una nuvola semantica (o come diavolo si chiama) che riproduco qui a fianco, e che mi sembra sufficientemente eloquente, dacché la parola "sicurezza" è più grande di "Filippo Penati".

Per quanto concerne i manifesti "istituzionali" del PD, ne ho visto qualcuno a effetto spinta, ma pochi.
Quello che si vede dappertutto (l'ho cercato in rete, ma non l'ho trovato) è un manifesto con la foto B/N di una giovane ragazza, e uno slogan tracciato a mano, tipo gessetto su lavagna, del tipo "Sicurezza: più agenti per le strade".
A quanto ho capito questo è uno solo di una serie di manifesti che dovrebbero affrontare ciascuno un tema diverso.
Ciascuno un tema diverso: ma io un solo tema ho visto, ed è quello della sicurezza. Tema inesistente, che esiste solo nell'universo puramente mediatico del cortocircuito informazione-umori-sondaggi-palazzo-dichiarazioni-informazione-..., e che oltretutto, mi sia consentito il francesismo, non c'entra una fava con le elezioni europee.

Non che me ne importi granché, dato che tanto questa tornata non mi vedrà andare al seggio, ma, dico io: possibile non aver ancora capito che puntare sulla sicurezza fa vincere gli altri?

50.000 dollari (giocare con i numeri /4)

Punto Informatico oggi riporta un rapporto del Ponemon Institute secondo cui la perdita di un laptop aziendale ha un costo valutabile in 50.000 dollari.
Punto informatico in realtà linka un articolo di Ars Technica il quale dimostra che tali cifre sono una puttanata, dato che su una marea di casi il costo subito è quello dell'hardware (e spesso neanche quello, dato che spesso le macchine sono assicurate). mentre in alcuni rari casi sono stati subiti effettivamente gravi danni per la compromissione delle informazioni contenute nelle macchine smarrite.
Leggendo il rapporto, redatto secondo la nota metodologia "medione del pollo", i 50.000 dollari di costo sono perlopiù riconducibili proprio alla compromissione di dati (ben 40.000 dollari circa); e la crittografia dei dati consentirebbe di risparmiare ben 20.000 dollari.
La chicca più bella è che il costo per lo smarrimento di un laptop backuppato è quasi il doppio rispetto a quello di un laptop non backuppato: e qui il rapporto si arrampica su vetri insaponati cercando di spiegare questa cazzata questo dato controintuitivo argomentando che l'esistenza di un backup consente di rilevare costi che altrimenti non sarebbero stati rilevati; e credetemi se vi dico che perfino io, che sono abituato a vedere i dati "controintuitivi" che escono fuori dai principi contabili internazionali, fatico non poco ad accettare l'ipotesi che perdere l'unica copia dei dati sia più conveniente rispetto a perdere una delle copie degli stessi.

Come vedete dal titolo, questa è la quarta puntata di Giocare con i numeri: una serie che ha avuto un discreto successo in passato, e che è ora di nobilitare con una dichiarazione di metodo.
I numeri non sono molto diversi dalla televisione: se sentite il vostro apparecchio di radiodiffusione dire che a Londra sono atterrati i marziani, non dovete crederci solo perché "l'ha detto la televisione". Allo stesso modo, quando sentite qualcuno che tira fuori un dato che vi sembra assurdo, non dovete pensare che il fatto che ci siano lì vicino delle cifre lo rende di per sé stesso credibile.
Le cifre sono come le parole: possono dire la verità o mentire, a seconda di chi le utilizza. Ma, a differenza delle parole, i numeri hanno una propria aura di affidabilità che per istinto confondiamo con un'oggettività in realtà del tutto inesistente. E' per questo che il pensiero critico è ancor più necessario quando l'interlocutore snocciola delle cifre: perché il dubitare è il primo passo che deve essere fatto prima di approfondire la metodologia utilizzata per produrle, quelle cifre, e così facendo scoprire che talvolta il nostro interlocutore non è un saggio, bensì un furfante o un allocco.
I più affezionati lettori sanno bene quanto me la sono presa con la fola dei 400 milioni: non tanto perché qualcuno cercasse di portar acqua al proprio mulino, bensì per la rapidità con cui una simile bufala si è propagata e in poco tempo è divenuta verità oggettiva, al di là di qualunque senso comune; spero tanto che anche attraverso questi esempi (certo anche in futuro non ne mancherà, di materiale!) possa dare una minuscola briciola di contributo perché ciascuno di noi aumenti il spirito critico e, con tal mezzo, divenga un cittadino migliore.
(lo so, quest'ultima riga è anch'essa una presuntuosa sciocchezza, ma ho calcolato che non lo è del tutto: solo al 97,26%)

sabato 25 aprile 2009

Imparare l'inglese, la matematica, la finanza, la fisica e qualcos'altro ancora

Grazie a Baseline Scenario ho scoperto un sito che consiglio a tutti coloro che vogliano spendere un po' del proprio tempo a migliorare la propria preparazione.
Contiene un fottìo di video, in particolare di matematica, geometria, calcolo delle probabilità; e poi fisica, geometria e, per coloro che ancora non si siano troppo annoiati, finanza, tecnica bancaria e "crisis".
Dato che il tutto è commentato in inglese, è anche utile assai a coloro che vogliano fare un po' di esercizio di comprensione, come il sottoscritto.

Ecco l'indirizzo: http://www.khanacademy.org

venerdì 24 aprile 2009

Pollicino


Questa vicenda dei due tedeschi che hanno lasciato in pizzeria i figli di lei (la conosciamo tutti, ma il link ci vuole, ché domani ce ne saremo già dimenticati) mi ha molto colpito.
Ho cercato di immedesimarmi in quella donna, e una volta sento compassione per la situazione disperata nella quale si è venuta a trovare, un'altra rabbia per l'incoscienza dimostrata nel suo agire (decidere di fare un viaggio al mare in Italia senza soldi e vestiti), un'altra ancora pietà per quei bambini il cui maggiore, di sei anni, non riesco a immaginarmi in quali condizioni abbia finora vissuto.
Mi chiedo anche che persona sia la nonna dei piccoli, a cui adesso i bambini verranno affidati, e perché finora non avesse fatto nulla (ma non è un giudizio, il mio: è pure possibilissimo che fosse la figlia a non permetterle di avvicinarsi).

Sono considerazioni abbastanza comuni: credo che non differiranno granché dalle vostre.
Credo però che ci sia una cosa che fa sì che la notizia abbia avuto un risalto particolare e forse è uno dei motivi per cui mi ha colpito: il fatto che si tratti di una famiglia tedesca.
Ormai tutto il mondo è paese, per cui non c'è nulla di strano che anche i tedeschi possano trovarsi in condizioni di miseria e disperazione; ma nel nostro inconscio (nel mio, almeno) la Germania ha pur sempre una connotazione di solidità e benessere che dura fatica svanire.
Credo che se la vicenda fosse capitata a una coppia di italiani, o di americani, il senso di disagio sarebbe stato diverso, inferiore. Si tratta, ripeto, di una sensazione totalmente irrazionale: voi la condividete?

mercoledì 22 aprile 2009

Il mondo alla rovescia

Sembra che, per la prima volta da tempo immemorabile, sia Berlusconi a seguire un'idea del PD e non viceversa.
La decisione di Berlusconi di partecipare alle celebrazioni del 25 aprile a Onna, infatti, segue di quattro giorni la stessa decisione che Franceschini aveva annunciato sabato scorso all'assemblea degli amministratori del PD.
E allora, mi chiedo, perché mail il Corriere deve titolare la notizia dando l'impressione che sia Franceschini a seguire Berlusconi? Pura forza dell'abitudine?

C'è crisi, c'è grande crisi (precisazione /2)

Scorfano mi odierà perché non solo gli ho fatto andare di traverso la cena di ieri, ma mi ripeto anche oggi.
Rammentate che vi ho raccontato che Citigroup ha fatto un botto di utili perché il mercato pensa che sia a rischio di fallimento?
Bene: non so se c'entri il principio di conservazione dell'energia o qualcosa sull'entropia: sta di fatto che tutte le medaglie hanno due facce.

Morgan Stanley ha presentato una trimestrale che riporta perdite per 177 milioni di dollari. Perdite dovute al fatto che il suo rischio di insolvenza è diminuito. E forse la diminuzione è dovuta al fatto che l'anno scorso aveva avuto un utile di un miliardo di dollari dovuto al fatto che il suo rischio di insolvenza era aumentato?
(potete anche leggere questo Krugman intitolato: Alice in financeland)

Notizie che non lo erano

Io sono un affezionato lettore di Paul Krugman, e talvolta mi dimentico che sia un economista americano, dato che su molte cose la pensa come il bancario lombardo che c'è da quest'altra parte dello schermo.
Non ho potuto fare a meno di ricordarmene oggi, rendendomi conto che perfino uno dei più acerrimi critici dell'amministrazione Bush sembra accorgersi solo ora del fatto che l'11 settembre è servito come pretesto per attaccare l'Irak.
Condivido comunque lo scandalo, per quanto un po' in ritardo, per quello che lui efficacemente riassume così:
Let’s say this slowly: the Bush administration wanted to use 9/11 as a pretext to invade Iraq, even though Iraq had nothing to do with 9/11. So it tortured people to make them confess to the nonexistent link.
There’s a word for this: it’s evil.

Eterogenesi dei fini

Uno dei vantaggi di avere ancora un barlume di Stato di diritto regolato da una Costituzione che contiene un Articolo 3, è che le idiozie si ritorcono contro chi le pensa.
In Lombardia per ogni kebabbaro ci sono almeno cento gelaterie, pizzerie al trancio, rosticcerie, gastronomie e altri italianissimi parti dell'ingegno nazionale, che come universalmente noto quando si tratta di mangiare non ha nulla da invidiare a nessuno.
Una persona normale, una volta capito che ogni turco a cui avrebbe potuto rompere i coglioni gli sarebbe costato l'odio di cento bottegai italiani, avrebbe trovato un modo elegante di tirarsi indietro e di far finta di aver scherzato.

Ma evidentemente questo signore qui a fianco, Daniele Belotti, tanto normale non dev'essere: et pour cause, se si considera lo sforzo di tenerlo sempre duro mangiando solo polenta.
Aspetto con ansia le reazioni dei bottegai che hanno votato il partito di Alberto da Giussano; e anche quelle dei loro clienti.

martedì 21 aprile 2009

C'è crisi, c'è grande crisi (precisazione)

Nei commenti a questo pezzo lo Scorfano (e non solo lui, a onor del vero) è rimasto basito: talmente basito che temo che il problema che volevo illustrare non sia stato del tutto centrato, per aver dato io per scontato qualcosa che scontato non era (del resto lo stesso pesce aveva manifestato vivissima sorpresa apprendendo che (e perché) il patrimonio debba andare al passivo, per cui costituisce il mio interlocutore ideale).

Prendiamo l'esempio di un'impresa Alfa che ha un debito di un milione per una fornitura di chiodi, cui corrisponde ovviamente un credito di un milione di un'altra impresa Beta. Nulla impedisce che Alfa e Beta si accordino per dire che quel milione verrà pagato solo per 100.000 euri: non è che si possa proprio regalare i soldi, ma ci sono mille modi per raggiungere un accordo perfettamente legittimo, ad esempio adducendo che la merce non era conforme all'ordine, che è arrivata tardi o nel posto sbagliato, o anche semplicemente che, dato che Alfa sta messa male, Beta accetta di prendere 100.000 subito (l'uovo) anziché 1.000.000 domani (la gallina).
Orbene, è chiaro che Beta avrà una perdita: di 900.000 euri. E correlativamente Alfa avrà un utile (tecnicamente si chiama insussistenza di passivo) di 900.000 euri. Se così non fosse sarebbe un bel casino: infatti Beta pagherebbe le tasse su un reddito molto minore (e quindi, ipotizzando un'aliquota del 30%, 300.000 euri in meno), mentre Alfa continuerebbe a pagarle sullo stesso reddito di prima.
A quel puno solo un cretino, o un idealista, pagherebbe in contanti i propri debiti: si creerebbe un mercato più o meno clandestino a puri fini elusivi.
La cosa corretta quindi è questa: quando si fa un accordo, chi incassa meno può registrare una perdita, e chi paga meno può (deve) registrare un guadagno uguale e contrario. Si tratta di un'impostazione pacifica e da sempre pacificamente riconosciuta nei criteri contabili nazionali.

Quello che ha fatto Citigroup (e pure JP Morgan) invece è ben diverso: essa non ha fatto un accordo con i propri creditori per pagar loro di meno: ha iscritto in bilancio un ricavo (un'insussistenza di passivo) perché è ipotizzabile che dato il pericolo di fallimento i propri creditori in un futuro accettino di esser pagati di meno. Ma avendo fatto utili, diminuisce il pericolo di fallimento e pertanto viene meno il motivo stesso in base al quale quegli utili erano stati fatti, e quindi aumenta il rischio di fallimento che fa venir in essere un motivo per iscrivere degli utili che...
Vedete bene qual è la differenza tra il ragionare su cose ormai definitive (come si fa nei principi contabili nazionali), dove utili (e, semplifichiamo, perdite) si registrano solo quando si fanno davvero, e il ragionare sul mark to market previsto dai principi contabili internazionali (o IAS) e che per normativa europea deve essere adottato dalle banche. E' un po' la differenza che intercorre tra litigare con un energumeno nel mondo reale (i principi nazionali) e nel mondo di Matrix (gli IAS): dove quando tiri un pugno non sai mai se colpirà la pancia o le passerà attraverso.

Buone notizie (BikeMi)

Mi ha scritto BikeMi, dicendomi che durante il Salone del mobile l'orario di apertura del servizio verrà prolungato dalle 23 alle 2 di notte.
E' una buona notizia in quanto qualcosa si muove, e sicuramente l'esito della sperimentazione avrà influenza sull'eventuale decisione di estendere l'orario notturno, in futuro (perlomeno nei week-end).
Resta il problema di chi pagherà tutto ciò: ancora ClearChannel non mi sembra abbia potuto installare nessuna "speciale", e quindi -per quanto ne ho capito- sta gestendo i costi d'esercizio in conto delle penali che incasserà dal Comune.
L'estensione notturna del servizio dovrebbe essere oggetto di una ulteriore convenzione con il comune stesso, ma mi sembra difficile che le trattative possano avanzare finché almeno l'oggetto dei contratti di base (la concessione degli spazi publicitari, per l'appunto) non sarà onorato.
Salvo che ClearChannel abbia fatto i suoi conti e visto che forse forse potrebbe convenire essere pagata in conto penali anziché dover piazzare le speciali alla clientela, compito tanto più difficile considerata la crisi economica.
Arriveremmo così -è fantapolitica, ma la butto lì comunque- a gestire il servizio a carico della fiscalità generale, vale a dire esattamente quanto propugnavo cinque mesi fa, sulla base del fatto che il bike sharing fa bene alla città e ai cittadini che la vivono. Il problema è che a carico della fiscalità generale ci sarebbero non solo i costi vivi, ma anche i profitti di ClearChannel: un po' la dinamica che abbiamo visto per gli USA, dove i contribuenti americani pagano per salvare AIG che fa fare profitti a Goldman Sachs.

C'è crisi, c'è grande crisi /5

Pochi giorni fa vi ho raccontato come Goldman Sachs e JP Morgan hanno fatto a far uscire una trimestrale con dei begli utili malgrado avessero perso soldi su quasi tutte le proprie linee di business; e ciò con i soldi dei contribuenti americani e per il tramite di AIG.
Oggi invece vi dico qualcosa sull'altro grande colosso bancario: Citigroup, che ha chiuso la trimestrale con 1,6 miliardi di utili. Bloomberg spiega il dettaglio delle cifre, e se aveste la pazienza di andare fino alla metà dell'articolo trovereste questa criptica frase:"Citigroup posted a $2.5 billion gain from accounting rules that allow companies to profit when their own creditworthiness declines", che vale la pena di spiegare.

Immaginate una situazione in cui ci sono: Alberto il banchiere; Berta la massaia e Cirillo lo speculatore. Berta deve 1.000 dollari ad Alberto, ma ha perso il lavoro, ha due figli da mantenere e il marito è scappato con una ballerina. Alberto sa bene che quei 1.000 dollari esistono solo sulla carta, e se gli va bene ne vedrà solo 400 o al massimo 500 (ma dopo molto tempo e con molte spese). Arriva lo speculatore Cirillo, il quale dice ad Alberto: vendimi il credito verso Berta, e io ti dò subito 400 dollari, così non ci pensi più. Alberto ci pensa sopra 20 secondi e poi vende il credito a Cirillo: perché?
Semplice: Alberto sa bene che Berta non ha occhi per piangere, e una regola d'oro del credito è che non si può cavar soldi dalle rape. Meglio portare a casa meno di quanto si dovrebbe, ma portarlo a casa e non pensarci più.

Ora immaginate che Berta non esista; e neppure Cirillo.
C'è una banca, che si chiama Citigroup, che ha emesso delle obbligazioni. Ha dei debiti, insomma, come normale per una banca. Citigroup però sta messa male: le sue probabilità di diventare insolvente sono consistenti: il mercato non le dà più fiducia. Se qualcuno dovesse comprare un'obbligazione da 1.000 dollari di Citigroup, oggi la comprerebbe a 900 dollari, dato che non si fida. Sul mercato, quindi, il valore di 1.000 dollari di debito di Citigroup è pari a solo 900 dollari.
Ma visto che Citigroup mette in bilancio i propri debiti al mark-to-market, cioè li contabilizza al valore di mercato, ecco che magicamente al passivo Citigroup non ha più 1.000 dollari di debiti, bensì solo 900; e la differenza di 100 dollari, che da qualche parte deve essere contabilizzata, viene appostata come un utile.
Avete letto bene: Citigroup ha fatto utili grazie al fatto che rischia di fallire; e se stesse messa ancora peggio, gli utili sarebbero ancora maggiori: se il valore di mercato delle sue obbligazioni fosse solo 800, l'uile sarebbe stato di ben 200 dollari!!!
Con questo giochino Citigroup ha fatto, come detto prima, 2,5 miliardi di dollari di utili; e con altri giochini simili un altro miliardo, per un totale di 3,5 miliardi di guadagni taroccati. Visto che l'utile netto della trimestrale è di 1,6 miliardi di dollari, ne risulta che in realtà Citigroup ha perso quasi 2 miliardi di dollari.

Bello il mondo della finanza, vero? e adesso, non vi sembra che ci sia da stare un po' preoccupati, malgrado Tremonti e Marcegaglia dicano che va tutto bene, madama la marchesa?

lunedì 20 aprile 2009

C'è crisi, c'è grande crisi /4

Dopo che Tremonti ha detto che non c'è più il pericolo di una crisi globale della finanza e delle borse, ci si è messa anche la presidentessa di Confindustria a dire che già dalla seconda metà del 2009 dovrebbe iniziare la ripresa, o quantomeno un'inversione di tendenza.
Vale, in questi casi, il vecchio adagio per cui in tempo di guerra la verità è la prima vittima: Tremonti e Marcegaglia fanno benissimo a comportarsi come si comportano e dire quello che dicono: sarebbero anzi irresponsabili ad alimentare le preoccupazioni! Del resto, una parte non indifferente delle crisi è anche legata ad un profilo psicologico: la mancanza di fiducia alimenta le crisi, e creare una fiducia, anche immotivata, può far incamminare verso una soluzione.
Purtroppo le cose stanno un po' diversamente, e i segnali che vedo io (io che non sono Tremonti e Marcegaglia, beninteso, e neppure un economista) sono scricchiolii, tanto più pericolosi in quanto intervengono in un clima in cui l'attenzione e la tensione si sono un po' rilassate, dopo tanti mesi di timori.

Faccio degli esempi americani, per due motivi: il primo è che le nostre economie, volenti o nolenti, dipendono comunque dall'andamento degli USA: un aggravarsi della crisi di là dell'oceano non potrebbe che avere effetti catastrofici nella vecchia Europa. Gli USA, inoltre, hanno una politica fortemente interventista contro la crisi, a differenza dell'Europa (i cui governi peraltro giustificano il loro minor interventismo con il fatto che in Europa, a differenza che negli USA, esistono degli istituti di stato sociale che sono per loro natura anticiclici, e impediscono che coloro che hanno perso il lavoro finiscano nella spirale della miseria).
C'è poi il fatto che ci sono molte più occasioni per documentarsi sull'economia americana , come dimostrano i link lì sulla destra.
Dico subito che le righe che seguono sono abbastanza tecniche: se non dovessi essere abbastanza chiaro, me ne scuso fin d'ora.

La prima cosa preoccupante viene proprio dalla circostanza che anche il governo USA sembra in difficoltà: secondo il New York Times, Obama avrebbe intenzione di utilizzare in maniera più incisiva i fondi TARP (i famosi 700 miliardi di dollari di salvataggio pubblico), senza doverne chiedere altri al Congresso, utilizzandoli per sottoscrivere azioni ordinarie anziché privilegiate.
Per farla molto semplice: le azioni ordinarie hanno diritto pieno di voto, mentre quelle privilegiate no: questo vuol dire andare verso la nazionalizzazione (almeno parziale) delle banche, il che è stato finora un tabù.
E non ci sarebbe niente di male, intendiamoci, se solo si trattasse di una scelta meditata e politica, dovuta al fatto che è scandaloso (io la penso così) che i contribuenti paghino i debiti delle banche senza sottrarne la proprietà agli azionisti precedenti.
Invece, almeno a leggere il NYT e i commenti in giro di tutti i colori, l'impressione che si trae è che la scelta sia dettata proprio dal fatto che i soldi sono quasi finiti e/o che ne servono molti di più di quanti siano stati stanziati. Il che è molto ma molto preoccupante: anche perché la pezza trovata è peggio del buco. Se andate a ripassare la lezioncina sulla parte alta del passivo di bilancio, il patrimonio, rammenterete che dal bianco (il capitale sociale) al nero (il debito garantito) ci sono tante sfumature; ma una cosa è certa, vale a dire che le azioni ordinarie e quelle privilegiate sono, rispettivamente, bianco e panna chiaro; e in ogni caso molto più chiare dei debiti a cui dovrebbero fare da "cuscinetto". Quindi, come ben puntualizzano Krugman e altri, spostare i fondi da azioni privilegiate a ordinarie non serve assolutamente a nulla, se non a far quadrare un po' di indici che tuttavia sono semplici rapporti matematici privi di sostanza reale.
Metter in piedi un intervento puramente cosmetico potrebbe anche avere un senso: ma se ciò va contro i sacri principi del capitalismo americano ed è destinato a scatenare violente reazioni, allora vuol dire che altre vie per far qualcosa non ce ne sono. Devo confessare che la cosa mi ha un po' turbato.
(ora è tardi, la seconda cosa brutta la racconto poi)

aggiornamento: Krugman (sempre lui) spiega molto meglio di me la (non) differenza tra azioni ordinarie e privilegiate

Non sarà che Tremonti porti un po' sfiga?


aggiornamento: c'è da leggere anche questo!

La faccia come il culo

Avete mai pensato di comperare una bottiglia di Cognac? Se sì, vi arrabbiereste se nella bottiglia con scritto fuori "Cognac" ci fosse del tè?
E se vi venisse in mente di comperare, chessò, una Fiat Punto 1600 (ammesso che esista), non rimarreste un filo sorpresi incazzati scoprendo che il motore non è di 1.600 cc (o magari 1.599 o anche 1.570) bensì di 1.200 cc?
Bene: sentite un po' cos'ha affermato Telecom quando è stata sottoposta a procedimento per pubblicità ingannevole (sottolineature mie):
"bisognerebbe anche rilevare che nella comunicazione web delle offerte […], la velocità di navigazione non viene messa in particolare risalto e pertanto non può, in pratica, definirsi l’elemento portante per orientare le scelte del consumatore. Infatti, nella prima pagina web … che richiama le tre offerte (7 Mega – 20 Mega – Free) non è riportato alcun riferimento enfatico alla velocità (ma solo le relative denominazioni commerciali delle offerte: 7 Mega, 20 Mega …), il che da un lato giustifica l’assenza della nota sulla limitazione in quella stessa pagina e, dall’altro, dimostra la mancanza di pericolo di una captatio dell’attenzione del consumatore incentrata sul dato della velocità”.
In ogni caso, sempre secondo Telecom, espressioni come “velocità fino a 20 Mega”, “fino a 7 Mega” hanno valore “quasi gergale”, “privo di rigorismo tecnico ed un significato traslato per descrivere sinteticamente le caratteristiche del relativo standard tecnologico che caratterizza la connessione piuttosto che la promessa di una prestazione costante”. Tale circostanza sarebbe ben nota al consumatore medio di internet, che quindi non potrebbe esserne ingannato.
Sembra incredibile ma è così. Lo trovate qui, a pagina 129.

Tremonti pensiero

Ieri pomeriggio Giulio Tremonti era ospite da Lucia Annunziata, e ha detto svariate cose, ciascuna delle quali merita di essere commentata analiticamente.

Sul mettere le mani nelle tasche degli italiani

Il governo non metterà le mani nelle tasche degli italiani perché i soldi ci sono. Questa affermazione è poi stata declinata in vario modo, anche per l'insistenza della Annunziata che in effetti ha fatto la figura di quella che vuole a tutti costi un aumento delle tasse; e Tremonti ha avuto buon gioco a dire altrettante volte che le tasse non c'è bisogno di aumentarle perché basterà spostare altri capitoli di spesa.
Tremonti ha fatto una bella figura, non per merito suo ma per demerito dell'Annunziata, la quale una sola domanda avrebbe dovuto fare, e non le è venuta fuori: ma perché ora i soldi ci sono, e quando si trattavi di tagliare fondi alla scuola non c'erano?
Credo non sia del tutto secondario, nell'agire di Tremonti il quale notoriamente è molto vicino alla Lega, il desiderio di evitare qualunque polemica sul (prevedibile) successivo punto all'ordine del giorno.

Sui costi del referendum

Dato ormai per scontato che 400 milioni da risparmiare non ci sono, è comunque vero che i referenda un certo costo ce l'hanno, e difatti l'Annunziata ha chiesto se non fosse opportuno risparmiare qualcosa, foss'anche un solo milione.
La risposta di Tremonti è invero pessima, ma non peggiore della posizione de lavoce.info, L'Unità e compagnia cantante: egli infatti ha affermato che il costo della consultazione non deve essere imputato al Governo che ne ha fissato la data, bensì ai referendari che l'hanno convocata. Tesi suggestiva, ma fondamentalmente tanto antidemocratica quanto quella di coloro che volevano andare per forza al voto con le europee.
Il referendum è un ben preciso istituto della nostra Costituzione, che ha delle sue regole: condivisibili o meno (io personalmente credo dovrebbero essere profondamente riformate), ma regole. Se 500.000 cittadini firmano, è un loro diritto democratico e nessuno può sostenere che l'esercizio di un diritto sia un costo inaccettabile (allo stesso modo, tuttavia, quegli stessi cittadini non possono poi andare a raccontare panzane decuplicando il computo dei costi rivenienti dall'esercizio di tale loro diritto per ottenere un'artificioso incremento della partecipazione).
Sostenere che il referendum non andava fatto non costituirà attentato alla Costituzione, ma comunque è una frase che un Ministro della Repubblica non dovrebbe permettersi di pronunciare.

Sull'evasione fiscale

Dato che qualche giorno fa preconizzavo che il governo Berlusconi avrebbe dovuto darsi una mossa sul tema dell'evasione fiscale, quando è arrivata la domanda sono stato con le orecchie dritte. Francamente non sono riuscito a penetrare la maschera da sfinge del valtellinese: da un lato ha affermato che i dati sulle dichiarazioni 2007 sono "scandalosi"; dall'altro ha detto che l'unico modo per combattere l'evasione è il "federalismo fiscale", che ben sappiamo essere null'altro che una buzzword ormai un po' usurata. Staremo a vedere.

Sull'uscita dalla crisi

La parte più interessante, per me, è stata quella -ampiamente riportata in virgolettato dai giornali odierni- nella quale il Ministro ha detto che nessuno crede più in un'apocalisse finanziaria: "La paura di un crollo delle Borse e della finanza mi sembra finita e la gente ha tirato un respiro di sollievo perchè è finito l’incubo degli incubi".
Il contesto nel quale è stata calata l'affermazione rassicurante è molto interessante: la giornalista ha chiesto per quando ci si può attendere la ripresa, e Tremonti ha affermato che lui non è abituato a fare previsioni di questo tipo anche se -immodesto!- lui la crisi l'aveva prevista, dato che da tempo parlava e scriveva contro la globalizzazione. Come dire: io sono un guru, ma non ve lo faccio pesare; e adesso vi dò un po' di fiducia.
Vediamo come stanno le cose.
Tremonti, è vero, da un paio d'anni si scaglia contro la globalizzazione. Ma non solo non ha assolutamente previsto la crisi in atto, ma anzi l'ha clamorosamente toppata. Quella in atto infatti è una crisi discendente non da una crisi di carenza materie prime dovuta all'affacciarsi al mercato globale di masse di nuovi consumatori; e neppure alla caduta dei salari (e di conseguenza dei consumi) dovuta alla delocalizzazione degli stabilimenti produttivi.
Quella in atto è prima una crisi finanziaria dovuta all'utilizzo della leva dell'indebitamento per stimolare i consumi e al ricircolo di liquidità grazie agli strumenti della finanza strutturata (CDO, ABS etc.); scoppiata la bolla immobiliare che sosteneva l'indebitamento, solo dopo (cioé ora) la crisi finanziaria sta trasformandosi in una crisi dell'economia reale, innescata dalla caduta di investimenti e consumi, dovuta alla stretta creditizia delle banche e all'impoverimento delle famiglie.
Tremonti tutto ciò non l'aveva manco lontanamente pensato: era lui, anzi, che propugnava il ricorso delle famiglie all'indebitamento ipotecario proprio per il rilancio dei consumi; era lui che invitava ad ipotecare la casa per pagarsi le vacanze al mare, rassicurando sul fatto che tanto i prezzi sarebbero sempre saliti.
Come si permette, oggi, di dire, proprio lui, che il sistema economico-finanziario italiano sta molto meglio di quello degli USA o del Regno Unito? E' vero, intendiamoci: ma fosse stato per lui ora staremmo nel guano.

Vista di punti

Chi capisce l'inglese meglio di quanto lo capisca io potrà farsi delle matte risate con questo video.

I due signori stanno dialogando durante una seduta della House Subcommittee on Energy and Environment (la Commissione Ambiente della Camera USA). il primo è un britannico, Lord Christopher Monckton, e il secondo il repubblicano John Shimkus, entrambi noti per negare recisamente le teoria secondo cui l'aumento delle emissioni di anidride carbonica stia alterando il clima (posizione che condividono anche con personaggi che in Italia hanno un certo peso, quali Giuliano Ferrara).

Per chi l'inglese poi lo dovesse capire come me (purtroppo per lui), ecco la trascrizione dell'intervento di Shimkus (grazie a ProgressIllinois):
[Carbon dioxide] it's plant food ... So if we decrease the use of carbon dioxide, are we not taking away plant food from the atmosphere? ... So all our good intentions could be for naught. In fact, we could be doing just the opposite of what the people who want to save the world are saying.
Insomma: secondo questi geni, se riducessimo le emissioni di CO2 ammazzeremmo le piante per fame. A questo punto non riesco a capire come diavolo abbiano potuto crescere, le piante, prima della comparsa dell'Uomo sulla Terra.

domenica 19 aprile 2009

Luogo comune

Zero Hedge per una volta si è staccato dal PC ed è andato al salone dell'auto di New York; di ritorno ha scritto un post che non ha nulla a che fare con l'economia: descrive solo le sue impressioni, da amatore.
Ed è per questo: per il fatto che non è un post di analisi ma proprio una serie di impressioni personali, che mi ha copito il passaggio che riporto. Immagino che la sua opinione sia generalmente condivisa , in America.
Chrysler, despite wishing they were still affiliated with Mercedes-Benz, unveiled the all-new Jeep Grand Cherokee based-off the Mercedes ML platform. Seems Chrysler can’t get away from some decent German underpinnings though they may be partnering with the Italian giant FIAT.
In a few years, all Chrysler products will be available in hatchback forms with bad electrical wiring and zero corrosion resistance, so, lets enjoy the Mercedes on the cheap while we still can.

venerdì 17 aprile 2009

Conflitto di interessi

Qualche giorno fa avevo accennato al fatto che la crisi è tutt'altro che terminata, malgrado i titoli dei giornali. Uno degli eventi che ha spinto i giornalisti economici verso un moderato ottimismo sono, tra gli altri motivi, i conti trimestrali di Goldman Sachs e JP Morgan, due delle più importanti banche d'affari USA, che hanno chiuso la trimestrale di marzo con utili ben superiori alle attese.
Avevo in animo di scrivere qualche riga su questi famosi conti, per mostrare quanto fossero taroccati, ma non ne vedevo l'urgenza.

Oggi però sul New York Times è comparso un articolo che preso fa accaponare la pelle: vale la pena di leggerlo (o di seguire il resto del mio discorso) perché se finora -in quanto italiani- pensavate di sapere che cosa è un conflitto di interessi, vi stavate sbagliando di grosso.

Dunque, sapete tutti che negli USA c'è un colosso assicurativo chiamato AIG, che ha rischiato di fallire il giorno dopo Lehman Brothers e che, a differenza della banca, è stato salvato dal governo Bush (e da quello Obama) con una massiccia iniezione di fondi pubblici.
Uno dei motivi per i quali AIG stava messa veramente male è che aveva sottoscritto uno sproposito di CDS con un'enormità di controparti. I CDS (Credit Default Swap, ne accennavo qui) sono dei derivati praticamente equivalenti ad assicurazioni sui crediti: in pratica e per semplificare, se qualcuno ti deve dei soldi, tu puoi stipulare un CDS in modo che se il tuo debitore non ti paga, ti paghera colui che ti ha venduto il CDS.
AIG stava ovviamente messa da schifo, dato che con la crisi in atto le probabilità di fallimento delle aziende è molto aumentata. Per tale motivo è stato necessario che il governo federale le erogasse uno sproposito di milardi di dollari (150, più o meno), in quanto in caso contrario sarebbe fallita, provocando un vero disastro al cui confronto Lehman sarebbe stata una brezzolina autunnale.
Con quei soldi, AIG nei mesi di gennaio e febbraio ha perfezionato una serie di unwinding (vale a dire: smontaggi) dei CDS. In pratica è un po' come se la vostra assicurazione vi telefonasse e vi dicesse: "guarda, io ti ho assicurato la casa, ma ora non me la sento più di sostenere il rischio, siamo d'accordo se ti dò 1000 euri e amici come prima?".
Buona parte delle controparti dei CDS erano, guarda caso, proprio le banche d'affari (vale a dire Goldman Sachs e JP Morgan) le quali hanno beneficiato in misura stratosferica di queste operazioni di unwinding: se n'era accorto Zero Hedge già alla fine di marzo, ma se andiamo a guardare i grafici sui risultati presentati agli analisti (grazie a Baseline Scenario: qui per JP Morgan e qui per Goldman Sachs, la quale peraltro ha fatto anche di più, saltando a piè pari il mese di dicembre dai conti) l'ammontare è semplicemente sorprendente: per la sola Goldman Sachs circa 13 miliardi di dollari.

Cosa significa tutto questo? Significa che le banche in questione hanno fatto straordinari profitti (parliamo di miliardi di dollari, mica bruscolini) per chiudere contratti con AIG a spese dei contribuenti.
Le anime belle potevano pensare che tutto ciò fosse utile quale volano all'economia; le anime un po' più critiche ritenevano che fosse una delle tante storture discendenti dal fatto che a Wall Street bene o male tutti si conoscono e vanno ai party insieme.

Ora l'articolo del NYT offre una chiave di lettura veramente interessante.
Edward M. Liddy, che è l'amministratore delegato di AIG e ha trattato un compenso di un dollaro all'anno, vedendo il proprio come una sorta di servizio pubblico, fino al settembre 2008 era nel consiglio d'amministrazione di Goldman Sachs, e in tale qualità aveva maturato una grande quantità di stock option. Uscitone per andare in AIG non si è fatto liquidare le stock option, bensì le ha tenute in forma di azioni, risultando così un socio di un certo peso.
Liddy, quindi, ha utilizzato i soldi dei contribuenti per smontare i CDS di AIG, creando utili andati a beneficio soprattutto della banca di affari di cui egli stesso è socio.
Certi politici di casa nostra ne hanno ancora, da imparare!

Puntualizzazione ricevuta

Secondo Francesco Rutelli su Europa (via Wittgenstein) il Partito Democratico non è di sinistra; e di questo ne eravamo certi dal giorno della sua nascita.
La novità, almeno per me, è che il Partito Democratico non è neppure di centrosinistra; e ciò mi suona nuovo. Vero è che io nulla ho a che fare con i tormenti del PD, ma comunque una persona che si ritiene di sinistra in questo paese vede a quel partito come una realtà con la quale confrontarsi (non foss'altro per l'eradicazione di qualunque altra forza organizzata a sinistra del medesimo); e quindi credo di non essere il solo ad aver creduto in buona fede fino ad oggi che il concetto di centrosinistra potesse essere accostato al partito dei manifesti verdi.
Rutelli, che non è un secondario esponente di tale movimento, afferma ora che l'unica connotazione attribuibile al Partito sta nell'aggettivo democratico. Il punto, che io non riesco a dipanare certo per mia insipienza, è che se Rutelli ha ragione, allora non riesco proprio ad immaginare quale sia la differenza tra il PD di Franceschini, l'UDC di Casini, il PdL di Berlusconi e financo la Lega di Bossi. Tutti partiti che (ivi compreso quello di Berlusconi), al di là di qualche deriva populista e tentazioni plebiscitarie non si sono mai sognati di mettere in discussione i principi della nostra democrazia.

Tagliando (riparazione preventiva)


Grazie a Francesco Cundari per la segnalazione di questo video, che dimostra come in casa Rai le nuove disposizioni del Minculpop a tutela della correttezza e imparzialità dell'informazione siano state immediatamente introiettate.

Puntata riparatrice

Di regola il giovedì ho altro da fare, ma ieri sera ero a casa e ho pensato di dare un'impennata allo share di Annozero, anche per solidarietà, rivolta non tanto verso il giornalista quanto verso la voce fuori del coro.
Ho accuratamente evitato il fervorino iniziale di Travaglio, che mi avrebbe turbato la digestione, e mi sono sintonizzato in tempo per vedere gli ospiti: Di Pietro e Ghedini.
Dopo un servizio filmato, Niccolò Ghedini ha preso a parlare: pur pervaso da buoni sentimenti e da un'incontenibile forza di volontà, dopo un paio di minuti non ce l'ho più fatta: e così ho incrementato lo share del Il negoziatore, sulla rete contigua.

giovedì 16 aprile 2009

2,5 milioni (giocare con i numeri /3)

Il Corriere lancia la notizia di uno studio prodotto da McAfee e ICF (lo dovreste trovare qui) in base al quale lo spam mondiale consumerebbe la stessa quantità di energia di 2,5 milioni di abitazioni (che a un tratto nell'articolo diventano poi autovetture).
Ora, 33 miliardi di chilowattora sono un po' tantini, pur considerando che di spam ce n'è proprio tanto: andiamo a leggere il report.
Vediamo subito un'affermazione interessante:
A year’s email at a typical medium-size business uses 50,000 KWh; more than one fifth of that annual use can be associated with spam
Ma non viene in alcun modo dimostrato che se lo spam cessase, sarebbe possibile scalare il sistema in modo da fargli assorbire meno energia. E, per inciso, ho anche qualche dubbio sul fatto che un sistema di e-mail in una media impresa possa assorbire 6 KW (pari a 50.000 KWh/anno): o ci mettiamo anche dentro i PC (e sicuramente andiamo ben al di sopra) o, anche a voler mettere due server dedicati, uno storage con replica e un apparato di rete, a quella cifra non ci si arriva.
Ma il bello deve venire:
Much of the energy consumption associated with spam (80 percent) comes from end-users deleting spam and searching for legitimate email (false positives).
Dunque, cos'è l'80% di quei 33 Terawatt imputabili allo spam? Nient'altro che l'energia consumata dagli utenti mentre controllano lo spam.
Le emissioni di CO2 che vengono attribuite allo spam dal report nient'altro sono che il respiro di coloro che stanno seduti davanti al computer e perdono tempo con lo spam, calcolate sulla base di tre secondi a messaggio:
It takes an average of three seconds for a user to view and delete a spam message. Although spam flters block approximately 80 percent of spam before it reaches the user, the massive quantities of email spam and the increasing ingenuity of spammers leave a large number of spam messages in end-user inboxes. Approximately 104 billion user hours per year go to reading and manually deleting spam.
Certo, se lo spam non ci fosse potrebbero dedicarsi ad altro, ma siamo proprio certi che smetterebbero di respirare? Io non credo proprio; e quindi l'articolo altro non è che una bufala bella e buona, sponsorizzato da un'azienda che vende sistemi antispam.

Se poi il titolo questo post vi ricorda stranamente altri articoli simili che ho scritto in passato, credete che non s'è fatto apposta.

Vista corta

Certo, non tutti sono come Violante.
Luca Sofri, che è un idealista (non è una parolaccia) ha preso a spendersi come un leone a favore del referendum. Oggi scrive:
Fossero ganzi, al PD adesso porterebbero mezza Italia a votare al referendum
Ricorda il motto, Luca: Dio acceca coloro che vuole perdere; e dalle parti del PD forse hanno già perso a sufficienza, per ora, non credi?

aggiornamento: sembra che anche Francesco Costa, con il quale avevo polemizzato proprio su quest'argomento, qualche tempo fa, si stia ricredendo sull'opportunità della vittoria dei sì. Forse in fondo in fondo c'è speranza anche per Sofri.

Resipiscenza

La disputa sulle date del referendum sta per esaurirsi; si può perciò cominciare a parlare del merito. Gli intenti che spinsero i referendari ad assumere l'iniziativa nel 2007 erano più che lodevoli. Di fronte al rischio che il panorama rissoso delle coalizioni proprio della scorsa legislatura diventasse un carattere strutturale del nostro sistema politico, proposero di liquidare quelle coalizioni attribuendo il premio di maggioranza alla sola lista vincente. In ogni scelta politica ci sono vantaggi e danni. Allora i vantaggi erano superiori ai danni.

Ora, però, il superamento di quel tipo di coalizioni è avvenuto per via politica. Nel 2008 Veltroni, con coraggio, si coalizzò con la sola Idv e Berlusconi lo seguì stringendo un patto solo con la Lega. E' difficile pensare che si possa tornare alle carovane di un tempo: i primi a ribellarsi sarebbero gli elettori. Perciò, guadagnati per via politica i vantaggi che si volevano conseguire attraverso il referendum, bisogna fare i conti con i danni.

Il quesito principale intende attribuire il premio di maggioranza alla lista che abbia preso più voti: la lista vincente alla Camera o al Senato, in ipotesi anche solo con il 30% dei voti, otterrebbe il 55% dei seggi. Già oggi non gli elettori, ma i capi dei partiti, caso unico nel mondo avanzato, hanno il potere di scegliere i componenti del Parlamento. Il referendum conferma questa loro prerogativa e anzi la potenzia perché mette nelle mani di un solo uomo, il capo del partito vincente, chiunque esso sia, la scelta della maggioranza assoluta dei parlamentari. Le preoccupazioni aumentano quando si guarda agli statuti dei partiti e alle prassi che caratterizzano la loro vita interna: ben pochi partiti politici oggi potrebbero definirsi democratici, visto che molti funzionano con modalità carismatiche e populiste. Se domani vincesse il Sì, un solo partito, in netta minoranza nel Paese, diventerebbe maggioranza assoluta in Parlamento e potrebbe ad esempio, da solo, eleggere il Capo dello Stato, impossessarsi dei mezzi d'informazione, cambiare secondo le proprie convenienze la legge elettorale e i regolamenti parlamentari. Il Parlamento diventerebbe una protesi del governo, anzi del presidente del Consiglio, chiunque esso sia.

Oggi la maggioranza Pdl-Lega assicura una certa dialettica politica che non blocca la democrazia ma favorisce il confronto; lo stesso sarebbe accaduto se avesse vinto la coalizione Pd-Idv. Se domani, grazie al referendum, governasse solo il Pdl o solo il PD la democrazia sarebbe più salda? Il bipartitismo non è una bestemmia, ma esige un sistema elettorale che dia ai cittadini la possibilità di scegliere i propri parlamentari e regole democratiche in tutti i principali partiti. Queste condizioni oggi non ci sono e pertanto il bipartitismo che verrebbe fuori dal referendum consoliderebbe in realtà le attuali oligarchie.

Mi sembra assai rischioso sostenere che conviene far vincere il Si per potere poi cambiare la legge Calderoli. Se davvero ci fosse una maggioranza per cambiare la legge elettorale, perché non la si è cambiata tempestivamente, anche per evitare il referendum? In realtà oggi non c'è una maggioranza per una nuova legge elettorale ed è difficile che possa esserci domani, quando i vincenti avrebbero nelle proprie mani tutto il potere.

Tutto questo che sta qui sopra non l'ho scritto io: l'ha scritto Luciano Violante, sulla Stampa. Forse all'interno del PD si sta comunciando a ragionare sull'ennesima sciocchezza fatta da Veltroni (e Franceschini): quella di propugnare una riforma plebiscitaria e antidemocratica della legge elettorale che darebbe i pieni poteri a Berlusconi.
Sa di tragedia greca, questo PD che non è riuscito a fare una legge sul conflitto d'interessi quando era al potere sotto falso nome, epperò riesce a spendersi anima e corpo per una riforma che favorisca la totale presa del potere da parte del proprio avversario.
Come scriveva Francesco Cundari ier l'altro:
C’è una sola ragione per augurarsi che Silvio Berlusconi accolga l’appello in favore dell’accorpamento di europee e referendum che con tanta insensata insistenza viene da tutto il Pd, a cominciare da Dario Franceschini. Che se lo meriterebbero.
Quanto alla balzana idea ora propugnata da anche da D'Alema del "facciamo vincere i sì e poi facciamo una nuova e buona legge", c'è da chiedersi se il deputato di Gallipoli non abbia ancora preso abbastanza batoste nella propria vita, e perché continui a desiderarne di ulteriori. Come riporta lo stesso Cundari, in altro articolo, nel quale dà conto di altre voci critiche nel PD:
Ma è proprio sicuro che dopo la vittoria del “sì”, dati gli attuali rapporti di forza, a Berlusconi non converrebbe far saltare tutto e correre a elezioni anticipate, con una legge che potrebbe dare la maggioranza assoluta al solo Pdl, per di più nella legislatura che dovrà eleggere il nuovo capo dello stato? Questo è il dubbio che comincia a diffondersi nel Pd.

Risparmi

Il Corriere ci dice che grazie al taglio di 42.000 insegnanti il prossimo anno scolastico costerà alle casse dello Stato circa 1.600 milioni di euro in meno.
Orbene, questa non è una buona notizia, e non lo è per due ragioni.
La prima, ovvia per chi legge queste righe da qualche tempo, è che tagliare 42.000 insegnanti significa affossare la scuola pubblica, spingere le famiglie verso la scuola privata (che, si badi, è sovvenzionata con soldi pubblici, almeno in Lombardia; ma questo nell'articolo non viene detto!!!) e, in prospettiva più ampia, contribuie a fare di questo Paese un Paese ancor più di serie B.

Ma vi è anche una seconda ragione, altrettanto importante. E' fondamentale, quando si ragiona di finanza pubblica, capire dove vanno a finire i soldi spesi.
Capite bene che altro è spendere 100 milioni di euro in trasferimenti alle famiglie (e qui rientra il discorso degli onorari per il personale dei seggi, ma non voglio ammorbare ancora con questa storia), e altro spendere la stessa cifra in consulenze fornite da una delle varie Accenture, McKinsey, IBM o compagnia cantante, chessò per costruire il portale del turismo.
In termini macroeconomici, quei 1.600 milioni di mancati stipendi per 42.000 insegnanti altro non sono che ricchezza che non viene messa in circolo; se volete, sono 42.000 famiglie che devono arrabattarsi trovando un modo per sopravvivere e (almeno molti di loro) ridurre drasticamente i consumi, aggravando una crisi economica che, nonostante tutte le fole che leggete sui giornali, è tutt'altro che terminata.
Due, quindi, sono i motivi per ritenere pessima la riforma Gelmini: va contro i nostri figli e contro la ripartenza della nostra economia.

Mi aspetto ora un'obiezione, legittima.
Qui dico che non bisognerebbe risparmiare i 1.600 milioni per i precari; altrove affermo che non bisognerebbe risparmiare i 90 milioni per il personale dei seggi; ma dove bisogna risparmiare, allora?
Credo che, se proprio si deve risparmiare, si debba farlo a partire dall'alto e non dal basso. Sarò grossolano, me ne rendo conto, ma risparmiare sugli stipendi degli insegnanti delle elementari di 1.200 euro vuol dire automaticamente togliere 1.200 euro di spesa disponibile (non mi attendo che con i tempi che corrono l'insegnante riesca a risparmiare nulla); risparmiare sui trasferimenti a certe aziende (quali, giusto per fare un esempio, scuole private e sanità privata) vuol dire certo mettere in crisi una parte dei lavoratori di quel settore, ma buona parte dell'effetto viene assorbito anche dai profitti degli imprenditori. Senza contare il fatto che gli impenditori stessi hanno ricevuto fior di regali dai precedenti governi.

E poi, resta sempre il grande buco dell'evasione fiscale. Ultimamente si leggono sempre più sui giornali notizie in merito all'ammontare dell'evasione e a iniziative di contrasto. Credo che questa volta il governo Berlusconi si stia mettendo a fare sul serio.
Non che il PresConsMin sia rimasto folgorato sulla via di Damasco della giustizia sociale, intendiamoci. Ma ho come l'impressione che abbia dovuto prendere atto che il barile è stato ormai grattato sul fondo e anche oltre, e che margini di manovra per far girare la macchina statale non ce ne sono più, in quanto il tagliabile è stato tagliato e il tassabile tassato (sì, resta la tassa sui redditoni: briciole!).
Forse, quindi, non certo per scelta ma per necessità, vedremo nei prossimi mesi un Berlusconi aggredire il buco nero dell'evasione. E, se cosi fosse, le probabilità di riuscire nell'intento sono molto maggiori di quelle che aveva un visco, per dire.
E' noto che non c'è come un governo di sinistra per fare cose di destra (non servono esempi, vero?); allo stesso modo forse è possibile che ci voglia un governo di destra per fare qualcosa un minimo di sinistra; o almeno che odori di giustizia ed equità.

Oracolo /3

Certo, quando mi ci metto ci azzecco, con le previsioni ;-P
Proprio ieri scrivevo Credo quindi che si andrà a votare insieme alle europee, dato che ormai le pressioni sono divenute irresistibili. Comunque non è detta l'ultima parola: staremo a vedere.

mercoledì 15 aprile 2009

Esercizi di democrazia

Con tutto il fatto che non sopporto Santoro e, pur non avendola vista, sono propenso a credere che la puntata di AnnoZero sul terremoto non sia stata un modello di informazione equilibrata, trovo che sia semplicemente ridicolo pretendere un riequilibrio informativo da parte di una RAI che da ormai dieci giorni spende metà del palinsesto a farci vedere quanto brava sia la Protezione civile, efficiente il Governo e generosi i parlamentari.
Non molto tempo fa mi lagnavo del fatto che fosse un po' assurdo, a 24 ore di distanza dal sisma, lamentarsi della carenza di bagni chimici e di pasti caldi; ma ciò non vuol dire che mi beva la storia che tutto va bene madama la Marchesa, intendiamoci.

Quello che imputo a Santoro (e, ripeto, lo dico in generale, ché la trasmissione non l'ho vista) è che il suo atteggiamento di rabbiosa faziosità riesce a sputtanare qualunque causa, anche la più giusta.
A differenza di Vespa, apparentemente equidistante ma in effetti sempre insinuante e tendenzioso, e di Fede, che fa della partigianeria un elemento di comicità rendendosi simpatico (o quantomeno ridicolo) anche all'avversario politico, Santoro, con quell'espressione accigliata e l'eloquio alla Saint-Just riesce, ogni volta ho la sventura di guardarlo, a farmi odiare qualunque causa egli propugni. E nel 90% delle volte le cause che lui propugna sono anche le mie, di cause.

Ciò detto, avere un contraltare alle truppe cammellate dei vari TG che mostrano presidenti pompieri e governanti pietosi (nel senso di pietas, biricchini!) sarebbe doveroso, e a Santoro -in mancanza d'altri- andrebbe fatto un encomio, non avviato un procedimento disciplinare.
Quanto a Vauro, poi, è semplicemente disgustoso che il suo allontanamento dalla trasmissione avvenga per effetto di una vignetta in cui, per quanto passi tempo a mirare e rimirare, non riesco a trovare nulla di irriguardoso nei confronti dei terremotati (ma nei confronti di chi ha improvvidamente proposto il piano casa, sì).

Veniamo al titolo del post.
Vedo che i miei timidi tentativi per smontare le menzogne riguardo ai 400 milioni di risparmio da referendum non hanno sortito effetto alcuno (e, confesso, me l'aspettavo!). Credo quindi che si andrà a votare insieme alle europee, dato che ormai le pressioni sono divenute irresistibili, con conseguente raggiungimento del quorum, e che in tal caso i sì siano destinati a vincere.
Credete veramente che dare la maggioranza assoluta dei voti al partito del Presidente Berlusconi sia una bella idea? Io credo di no, e credo che quella dell'editto bulgaro di Santoro (e del nuovo editto abruzzese di Vauro) sarà robetta, in confronto a quanto potrà fare una volta ottenuto il controllo del Parlamento.
E, tanto per chiarezza, credo pure che anche la prospettiva che la maggioranza assoluta possa andare a Franceschini, o a un suo epigono, non muti di un millimetro il giudizio. Primo, perché è del tutto irragionevole supporre che Franceschini possa vicere; secondo, perché dare pieni poteri a chi ci sta più simpatico non è in alcun modo più democratico, bensì al limite solo più furbo.
E i furbi, come ci insegna D'Alema, fanno sempre una fine meschina.

aggiornamento: sul blog di .mau. il link alle vignette irriguardose (quelle sì!).

Carità spelata

Non ringrazierò mai abbastanza Ipazia Sognatrice per aver segnalato un pezzo di Giacomo di Girolamo, del quale riporto solo alcuni stralci (chi ancora non lo conoscesse, segua il link per leggerlo tutto)
Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno bonifici, né versamenti alle poste. Non ho posti letto da offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose, né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda (...)
Non do una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico no (...)

L'Italia, alla vigilia della prima guerra mondiale, era unanimemente considerata dalle grandi potenze uno stato straccione. E ancor oggi, a un secolo di distanza, è uno stato straccione: uno stato che conta sull'innata bontà dei concittadini per supplire alle proprie carenze.
Sono passati infondo meno di quattrocento anni dal tempo in cui il Cardinal Federigo "...non ristringeva le sue cure a questa estremità di patimenti, né l'aveva aspettata per commoversi. Quella carità ardente e versatile doveva tutto sentire, in tutto adoprarsi, accorrere dove non aveva potuto prevenire, prender, per dir così, tante forme, in quante variava il bisogno. Infatti, radunando tutti i suoi mezzi, rendendo più rigoroso il risparmio, mettendo mano a risparmi destinati ad altre liberalità, divenute ora d'un'importanza troppo secondaria, aveva cercato ogni maniera di far danari, per impiegarli tutti in soccorso degli affamati. Aveva fatte gran compre di granaglie, e speditane una buona parte ai luoghi della diocesi, che n'eran più scarsi; ed essendo il soccorso troppo inferiore al bisogno, mandò anche del sale, con cui [...] l'erbe del prato e le cortecce degli alberi si convertono in cibo".
Nel 1630 il consiglio dei Decurioni si basava sulla carità di Federigo; oggi il Governo della Repubblica si basa sugli SMS e sui mille euri dei senatori: mille euri la cui proposta di obolo da parte del Presidente del Senato mi pare, sia detto per inciso, una palese ammissione del fatto che i senatori stessi sono pagati molto più del giusto.
Ma non voglio ripetere cose che altri hanno detto molto meglio di me, né parlar male di tutti i vari Telethon che ammorbano sia il mondo dell'intrattenimento sia quello di una scienza costretta a mostrare le cosce per comperare i reagenti e le provette: desidero richiamare alla memoria di chi se ne fosse dimenticato la più scandalosa delle raccolte di fondi.
Una raccolta di fondi pervasiva (tanto che al supermercato quando andavi a far la spesa ti chiedevano se volevi comprare il bigliettino). E una raccolta i cui fondi furono poi utilizzati in modo vergognosamente scorretto; ma quand'anche fossero stati utilizzati bene fino all'ultima lira, lo scandalo non sarebbe stato minore.
Rammentate la Missione Arcobaleno? Giusto giusto dieci anni fa il Governo (no, non c'era Berlusconi, al Governo) andava a bombardare le città serbe, con i soldi delle tasse. E poi chiedeva agli italiani la carità per soccorrere i profughi originati dai bombardamenti.
A quel tempo credevo di essere in una specie di reality, tanto lampante era l'assurdità della cosa: mi aspettavo che da un momento all'altro comparisse lo striscione di Scherzi a parte e mi dicessero che era tutto finto, una specie di prova d'iniziazione superata la quale sarei stato ammesso ai segreti della vera cittadinanza. E invece no, era tutto vero: e il capo di quel governo ancora rivendica il suo agire.
Credo che dopo la Missione Arcobaleno (e ripeto, indipendentemente dal fatto che i soldi raccolti siano andati a signore di facili costumi) l'unico atteggiamento serio che si possa tenere nei confronti delle raccolte di fondi è la critica e lo scetticismo.
Intendiamoci: a me spiace davvero, per gli Aquilani rimasti senza casa. Ma come è possibile avallare, anche con la propria carità, il fatto che nel 2009 la Protezione civile abbia visto tagliare i propri fondi di più del 30%? Come possiamo accettare che i 157 milioni di euri del 2008 divengano nel 2009 98 milioni? Quando arriverà l'estate, partirà la raccolta di messaggini per lo spegnimento degli incendi? E ad autunno il Telethon delle alluvioni?

 

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